Pain
“Pain,
without love
Pain,
I can't get enough
Pain,
I like it rough
'Cause
I'd rather feel pain than nothing at all”
Era
una bella giornata quella che si prospettava quel giorno; il sole era
già alto nel cielo e c'era chi, quella mattina, usciva
annoiato
dall'ospedale. Ci era rimasto per un sacco di tempo, in seguito ad
una rissa finita fin troppo male, ed era sempre tenuto d'occhio dai
medici e dalle infermiere, per paura che potesse scappare o fare
qualcosa di stupido visto che, anche il suo rivale, in seguito a
quella stessa rissa, era finito in una delle camere di quello stesso
reparto.
Finalmente
poteva uscire. Quanto aveva sperato e sognato quel giorno, di essere
finalmente libero di tornare ad essere Hisashi Mitsui, temuto da
tutti per la sua indole teppista. Non vedeva l'ora di tornare dai
suoi amici e tornare a scorrazzare senza una meta per la
città,
cercando qualche altro malcapitato da pestare così, senza
una
precisa ragione, in attesa di incontrare di nuovo Miyagi, il bastardo
che gli aveva spaccato la maggior parte dei denti frontali. Quindi
covava vendetta l'ex giocatore di Basket, colui che al tempo della
scuola media era stato premiato come miglior giocatore. Ed ora, di
quello stesso ragazzo non ne restava che il ricordo. Un ricordo che,
per troppo tempo, aveva cercato di sopprimere dentro il suo cuore. In
quei due anni di assenza dai campi di gioco, era diventato
ciò da
cui si era sempre tenuto lontano. Due anni prima, la sua unica
volontà e devozione era quello sport che gli aveva dato
tantissime
soddisfazioni. Adesso invece, l'unica cosa che riusciva a farlo
sentire vivo erano lo scrocchiare delle ossa rosse sotto i suoi
pugni. Non c'era nulla di più bello per Mitsui che
fracassare il
naso a chi avesse avuto l'ardire di tagliargli la strada o provare a
mettersi contro di lui. Ognuno di essi averebbe avuto quello che si
meritava.
Subito
dopo firmato il permesso di uscita, tornò in camera a
riprendere le
poche cose che aveva con sé, rivestendosi con la divisa
scolastica
che indossava lo stesso giorno in cui entrò nell'ospedale.
Le
macchie di sangue erano ancora ben visibili sulla maglia bianca che
si intravedeva dalla giacca scura, lasciata aperta per convenienza.
Non gli importava di fare bella figura davanti ai passanti,
né che
qualcuno gli parlasse dietro per l'indecenza con cui andava in giro.
Non gli importava nulla; di niente e di nessuno. Voleva solo
raggiungere i suoi amici e continuare la sua vita. Nulla di
più.
Legò
i capelli in una morbida coda, solo per non averli troppo davanti
agli occhi, così da impedirgli la vista, e si diresse al di
fuori di
quelle infernali mura che, per troppo tempo, l'avevano visto
prigioniero.
Camminava
sovrappensiero per le vie della città, senza minimamente
sapere dove
i suoi piedi lo stessero portando. O forse neanche gli importava.
Camminava solo per il gusto di fare qualcosa, visto che era stato
sdraiato su un letto abbastanza a lungo da avere le gambe doloranti.
Riuscì
a fermarsi solamente di fronte alla vetrina a specchio di un negozio,
dove la sua immagine speculare lo stava osservando scuro in volto.
Scrutava il suo riflesso con espressione dura, corrucciando le rughe
della fronte e mordendo il labbro inferiore. Aveva le mani infilate
nelle tasche dei pantaloni della divisa, mentre la giacca era
incastrata fra il fianco ed il gomito, così da restare
aperta e
mostrare l'indumento sporco al di sotto. Il volto, finalmente libero
dai fili corvini dei suoi capelli, mostrava il ricordo di alcuni
lividi, che erano stati violacei per tutta la convalescenza, ma che
ora mostravano solamente un velo più scuro rispetto al tono
della
pelle. Ma l'unica cosa che a lui non andava giù; che non
riusciva a
perdonare a colui che lo aveva ridotto in quello stato, oltre la
costrizione a stare fermo in un luogo in cui non avrebbe voluto
rimanere un giorno di più, era la mancanza dei denti
davanti, con
cui non riusciva neanche a masticare un pezzo di pane in santa pace.
Si
avvicinò lentamente allo specchio per riuscire a guardarsi
meglio,
aprendo le labbra in un sorriso vendicativo. Le gengive rosee
spuntavano fin troppo in vista, e quella cosa gli bruciava fino
all'inverosimile.
“Me la pagherai Miyagi!”
“You're
sick of feeling numb
You're
not the only one
I'll
take you by the hand
And
I'll show you a world that you can understand
This
life is filled with hurt
When
happiness doesn't work
Trust
me and take my hand
When
the lights go out you will understand”
Riprese
a camminare subito dopo, stanco di continuare a guardare sul suo
volto le percosse subite da colui a cui avrebbe volentieri spaccato
la faccia.
Di
nuovo i suoi piedi lo stavano conducendo lontano, chissà
dove. Forse
in riva al mare, forse di fronte alla scuola, o forse...
Arrivò
di fronte ad un piccolo campo da Basket all'aperto, recintato da
ringhiere ed alberi, che impedivano la vista se non attraverso il
cancello d'entrata, dove Mitsui, una volta accortosi di trovarsi
proprio lì, si appoggiò allo stipite con le
braccia conserte ed
un'espressione decisamente minacciosa. Dei ragazzini, sicuramente
studenti delle scuole elementari, stavano palleggiando e sfidandosi
tra loro a chi faceva più canestri.
A
denti stretti, tremante, Hisashi osservava l'andatura dei bambini
attraverso il campo, che gli riportò alla mente i vecchi
ricordi che
aveva sempre cercato di sopprimere. Gli faceva male al petto
continuare ad assistere a quello che lui chiamava
“scempio”.
Tutto ciò per cui aveva sempre lottato oramai non contava
più. I
campi da Basket dovevano essere bruciati ed i palloni arancioni che
battevano ripetutamente a terra sotto i palleggi dei giocatori,
secondo lui, andavano spiaccicati in volto a quegli stessi membri.
Quei rumori molesti per le sue orecchie erano troppo, così
come il
vociare stridulo dei ragazzini divertiti a scontrarsi l'uno contro
l'altro con quegli stessi sorrisi che un tempo animavano la sua
espressione.
Ma
il sorriso dal volto dell'ex miglior giocatore della scuola media
Takeishi, era sparito da un pezzo. Solo sofferenza c'era nel suo
cuore, ed un'ondata di vendetta che infiammava il suo animo. C'era
solo quella a muovere il suo corpo; il suo cervello era imbevuto
solamente di ciò e lui si muoveva di conseguenza.
Si
staccò dalla transenna del cancello di ferro con uno scatto,
riprendendo la sua stabilità e camminando lentamente, con
espressione adirata, verso la banda che, senza neanche averlo visto,
continuava a sfidarsi.
Mentre
avanzava pensava a cosa farne di loro: se fargli capire chi comandava
o spaventarli a morte fino a farli scappare a gambe levate dalla
mamma. O addirittura dargli qualche lezione solo perché
stavano
giocando al gioco che lui odiava maggiormente.
I
suoi pensieri furono interrotti dalla voce soave di uno dei ragazzini
che gli stavano di fronte, che avrebbe raggiunto con qualche altro
passo falcato che aveva intrapreso. Alzò prima gli occhi blu
su di
lui, iniziando a sorridere malvagiamente, poi, accorgendosi della
palla che gli era finita di fronte ai piedi, si abbassò a
raccoglierla schifato, prendendola involontariamente tra le dita come
fanno i veri Basket man. Con un ghigno iniziò poi a
palleggiarsela
da una mano all'altra, ridacchiando fra sé e sé,
senza avere alcuna
intenzione di ritirarla ai legittimi proprietari, che si guardavano
fra loro non sapendo cosa fare.
<<
Ehm, ci scusi, ci potrebbe ripassare la palla? >>
Iniziò uno
dei bambini, titubante, lasciandosi avanzare leggermente per andarla
a riprendere. Ma Hisashi non aveva nessuna intenzione di separarsi da
quella palla e farli continuare a giocare sotto i suoi occhi, e non
aveva neanche intenzione di lasciare quel posto. Lui, il teppista
Mitsui, non l'avrebbe data vinta neanche a degli studenti delle
elementari. Si sarebbe divertito, come faceva sempre, rimarcando il
fatto che, chiunque fosse stato il suo avversario, lui avrebbe
comunque vinto.
<<
Perché non vieni a riprendertela la tua schifosissima palla?
>>
Lo minacciò iniziando a palleggiare con una mano, mentre
l'altra la
riportò alla tasca dei pantaloni, lasciando sul volto
un'espressione
sprezzante e divertita, che intimorì tutti i presenti.
Vedendo
però che nessuno di loro aveva intenzione di avvicinarsi a
lui, ci
pensò egli stesso ad andare loro incontro, palleggiando con
noncuranza la leggera palla che usavano per i loro divertimenti. Non
era un vero pallone da Basket, ma tanto bastava per fargli salire i
nervi a fior di pelle. Quel luogo scatenava in lui troppe reazioni
diverse: rabbia, malinconia, tristezza, vendetta, tutto ciò
che,
mescolato insieme, una persona non avrebbe retto. Ma lui sì,
perché
non si sarebbe mai arreso all'evidenza. Non avrebbe mai avuto il
coraggio di ammettere che sì, quei campi di gioco gli
mancavano
eccome.
<<
Andatevene! Lasciate immediatamente questo campo prima che vi
spiaccichi questo maledetto pallone sui vostri angelici visetti!
>>
Stoppò la palla con una mano, gesticolando come a
volergliela
lanciare in pieno volto. Per quella reazione sconsiderata, iniziando
a capire che quello era uno dei tanti teppisti delle scuole
superiori, in tempo tre secondi tutti i ragazzini l'avevano
abbandonato al centro del campo con il loro pallone ancora fra le
mani.
Era
ancora in grado di incutere terrore!
Ma
cosa voleva dimostrare? Cosa avrebbe dimostrato con quel gesto
sconsiderato? Ed adesso, da solo, in piedi in un campo da Basket dopo
due anni, cosa avrebbe fatto?
La
prima reazione fu quella di scaraventare la palla a terra con tutta
la forza che aveva in corpo.
<<
Maledizione! >> Si lasciò sfuggire in un grido
liberatorio,
corrucciando le rughe della fronte in un'espressione sofferente.
La
palla fece due rimbalzi, che lui seguì con sguardo vuoto,
prima di
fermare il suo rotolare proprio sotto il canestro. Era abbastanza
basso, non come quello a cui era abituato, ed anche fin troppo rotto
per sembrare quello che aveva sempre centrato con i suoi invincibili
canestri da tre punti, ma la sola vista dell'anello gli fece salire
il cuore in gola.
Di
nuovo molesti ricordi tornarono a tormentargli la mente ed il conto
alla rovescia del pubblico in quell'ultima partita di campionato
ancora risuonava nelle sue orecchie. Il boato dei suoi tifosi ed i
respiri smorzati dei suoi compagni gli davano la forza e di fronte ad
i suoi occhi, proprio davanti a quel canestro mezzo scassato, rivide
il sé stesso di un tempo, quando, ancora giovane e
scattante, aveva
infilato la palla con un lancio dritto e preciso, all'ultimo secondo,
dentro il canestro che adesso detestava con tutto sé stesso.
Ma era
così veramente?
“Hisashi
Mitsui aveva portato la sua squadra alla vittoria.”
Quelle
parole silenziose scandirono i suoi passi verso la palla, che
raccolse lentamente con una mano, spostandosi poi in trance verso la
linea dei tre punti.
Osservò
l'arancione intenso di quel pallone con i suoi occhi blu per qualche
secondo. Gli bruciavano così tanto che, se non gli avesse
strusciati
con la manica della divisa, avrebbero tradito qualche lacrima amara
che non si sarebbe mai perdonato.
Non avrebbe pianto per il
Basket!
“I
teppisti non hanno a cuore nulla, neanche uno stupido sport!”
Batté
un piede a terra con tutta la forza che ancora aveva nella gamba
sana. Il ginocchio non gli aveva dato più problemi, ma non
voleva
rischiare. Odiava anche quella sua parte di corpo. Se non fosse stato
per quell'incidente, probabilmente sarebbe stato una persona diversa.
Ma non si era mai fermato a piangersi addosso. Non si era mai fermato
a pensare a come sarebbe stata la sua vita se avesse aspettato che il
ginocchio guarisse del tutto prima di tornare sul campo.
Mai,
perché dentro di sé sapeva bene che il suo
allontanamento non era
dovuto solamente a quello. Nello Shohoku non era più l'uomo
indispensabile per la squadra. Era bravo, certo, ma nella sua assenza
aveva notato quanto gli altri si erano fortemente aggrappati ad un
altro giocatore. E lui? Lui non era null'altro che un membro
fondamentale per la vittoria. Null'altro.
Questo
lo aveva spinto a diventare quello che era e nulla lo avrebbe fermato
dal prendersi la rivincita contro quella squadretta che lui
considerava: “da due soldi”.
Avrebbe
troncato la carriera di Ryota così come quelle vicende
avevano
troncato la sua, solamente perché quel giocatore era
diventato
quello che lui non sarebbe mai più riuscito ad essere e
quella
convinzione bruciava più di un corpo esposto al sole.
Portò
il pallone sopra la testa ed, a denti stretti, mentre la giacca della
divisa si alzava sotto il suo gesto, mise a segno uno dei suoi
impeccabili canestri da tre punti.
La
palla si infilò dritta e pulita dentro l'anello, ma lui non
poté
vederlo perché, dopo il lancio, già aveva preso a
camminare verso
l'uscita.
Se
si fosse fermato ad osservare il canestro, probabilmente altri
ricordi gli sarebbero riaffiorati alla mente, e questa era l'ultima
cosa che avrebbe voluto.
I
suoi passi, uno dopo l'altro, venivano scanditi dai palleggi che la
palla aveva iniziato a fare cadendo, fermandosi nello stesso istante
in cui anche il pallone terminò la sua corsa, dopo aver
sentito una
voce famigliare ridacchiare per quell'assurdo gesto.
Si
voltò di scatto, indispettito, perché pensava di
essere solo ed
invece, qualcuno aveva assistito al momento forse più
delicato della
sua vita. Davanti ai suoi amici ed alle altre persone aveva sempre
rigettato sopra il Basket, inveendo contro i giocatori che sapeva
praticarlo. Aveva sempre mostrato disprezzo verso quello sport,
mentre in quel momento, proprio lui che ne parlava male, aveva
realizzato un perfetto canestro con la facilità in cui si
beve un
bicchiere d'acqua.
<<
Salve Mitsui. >>
La
voce roca ed autoritaria, nonostante non mostrasse segni di scherno,
apparteneva ad un ragazzo alto poco più di lui, con indosso
un paio
di jeans logori ed una canottiera rossa, attillata al punto da far
notare tutti i muscoli propri a quel corpo. I capelli neri gli
ricadevano sulle spalle larghe, la barba quasi accennata attorno alle
labbra faceva presagire che quello non era uno studente e gli occhi
scuri erano puntati in un'espressione divertita proprio su Hisashi,
che ricambiò incredulo lo sguardo. Quella voce aveva
spezzato il
flusso dei ricordi e dei rimorsi che c'erano all'interno della sua
mente. Era bastata quella voce a riportarlo alla realtà e
fargli
capire, finalmente, cosa doveva fare. Era bastata solo la sua
presenza e la moto parcheggiata poco più in là a
fargli tornare la
consapevolezza di ciò che avrebbe dovuto compire.
<<
Tetsuo! >> Si meravigliò di trovarlo
lì, come se già sapeva
dove trovarlo. Non aveva fatto in tempo a dire a nessuno di essere
uscito dall'ospedale, e nemmeno che i suoi “amici”
si fossero
interessati di quando quello sarebbe successo. Ma lui era
lì, come
se lo avesse seguito. O forse era veramente così?
<<
Capiti nel momento giusto! >> Ridacchiò il
futuro numero 14,
riportando sul volto la sua solita espressione maligna.
<<
Raduniamo gli altri e facciamo una visitina alla palestra dello
Shohoku, devo chiudere un conto in sospeso da troppo tempo!
>>
Portò gli occhi blu scuro dritti sull'amico, che lo
guardò fiero
per ciò che gli aveva appena sentito dire. Quando c'era da
fare a
botte, Tetsuo non si tirava mai indietro.
<<
Bene! Aspettavamo che tu ce lo dicessi! >> Si
leccò le labbra
il più grande, spostando una ciocca di capelli corvini
dietro
l'orecchio, staccandosi dallo stipite del cancello dove, pochi minuti
prima, Hisashi aveva osservato la banda di mocciosi giocare.
<<
Salta su, arriveremo in un batter d'occhio! >> Lo
incitò a
sedersi dietro di lui, sulla sella della sua moto rossa che mise in
moto con un rombo assordante.
<<
Sai, il tiro che hai fatto prima è andato dritto a segno.
Sarà
stato un colpo di fortuna? >> Gli disse in seguito il
teppista
Tetsuo, ridacchiando, mentre il vento della corsa gli scompigliava i
capelli. Osservò la reazione dell'amico dallo specchietto
destro. Il
ringhio di Hisashi lo divertì fino all'inverosimile
perché, pur
sapendo quanto detestasse il Basket, sapeva quanto per lui era stato
importante. Era l'unico a conoscerlo fino a fondo e l'unico che aveva
assistito al cambiamento repentino di quel ragazzo senza
però fare
nulla. E cosa avrebbe dovuto fare? A lui Hisashi piaceva
così, come
in quel momento quando, per difendersi, aveva risposto:
<<
Non dire stronzate, il Basket è per i cagasotto!
>>
La
discussione finì in quel modo. Nessuno dei due si
azzardò a dire
più nulla mentre, con il conta chilometri che sfiorava i
cento
chilometri orari, sfrecciando qua e là nelle vie della
città con il
vento che scompigliava i loro capelli in assenza del casco,
raggiungevano la palestra del liceo.
“Anger
and agony
Are
better than misery
Trust
me ,I've got a plan
When
the lights go off you will understand”
Era
coperto di sangue Hisashi. Aveva ultimato le forze anche per riuscire
a parlare. I ripetuti schiaffi di Akagi lo avevano sfibrato, ma il
rancore che ammontava dentro era sempre di più.
Il
racconto di Kogure aveva fatto prudere i suoi pugni chiusi e,
nonostante fosse di nuovo coperto di lividi, incurante se dopo quello
scontro sarebbe tornato all'ospedale, avrebbe continuato a menare le
mani. Forse si sarebbe rivoltato allo stesso capitano della squadra,
forse avrebbe continuato a tirare pugni a tutti gli altri pur di far
valere le sue idee e forse, in un moto di rabbia, sarebbe riuscito a
spaccare i denti e tutta la faccia al suo acerrimo rivale Miyagi.
Quello
avrebbe sicuramente fatto, se l'arrivo del Sign. Anzai non avesse
smorzato la tensione all'interno palestra.
L'uomo
aveva ben appoggiati al naso i suoi grandi occhiali spessi, da cui
osservava la tremenda scena che gli si era palesata di fronte:
l'intera squadra di Basket aveva ferite sul viso ed alcuni dei
teppisti che gliele avevano procurate erano stesi a terra privi di
conoscenza.
E
poi c'era lui, il ragazzo dai lunghi capelli neri e la divisa pregna
del sangue che gocciolava dal suo naso, probabilmente rotto. Il
ragazzo che, con la sua sete di vendetta verso il Basket, si era
spinto a tutto ciò pur di realizzarla, con l'aiuto di alcuni
teppisti conoscenti. Colui che aveva rinnegato le sue radici solo per
un malinteso.
Colui
ai quali, gli occhi, non avrebbero mai e poi mai ingannato il cuore
dell'anziano allenatore, perché Anzai comprese subito il
fatto che,
attraverso quello sguardo magnetico e maligno, si nascondeva molto di
più; una sofferenza da troppo tempo dettata dalla mancanza
di quello
sport. Una sofferenza che Hisashi aveva archiviato dietro la rabbia.
Un risentimento che, nel momento in cui i suoi occhi raggiunsero
quelli dell'uomo, attraverso le lenti, scemò del tutto.
Svuotato di
tutto il rancore, le sue gambe, divenute improvvisamente instabili,
lo fecero cadere in ginocchio di fronte a colui che, in passato, lo
aveva spronato a non abbandonare la speranza. Invece, incurante di
quell'insegnamento, aveva gettato molto altro oltre quel sentimento,
cambiando totalmente il modo di mostrarsi alla gente.
Si
vergognava a farsi vedere in quello stato. Era bastata solamente la
sua presenza, senza che neanche una parola uscisse dalla sua bocca.
Invece,
dalle labbra di Mitsui, mentre dai suoi occhi fuoriuscivano calde
lacrime di devozione, uscirono le parole più sincere che
tutti i
suoi amici gli avessero mai sentito pronunciare.
<<
Signor Anzai! >> Iniziò alzando finalmente lo
sguardo da
terra, lasciando che i capelli gli scoprissero il viso pregno di
sangue. << Io, voglio giocare a Basket! >>
Il
semplice e sincero tono di voce, convinse l'anziano signore del fatto
che Mitsui non avrebbe mai più cercato di picchiare
qualcuno. E fu
così.
Hisashi
Mitsui cambiò totalmente, di nuovo, tornado ad essere il
forte e
risoluto giocatore di un tempo.
Era
l'inizio di un nuovo sé stesso.
Fine
---
Colei che scrive:
Salve a tutti, sono nuova in questa sezione ^^
L'ispirazione mi è venuta ieri, mentre riguardavo le puntate
:3 mi è presa così in questi giorni, mi fa sempre
sbellicare la serie! L'ho scritta un po' di getto, quindi perdonate gli
errori ^//^ il mio tallone d'Achille!
Bé, non so che altro dire! Spero vi sia piaciuta e che mi
facciate sapere cosa ne pensate!
Ps.
La canzone che ho usato, così come il titolo, è
"Pain" dei Three Days Grace.
Kiss!