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Autore: B Rabbit    09/02/2014    1 recensioni
Ogni sera pregava Dio, supplicando la sua salute, la sua gioia. Chiedendo il suo ritorno.
Cosa c’è di tanto sbagliato…?
Genere: Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Allen Walker, Rabi/Lavi | Coppie: Rabi/Allen
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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We’ll meet again
Before the last snow falls





Fissò con le mani unite il riquadro scuro del desktop in cui le due estremità di una piccola circonferenza si rincorrevano, innervosendo il povero ragazzo.
Sperò vivamente che quel giorno la connessione funzionasse, che potesse rivederlo, sorridente come ad ogni incontro, altrimenti il terrore lo avrebbe dilaniato.
L’ansia sopraggiunse veloce e come un falco si avventò sul piccolo uccellino azzurro della speranza.
Si diede dei colpetti sulla bocca con le dita incrociate, in attesa.
Aggrottò le sopracciglia e guardò lo schermo, torvo, come se la velocità potesse aumentare se stimolata dalla sua irritazione.
Sospirò, affranto, e posò la fronte sulle mani congiunte.
Voleva vederlo, sentire la sua voce, la sua risata.
Deglutì, percependo l’angoscia artigliargli la gola.
Ogni sera pregava Dio, supplicando la sua salute, la sua gioia. Chiedendo il suo ritorno.
Cosa c’è di tanto sbagliato…?

Lo scrosciare della pioggia si zittì piano e lasciò che il silenzio colasse lungo le pareti della camera, denso, isolandolo ulteriormente dal mondo – e lui non se ne accorse, troppo assorto nei pensieri – .
Inspirò e dalle labbra fuoriuscì un altro sospiro.
« … Ehi! »
Il ragazzo sbatté le palpebre, domandandosi se la tristezza portasse con sé strani effetti come le allucinazioni uditive. Pensò che, forse, era soltanto un acciacco della sua mente stanca, soggiogata da tempo da un forte e unico desiderio.
Alzò lentamente il capo, pronto a darsi dello stupido per aver ceduto a una piccola illusione, ma quando incontrò uno sguardo smeraldino a osservarlo, il cuore accelerò improvvisamente e l’anima urlò con gioia la veridicità del momento.
«Allen, ti sei addormentato!»
L’incriminato drizzò subito la schiena e arrossì un po’.
«Non è vero… non stavo dormendo!» si difese e sentì l’imbarazzo crescere di più all’ilarità dell’altro.
Ruotò appena il capo e accennò un sorriso.
Era davvero calda, la sua risata.
Lavi lo guardò con la serenità disegnata sulle labbra.
Allen si volse verso di lui e rimase in silenzio.
Incrociare quegli occhi di giada nonostante la lontananza lo allietava e sanava lo sconforto, ma l’amarezza gli lambiva l’anima appena constatava che quella scena era solo un’immagine fittizia, e i mille difetti acquistavano vigore – gli occhi non brillavano, le emozioni non modellavano il suo viso come nei giorni trascorsi insieme – .
«Come vanno le cose lì?» chiese curioso il più grande e il ragazzo rilassò le spalle, ignorando i pensieri tristi che lo assillavano.
«Oggi ha piovuto ancora» lo informò, abbassando appena il capo.
«E ti sei bagnato» scommesse e quando l’altro gli rivolse un’occhiataccia rise.
«Ho dimenticato l’ombrello…» gli spiegò con la voce offesa.
Era davvero dolce, Allen, con quel broncio sulle labbra. Il rosso lo trovava incredibilmente tenero.
«Come lo hai capito?»
Lavi scosse un po’ la testa. Sorrise bonario.
«Perché sei raffreddato. Lo sento nella voce»
Il giovane guardò di lato. «… Tanto?» gli chiese.
«No»
Eppure mi ero preso qualcosa…
«Sto bene, però» precisò subito, rivolgendogli le iridi di perla. «Sta’ tranquillo»
Il fulvo annuì grave dopo una pausa teatrale e liberò un lungo sospiro.
«Come devo fare con te…» si domandò, melodrammatico, trattenendo un sorriso per ciò che presto avrebbe detto. «Yuu ha davvero ragione»
Allen assottigliò gli occhi. «Non dirlo nemmeno»
«Cosa?» gli chiese lui con tono divertito e fintamente curioso.
«Lo sai» rispose secco.
Lavi incrociò le braccia e si portò l’indice sulle labbra, pensoso. «Mh, forse…?»
«No»
«E’ solo per essere sicuri»
«Taci»
Al sospiro arrendevole dell’altro il poveretto si tranquillizzò, accomodandosi meglio sulla sedia.
«… Mammoletta?»
«Lavi!» gridò, superando le sue forti risate.
«S-scusami, però…» ma un nuovo colpo di ilarità gli sgorgò dalla bocca.
Il più giovane abbassò il viso e incrociò le braccia con stizza.
Odiava essere chiamato così, e nonostante lo sapesse il fulvo lo stuzzicava sempre con quell’odiosa parola.
Posò gli occhi sul ragazzo che ancora ridacchiava e le labbra gli si arcuarono in un debole sorriso, addolcendogli così il volto.
Era felice ogni volta che lo vedeva, ma ad Allen quei momenti sereni parevano sempre un po’ strani, normali minuti che divenivano grotteschi in nel quadro dalle tinte contrastanti.
Perché Lavi sorrideva in pace lì dove neanche c’ era, poiché considerata da troppo tempo utopia.
Quando incontrava il suo sguardo, il più giovane scorgeva in quella luminosità una goccia di tristezza, penosamente camuffata dalla sicurezza.
Nella lenta quotidianità, la verità lo inseguiva con un sorriso sgraziato, e appena si dimostrava inerme ai suoi occhi vuoti e immaginari – quando la sua assenza, la sua mancanza si accentuava dolorosamente – lei lo aggrediva , rivolgendogli quella mezzaluna inquietante.
E nel considerare che forse anche Lavi provasse quello – immaginarlo piangere in silenzio per non farsi sentire come tutti gli altri – il petto gli doleva maggiormente.
Vide il rosso asciugarsi una lacrime e sussultare ai brevi colpi delle risate.
«Oh mamma» sussurrò lui, schiarendosi dopo la voce. «E’ che ti adoro quando fai quel musetto e –»
«Scemo» lo zittì per fermare il fiume delle sue considerazioni, e non poté non arrossire a quelle parole leggere. Lo guardò improvvisamente mesto, e Lavi sorrise, consapevole.
«Come va… l’occhio destro?» chiese lui con un sussurro incerto, e il più grande si scostò le lunghe ciocche dal viso, svelando la spessa garza bianca.
«Non mi fa più male, te l’ho detto» gli rispose piano con tono dolce e sospirò divertito al mugolio d’assenso dell’altro.
Notò l’amarezza comparire sul suo viso, emergere nelle iridi chiare, e pensò che, forse, quello fosse il momento adatto.
Lo chiamò con delicatezza, ma prima di poter formulare qualcosa di diverso dal suo nome notò un fulgore brillare dietro la sua figura.
Allen aggrottò appena le sopracciglia; seguì lo sguardo di Lavi e un suo verso di sorpresa vibrò nell’aria. «Non può essere…» disse piano, incredulo.
Il fulvo sorrise.
«Però è lì» considerò con tono allegro.
Il ragazzo si voltò verso il computer. «Si, ma oggi doveva-»
«E’ lì» ripeté ancora lui, allungando divertito la “i” e muovendo insieme il capo.
Allen si girò, e Lavi fu sicuro che sulle sue labbra chiare ci fosse un nuovo sorriso.
«E’ bella?» chiese allora, posando il volto sui pugni socchiusi; notò l’altro girarsi – sorrideva – e subito la visuale tremò.
«C-che fai?» gli domandò, stringendo stranamente il lato del tavolo nella mano, ma lo lasciò subito dopo, dandosi dell’idiota.
«Ora vedrai!» lo sentì, e quando vide l’immagine dello schermo variare fra gli scossoni, capì che Allen avesse preso il portatile con sé.
A Lavi sembrò quasi di camminare di nuovo in quella casa, nella stanza del ragazzo. Scosse la testa a quell’insensata considerazione.
«Aspetta un attimo» lo informò il più giovane che posò il PC sulla superficie di marmo e si piegò appena per salutare l’altro con la mano. Il più grande sorrise.
«Vuoi farla vedere anche a me, eh?»
Il ragazzo rise imbarazzato; annuì e, voltando il computer, illuminò lo schermo dell’altro con le abitazioni un po’ imbiancate e con i fiocchi che scendevano dal cielo.
«Ecco… non è molta, però le strade sono quasi coperte»
Il fulvo annuì e rimase in silenzio ad osservare la scena. Notò dei compagni fermarsi dietro di lui e guardare ammaliati gli edifici e quel candore, stereotipando il panorama nell’immagine serena di “casa”.
«E’ davvero bella…» mormorò lui, udendo i passi degli uomini allontanarsi piano.
Allen annuì con un debole cenno del capo e alzò lo sguardo al cielo e alla neve.
«Non vai a giocare?» lo provocò il rosso e la risposta indispettita dell’altro lo fece sorridere.
«Non sono un bambino!» affermò, e Lavi fu felice di incontrare ancora i suoi occhi argentati.
«Ti andrebbe di vederla insieme?» gli propose e la stizza di lui sfumò sotto il tenue bruciore dello sconforto.
«Non puoi usare per molto la webcam…»
Fra un po’ dovrai andare” , pensò triste.
Lavi accennò una risata. «No, no» e lo guardò. Sorrise. «Insieme»
Il più giovane sbarrò gli occhi. «Ma cosa – »
«Sto per venire, Allen. Mi rimandano a casa»
Le labbra si schiusero per l’incredulità. Sentì chiaramente i battiti del cuore colpire con forza lo sterno, e una gioia gli scaldò il petto, salendo fino agli occhi lucidi.
«E-e… come mai?» gli chiese con la voce incerta, imponendosi di non piangere come uno sciocco.
«Beh, un guercio non è molto utile» considerò lui ridendo.
Il ragazzo storse un po’ la bocca. Non erano delle armi, loro.
Allen rivolse gli occhi ai fiocchi leggermente più grandi. Se lo avrebbe guardando per un attimo ancora, era sicuro che le lacrime sarebbero scese.
«Quando…?»
Il fulvo rimuginò sulla risposta. «Non lo so… una o due settimane, credo»
Lui annuì piano di rimando.
Nonostante sapesse che presto lo avrebbe rivisto, ad Allen quel lasso di tempo parve crudele.
Si sentì subito uno stupido per la sua insensibilità, perché genitori, famiglie e amici pregavano ancora il ritorno dei loro cari.
Annuì con più decisione, felice, e guardò nuovamente Lavi. Sussultò impercettibilmente al suo occhio gravido di lacrime.
«Ci incontreremo prima che l’ultima neve cada» gli disse il rosso, sorridendo. «E’ una promessa»
E ad Allen non gli importò più di piangere dinanzi a lui.



Nonostante l’assurdità di quella tua promessa ho voluto crederti dal profondo.
Confesso, però, di aver immaginato di vedere la primavera deteriorarsi
per tante tante volte prima di quel momento.
Speravo in un messaggio, una lettera che annunciasse il tuo ritorno.
Arrivò.

Hai mantenuto la promessa.



Quando lo scorse uscire dal portellone dell’aereo fra altra gente, gli corse incontro, guardandolo scendere piano la scaletta.
Era più magro e i segni di tutto quello erano più evidenti alla vera luce.
Lavi si sarebbe ripreso, però, lo avrebbero aiutato lui e la sua la famiglia.
Si fermò vicino l’ultimo gradino e osservò la madre giungere un po’ più lentamente, disinteressandosi dei suoi lunghi capelli scompigliati.
Lo chiamò, urlò il suo nome, e quando il suo occhio si posò su di lui sorrise estasiato.
Appena scese l’ultimo scalino lo abbracciò forte, serrando gli occhi per non piangere.
La rigidità del suo corpo dovuta alla sorpresa scomparve, ma Allen non si sentì stringere.
Lo lasciò, piano. Confuso.


Sei tornato.


«Lavi!»
La madre saltò e gli allacciò le esili braccia al collo, singhiozzando felice mentre il figlio la cingeva con delicatezza.
Allen sorrise dolcemente a quell’attesa riunione.
Osservò Lavi. Lui ricambiò.
“Chi sei?”, gli aveva chiesto.




Sei scomparso.

Un’amnesia ti ha portato via da me.
Hai combattuto fino all’ultimo, e per salvare un tuo compagno hai rischiato la tua stessa vita.
Provo orgoglio per questo, prima gli estranei non ti interessavano,
fin da piccolo eri più restio alle conoscenze.
Ma penso che sia normale, questo cambiamento.
A volte sei triste, perché non rimembri gli anni prima della tua partenza. Quando eravamo insieme.
Non preoccupartene, li riacquisterai senza dubbio.
E se non ti ricorderai di me, se non mi amerai più, ti sarò comunque vicino ad aiutarti, per ridere e scherzare, sorridendo
appena incontrerò il tuo sguardo
per me dolente.


















*attaccata come un koala alla guancia di Tim*
Buonqualcosa a tutti voi.
Questa storia mi è venuta in mente circa due settimane fa, quando ha nevicato yeah!.
E' durata solo un giorno.
A causa della scuola, però, non ho potuto scriverla subito, e per farlo ho impiegato i ritagli di tempo di un altro progetto.
Spero che vi sia piaciuta.
Chissà perché, ma stranamente mi è venuta voglia di scrivere una sottospecie di long, così da non lasciare il tutto con un finale aperto.
Non so se un giorno la scriverò.
Che dire... nulla.
Ho sonno.
Vado via, che domani è una giornata schifus >_>

Bye bee



  
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