Lei è finalmente libera.
Lui finalmente affrancato.
Finalmente soli.
Il camino spento, i bicchieri vuoti.
Solo i loro respiri esitanti colmano la sala, solo l’eco dei loro pensieri persi rompe il silenzio.
I segreti svelati, gli equivoci dissolti, il sangue ripulito li avevano scaraventati indietro nel passato.
Ma per la vita il tasto rewind non funziona; i vasi rotti perdono acqua e le cicatrici non si cancellano con un colpo di spugna.
A lei avevano rubato settimane.
A lui la vita stessa.
Lei sta seduta, attonita, ferma con la memoria a un abbandono subito, ad un abbraccio di disperato sollievo.
Lui è in piedi, bloccato nel momento, in un presente in cui era rovinato, scivolando nel tempo come una slavina.
Lei non ha memoria, solo vaghe sensazioni oniriche, parole riportate, storie raccontate. Nulla è reale, nulla è stato vissuto. Non c’è nulla sulla sua pelle, niente nel suo cuore ancora agganciato a due occhi blu che si ostinano a non guardarla.
Lui quelle parole le ha scritte col sangue, quelle storie vissute fino all’ultimo rantolo di ogni vittima, fino all’ultimo rantolo della sua anima. Quelle sensazioni lui le ha respirate, provocate, sentite. Quelle urla rimbombano nella sua cassa toracica, quel nulla, che per lui è tutto, tortura la sua mente.
Lei era rimasta là.
Lui là non può più tornare.
Lei cerca un sentiero per raggiungerlo.
Lui ha fatto saltare tutti i ponti.
In mezzo scorrono le rapide di una disperazione condivisa che li lascia sulle due sponde opposte dello stesso fiume in piena.
Se lui … forse …
Se lei … forse …
Ma i “se” non servono … i “forse” non aiutano.
Un respiro.
Poi un altro.
Parole che si fermano nelle loro gole a gonfiare il nodo che li sta soffocando.
Il silenzio è denso. L’aria è gelida.
Lei ingoia quel grumo di lacrime e incredulo stordimento.
Lui stringe i denti per non lasciar traboccare quello tsunami di rabbia e dolore.
Immobili.
Lei, incapace di un gesto, è inibita da quella schiena dura che le impedisce di cogliere segnali.
Lui, fisso e fissato come un quadro contro al muro, rigido e impenetrabile, non osa muovere un dito, non osa posare lo sguardo su quella che continua a credere una sadica illusione.
Minuti che gocciolano “come rubinetti nel buio”, angosciati e angoscianti, senza sbocco nel futuro, senza eco dal passato.
Poi …
Lei inspira più profondamente.
Lui smette di respirare.
Come il lieve ticchettio dello scalpello di un artista che incide il marmo, la voce di lei attraversa il silenzio e quel nome sussurrato fende l’aria come in fulmine nel ghiaccio.
-Damon … -
Lui, con la mano stritola la mensola del camino. Stinge la presa, stinge le labbra, stringe gli occhi per non lasciare uscire una sola goccia di tutto il suo desiderio di correre da lei e stringerla a sé.
Lei lo chiama ancora.
-Damon … -
Lui non può cedere a quel richiamo.
Lei non era lei, ma il dolore era dolore.
Non era lei a parlare, ma le parole avevano colpito dove dovevano colpire, laceranti … nel profondo.
Lei non era lei, ma lui era lui … e poi non lo è stato più.
Lui viveva per amare.
Se non amava, doveva odiare.
Lei era tutto … senza di lei non era niente.
E non voleva più sentirsi “niente”.
Non voleva più odiare.
Non voleva più solo vivere per amare, per amore, per lei.
Ora che lei era lei … lui non poteva comunque dimenticare.
Ora che lei era lei … lui non poteva ricominciare.
Lei era tornata.
Lui doveva rinascere.
-Dimmi qualcosa, Damon … ti prego. -
Se avesse aperto bocca, non avrebbe più smesso: troppe parole … nessuna sufficiente. Troppo da spiegare e nessuna frase appropriata per dirlo.
Lui la amava.
Lei lo amava.
Ma non bastava più.
Lui aveva sempre amato e aspettato.
Lui doveva imparare ad amarsi.
Lei gli si avvicinò, cauta e fiera.
-Ti aspetterò … sempre. – gli disse con la voce, con gli occhi … nel cuore.
Lui girò appena la testa, la inclinò sulla spalla, la fissò attraverso le fessure delle sue palpebre socchiuse.
Chi avrebbe aspettato? Chi aspettava? Chi si sarebbe aspettata?
-Ovunque andrai, io sarò con te … al tuo fianco o nelle tue viscere … trovati e mi troverai qui. –
Lei lo leggeva.
Lui era un libro dalle pagine strappate.
Lei varca la barriera del silenzio, arriva oltre il limite di tolleranza, invade lo spazio di sicurezza con il suo profumo.
Lui
posa le mani sulle sue spalle
per creare una distanza. Sarebbe stato
facile abbandonarsi a
quelle braccia, incollarsi a quelle labbra, farsi embrione e possedere
quel
corpo, credere ancora nell’amore.
L’amore …
L’amore era
la sua maledizione, la sua più crudele illusione. Lui lo
respirava e s’intossicava.
Lui lo viveva ed esso lo uccideva. Lui lo seguiva e questo svaniva come
i sogni
all’alba, lasciandolo devastato e folle, morto che cammina,
mostro impastato di
odio e rancore.
Non poteva
più cercare sostegno: doveva cercare se stesso.
Eppure …
Lei è lì e
nei suoi occhi l’amore è il canto di una sirena.
Le braccia
si fanno molli, cadono, scivolano lungo i fianchi.
Ancora non
escono parole … ancora scuote la testa in silenzio.
Ancora lei
si avvicina.
-Puoi darmi
solo qualche momento? –
Lui volta
la testa, ma non si muove.
-Posso
raccontarti una storia? –
Lui non
vuole ascoltare, ma non si muove.
Lei gli
prende la mano e la posa sul suo cuore impazzito.
Quei
battiti raccontano una meravigliosa favola.
Lui si
scioglie, finalmente tutto si fa liquido, tutto scivola.
Finalmente
parla.
-Tornerò,
Elena … e sarà per sempre. -