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Autore: lucatrab_99    11/02/2014    0 recensioni
Dopo l'attentato alla vita di suo padre, ispettore capo a Scotland Yard, Leo stringe un'improbabile alleanza col nemico per risalire al colpevole. La Londra contemporanea fa da scenario ad una folle indagine, un inseguimento in cui predatore e preda si scambiano spesso di ruolo. In questa corsa contro il tempo, l'unica regola che conta è sopravvivere all'Asso di Picche, quanto più a lungo è possibile.
Genere: Azione, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Leo fu portato di corsa in ospedale, la felpa era ormai zuppa di sangue, e quando la sfilò quasi svenne per il dolore. Fu operato subito, e il medico disse che siccome il proiettile gli aveva solo sfiorato il fianco senza causare danni gravi, nel giro di una settimana sarebbe potuto tornare a casa. Quella notte, solo nella sua stanza di ospedale, Leo ripensò a quanto accaduto in carcere. Fred non gli aveva mentito, altrimenti perché mandare due agenti a cercare di ucciderlo? E soprattutto, perché cercare di uccidere anche lui? Forse sospettavano che il carcerato avrebbe parlato, ma non potevano aver origliato, la cella era insonorizzata. Era chiaro che avrebbero cercato di far ricadere la colpa su Fred: il detenuto avrebbe nascosto una pistola nella cella, usandola prima per uccidere Leo, poi si sarebbe suicidato. Con questa ricostruzione dei fatti, il dottor Brown avrebbe di nuovo salvato la faccia, e le indagini si sarebbero nuovamente fermate. Leo ricapitolò tutto quello che Fred gli aveva detto, parola per parola, cercando di trovare un dettaglio, una frase, qualsiasi cosa che potesse essere usata contro il vice-ispettore, ma mancavano prove. La testimonianza di Fred sarebbe stata pressoché ridicola in un processo: un ragazzo orfano e senza nome, che non compare negli archivi di stato e che è dato per morto, che cerca di incarcerare il rispettato vice-ispettore di Scotland Yard. Patetico. Poi ebbe un’intuizione, ricordando una cosa a cui non aveva dato molto peso: Fred abitava nello stesso palazzo di Gwen. Fu dimesso dall’ospedale otto giorni dopo, e nel giro di due settimane fu in perfetta forma, grazie alle mille premure della madre. La scuola era ricominciata dopo il sequestro dell’edificio, che ovviamente non aveva portato a niente, e Leo colse al volo la prima occasione libera per chiamare Theo in disparte e chiedergli un favore. “Mi serve una mappa catastale dell’edificio all’angolo fra St. James’ Square e Charles II St” disse, e l’amico gli rispose, assumendo un’espressione pensosa “Non credo sia una cosa totalmente legale, ma se vuoi, cercherò di accontentarti”. Il giorno dopo, Leo aveva la sua mappa. Fece una rapida ricerca sull’elenco telefonico, per controllare a chi appartenessero gli appartamenti, e li segnò sul foglio con un pennarello, fino a che non rimase soltanto una soffitta di pochi metri quadrati, che identificò come la modesta casa di Fred. Restava ancora un problema da risolvere, ovvero come entrare. Scassinare la porta sarebbe certamente stato facile, pensò Leo, sicuramente la porta di un ripostiglio non era blindata, ma dove trovare attrezzi da scasso? Poi si ricordò della cassetta rossa che suo padre aveva dai tempi della polizia d’assalto, che certamente conteneva ogni genere di diavoleria. La trovò in soffitta, coperta da due dita buone di polvere, ma quando la aprì fu molto soddisfatto del contenuto: perfettamente ordinati c’erano oggetti che non si trovano in un normale supermercato, e che a Leo avrebbero fatto decisamente comodo. Un passe-partout magnetico, in grado di aprire qualsiasi serratura, un decodificatore Wi-Fi, un paio di occhiali con la visione termica, un sistema anti-intrusione a led luminosi e, sul fondo, una piccola pistola semiautomatica da nove millimetri, carica e funzionante. Leo sapeva che portarla con se non sarebbe stato legale, ma visto che era stato aggredito due volte in pochi giorni, decise di fare un’eccezione. Mise il tutto in un borsello e infilò la pistola in tasca. Alle sei di pomeriggio del sedici marzo a Londra pioveva e faceva freddo come se fosse dicembre. “Sai che novità” pensò Leo uscendo di casa. Prese un taxi, e in meno di venti minuti era in St. James’ Square. Per una fortuita coincidenza quando arrivò al palazzo dove abitava Fred, una vecchietta si trovava a uscire, e lui poté entrare nel portone indisturbato. Aveva imparato a memoria la mappa che Theo gli aveva stampato, e sapeva perfettamente come muoversi. L’unica cosa che lo turbava era che Gwen lo vedesse, chissà cosa avrebbe pensato. Salì le scale del palazzo a due a due, e arrivò in soffitta. Armeggiò per pochi secondi con la serratura, che alla fine si arrese con un debole click. Entrato, si diede una rapida occhiata in giro, e vide che l’arredamento era spartano, per non dire inesistente: un letto, una sedia, una credenza rosa dai tarli e un fornello da campo. Leo guardò ovunque, senza trovare nulla di utile. Frugò nella credenza, sotto il letto, batté addirittura il pugno contro il pavimento cercando un doppio fondo. Fu proprio quando aveva perso tutte le speranze di trovare uno straccio di indizio, che le cose iniziarono a prendere una brutta piega. La porta si aprì con uno scatto di chiavi. Leo si guardò disperatamente intorno, cercando un nascondiglio, ma l’arredamento non forniva ripari. Un attimo, ed estrasse la pistola. La vera sorpresa, però, fu vedere chi entrò nell’appartamento. “Che diavolo ci fai qui?” Fred quasi urlò dallo spavento. “Non so come ci sono arrivato – rispose – ho perso conoscenza mentre ero nella mia cella di isolamento, e mi sono svegliato sul tetto di casa mia, bagnato fradicio. Tu, piuttosto, che ci fai qui, in casa mia, e come sei entrato?” Leo decise di essere sincero: “Cercavo qualcosa, un collegamento con Brown, una qualsiasi prova utile per scarcerarti, e per entrare ho dovuto usare un passe-partout. Credi che ti abbiano fatto uscire di proposito? – chiese Leo – dopotutto dopo la sparatoria in prigione sarebbe stato aperto un nuovo processo, e allora si che avresti fatto il nome del vice-ispettore”. Fred annuì, serio, poi impallidì e gridò: “Il fornello da campo non è mio!” Leo non capì, ma Fred corse verso l’uscita gridando: “È una trappola, scappa Leo!”. A quel punto il ragazzo capì, e corse a rotta di collo giù per le scale. Neanche il tempo di uscire dalla porta, e si sentì un boato assordante, poi i vetri dell’intero edificio andarono in pezzi, Leo e Fred fecero un volo di cinque metri giù per le scale, atterrando con un tonfo sordo sul pianerottolo. “Stai bene?” chiese Fred. Le orecchie gli fischiavano dolorosamente, e Leo annuì, stordito dall’esplosione. Gli inquilini del palazzo si affrettarono verso la strada, alcuni erano anche feriti. “Maledizione, Gwen! – urlò Leo – è in casa a quest’ora!” un cenno del capo, e i due ragazzi si precipitarono verso l’appartamento dell’amica. La porta era stata completamente divelta dall’urto dell’esplosione, e adesso stava di traverso sull’uscio, ridotta ad una lamiera fumante. La scavalcarono e corsero dentro, urlando il nome dell’amica, ma nessuno rispose, e in casa non si trovava. “I suoi genitori saranno al lavoro – disse Fred – ma lei? Dovrebbe essere in casa, allora perché non la troviamo?”. Ricontrollarono tutta la casa, ma Gwen sembrava essersi volatilizzata. Fermo in cucina, il volto stravolto, Leo notò una cosa insolita: sul frigo c’era appeso un biglietto, scritto al computer con un carattere chiaro e leggibile. Solo la firma era fatta a mano, nera lucente sulla carta bianca. “Fred” chiamò Leo, e gli passò il biglietto. Il ragazzo lo lesse velocemente, poi sbiancò ulteriormente, se possibile. Sul foglio, con parole che non lasciavano spazio ad equivoci, qualcuno aveva scritto: I miei complimenti, Fred. Se stai leggendo queste righe, vuol dire che nemmeno la bomba è riuscita a zittirti. Chissà se consideri la tua amica più preziosa della tua vita, ma sono sicuro che sia così. Il parcheggio sotterraneo di King’s Cross non è un cattivo luogo per fare due chiacchiere, che ne dici verso le otto? I miei migliori saluti, l’Asso di Picche.
  
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