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Autore: carlhead    13/02/2014    1 recensioni
Crizia II è il seguito dell'opera di Platone, Crizia, misteriosamente e bruscamente interrotto poco prima che Zeus cominci a parlare e condannare definitivamente Atlantide. Così, io e Fabrizx (che potete trovare qui su EFP) ci siamo chiesti: "E se continuassimo l'opera di Platone, trasformandola nel primo capitolo di una trilogia?" ecco a voi Crizia II: Inondazione!
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Le vicende narrate seguono la narrazione del Crizia di Platone, dal momento in cui l’autore l’ha abbandonato.
 
Avendoli radunati disse: “Esseri divini di tutto il cosmo, che vivete al centro di esso e osservate, fermi, tutto ciò che era, è e sarà, voi la cui vita è indefinita e sempre così sarà, voi che potete controllare gli elementi della natura, siete stati convocati nella vostra nobile e splendente dimora per porre fine ad Atlas e le sue terre: l’isola di Atlantide. Oltre le colonne che eresse il possente Eracle, l’Onda deve colpire tutto ciò a cui il creato ha dato il dono di essere”, così parlò Zeus, signore degli dei, re di tutti i re, capitano di tutti gli eserciti, il potente fra i potenti, il Dio fra gli dei. Si oppose suo fratello, il dio delle acque e delle tempeste, il designato boia della sua stessa stirpe:
“Fratello, non puoi obbligarmi a colpire i miei stessi figli. Io, tuo fratello, tuo compagno di armi, colui che ti ha aiutato ha sedere su quel trono divino, ha posto lì la sua stirpe, che da generazioni ormai ha lì casa. Non userai neanche una delle mie Onde, delle mie acque per affondare la mia isola”
 “Poseidone, non puoi opporti al volere del tuo signore, per Crono!”.
 Ma Hermes capì che lo scontro era vicino: i due dei erano diventati generali di guerra, e si erano detti più di quanto avessero espresso le loro nobili, chiare e al contempo tuonanti voci.
 
“Mio re! Makràndo, mio re! Giungono da lontano navi da guerra dalle vele nere. Oltre il Mar d’Est, giungono dal grande Confine”.
 Malakràs correva per il fastoso salone della reggia, senza una meta precisa, alla ricerca disperata del suo re. “Calmati Malakràs, compagno! Narrami cosa vedono gli uomini di Archèpolis” era giunto il re, anch’egli correndo, ma vistosamente meno preoccupato del suo generale.
“Archèpolis vede l’arrivo di una nera flotta dell’est. Le navi sono sconosciute, la vela è nera, non del colore dell’oricalco. Non sono dell’Isola, vengono da oltre le colonne del Confine.”
 “Calmo ora. Manderò un’ambasciata ad Archèpolis con le mie disposizioni. Se è davvero come dici tu, sta accadendo qualcosa che Poseidon non ha previsto. Gli dei ci sono contro”.
 Così Malakràs fece un lungo, ma rapido inchino, e corse verso la porta dorata, per accedere all’ampio balcone che dall’alto della Torre Basileia si affacciava su tutta Atlas, la capitale. La città era costruita secondo lo schema di mura con cui gli Atlantidi proteggevano la loro isola: due cerchi di mura, intervallati da tre cerchi d’acqua alimentati dalle acque del fiume Atlas, che circondavano le abitazioni e i campi, e al centro una grande torre bianca, la Torre Basileia, nella quale risiedeva il re con la sua famiglia e la sua corte, ed era servita anche da asilo agli abitanti nei periodi di guerra. Ma ormai erano passati diversi secoli dall’ultima battaglia, con cui definitivamente Atlas era diventata la capitale indiscussa dell’intera isola. Gli Atlantidi vivevano in pace da tantissimi anni, e nessuno di loro aveva mai combattuto una guerra. Ma secondo le parole di Malakràs uno scontro terrificante si avvicinava. Le navi erano state avvistate ad Archèpolis, la prima città che si incontrava all’approdo est dell’isola, l’unico vero accesso di quella terra divina. La catena montuosa di nord-est era separata da quella di sud-est da un notevole tratto di pianura, attraverso la quale scorreva il fiume Atlas, che sorgeva dai monti di Poseidon, attraversava al centro la capitale, si incontrava al tempio di Cleitò e Poseidone con il suo unico affluente, il fiume Mikreòs, attraversava la foresta Melbareia e, sfociando dapprima nel primo cerchio d’acqua, artificialmente giungeva al secondo di terra e poi al secondo d’acqua, uscendone sempre artificialmente e sfociando nel Mar d’Est. Malakràs guardava la pacifica cittadina: dall’altro poteva scorgere i suoi concittadini che si impegnavano nella loro quotidianità: chi lavorava i campi, chi si preparava a tornare a casa dai propri cari, i bambini che giocavano tutti insieme e le loro madri che li osservavano, chiacchierando e sorridendo, senza preoccuparsi dell’imminente minaccia. Malakràs invece sapeva, o almeno credeva di sapere, ciò che stava per accadere. Senza che se ne accorgesse, lo raggiunse il re che, dopo aver dato anch’egli uno sguardo alla sua città, disse: “domani all’alba partirai con i miei uomini per Archepolis. Tu sarai il mio rappresentante durante il Consiglio della città. Quello che accadrà sarà deciso da quella riunione, quindi vorrei che tu fossi accompagnato dal tenente Bario e dal generale Frikonos. Questa compagnia si muoverà in incognito: dovrete raggiungere dapprima il Triketon, nelle città di Melbaras e Licobas, dove darete il mio ordine di radunare tutte le forze armate e di attendere l’esito degli eventi prima di muoversi in guerra contro un avversario fantasma”
 “E nelle altre città del Triketon?” replicò Malakràs, “A Nortomas e Maltomas manderò due miei cari amici, mentre io muoverò verso Megheropolis.”
 “Va bene sire, sarà fatto”. Malakràs ripetè il rapido inchino e si dileguò, questa volta camminando. Era pensieroso, nella sua testa si affollavano le immagini dei possibili avversari: dei? Mostri? Semplici mercanti? Certo, questi ultimi non avrebbero teso vele nere sui loro alberi maestri. Erano nemici, dovevano essere sconfitti. E se avessero avuto a loro disposizione armi dal potenziale inimmaginabile per loro? Se non fossero riusciti con le semplici spade di ferro e di oricalco a vincere il misterioso invasore? Ma decise che il problema non doveva porselo lui, bensì il suo re, lui si sarebbe limitato a scendere in guerra e a sacrificare la propria vita pur di salvare i suoi concittadini.
 
A diversi stadi di distanza, invece, qualcuno sapeva perfettamente quello che stava per accadere, ma non sapeva dove sarebbe accaduto. Non aveva mai visitato quelle terre straniere, ma era sicuro di sè. “Siamo pronti. Siamo i migliori”. La cupidigia, l’avidità e la superbia non avevano corrotto solo Atlantide.
 
Dalle bianche mura della Torre Basileia di Atlas scendeva cupo in volto il più potente e carismatico generale del regno di Makràndo. I suoi occhi azzurri ora riflettevano l’oscura ombra che avvolgeva la mente dell’Eroe Atlatiano, anche se erano i suoi stessi occhi, combinati con il colore scuro dei suoi lunghi capelli e la sua non molto elevata o possente, a tradire le sue origini nordiche, di Nelbefas per la precisione, città situata nel secondo cerchio di terra, tra la foresta Meghereia e il fiume Atlas, a nord-est dell’isola. Dall’aspetto, nessuno lo avrebbe definito Eroe (titolo con cui si insignivano coloro che avevano attraversato un percorso di vita fedele al re, dopo che era stata sventata, cinque anni prima, una congiura contro Makràndo), eppure aveva conquistato questa onorificenza indagando personalmente sulla congiura, scovando da solo tutti i condottieri di essa. La sua mente era saggia, nonostante la sua giovane età di appena ventisei anni, fredda e sicura, capace di prendere le decisioni più importanti nella più assoluta tranquillità. Eppure ora era indeciso, spaventato, come non lo era mai stato in vita sua. Percorreva la discesa che collegava la bianca Torre con il resto della città. Attraversava la città, i piccoli e stretti vicoli, tra gli sguardi attoniti dei suoi concittadini, che non si aspettavano di poter vedere un Eroe, in uniforme per giunta, tra le comuni e povere vie di Atlas. Certamente non era difficilmente identificabile un Eroe in divisa, composta da pantaloni neri, scarponi del medesimo colore, una maglia color oricalco, il colore simbolo del potere di Atlantide, e un mantello dorato. Invece lui poco si curava di ciò che avrebbe potuto lasciar pensare, la sua mente si rivolgeva soprattutto ad Archèpolis, e a quanto avrebbero impiegato le navi straniere ad approdare sull’isola. Quando ormai il sole aveva oltrepassato la linea dell’orizzonte a ovest, Malakràs aveva raggiunto le mura, dove stava di guardia Frikonos. Lo prese in disparte per raccontargli come stavano le cose, e quale ruolo egli avrebbe ricoperto nell’intera vicenda. “Frikonos, tu dovrai accompagnarmi ad Archepolis insieme con Bario. Lì si terrà il Consiglio, solo a quel punto sapremo come agire. Partiremo domani all’alba”. Malakràs in realtà, per quanto potesse fidarsi di Frikonos, non dava credito al tenente di Makràndo, ritenendo che l’unico errore del re fosse stato quello di avvicinare a sè una persona così carismatica e ambiziosa di potere. L’Eroe riteneva che fosse proprio grazie a sè stesso che ora Bario fosse ancora tenente e non re. “Va bene” intervenne Frikonos, “al termine del mio turno di guardia mi ritirerò nelle stanze degli ufficiali e discuterò con Bario, lo informerò a mia volta della situazione e domani all’alba saremo pronti a partire.”
 “Perfetto. Ci accompagneranno i tuoi uomini”
 “Certo, generale, conosco bene i tuoi pensieri su chi ci circonda. Ero sicuro che dubitassi dell’altro fronte. Bene, muoverò la mia squadra. Che ora, però, rompano le righe, domani necessitiamo della loro miglior forma. Sai, ho una paura che attanaglia il mio cuore”
“Parlamene, amico, saprò come aiutarti”
 “Ebbene, da quello che mi hai detto, ho timore che alcune delle città che attraverseremo potrebbero venire a conoscenza dell’arrivo dello straniero, e che cogliessero l’occasione per rompere l’antica pace e tornare in guerra con Atlas, spinti anche dal fallimento della congiura. Secondo me, il re ha fatto male i conti: sarà difficile muovere in incognito, con al seguito anche i suoi uomini. La compagnia dovrà essere ridotta”
 “Non vorrei contraddire il re, Frikonos, ma penso che tu abbia ragione. Dobbiamo temere la presenza dei ribelli, dei nostalgici della loro antica potenza. Quelle città sono pericolose in tempi cupi come questi. Raggiungi Sario, sarà sicuramente dei nostri”
 “Ha abbandonato da tempo la via della guerra, ora è dedito a madre natura e alla pace”
 “Non siamo ancora in guerra. Lui dovrà far parte della compagnia, e radunare uomini con noi nelle città del primo cerchio e raggiungere Archèpolis, dove ci prepareremo all’attacco.”
 “Perfetto, generale. Domani all’alba saremo solo in quattro a partire. Che il re e Poseidon possano avere pietà per noi e per questo tradimento alla loro fiducia”.
 Così i due si salutarono, quando ormai il sole, concedendo alla terra il suo ultimo raggio, aveva abbandonato anche l’orizzonte, e si apprestava a riproporsi con una luce ancor più splendente e più giovane, la mattina seguente.
 
La mattina seguente, il re Makràndo fu svegliato dai suoi uomini. “Mio sire, Malakràs sta partendo da solo”
 “Come da solo? Che sia maledetto quello sciagurato! Gli avevo ordinato di partire con una squadra!”
“Veramente, mio sire, il generale Malakràs non è del tutto solo. Con lui sono partiti tre uomini.”
“Tre uomini hai detto? Sicuramente Bario e Frikonos sono due di loro, ma chi è il terzo? Un suo fedele? In ogni caso non voglio che si prenda tutte queste libertà, sono io il re. se dovessimo vincere, si prenderebbe lui i meriti, e potrebbe organizzare una rivolta, con tutti i suoi sostenitori. Fermatelo, per Poseidon!”
 “Impossibile mio sire, il generale Malakràs è già molto lontano. Nessuno lo aveva fermato, mio sire, era forte dell’ordine di sua maestà di partire con una compagnia al seguito. Noi vedendolo con tre compagni abbiamo pensato fosse sotto il suo comando e lo abbiamo lasciato abbandonare le porte di Atlas, in direzione del mare.”
 “Bene. Al mio risveglio, in questo bianco mattino, sono d’un tratto diventato incapace di far rispettar i miei stessi ordini. Seguitelo, e fermatelo. Voglio che sia la Quarta Compagnia del Sud a raggiungere Archèpolis prima di lui e dei suoi uomini”
 “Mio sire, non vorrei disobbedire, ma perchè dovremmo fermare un nostro uomo già in marcia? Lasciamo che sia il corso degli eventi a guidarlo.”
 “Forse hai ragione, ma manda comunque la Compagnia del Sud sui suoi passi, che lo accompagnino fino ad Archèpòlis.”
 “Sarà fatto mio Sire”.
 Così la guardia abbandonò le sale reali, in fretta. Curioso come solo tra la sera precedente e quella mattina già due guerrieri fedeli al re avessero attraversato in fretta le stesse aule. La guardia raggiunse la sala dei messaggeri, dove alcuni di loro erano in attesa di messaggi da consegnare per il regno. Scelse un giovane di quasi vent’anni, e gli ordinò, a nome di Sua Maestà, di raggiungere Mediòpolis, dove risiedeva la Quarta Compagnia del Sud, e di consegnare al capitano della suddetta Compagnia, Akalor, una pergamena su cui erano scritte le disposizioni per lui da parte del re, e che nessuno avrebbe dovuto leggere il contenuto di quel plico, al di fuori del suo destinatario. Dunque prese una pergamena che era su un ripiano alla sua destra, trascrisse gli ordini, la richiuse, la rilegò con cura, e la consegnò al messaggero, che in fretta e in furia abbandonò le sue aule, in direzione di Mediòpolis, una città situata a sud di Atlas, nella Piana Media, nella foresta al confine con i Monti di Poseidon, nel secondo Cerchio di Terra, oltre il primo d’Acqua.
 
Malakràs aveva deciso di raggiungere dapprima Melbaras e Licobas percorrendo il fiume Atlas, per poi scendere in prossimità della prima città, dove la Compagnia si sarebbe separata: Malakràs, insieme con Sario, sarebbe rimasto a Melbaras, a trattare con i governatori della città per organizzare l’esercito contro il nemico, mentre gli altri due, Bario e Frikonos si sarebbero diretti a Licobas. Per quanto il generale avesse avuto desiderio di rimanere con il suo migliore compagno, Frikonos, non poteva rischiare una frattura immediata nella Compagnia, dati i rapporti deteriorati tra Bario e Sario. Malakràs aveva provveduto anche all’abbigliamento. Doveva nascondere il suo abito da Eroe e doveva fornire gli altri di un’armatura nel caso avessero avuto necessità di combattere. Quindi fece vestire i suoi compagni con le vesti da soldato reale, ma poi le fece coprire con un lungo mantello, fornito di cappuccio, che celava le loro identità. Allo stesso modo aveva provveduto per se stesso. Avrebbero impiegato giorni per percorrere quel tratto di fiume che collegava la capitale con Melbaras, quindi il generale aveva loro rifornito di viveri.
Finalmente era iniziata la lunga traversata cehe avrebbe portato i nostri eroi da un capo all’altro della grande isola di Atlantide, dai monti, attraverso fiumi, foreste e pianure fino all’unico sbocco al mare, dove sorgeva la vedetta del regno, Archèpolis, dove la rovina della più grande civiltà ebbe inizio.
  
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