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Autore: Iryael    11/02/2014    2 recensioni
È passato quasi un anno da quando Huramun è uscito dall’aula di tribunale, diretto verso la prigione. Da allora, tra i fratelli Tetraciel è calato il silenzio. Di nuovo.
Dentro al carcere, Huramun conta i giorni portando avanti la promessa fatta sulla Phoenix. Ma tenere duro, come ha promesso a Nirmun, è difficile. E farlo da solo diventa ogni giorno più ostico.
Sulla Phoenix, Nirmun accetta solo missioni che includano esplosioni e devastazione. Vuole vendetta, ma sa che uccidere l’ex Sindaco di Rilgar non le ridarebbe indietro suo fratello. Vuole che Gazelle finisca in galera, quella vera, non quella fittizia che gli consente di portare avanti i suoi affari. Nel frattempo, il bisogno di fare danni è forte.
Entrambi sentono che il loro legame, ritrovato durante l’Hovermission, sia stato rubato. Colpevoli: il verdetto, le parole non dette, le menzogne architettate dalla Polizia e dalla Flotta, la missione a Blackwater City.
Per entrambi, la mancanza è destabilizzante.
Finché, a tesserlo di nuovo, non interviene un filo sottile: quello uscito dalla punta di una biro.
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[Galassie Unite | Scorci | 1 anno dopo Mission: Hoverboard]
[Personaggi: Nuovo Personaggio (Huramun Tetraciel, Nirmun Tetraciel)]
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Ratchet & Clank - Avventure nelle Galassie Unite'
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[ 01 ]
Ciao Nir
17 Giugno 5406-PF
USS Phoenix, sesto ponte alloggi
 
Sasha camminava a passo svelto, l’espressione adombrata e la mente lontana dal corridoio.
Si fermò davanti ad una porta e, per un istante, pensò di digitare il proprio numero di matricola sul tastierino alfanumerico. Dopotutto, nessuna porta della nave rimaneva chiusa davanti al codice del Capitano.
Poi, però, portò il pugno all’altezza della spalla e bussò.
Non è il caso, si rimproverò. Non è il soldato Tetraciel a dover pagare per la mia frustrazione.
A far capolino dalla porta, pochi istanti più tardi, fu la testa di una blå hud.
La giovane, che vestiva la livrea gialla, nel vedere chi aveva bussato aggrottò la fronte.
«Capitano?»
Sasha si schiarì brevemente la voce.
«Buongiorno, ingegner Koon.» disse. «Ho necessità di parlare con il soldato Tetraciel. È nell’alloggio?»
La voce ebbe un nuovo calando, e di nuovo la corresse con un raschietto.
La blå hud scosse la testa. «Però la può trovare ai poligoni. So che aveva un appuntamento mezz’ora fa.»
«D’accordo, grazie.»
«Prego.»
Sasha si lasciò alle spalle l’alloggio e si ripromise di smettere di guardare le partite dei Boldan Archers: quando succedeva finiva sempre per beccarsi una raucedine.
 
Raggiunse il terzo ponte servizi ed entrò nei poligoni. Il robot al bancone la indirizzò alla corsia 20.
La xarthar era sulla pedana di tiro e sparava con precisione. Non era sola in corsia. Con lei c’era un lombax, anch’egli con gli occhi puntati in fondo alla corsia.
«Trecento su trecento!» brontolò. «Nir, fai sempre più schifo!»
«Diciotto punti sotto, pilotucolo. Ti sprono a migliorare e tu ti lamenti!»
«Heh, migliorare una se–oh, buongiorno Capitano!» disse, accorgendosi della cazar. «È venuta a farsi sbeffeggiare anche lei dalla soldatina?»
Sasha si lasciò scappare un risolino, poi dovette raschiare di nuovo di gola. «Oggi passo, pilota.» rispose. «Ad ogni modo, soldato: complimenti per il punteggio.»
Nirmun smaterializzò l’arma e scese dalla pedana.
«Grazie signora. Possiamo aiutarla in qualche modo?»
«Credo che questa volta sia il contrario.» annunciò, sibillina. «Dovrei parlarle di una questione un po’ delicata, e sarebbe d’aiuto una condizione...» e si soffermò alla ricerca della parola migliore. «...appartata
Uno sguardo penetrante raggiunse Ulysses, che capì di essere di troppo.
Lo capì anche Nirmun.
«Scelga il luogo, signora. Ma Lys resta.»
Il lombax percepì una certa tensione. Era quasi un anno che Nirmun non incontrava faccia a faccia la cazar, e la sua rabbia verso di lei era scemata appena qualche settimana prima.
Decise di provare a stemperare.
«Beh, certo, a meno che non vogliate sparlare di me, in tal caso provo più gusto a sviscerare le maldicenze quand’è un po’ che circolano... E comunque...»
Un’occhiataccia di Nirmun fu sufficiente a farlo desistere.
«Sì, okay, capito.» disse alzando le mani.
La xarthar annuì e si rivolse nuovamente a Sasha: «Dicevo: lui resta.»
Fu il turno della cazar di annuire, prima di emettere un nuovo raschietto.
«Allora venite con me. La sala briefing sarà perfetta.»
 
La passeggiata attraverso la nave rivelò che i conti di Ulysses erano esatti. La rabbia di Nirmun verso il Capitano era schizzata ai livelli di partenza. Così, mentre camminavano, fece in modo di mettersi fra le due, e all’ennesimo schiarimento di voce di Sasha colse l’opportunità.
«Mal di gola?»
«Temo di sì. Gli ultimi giorni sono stati un po’ turbolenti e la partita dei Boldan Archers, ieri sera, ha steso le mie corde vocali.»
Il lombax si aprì in un sorriso, lo sguardo improvvisamente più vivace.
«Ma va’, segue gli Archers?»
«Eggià. Una piccola debolezza.» ammise.
«Oh, allora non parli con Allie Muzok. Non oggi, almeno. Ieri sera i suoi adorati Titans hanno perso e prima faceva decisamente paura. Ho sentito che sulla Orio ha tirato la manichetta di un compressore addosso a un collega perché lo aveva deriso sulla sua squadra.»
Sasha si annotò il nome.
«E lei per che squadra tifa?» chiese. «Se ne ha una, beninteso.»
«Bah, si può dire che seguo il campionato a spizzichi e bocconi.» rispose con noncuranza. «Però, se tifassi, credo che sarebbe per gli Holostars. Questioni di patriottismo.» spiegò. «E anche per una sorella tirannica che non mi lascerebbe più vivere... in senso letterale, temo.»
Salirono di un paio di livelli parlando di sport, dopodiché il lombax decise di volgere la discussione da un’altra parte.
«Prima ha parlato di giorni turbolenti...» disse casualmente. «Abbiamo guai in vista?»
«Oh, no, non mi riferivo alla Phoenix.» replicò Sasha. «Direi piuttosto che riguarda ciò di cui volevo parlare al soldato Tetraciel.»
La xarthar ruppe il silenzio: «E non ci può dare manco un indizio su questa discussione?»
«Preferisco di no. Non si può mai sapere.»
 
La sala briefing era accessibile solo dalla plancia; per quel motivo Sasha l’aveva scelta.
Fece accomodare i due subalterni e materializzò dai guanti una serie di plichi sostanziosi, che dispose ordinatamente sul tavolo.
«Questo è il materiale che Huramun Tetraciel ha raccolto quand’era infiltrato alle dipendenze di Gazelle.» e toccò la pila delle cartelline azzurre. Poi indicò quelle rosa. «Vi sono inoltre i rapporti che ha inviato fin dall’inizio e il materiale sull’agente che mi ha inviato Derek Thran quando gli parlai, ormai undici mesi fa.» concluse, posando la mano sulla cartellina gialla, la più scarna di tutte. «È un bel po’ di roba, come potete notare.»
Ulysses guardò i pacchetti a bocca aperta.
«E nonostante tutto ‘sto po’ di roba...»
«Già.» rispose Sasha. «Il Comando Centrale l’ha condannato.»
Nirmun si sporse in avanti e appoggiò i gomiti sul tavolo. «Dove vuole arrivare?» domandò con aria minacciosa.
«So che cosa pensa di quanto è accaduto. La mia intenzione primaria era avvisarla che sto indagando, perché neanche a me è piaciuto lo svolgimento del processo.»
«Che non si è svolto. Hura è stato semplicemente abbandonato.»
«Sbaglia.»
La xarthar batté un pugno sul tavolino e scattò in piedi.
«Sbaglio?!» ringhiò. «È in un carcere, signore, ed è l’unico di quel merdaio che non doveva entrarci! E ci è finito perché per la Flotta non conta un cazzo e la polizia di Xartha, per non inimicarsela ancora, l’ha sacrificato volentieri.»
Sasha lasciò scorrere qualche secondo, poi ripeté: «Suo fratello non è stato abbandonato.»
Sostenne lo sguardo rabbioso di Nirmun e aggiunse: «E lui stesso ne è consapevole, quanto meno in parte.»
Ulysses si alzò e, con una leggera pressione sulle spalle, rimise a sedere la xarthar. «Cosa significa?» domandò per lei.
«Come vi ho detto: sto indagando. Ma Alastor Gazelle è un personaggio che richiede prudenza. L’unico canale in cui posso indagare senza intralci è questo.» e indicò di nuovo il materiale raccolto da Huramun. «Il signor Tetraciel collabora alla mia indagine; ma più proseguo e più lo trovo logorato. Ha qualcosa che lo tarla dentro, e temo che si tratti di una consapevolezza emotiva.»
La xarthar fece per ribattere con qualcosa di tagliente, ma Sasha l’anticipò. «La riguarda, soldato.» disse, con una certa inflessibilità. «Anche se non so di cosa si tratti, so che la riguarda. Altrimenti non mi chiederebbe così spesso di lei.»
Di nuovo, Nirmun ammutolì. Dovunque fosse; qualunque fosse la sua condizione, suo fratello si preoccupava per lei. Si sentì crollare a livello mentale e, fisicamente, a dimostrarlo fu un rilassamento delle spalle.
Ulysses si accorse del suo crollo e la sorresse mentalmente. Per Nirmun fu come ricevere un abbraccio, uno di quelli disinteressati in cui nascondersi e piangere senza ritegno.
«Sta bene, almeno?» domandò, quasi sussurrando, guardando la cartellina gialla.
«Fisicamente direi di sì.» rispose, trascurando volutamente il numero di volte in cui, sapeva, fosse finito in infermeria. «Quanto alla psiche... qualunque sia il suo tarlo, ho ragione di credere che si trovi qui dentro.»
Materializzò un fagottino di carta ripiegata, che poggiò sul tavolo e spinse davanti a Nirmun.
Si trattava di una busta quadrata, piegata con l’arte degli origami. Nirmun l’afferrò. Era realizzata con della comune carta a righe, decorata con una biro.
«Può leggerla qui, se lo desidera.» asserì ancora la cazar.
Ma Nirmun non l’ascoltava già più. Aveva aperto la busta e si era gettata sul suo contenuto. Fu Ulysses a ringraziare per lei, prima che Sasha li lasciasse soli.
* * * * * *
1 Giugno 5406-PF
 
Ciao Nir
 
Ho pensato a lungo a come iniziare questa lettera, cosa dirti e come spedirtela. E alla fine... beh, ‘fanculo, c’è troppa roba di cui parlare per perdermi in convenevoli smielati.
 
Non farti illusioni sulle mie abilità di scrittore; ti assicuro che sono la chiavica di sempre. Se i fogli non sono un casino come al solito è solo perché questa è la quarta volta che copio in bella.
Il fatto è che ho così tante cose da dirti che non so manco da dove iniziare... anzi, no, bugia, un’idea ce l’ho eccome.
 
Ci ho messo un anno a scriverti per due motivi. Il primo è che non voglio assolutamente che tu sappia dove sono. Gazelle ha giurato di trascinarmi a fondo, e se tu ti avvicinassi a me verresti presa di mira. Siccome hai già un bersaglio addosso SMETTI DI CERCARMI (che ti conosco, mascherina, e so che lo stai facendo).
Il secondo...beh, il secondo motivo è più tecnico. In teoria sarei a regime di carcere duro, quindi non potrei avere diritto a carta e penna; ma in pratica – siccome mi chiamo Huramun Tetraciel – mi passano l’occorrente e anche le sigarette. Galassia, quanto mi erano mancate le bionde!
 
E quindi eccoci qua.
Ritrovarti a Blackwater City, così agguerrita nei miei confronti, è stato un fulmine a ciel sereno. Mi ha fatto capire che ho commesso una serie di errori con te, letteralmente una VALANGA. Prima, durante e dopo Blackwater. Per questo vorrei mettere una pezza, almeno dove posso.
A cominciare dal “prima”.
Ti dissi che mi ero licenziato dalla polizia. «Colpa di Thran», ti dissi per telefono. BALLE. Thran non l’ho mai conosciuto di persona; anche se ora lo farei volentieri. Il tuo Capitano mi ha detto che ha preso il posto di Leon. È lui il capo della polizia, adesso.
Comunque.
Leon voleva rendere credibile il mio distacco dalla polizia. Ci è riuscito alla grande, direi.
Il giorno che sei entrata all’Accademia di Metropolis ero in volo per Rilgar. Ho sbagliato a non farmi più vivo per nulla, lo so, ma lo sai come sono fatto. “Prima comincio e prima finisco”. E poi, ero convinto che con l’insediamento su Kerwan la mia presenza fosse inutile, da una parte, e dannosa dall’altra, perché se ti avessi detto cos’andavo a fare ti saresti preoccupata.
E quindi silenzio, con te, e menzogne con tutto il resto dell’universo.
È stato difficile, all’inizio, mantenere una facciata complessa come quella che avevo cucita addosso. Leon aveva fatto creare una mia scheda in tutti i database criminali – finta, ovviamente – che immagino ti sia capitata davanti quando hai ricevuto i dati della missione. Gran brutto curriculum, lo riconosco. E, stando sotto Gazelle si è imbruttito ancora... per davvero. Sempre di più mano a mano che entravo nel personaggio. Alla fine, mi ci sono adattato così bene che non ero più io neanche quando entravo nel bunker dove ti ho tenuto nascosta.
Mi sono... abituato.
Ed è una brutta cosa, dalla quale mi avevano messo in guardia. Teoricamente, se mi fosse arrivato l’ordine di farlo secco, avrei potuto rispondere picche, perché il mio personaggio avrebbe risposto così.
 
Finché non ti ho visto nel giardino della villa di Gazelle.
Eri appena scesa dalla sua limousine e ti apprestavi ad entrare in casa. Eri...spenta, si può dire, ma non sapevo il perché. Così come tu avevi informazioni sbagliate su di me, io sapevo che avessi finito l’Accademia per poi darti al mondo degli hoverboard. Conoscevo la manfrina di facciata, e dovrei fare i complimenti a chi se l’è inventata perché era credibile al 100%. Anzi, fui fin felice per te, perché da piccola andavi sempre in giro a rompere a tutti dicendo che saresti diventata un’hoverboarder dannatamente brava.
Ho capito dopo perché al tuo arrivo fossi “spenta”. L’ho capito quando Falcon ha portato i vostri dossier al sindaco. E ho tremato, perché ho visto minacciata la mia copertura. Chi è stato il demente che non vi ha oscurato i file del database?
Da una parte vorrei prenderlo a schiaffoni, ma dall’altra dovrei ringraziarlo, assieme a te e tutti i tuoi soci (umano rompicoglioni compreso) perché avete scosso l’io poliziotto che si stava addormentando sotto il personaggio.
 
Quella volta, quando vi ho pedinato, è vero che l’ho fatto per conto di Gazelle, ma vi volevo mettere al corrente di come stavano le cose. TI volevo mettere al corrente. Solo che, per farlo, ho dovuto fare irruzione in quell’ascensore del Mahne e mettervi tutti fuori gioco.
Mi dispiace di averti avvelenato (non hai idea di quanto mi senta un verme ancora oggi), ma c’era un ordine diretto di omicidio e dovevo essere sicuro che ti credessero morta.
Ripensandoci, avrei potuto agire diversamente. Fermare l’ascensore e costringervi ad ascoltarmi, magari. Invece ho improvvisato nello stile del personaggio che ero.
Mi ha fatto male sentirti urlare tanto disprezzo, prima che ti spiegassi come stavano le cose.
Non che non meritassi i tuoi insulti, ma... mi hanno fatto proprio male!
Forse è stato proprio il vederti così accanita che mi ha fatto pentire di aver assecondato Leon e averti nascosto tutto...
 
Comunque.
Adesso siamo qui. Tu sulla nave più bella della Flotta e io seduto sul letto, che conto i giorni. Sembra sciocco, ma sai come viene naturale segnare le tacche sul muro? Non l’avrei mai detto.
Forse perché non c’è molto da fare, in verità.
L’unico momento di verve è l’ora d’aria, poi siamo nelle nostre celle. Celle singole, fortunatamente. Non ho molta voglia di fare amicizia, anche se c’è uno slademan che mi ha preso a benvolere. Saranno le orecchie, non lo so.
Passo il tempo leggendo, per lo più. Quando mi stufo faccio qualche esercizietto per tenermi in forma, e poi proseguo con la fase di acculturamento.
C’è un solo neo: passano solo romanzetti melensi o thriller di terza categoria. Quasi quasi mi metto io a scrivere un giallo. In letteratura facevo pietà, ma questi mi battono alla grande!
Probabilmente ti stai chiedendo “e allora perché diavolo li leggi?”
Non mi piacciono, ma devo cercare di volare più basso possibile. Meno mi espongo, meno gli altri s’interessano a me. A parte Eddie, è chiaro.
Eddie è lo slademan di cui ti dicevo. Non so quale sia il suo vero nome; lo chiamano così perché si rifanno a Edward Mani di Forbice. Credo che abbia accoltellato qualcuno prima di finire qui.
Per quel che mi riguarda, io sono ufficialmente Police, e continuo ad essere il personaggio che ero a Blackwater City. Duro, disinteressato. Ma stavolta non c’è il pericolo che mi abitui. Non dopo che la polizia mi ha sacrificato per non essere messa sotto controllo dalla Flotta. Leon mi avrebbe protetto; Thran mi ha abbandonato. E io non dimentico.
E poi non c’è pericolo che mi abitui perché sono un po’ stufo del personaggio, onestamente.
 
Il mio intento originale era quello di venire a cercarti una volta uscito di qui, dopo altri anni di silenzio, ma... mi sono reso conto che non ce la faccio. Se tengo silenzio stretto e la maschera davanti a TUTTO l’universo un giorno di più, impazzisco.
Ho bisogno di una valvola di sfogo e di un collegamento con tutto ciò che è “normale”, per quanto possibile.
In poche parole: ho bisogno di tenermi in contatto con te.
 
E, anche se non sono proprio sicuro che dopo il modo in cui mi sono comportato vorrai parlarmi ancora, ti chiedo lo stesso di farlo. Almeno stavolta, per sapere se posso contare su di te o se è una partita persa. Basta anche una sola parola.
Se vorrai rispondere, il tuo Capitano si è gentilmente offerto di fare da tramite finché indagherà e avrà bisogno della mia collaborazione. Se non vorrai più saperne, invece... beh, vivrò credendo di aver messo una pezza sull’errore più grosso: quello di non comunicare.
 
Ti voglio bene.
 
Hura
* * * * * *
Nirmun finì di leggere con le guance solcate dalle lacrime.
Si accoccolò contro Ulysses, che la strinse in un abbraccio di conforto. Aveva letto anche lui la lettera, con la mente aperta in direzione della xarthar per valutarne i mutamenti emotivi.
La cazar prima, e la lettera poi, l’avevano annichilita.
«Tesoro...» le sussurrò, cercando di scuoterla.
«Ho... ho sbagliato tutto.» sussurrò, il naso schiacciato nell’incavo del collo e la voce piena di pentimento. «Ho dato addosso a chi non c’entra. Ho creduto...»
«Sss...» la zittì dolcemente lui, carezzandole la schiena. «Lo so, lo so. Ma stavi soffrendo. Nessuno te ne fa una colpa.»
Dopo alcuni istanti di silenzio, Nirmun disse: «Sono una persona orribile.»
«Eri solo...all’oscuro. Non sapevi la verità.»
Passarono altri secondi di silenzio.
Dopo quasi un minuto, vedendo che la sua tigre non dava segno di ripresa, Ulysses sussurrò ancora: «Vuoi che parli io con il Capitano?»
In silenzio, Nirmun annuì.
E, mandando avanti il lombax, si sentì ancora più orribile.

 

   
 
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