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Autore: Beauty    15/02/2014    13 recensioni
Okay, trattasi di AU! OUAT al liceo. Aprite e scoprite di che si tratta :).
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Angolo Autrice: Prima che leggiate, devo avvertirvi di un paio di cose. Primo, questa shot è un po’ lunga, quindi caffè alla mano ;). Secondo, si tratta appunto di una one-shot che pubblico qui per avere la vostra opinione. So che l’idea di OUAT al liceo non è nuova – parveth è fra i primi ad averla sviluppata, quindi tanto di cappello –, ma l’idea mi frullava in testa già da un po’. Spero che non vi siano coincidenze con altre storie, in questo caso sappiate che si tratta solo appunto di coincidenze. Come vi ho detto, non avrà un vero e proprio seguito, diciamo che per ora lascerò a voi la facoltà di completare questo finale aperto, ma se l’introduzione piacerà, quando avrò terminato Titanic vi rimetterò mano. Starà a voi dirmi se volete che diventi una long oppure no.
Ho dovuto cambiare alcuni nomi, in particolare Jennifer Longhair, Faith Blue e Peter Spinner sono rispettivamente Raperonzolo, la Fata Turchina e Peter Pan :).
Buona lettura!
 
 
 
 
 
 
HIGH SCHOOL NEVER ENDS
 
 
Sin da quando aveva sei anni, suo padre aveva sempre insistito per accompagnarla a scuola in auto a inizio anno perché non stava bene fare tardi proprio il primo giorno di scuola. Non poteva dire che le dispiacesse, ma Belle French ancora non riusciva a comprendere che senso avesse tenere tanto alla puntualità del primo giorno se poi sarebbe stata destinata ad essere in ritardo per tutto il resto dell’anno, magari rincorrendo l’autobus o trovandosi imbottigliata nel traffico di prima mattina.
In ogni caso, anche quel giorno, eccola lì: seduta sul sedile del passeggero di un furgoncino mezzo scassato e dal motore rombante recante l’insegna Game of Thorns – il nome del negozio di fiori di Moe – con ammassati sul retro vasi di fiori in costante pericolo rottura a ogni curva che imboccavano, e suo padre seduto alla guida che fischiettava allegramente. Belle si strinse lo zaino color fucsia al petto, raggomitolandosi di più su se stessa e continuando a guardare con aria imbronciata fuori dal finestrino: non era una musona, anzi, di norma aveva un carattere allegro ed era quasi sempre sorridente, ma il primo giorno di scuola le metteva sempre addosso una certa malinconia, se non una tristezza assoluta.
Non era il classico malumore che affliggeva tutti gli studenti liceali, il suo, costituito dalla mancanza delle vacanze estive e dalla prospettiva di un anno intero costellato di interrogazioni e compiti in classe. A Belle piaceva studiare, ma era proprio la conseguenza di questo a metterle addosso tanta ansia mista a malinconia: per lei, il primo giorno di scuola equivaleva all’inizio di una tortura che durava ormai da quattro anni, e che si sarebbe protratta ancora per nove mesi filati. Nessuno, alla Storybrooke’s High School, avrebbe potuto definire Belle French come la classica ragazza popolare, la bionda platinata che sfilava nei corridoi, la cheerleader o la reginetta del ballo di fine anno.
Sin da quando ne aveva memoria, Belle era sempre stata solo e soltanto la sfigata: un’anonima ragazzina dai capelli color castano-rossiccio, occhi azzurri e il naso perennemente affondato in qualche libro. Questo, secondo alcuni simpaticoni, autorizzava chiunque camminasse su quella terra a prendersi gioco di lei, spesso anche in maniera pesante – Belle aveva perso il conto di quanti libri le avessero rovinato delle teste calde come Killian Jones, Greg Mendell o la sua ragazza Tamara, anche se tutto sommato quello era il meno: c’erano state delle volte, poche ma c’erano state, in cui si era ritrovata a tornare a casa in fretta e furia come una ladra e a nascondersi nel bagno per evitare che Moe la scoprisse prima che fosse riuscita a lavare via il sangue che le spillava dal naso o dalla bocca.
Il solo pensiero di dover trascorrere un altro anno in quelle condizioni le faceva venire voglia di spalancare lo sportello del furgone e gettarsi sull’asfalto nel tentativo di rompersi un braccio o una gamba e rimandare così il fatidico primo giorno, ma quest’anno aveva una consolazione: per lei come per molti altri, quello era il senior year.
Questo significava esami a fine anno e l’inevitabile scelta del college da frequentare, certo, ma per Belle voleva dire anche nuova vita e chiusura di un capitolo della sua esistenza che avrebbe volentieri voluto dimenticare.
Moe smise di fischiettare, e il furgone rallentò la sua marcia. Belle si rese conto che di fronte a lei ora c’era un giardino ben curato circondato da un parcheggio per le auto, e al centro del cortile affollato di gente sorgeva uno degli edifici più antichi di Storybrooke: il liceo.
La ragazza avvertì un groppo in gola, ma non lo diede a vedere, attendendo che Moe accostasse. Belle si sporse verso di lui, dandogli un bacio su una guancia.
- Grazie, papà…Ci vediamo oggi pomeriggio…
- Torni in autobus, vero?
Belle annuì, smontando dal furgone e richiudendo lo sportello con un colpo secco. Agitò una mano in direzione di suo padre in segno di saluto, quindi si voltò e prese ad avviarsi velocemente lungo il vialetto che conduceva all’entrata. Salì i gradini in fretta, vedendo con una rapida occhiata all’orologio che mancavano solo cinque minuti al suono della campanella della prima ora.
Si tolse lo zaino dalle spalle, aprendo la zip e iniziando a rovistarvi dentro alla ricerca del proprio diario. Non ricordava né quale materia avesse né in che aula fosse: arraffò l’agenda, sfogliandola velocemente.
- Matematica…- gemette un attimo dopo.- Oh, santo Dio…!
Un secondo dopo, venne raggiunta da una violenta manata in mezzo alle scapole, così forte da farle perdere l’equilibrio e cadere a terra. Belle atterrò sul pavimento con un gemito, vedendo con orrore il contenuto del suo zaino sparpagliarsi sulle piastrelle lucide dell’atrio. Una frazione di secondo dopo, iniziò a udire le prime risatine dei presenti, mentre una voce ben nota si fece sentire.
- Come va, French?- la risata di Killian Jones giunse all’unisono con l’apparizione sopra di lei della sua faccia da schiaffi, accanto a quella assai poco furba di Greg Mendell e di quella perfida della ragazza di quest’ultimo. Belle boccheggiò: avrebbe tanto voluto sputare fuori un qualche insulto, ma non era mai stata abituata a dire parolacce, e comunque in quel momento non riusciva a fare altro se non pensare al fatto che era distesa sul pavimento dell’atrio del liceo con tutti i suoi libri sparsi intorno a lei.
Tamara si chinò, raccogliendo uno di questi. Tanto per peggiorare la situazione, non si trattava di un libro di scuola, bensì I Miserabili di Victor Hugo. La ragazza gli gettò una rapida occhiata, quindi prese a sventolarglielo di fronte al naso, prima di gettarlo lontano, ridendo.
Belle cercò di recuperarlo, ma per farlo dovette strisciare sul pavimento; questo non fece altro che suscitare ancora più ilarità fra i presenti.
- Guardatela, la pezzente, come striscia!- rise Greg.
Belle riprese il romanzo, rimettendosi in ginocchio e fulminandoli con lo sguardo.
- Fatela finita, subito!- ringhiò.- Non ho intenzione di sopportarvi anche quest’anno, branco di stronzi!
- E se non la smettessimo?- la beffeggiò Killian.- Che cosa fai? Ci fai investire dal paparino con il suo furgone da poveracci?
Belle sentì le lacrime salirle agli occhi, ma trovò comunque la forza di scattare in piedi; si gettò in avanti, cercando di colpire Killian con uno schiaffo, ma Tamara si frappose fra loro, bloccandole il polso con una stretta talmente forte da farle male. Belle incontrò lo sguardo della ragazza, e vi trovò un’irritazione che mai aveva visto. Credeva che Tamara fosse sul punto di sferrarle un pugno, quando…
- Che succede qui?
Veloce come il vento, Tamara le lasciò il polso, e Belle si voltò insieme a loro tre, trovandosi di fronte l’agente Emma Swan in tenuta di servizio, con i capelli biondi raccolti in una coda di cavallo e le mani piantate sui fianchi.
Greg arretrò, imitato dalla fidanzata. Killian sfoderò un sorriso a trentadue denti.
- Niente, agente…- ammiccò, ma fortunatamente l’agente Swan non era così fessa da farsi abbindolare da un ragazzino come lui. Emma inclinò lievemente il capo di lato, squadrando prima Belle French poi loro tre.
- Qualche problema?
- No, agente. Noi…stavamo…- balbettò Greg.
- Scherzando - Tamara giunse in suo aiuto, ma non risparmiò un’occhiata eloquente a Belle; un’occhiata che voleva dire neanche troppo sottilmente: azzardati ad aprire la bocca e sei morta.
Emma gettò uno sguardo prima alla ragazza poi alla quantità di libri sparsi sul pavimento, quindi si rivolse a tutti loro:
- Non voglio più sentire casini per oggi, sono stata chiara? E ora, in classe!
Killian, Greg e Tamara se ne andarono senza dire una parola, e presto anche la folla di curiosi intorno a lei iniziò a diradarsi. L’agente Swan girò i tacchi e uscì nuovamente in cortile. Belle si scostò nervosamente una ciocca di capelli dietro un orecchio, quindi raccattò le sue cose da terra e si avviò in fretta verso la classe di matematica.
 
Emma Swan uscì nuovamente in cortile, andando incontro al suo partner e superiore, Graham Hunter, che l’attendeva con le braccia conserte e un sorrisetto sornione sul volto. L’agente fece finta di nulla, scendendo i gradini che separavano l’atrio dall’esterno del cortile.
- Respirano ancora?- ghignò Graham.
- Ho dovuto attuare un paio di massaggi cardiaci, ma nel complesso si riprenderanno. Teste calde come quelle sono dure a cedere…- commentò Emma, appoggiandosi al corrimano di ferro del liceo.- Com’è la situazione, qua fuori?
- Regolare. E’ solo il primo giorno, devono passare almeno un paio d’ore prima che scoppi qualche rissa…
Emma non rispose, gettando il capo all’indietro e beandosi un poco di quel che rimaneva del sole estivo. Faceva ancora caldo, sebbene fosse settembre, eppure non riusciva a non pensare che non sarebbe durato a lungo. L’estate le mancava: erano stati tre mesi piacevoli, quelli che aveva trascorso.
In effetti, il periodo estivo era l’unico in cui Emma riusciva a dedicare un po’ di attenzione a Henry, anche se rimaneva comunque troppo poca rispetto a quanto un bambino di dieci anni avrebbe meritato e avuto bisogno.
Emma Swan era una madre single: aveva avuto il suo bambino a diciotto anni, e per tenerlo con sé si era barcamenata fra ogni tipo di lavoro, facendo i salti mortali fino a che non era entrata in polizia e non aveva ottenuto quell’incarico di sorvegliante al liceo di Storybrooke. Non che la Storybrooke’s High School fosse uno di quei licei di periferia come se ne vedevano nei film o come quello che aveva frequentato lei a Boston, dove prima di entrare gli studenti dovevano passare al metal detector. Ma la preside teneva com’era giusto che fosse alla sicurezza, e così lei e l’agente Graham lavoravano lì dalle sette del mattino fino alle cinque del pomeriggio.
Non è che ci fosse granché da fare, e i problemi gravi che avevano veramente richiesto il loro intervento si contavano sulle dita, eppure da quell’anno la preside aveva domandato che a loro si affiancasse un altro agente. A Emma non dispiaceva, in fondo la paga restava la stessa e una mano in più faceva sempre comodo, ma il nuovo collega sarebbe dovuto arrivare lì già da mezz’ora, e ancora lei non aveva individuato nessuna divisa né distintivo a segnalare la sua presenza.
- Ma…quello nuovo non doveva iniziare oggi?- s’informò, scoccando un’occhiata a Graham. Il suo superiore si massaggiò la nuca con aria pensosa, guardandosi intorno.
- In effetti, dovrebbe essere già qui…- convenne, scrutando con attenzione il cortile gremito di studenti.- Se cominciamo così, allora non andiamo bene per niente…speriamo solo che non se ne accorga la preside, altrimenti quel poveretto verrà licenziato ancor prima di iniziare…
Proprio in quel preciso istante, un’auto che un secondo prima sfrecciava a tutta velocità lungo la strada che conduceva alla Storybrooke’s High School frenò bruscamente di fronte al parcheggio della scuola, e il guidatore spense il motore senza neppure curarsi di parcheggiare il mezzo con cura.
Lupus in fabula!, pensò Emma con sarcasmo, vedendo smontare dalla vettura un uomo trafelato con addosso un’inconfondibile divisa da poliziotto.
- Eccolo arrivato!- commentò allegramente Graham, ruotando appena il busto in modo da vedere il nuovo collega correre nella loro direzione. Emma si rimise in posizione eretta, scrutando l’ultimo arrivato: era un uomo all’incirca sui trentotto o trentanove anni, con i capelli biondo scuro, alto e ben piantato, e anche piuttosto piacente, doveva ammettere.
L’agente li raggiunse, salendo faticosamente alcuni gradini per affiancarsi a loro.
- Buongiorno…- ansimò.- Scusate tanto per il ritardo, ma…c’era…c’era parecchio traffico, stamattina…
- Non preoccuparti, non mangiamo i ritardatari. Di solito - ghignò Graham, stringendogli la mano. - Io sono Graham Hunter, e lei è la mia collega, Emma Swan.
- Daniel Richards, piacere - si presentò l’agente, cercando di recuperare un po’ di contegno.- Mi dispiace molto per il ritardo, mi rendo conto che non è un’ottima presentazione per il primo giorno di lavoro…
- Tranquillo. Non è noi che devi temere, è la Vecchiaccia Maledetta - rise Emma, dandogli una pacca su una spalla. Daniel la guardò, senza capire.
- E’ il soprannome con cui è conosciuta la preside della Storybrooke’s High School - spiegò Graham, sogghignando.- Cora Mills. Quella donna è ciò che si dice una spina nel fianco.
- E’ severa?- chiese Daniel.
- Si diverte semplicemente a complicare la vita altrui. Comunque, basta starle alla larga e sei a posto. Anche se non si può dire lo stesso del Vicepreside, Peter Spinner…Quello sì che è un bastardo di prima categoria…
Daniel non rispose, sistemandosi meglio la divisa stropicciata. Si guardò intorno, raccogliendo una sola occhiata tutta la quantità di studenti sparsi nel giardino.
- Allora…da dove si comincia?
- Beh, innanzitutto, alcune regole base. Primo: stai alla larga da Leroy - ridacchiò Graham.
- E’ uno dei bidelli - precisò Emma. - E’ un po’ iroso, ma il suo vizio peggiore è quello di trincare in servizio. Se lo becchi con in mano qualche alcolico, fagli una bella lavata di capo, e vedrai che per un paio di giorni la smetterà. Ma, se possibile, cerca di non fare le cose in maniera troppo eclatante: Leroy in fondo non è cattivo, ma la Vecchiaccia Maledetta questo non lo capisce.
- C’è anche un’altra bidella: si chiama Granny Lucas, e riesce a passarti sottobanco le migliori focacce farcite della scuola. Ah, a proposito: la mensa non è male, ma stacci lontano nei cambi d’ora, se non vuoi assistere a delle lotte per la sopravvivenza come nella savana…Regola numero due: gira a largo dalle studentesse.
- Potete stare tranquilli - assicurò Daniel.- Non sono quel tipo di persona.
- Non è di te che non ci fidiamo, è di quelle ragazzine con gli ormoni allo stato brado. In particolare, occhio alle cheerleader, quelle non guardano in faccia a nessuno…
Daniel annuì, cercando di abituarsi a tutta quella goliardia. Aveva sempre preso il proprio lavoro molto seriamente, ed era ben raro che si prendesse la libertà di ridere e scherzare in servizio.
Graham fece per continuare, ma un rumore di freni che stridevano sull’asfalto fece voltare tutti e tre. Una Mercedes nera si era appena fiondata a tutta velocità nel parcheggio, e ora una donna vestita elegantemente di nero, ma dall’aria parecchio scarmigliata, era appena scesa dalla vettura sbattendo la portiera con un colpo secco. Prese ad avviarsi a passo rapido lungo il vialetto e Daniel non poté fare a meno di notare che molti studenti avevano preso a guardarla con un misto di sconcerto e timore.
- Oh, beh: a quanto pare non sei l’unico a essere in ritardo, stamattina - commentò Emma.
- Quella è Regina Mills - bisbigliò Graham, mentre la donna si avvicinava.- L’insegnante di scienze e biologia, meglio nota come la Regina Cattiva.
- Mills?- fece eco Daniel.- C’entra qualcosa con la preside?
- E’ sua figlia - sussurrò Emma. - Ma, se ci tieni a tornare a casa con ancora le ossa al loro posto, ti consiglio di non ricordarglielo mai…
- Perché? Non vanno d’accordo?
Nessuno si azzardò a rispondere, dal momento che la professoressa aveva iniziato a salire i gradini in tutta fretta. Urtò inavvertitamente una spalla di Daniel, facendolo barcollare, ma non si curò di scusarsi, ed entrò nell’atrio.
L’agente si massaggiò il braccio, facendo una smorfia. Emma lanciò una rapida occhiata alla schiena di Regina, facendo spallucce.
- Una vera simpatia, non trovi?
 
Killian Jones richiuse violentemente il proprio armadietto, quindi vi si appoggiò contro, incrociando le braccia al petto. Era vestito di nero in stile punk, come al suo solito, portava la barba leggermente incolta e un orecchino al lobo sinistro. Greg Mendell si sedette sul pavimento, passandosi una mano sul capo: Killian non poté fare a meno di notare che i suoi capelli si erano fatti ancora più radi rispetto all’anno precedente; si chiese quanto avrebbe resistito ancora Tamara insieme a uno che prometteva di diventare calvo ancor prima di compiere venticinque anni.
La ragazza spense la sigaretta che aveva in bocca. Sapeva che a scuola era proibito fumare, ma sapeva anche che tutti quanti, lei compresa, se ne sbattevano altamente.
- Allora, che facciamo?- chiese.- Voi chi avete la prima ora?
- Quella palla di Hopper con psicologia - rispose Killian.- E tu?
- Astrid Holyheart, religione - sbuffò Tamara.- Ma mi sa che salto.
- Sì, anche noi - confermò Greg, rimettendosi in piedi.- Qualche idea per ingannare il tempo?
- La French è di sicuro a lezione, e comunque per oggi non possiamo più darle fastidio, grazie a quella stronza della Swan - disse la ragazza, con una smorfia.
- Allora, mi sa che dovremmo inventarci qualche altro passatempo…- Killian ghignò, ammiccando nella direzione dell’ingresso. Greg e Tamara si sporsero per vedere meglio: il loro amico stava indicando due ragazze che camminavano fianco a fianco, reggendo dei libri fra le braccia e chiacchierando e ridendo fittamente. Dovevano essere del terzo anno, erano certamente delle sedicenni, e molto amiche. Una era una ragazza dal volto pallido e infantile, lunghi capelli lisci color castano chiaro e occhi azzurri, abbastanza carina, vestita con una camicetta bianca e una gonna a pieghe; l’altra aveva dei tratti marcatamente orientali, capelli neri che le arrivavano sino alla vita, e indossava una maglietta rossa sopra un paio di jeans malandati.
Tutti e tre le conoscevano molto bene.
- Ma dai, Aurora Wood e Mulan Chang?!- sbottò Tamara.- La signorina-perfettina-figlia-di-papà e la cinese? Andiamo, Killian, se solo tirassimo loro una ciocca di capelli scoppierebbero a piangere e correrebbero a dirlo alla mammina!
- La Wood, sicuramente sì. Ma l’altra…sarebbe capace di mandarti all’ospedale con un pugno - borbottò Greg.
- Non c’è gusto!- protestò la ragazza, ignorandolo.- La French almeno si difende. Aurora Wood, invece…
- Che c’è, Tamara?- Killian sfoderò uno dei suoi soliti sorrisetti da schiaffi.- Sei invidiosa perché lei ha il paparino che la porta a spasso in limousine? Oppure è solo gelosia per la classe che tu non avrai mai?
- Ma dove la vedi la classe, imbecille?!- sputò fuori lei.- Quella lì è solo una bimbetta idiota. Scommetto che non ha mai nemmeno scopato in vita sua…
- Ha un ragazzo - obiettò Greg.- Philip King, ricordi? Il figlio di quell’armatore…
- Quello non è un ragazzo. E’ un’ameba.
- Per una volta sono d’accordo con lei, Greg - convenne Killian, senza staccare gli occhi dalle due ragazze, in particolare da Aurora.- Ci vorrebbe qualcuno che le insegnasse cosa vuole dire stare fra le braccia di un vero uomo…
- E chi è che dovrebbe insegnarglielo? Tu?- rise Tamara.
- Ehi, che fate qui?
La discussione venne improvvisamente interrotta dall’arrivo di Keith Holton, un ragazzone dell’ultimo anno alto un metro e novanta e con due spalle da fare invidia a un nuotatore, anche lui titolare nella squadra di football della Storybrooke’s High School insieme a Greg. Come al solito, Keith si era trascinato dietro la sua ragazza: Marion Portrait, una brunetta dai capelli ricci e dal carattere di una particella unicellulare.
Tamara le scoccò un’occhiata di traverso: non le era mai piaciuta, Marion Portrait. A dire il vero, non ricordava di aver mai conosciuto qualcuno a cui lei piacesse, e sospettava che, se Keith stava ancora con lei dopo ben quattro anni, era solo per pietà.
Si erano messi insieme quando lui aveva quattordici anni e lei tredici, e da allora erano stati come il padrone e il suo cagnolino. Marion quasi non respirava, senza l’autorizzazione di Keith. Lo seguiva sempre, proprio come un cane, e non lo mollava praticamente mai, assecondandolo in ogni sua richiesta o iniziativa, fosse stato saltare ore di lezione, marinare la scuola, fumare in classe…Un paio di volte, aveva anche partecipato a uno dei tanti pestaggi ai danni della French o di qualche altro sfigato, anche se il suo unico contributo era stato rimanersene in disparte e mugolare in attesa che tutto fosse finito.
Raramente parlava se non quando non poteva proprio farne a meno, e a Tamara aveva sempre dato l’impressione di essere una ragazza ingenua, passiva e anche un po’ sciocca, sempre pronta a eseguire ciò che il suo ragazzo comandava. Keith se n’era accorto quasi subito, e da allora non aveva mai smesso di approfittarsene, tanto che ormai non si aspettava più nessuna obiezione da parte sua: una volta che Marion si era rifiutata di rubare per lui una giacca di pelle in un negozio, l’aveva minacciata di pestarla a sangue se non l’avesse fatto. La scema se l’era fatta sotto e aveva ubbidito, ma l’avevano beccata. Erano finiti tutt’e due dalla polizia, e Keith aveva scaricato tutta la colpa su Marion, dicendo che l’idea era stata sua. Fortunatamente erano ancora minorenni ed erano stati lasciati andare con una ramanzina, ma Tamara non era riuscita a credere che, neppure dopo questo episodio, quell’invertebrata non avesse avuto il coraggio di piantare Keith. Anche se, se stava con lui, molto probabilmente era perché in fondo era una disperata, una povera pezzente ancor più della French: il padre di Marion era un alcolizzato violento e perennemente disoccupato, e la madre entrava e usciva da comunità di recupero per tossicodipendenti sin da quando lei aveva sei anni.
Questo, comunque, non giustificava il fatto che fosse una pappamolle: nemmeno Tamara poteva dire che la sua vita fosse tutta rose e fiori, ma non era un’incapace che stava con uno solo perché non aveva altre alternative. Per di più, Marion non era brava a fare niente: certo, era intelligente, ma Keith s’incavolava ogni volta che la pescava con un libro di scuola in mano; faceva parte del gruppo delle cheerleader, ma era una frana completa negli esercizi, ed era chiaro che il capo delle ragazze, Anastasia Tremaine, la tenesse ancora lì solo perché l’anno precedente Keith se l’era portata a letto.
Oh, sì: ecco un’altra delle cose che si aggiungeva alla sfiga di Marion Portrait. Keith le metteva regolarmente le corna.
- Allora?- incalzò il ragazzo.- Che stavate dicendo?
- Killian stava per lanciarci una sfida - ridacchiò Tamara.
- Uh, interessante. Di che sfida si tratta?
- No, ehi, un attimo!- proruppe Killian.- Non ho mai detto di voler conquistare la Wood!
- Aurora Wood?- pigolò Marion, con aria spaurita.- La ragazza di Philip King?
- Sì, appunto - intervenne Greg. - Quei due stanno insieme da una vita, non si scollano mai! Anche volendo, sarebbe impossibile provare a convincerla a tradirlo…
Quasi a confermare le sue parole, in quel momento Aurora e Mulan vennero raggiunte da un ragazzo molto affascinante, ben vestito e dal volto dolce e pulito. Philip abbracciò la sua ragazza, dandole un bacio appassionato. Mulan parve esserne tremendamente imbarazzata, e mormorò qualche parola con fare frettoloso, prima di allontanarsi da loro.
- Ecco. Visto?- Greg accennò ai due.- E’ praticamente impossibile farla cedere.
- Beh, questo renderebbe la sfida ancora più avvincente, non credete?- ghignò Keith.- Allora, Killian? Ci stai?
Killian Jones non distolse lo sguardo da Philip e Aurora, pensieroso. Gli stavano proponendo di far innamorare di sé la Wood…a che scopo? Per divertirsi, certo, per prenderla un po’ in giro. Quante volte si era accanito su poverette come la French o la ragazza di Keith? Non c’era niente di insolito, in fondo…E poi, se avesse rifiutato, certamente l’avrebbero preso per i fondelli per un’eternità.
Ci rifletté: far innamorare Aurora Wood, la figlia di papà, di lui. E poi mollarla, certo. Spezzarle il cuore…beh, ma chi se ne importava se avrebbe pianto? Era solo per finta, nulla più.
- E va bene - sorrise, tornando a guardare i suoi amici.- La sfida è questa: io farò innamorare la Wood in modo da indurla a lasciare il suo damerino.
- Credi di esserne in grado, Killian?- rise Greg.
- Miei cari, vi svelerò un segreto - il ragazzo si aprì in un gran sorriso.- A questo mondo, non esistono donne innamorate e fedeli…esistono solo donne che non hanno ancora incontrato Killian Jones!
Keith, Greg e Tamara scoppiarono in una sonora risata, a cui si unì, un po’ forzatamente, anche Marion. Nessuno di loro si accorse di cosa stava avvenendo poco più in là, accanto all’armadietto del capo delle cheerleader.
 
Anastasia Tremaine aprì violentemente lo sportello del proprio armadietto, asciugandosi rabbiosamente alcune lacrime dagli occhi. Sbatté dentro la propria divisa blu e rossa da cheerleader della scuola, arraffando alcuni libri a casaccio, giusto per aver qualcosa da fissare durante la prima ora di storia con il professor Nolan.
Se li strinse al petto, nascondendo il volto dietro lo sportello aperto dell’armadietto, sentendo che una nuova crisi di pianto stava per travolgerla.
Vaffanculo a tutti. Odio la mia vita, odio tutti quanti…
Anastasia inspirò a fondo, cercando di domare il pianto per non farsi scoprire, ma la litigata di quella mattina con sua madre tornava a rimbombarle prepotentemente nella mente. Non era nuova a questo tipo di rapporto, praticamente lei e Agnes Tremaine litigavano quasi tutti i giorni sin da quando Anastasia aveva undici anni, ma ogni volta le urla e gli insulti di sua madre erano in grado di farla piangere.
Una cheerleader non piange, si ripeté per farsi forza. Sei e resterai sempre una strafiga come non ce ne sono altre, Anastasia Tremaine, se qualcuno ti vede frignare puoi anche dire addio a tutto quanto.
Ringraziò mentalmente che nei paraggi non ci fosse Ashley. La sua sorellastra pareva essere ammalata di una gravissima forma di buonismo che ogni volta la conduceva a partire lancia in resta con la sindrome dell’io ti salverò quando vedeva qualcuno che stava male. Anastasia aveva provato a far entrare in quella sua testa bacata il concetto che quando qualcuno piangeva con ogni probabilità voleva stare da solo, ma non c’era stato verso di farglielo comprendere, e ogni volta finiva sempre per venirle vicino e cercare di consolarla, ignorando bellamente il fatto che, da quando sua madre e il padre di Ashley si erano sposati, loro due non avevano fatto altro che vivere vite separate per non correre il rischio di sbranarsi a vicenda.
Sicuramente, se la sua sorellastra avesse visto che stava piangendo, si sarebbe subito avvicinata insistendo perché le confessasse cosa c’era che non andava, attirando l’attenzione di tutti coloro che in quel momento si trovavano nei dintorni. E facendole fare una figuraccia con i fiocchi.
Anastasia questo non poteva permetterselo: lei era il capitano delle cheerleader, la bella, alta e bionda ragazza che incitava la squadra di football durante le partite e che sfilava per i corridoi con addosso la sua divisa striminzita, ammirata da tutti. Non poteva permettersi che la sua immagine venisse rovinata da un momento di crisi quando molte altre ragazze erano state bollate a vita per molto meno.
Anastasia si asciugò gli ultimi residui di lacrime, sentendosi ora abbastanza forte da chiudere l’armadietto e dare inizio a quell’anno scolastico. Cercava di non pensare che sarebbe stato l’ultimo che avrebbe trascorso lì; che a fine anno ci sarebbero stati gli esami; che poi avrebbe dovuto decidere cosa fare della sua vita, quale università scegliere…e che sarebbe stata ancora più in balia di sua madre.
Anastasia ripensò alla litigata di quella mattina, e non si stupì di non riuscire a ricordarne il motivo. Lei e Agnes litigavano per qualsiasi cosa, semplicemente per il fatto che la pensavano in maniera diversa su tutto. E, come ogni volta, anche quella mattina Anastasia aveva ceduto.
Cercava di autoconvincersi che non fosse così, che tanto avrebbe fatto ciò che voleva, ma l’evidenza del contrario le veniva sbattuta in faccia ogni giorno: lei non avrebbe voluto diventare una cheerleader, ma sua madre ce l’aveva praticamente costretta; non le piaceva andare a scuola truccata pesantemente proprio come quella sgualdrina di Jacqueline Bean, eppure Agnes insisteva sempre dicendo che bella non era mai stata, se voleva accalappiare il figlio di qualche riccone era meglio che si desse da fare per nascondere i suoi difetti; Anastasia non era mai stata una cima a scuola, e sua madre aveva sopperito insegnandole a ricercare amicizie in coloro che potevano aiutarla, non importava a che prezzo.
Era una vita schifosa, estenuante.
Anastasia non era sicura che sarebbe riuscita a sopportarla ancora a lungo senza crollare.
- Che combini?- l’apostrofò Jacqueline, avvicinandosi a lei così inaspettatamente che Anastasia sobbalzò. L’altra ragazza si appoggiò con una spalla alla fila degli armadietti, masticando rumorosamente un chewing-gum. Indossava la divisa da cheerleader, e la minigonna le tirava talmente tanto sulle cosce che, pensò Anastasia, se si fosse chinata in avanti questa si sarebbe sollevata in maniera oltremodo sconcia.
Jacqueline Bean – nome che lei detestava profondamente, tanto che aveva preso a farsi chiamare da tutti soltanto Jack – era molto più alta di lei, e sembrava anche più vecchia, nonostante avessero la stessa età e seguissero insieme la maggior parte delle lezioni. Aveva i capelli neri e lisci che teneva sciolti sulle spalle fino alla vita, una carnagione abbronzata e una forma fisica a clessidra. Anastasia era consapevole che, sebbene lei fosse il capitano, Jack era di gran lunga più bella di lei – fatto che le veniva costantemente sbattuto in faccia da sua madre.
Anastasia fece spallucce con noncuranza.
- Niente, mi stavo solo preparando psicologicamente a quella lagna di Nolan…
- Una vera rottura, eh?- ammiccò Jack.- Vedi di non deprimerti troppo, oggi pomeriggio ci sono gli allenamenti…
- Sì, lo so. Tu chi hai la prima ora?
- Diritto con la professoressa Nolan - la ragazza alzò le spalle.- Quella donna mi fa venire il latte alle ginocchia…
- Anche a me, ma mai quanto la professoressa Blanchard.
- Sì, anche lei. Ma la Nolan è una cretina: lavori tutto il giorno con tuo marito e non provi nemmeno a scopare nello sgabuzzino?- Jack rise, e Anastasia fece un sorrisetto un po’ forzato che non sfuggì all’altra ragazza.
La mora si rimise in posizione eretta, squadrandola da capo a piedi.
-Ehi, che hai? - le chiese.- Sei di cattivo umore?
- Lo sono sempre, quando ricomincia la scuola - rispose Anastasia, evasiva.
Jack ghignò.
- Scommettiamo che te lo faccio ritornare io, il buon umore?
Anastasia la guardò senza capire. La mora ammiccò, indicandole qualcosa appena dietro le loro spalle; la ragazza seguì il suo sguardo, e vide che Jack accennava a uno studente che arrancava nella loro direzione con zaino sulle spalle e una catasta di libri fra le braccia.
Trattavasi di Anton Tiny, ovvero la prova vivente che l’abito non fa il monaco.
Era un ragazzone che doveva pesare come minimo centoventi chili, praticamente la proporzionalità inversa del suo cognome. Anastasia e Jack lo conoscevano sin da quando erano bambini e, per quel che ricordavano, Anton era sempre stato se non grasso, comunque rotondetto, perennemente infagottato in un paio di jeans e una felpa fatti su misura e pronto a spazzolare via ciò che aveva nel piatto durante la mensa. A completare il quadro si aggiungevano i suoi capelli castani che teneva lunghi fino alle spalle, arruffati e raccolti in un codino.
Non serviva altro perché venisse bollato come un nerd di prima categoria, ed era sempre il bersaglio degli scherzi di chiunque.
Anastasia comprese al volo ciò che Jack aveva intenzione di fare: infatti, quando Anton fu abbastanza vicino, la mora allungò una gamba di lato facendogli lo sgambetto.
Il ragazzo finì a terra di faccia, lasciando cadere i libri. Jack scoppiò a ridere, gettando il capo all’indietro.
Anton sbuffò, sbirciando appena la persona che gli aveva fatto lo sgambetto, ma non disse nulla. Non un insulto, non un augurio di andarselo a prendere in quel posto, niente di niente. Era sempre stato così. Si limitò a raccattare i suoi libri e a rialzarsi a fatica dal pavimento.
- Buon inizio anno, grassone!- rise Jack.
- Perché mi hai fatto lo sgambetto?- chiese Anton. La sua espressione non aveva niente che lasciasse trasparire rabbia o al massimo tristezza. Pareva semplicemente stupefatto, come se la sua mente non contemplasse l’idea che una ragazza bella come Jacqueline Bean fosse stata capace di una cattiveria nei suoi confronti.
Anastasia provò un senso di pena.
- Perché di norma i ciccioni mi stanno sulle palle!- lo rimbrottò Jack, squadrandolo con disgusto.
- Non è colpa mia - si difese Anton.- Ho…ho dei problemi alla tiroide…
- E che cavolo, non ti ho chiesto che problemi hai! Non me ne frega! Levati dalle scatole!- sbuffò la mora, stavolta palesemente disgustata.
- Io non…
- Ehi, Anton, falla finita - s’intromise Anastasia, annoiata.- Jack ha ragione, vattene…abbiamo appena mangiato - aggiunse malignamente.
Jack rincarò la dose fingendo dei conati di vomito, prima di scoppiare a ridere.
Anton indietreggiò, punto sul vivo. Parve come smarrito, indeciso su cosa fare o meno.
- Complimenti, eh!
Quella frase ironica fu accompagnata da un tiepido applauso altrettanto beffardo. Anastasia e Jack si voltarono così come fece Anton, anche se avevano pochi dubbi su chi fosse stato a parlare.
Di fronte a loro, infatti, c’era Robin Locksley, soprannominato da tutti come il Salvatore della Patria. Naturalmente non era solo: appena dietro di lui c’erano quelle che Anastasia aveva sempre visto come le sue guardie del corpo, anche se sapeva che i tre erano amici da una vita: John Little, uno dei componenti della squadra di football insieme a Greg Mendell, Keith Holton, Eric Kingsley, Gaston Prince e altri energumeni della sua stessa stazza, e Will Scarlett, un ragazzetto neanche troppo male dal punto di vista di avvenenza, ma la cui testa rasata e il suo abbigliamento costituito da giacche di pelle e pantaloni strappati gridavano la parola periferia da ogni dove.
Will le posò addosso uno sguardo sprezzante e disgustato, e Anastasia arrossì, guardando altrove.
- Anastasia…Jacqueline…tanto lo sappiamo tutti che siete due stronze, è inutile che continuiate a volerlo dimostrare comportandovi in questo modo - disse Robin, con naturalezza, avvicinandosi ad Anton e avvolgendogli un braccio intorno alle spalle. Il ragazzo parve esserne infinitamente confortato.
- Ma fatti i cazzi tuoi, Locksley!- sputò Jack, rabbiosamente.
- Prima le signore - ghignò Will Scarlett.- Nessuno di noi si sta facendo gli affari propri, è vero…La differenza  è che voi v’impicciate per il puro gusto di dare fastidio agli altri.
- Senti, ma perché non te ne vai a salvare le balene o qualcosa di simile?- ringhiò Anastasia, improvvisamente velenosa.- Oh, no, scusa…quello, tu e i tuoi amici lo state già facendo!- entrambe scoppiarono a ridere. Anton arrossì ancora di più.
- Salvare le balene? Uhm…non male come idea. Ragazzi, io dico che potremmo farlo…- Robin rivolse a tutti e tre un’occhiata complice.- Quando queste due avranno finito di ripassarsi tutta la scuola, s’intende.
Quella frase fu in grado di ridurre le due ragazze al silenzio. Robin e gli altri due ragazzi si voltarono, allontanandosi e trascinando Anton con loro. Dopo qualche secondo, Will udì un accorato branco di coglioni! urlato da Jacqueline, ma nessuno ci fece caso.
- Non preoccuparti, Anton - disse Robin.- La figura di merda l’hanno fatta loro, non tu.
Il ragazzo annuì. Gli piacevano, Robin, John e Will: erano tre ragazzi che mai avresti detto avessero qualcosa in comune – l’uno un giovane di buona famiglia, l’altro uno sportivo giocatore di football quasi più grosso di lui e l’altro il figlio di due operai dei quartieri popolari che faceva rimanere tutti a bocca aperta con i suoi ottimi voti a scuola – eppure praticamente inseparabili. La maggior parte degli altri studenti della Storybrooke’s High School li considerava tre impiccioni, ma di fatto erano fra i pochi che si azzardavano a mettersi contro bulletti come la Bean e la Tremaine, oppure Killian Jones, per dare una mano alle vittime dei loro scherzi.
Secondo Anton, era un comportamento ammirevole.
- Grazie, ragazzi…- soffiò, rivolto a tutti e tre.
- Di niente, amico. Anche se devo dirti la verità- John lo guardò.- Per non è un piacere darti una mano, ma devi imparare a difenderti…
- Lo so…- mugolò Anton.- Ma non è così semplice. Si trattava di due ragazze…
- Per l’appunto - disse Will.- Nessuno ti dice di alzare le mani su delle donne, sarebbe da vigliacchi. Ma quantomeno mandare al diavolo quella stronza della Bean…
- E’ che Jack mi lascia sempre spiazzato…- confessò il ragazzo.- Non riesco a comprendere come una ragazza come lei, cheerleader e pure carina, possa…
- Alt!- Robin lo bloccò, guardandolo esterrefatto.- Ripeti un po’ cos’hai detto…!
- Ho per caso udito la parola carina uscire dalla tua bocca?- fece John.
- Beh…è un dato di fatto…non potete negare che…
- Oh Dio, Anton! Questo è masochismo!- sbottò Will.- Cavolo, quella ti bistratta ogni volta che la incontri e tu…
- Non ho detto che mi piace! Ho detto solo che è carina, e non puoi negarlo!
- Questo no - intervenne John.- Ma è una cheerleader. Ed essere cheerleader equivale a essere oca.
- Questo è razzismo, amico mio!- rise Will.- Non tutte le cheerleader sono oche, devi ammetterlo.
- Ah, no? Sapresti farmi qualche nome?
- Beh, Jennifer Longhair…
- Chi? Raperonzolo? Ma andiamo, Will, più che con lei andresti a letto con la sua treccia!- fece Robin.
- Va bene, allora…Marion Portrait?- Will ammiccò in direzione dell’amico, al che Robin s’irrigidì, senza rispondere. John batté a entrambi una mano sulle spalle, facendoli barcollare.
- E’ meglio non toccare l’argomento cheerleader, che ne dite? Potrebbero venire fuori delle verità scottanti…- disse, scoccando un’occhiata eloquente a Will, il quale l’ignorò.
I quattro continuarono a camminare in direzione delle rispettive aule finché non capitarono di fronte alla porta dell’infermeria. Qui, John alzò una mano in segno di saluto, avvicinandosi all’uomo in tuta da ginnastica appoggiato contro lo stipite della porta aperta, mentre guardava all’interno della stanza con aria pensosa.
- Ehi, prof! Come mai qui?
Jim Foster, l’insegnante di educazione fisica, ricambiò il saluto con un cenno del capo accompagnato da un sorriso.
- Ciao, John. Io ed Eric abbiamo accompagnato una studentessa che era stata colta da un crampo.
- Ah, Eric! Sempre servizievole…- John sorrise bonario.- E come sta la ragazza, adesso?
- Sembra meglio. Il dottor Whale si sta occupando di lei.
 
A dire il vero, la studentessa in questione stava benissimo quando era stata accompagnata in infermeria, ma ad essere sincera Ariel Flynn non si sentiva affatto in colpa per aver mentito. D’altronde, qualunque ragazza con un po’ di ambizione che avesse visto il ragazzo di cui era innamorata da ben quattro anni allenarsi in palestra avrebbe adottato uno stratagemma per attirare la sua attenzione. E così aveva fatto lei.
Non le era stato molto difficile fingere un crampo a un polpaccio e a mostrarsi sofferente mentre Eric Kingsley e il professor Foster l’accompagnavano in infermeria con tutte le premure del caso.
Ora Eric era seduto sulla brandina sterilizzata accanto a lei, e ascoltava ciò che il dottor Whale le stava dicendo.
- Sembra che sia tutto a posto. Come ti senti adesso?- le chiese il medico, rimuovendo la borsa di ghiaccio che le aveva applicato all’altezza del polpaccio. Ariel gli rivolse un sorriso semi sofferente.
- Meglio, dottore. Ma…potrebbe capitare di nuovo?- domandò, fingendosi preoccupata.
- E’ probabile, ma basta stare attenti. Per un paio di giorni cerca di non sforzare più il muscolo. Ti faccio un certificato medico di esonero dall’ora di educazione fisica per tutta la settimana…
- Sentito? Devi solo riposarti…- le disse Eric, prendendole una mano per rassicurarla.
Ariel sfoderò i suoi migliori occhioni da Bambi.
- Sei stato molto gentile ad accompagnarmi…- cinguettò, sperando vivamente di non somigliare a un pesce lesso.
- Figurati! Avevi bisogno di aiuto, era il minimo che potessi fare…- Eric si alzò in piedi, tendendole una mano in modo che lei potesse alzarsi dalla brandina più agevolmente.- Se vuoi ti accompagno fino alla tua classe…
- Scusa, Eric, ma non credo che sia il caso - intervenne Jim.- Abbiamo perso troppo tempo, la prima partita è fra sole due settimane. Se la signorina Flynn si sente meglio, noi dovremmo tornare in palestra…
- D’accordo. Ci vediamo, Ariel. Riguardati!- si raccomandò, prima di seguire l’insegnante.
La ragazza rimase a guardarlo allontanarsi con espressione ebete, quindi fu colta dall’euforia. Si trattenne a stento dal lanciarsi in un balletto alla Michael Jackson in mezzo al corridoio: oltre che imbarazzante, una simile vista avrebbe anche rivelato la sua bugia riguardo al crampo al polpaccio.
Cercò di darsi un contegno, ravvivandosi la chioma rosso fuoco.
Quello sarebbe stato il suo senior year, e aveva tutta l’intenzione di renderlo memorabile…a cominciare dal conquistare il ragazzo di cui era innamorata da quando aveva quattordici anni.
Ora Ariel si sentiva determinata più che mai, e non aveva alcuna intenzione di dare ascolto a ciò che le avevano sempre detto suo padre e le sue sorelle maggiori. Lei era la figlia di un pescatore, e proveniva da una famiglia di sette figlie femmine in cui arrivare alla fine del mese era un vero lusso. Eric invece era il figlio di un imprenditore e, per questo motivo, secondo le sue sorelle, fuori dalla sua portata.
Ariel ci aveva creduto fino a poco tempo prima; poi, un giorno, poco prima dell’inizio della scuola, si era resa conto che ormai aveva diciassette anni e che quello sarebbe stato l’ultimo anno che avrebbe trascorso al liceo. Poi, lei probabilmente si sarebbe trovata un lavoro a Storybrooke, mentre Eric sarebbe partito alla volta di chissà quale lontana città per frequentare il college.
Rischiava di perderlo. Avrebbe potuto non rivederlo mai più, se non si fosse data una mossa.
Ariel inspirò a fondo, soddisfatta di sé stessa. Quel giorno era stato un bel passo avanti, ora toccava a lei non perdere i contatti.
Scoccò un’occhiata all’orologio: fra meno di due minuti sarebbe iniziata la prima ora. Inglese con la professoressa Blanchard. Ariel sospirò, iniziando ad avviarsi in direzione della sua aula scoccando un’occhiata al portone d’ingresso: proprio in quel momento, uno scooter stava accostando di fronte alla scuola.
A bordo c’erano due persone.
 
Sean Herman accostò, parcheggiando il proprio scooter in uno dei pochi posti liberi rimasti all’interno del parcheggio della scuola. Attese che la sua ragazza smontasse, quindi lui fece lo stesso, assicurando una catena intorno a una ruota del motorino. Erano in ritardo pauroso, conveniva sbrigarsi.
Ashley Boyd si tolse il casco, scuotendo il capo in modo da ravvivarsi i capelli biondi. Quella mattina avrebbe anche potuto prendere l’autobus insieme alla sua sorellastra Anastasia, ma non aveva voglia di fare la strada con lei, senza contare che si era messa d’accordo con Sean da una settimana per andare a scuola insieme, il primo giorno.
Ma quella mattina il suo ragazzo era arrivato in ritardo. E quando questo succedeva, c’era solo un motivo.
- Tuo padre che ha detto?
- Niente di particolare. Solo le solite raccomandazioni.
- Però sei arrivato tardi. Gli hai detto che venivi a prendermi?
- No.
- Ti ha fatto storie? Sospetta qualcosa?
- Ashley, te l’ho già spiegato!- sbottò Sean, rialzandosi da terra e guardandola negli occhi.- E’…difficile, okay? Mi serve solo del tempo, prima o poi capirà…
- Capirà, cosa? Che stai con la figlia di un manovale?- borbottò Ashley, rancorosa. Lei e Sean stavano insieme da poco più di un anno, e lui ancora non aveva avuto il coraggio di dire nulla a suo padre. Il signor Herman era un facoltoso avvocato che male avrebbe digerito che suo figlio avesse una storia con una spiantata come lei. Sean diceva sempre che ci avrebbe parlato, doveva solo aspettare il momento giusto, ma per ora erano ancora bloccati in quell’impasse.
- Perché vuoi litigare?- le chiese il ragazzo, incrociando le braccia al petto.
- Io non voglio litigare! E’ solo che…beh, sono nervosa…- Ashley si mordicchiò il labbro inferiore.
- Nervosa?
- Sì, beh…per…lo sai.
Sean non disse nulla, ma si rabbuiò. Lui e Ashley iniziarono a percorrere insieme il vialetto che dava accesso alla Storybrooke’s High School, in silenzio. Fu il ragazzo a parlare per primo.
- Ancora niente?
Ashley scosse il capo in segno di diniego. Sean si mostrò ancora più preoccupato.
- Ma…di quanto tempo è questo ritardo?
- Tre giorni.
- Ed è tanto?
- Non lo so…io sono sempre abbastanza regolare…
- Pensi che sia…?
- Non lo so, Sean.
- Magari è solo stress.
- Sì, sarà così…- gli concesse Ashley, sebbene non ne fosse del tutto convinta. Si sollevò sulle punte, schioccandogli un bacio sulle labbra. - Devo andare, ho geografia la prima ora. Ci vediamo dopo!
Sean rimase a salutarla mentre la ragazza saliva in fretta i gradini dell’ingresso, dirigendosi velocemente verso l’aula di geografia. Il professor Jafar non era il tipo che perdonava molto facilmente i ritardi.
Ashley svoltò un angolo, e urtò inavvertitamente una ragazza bionda in piedi accanto alla porta della segreteria. Borbottò qualche parola di scuse, prima di continuare per la sua strada.
 
Alice Hatter si massaggiò una spalla nel punto in cui quella ragazza l’aveva inavvertitamente colpita, con una piccola smorfia di dolore.
- Ti ha fatto male?- le chiese Cyrus Lamp, sporgendosi un poco verso di lei.
- No, sta’ tranquillo - lo rassicurò Alice, entrando insieme a lui all’interno della segreteria.- Cyrus, non sei costretto ad aspettarmi…- gli disse.- Davvero. Vai pure, se hai lezione…
- Non preoccuparti, lo faccio volentieri. E poi ho religione, e la professoressa Holyheart è un tesoro. Capirà, se arrivo in ritardo.
- Okay…
- Prego, signorina Hatter, tocca a lei- chiamò la signorina Faith Blue, una donna sui trentacinque anni che si occupava del lavoro in segreteria insieme a Sydney Glass e a suo fratello Jefferson. Alice entrò in quella stanzetta ricolma di cassetti di archivi, computer e scartoffie seguita dal suo fidanzato, e subito represse una risata nel vedere l’espressione accigliata di Glass di fronte all’immagine di sua nipote Grace che stava frugando allegramente fra i documenti.
- Ma questa bambina deve stare qui?- fece l’uomo, stizzito.- Jefferson, ma tua figlia non va a scuola?
- Sì, Sydney, ma lei inizia solo domani. Da brava, Grace, vieni qui…- disse Jefferson Hatter, facendo un cenno a sua figlia. Alice avvertì una strana sensazione all’altezza dello stomaco: era dispiacere. Suo fratello aveva ben tredici anni più di lei, era già vedovo e aveva una figlia di dieci.
E nonostante tutto si era reso disponibile ad accoglierla in casa sua quando aveva deciso di trasferirsi.
La famiglia di Jefferson ed Alice era inglese. Lei e suo fratello erano cresciuti in una cittadina di campagna vicino a Coventry, dove tutt’ora vivevano i loro genitori. Jefferson si era trasferito in America, a Storybrooke, quando aveva sposato la madre di Grace, la quale era morta dopo due anni dalla nascita di quest’ultima a causa di un incidente d’auto; ed anche Alice, in un certo senso, aveva lasciato l’Inghilterra per amore.
Era stato a causa di Cyrus che aveva deciso di trasferirsi. I suoi genitori avevano opposto diverse resistenze, ma alla fine lei ce l’aveva avuta vinta, e avevano acconsentito affinché si trasferisse dal fratello per terminare il liceo e frequentare poi il college a Boston. Tutto per stare vicino a Cyrus.
Loro due si erano conosciuti due anni prima, in estate. Alice era in vacanza con la sua famiglia a Londra, mentre lui si trovava lì per una vacanza-studio di tre mesi. Si erano innamorati e, quando lui era dovuto ripartire, entrambi si erano muniti di cellulari, e-mail, carta da lettere e Skype per potersi tenere in contatto. Avevano vissuto la loro storia a distanza per due anni, fino a che Alice non aveva ricevuto il permesso di trasferirsi a Storybrooke, e ora eccola lì.
La signora Blue le porse un fascicolo con all’interno la sua fotografia, i dati anagrafici e il suo orario per l’intero anno scolastico. Alice ringraziò, dando una scorsa alle pagine: geografia, matematica, psicologia, religione, italiano…Tutte materie che aveva già studiato, ma che in quel momento la spaventavano a morte.
Cyrus comprese il suo stato d’animo, e le posò una mano su una spalla per rassicurarla.
- Non avere paura - le fece l’occhiolino.- Non è nulla di infattibile. Anzi, sono sicuro che sarai già parecchio avanti con il programma di tutti gli altri studenti…
- Mi darai una mano, vero?- fece Alice.- Cioè, cercherò di cavarmela da sola, ma se per caso dovessi…
- Certo che sì. Ora devi solo stare tranquilla e goderti il primo giorno. Guarda…- Cyrus accennò a qualcosa dietro le sue spalle.- C’è chi non si preoccupa affatto…
Alice sbatté le palpebre, perplessa, mentre vedeva una donna scomparire dietro la porta di uno sgabuzzino, tirata da qualcuno.
 
La professoressa Mary Margaret Blanchard soffocò una risata, sperando che nessuno si accorgesse di cosa stavano combinando lei e il professor David Nolan. Era combattuta: da una parte, sapeva che ciò che stavano facendo loro due era più che sbagliato, e dall’altra aveva solo voglia di godersi il momento.
David rise, dandole un appassionato bacio sulle labbra. Lei ricambiò, ma si staccò quasi immediatamente, guardandolo negli occhi.
- Che stiamo facendo?- soffiò.
- Beh, non lo vedi?- David provò a darle un altro bacio, ma Mary Margaret lo bloccò.
- Lo sai cosa intendo…E tua moglie?
A quella domanda, il sorriso gli morì sulle labbra, e Mary Margaret non poteva fare a meno di comprenderlo. Lei stessa si sentiva male, al pensiero della professoressa Nolan.
Kathryn insegnava diritto nella stessa scuola, e lei e Mary Margaret avevano sempre lavorato insieme. Non si poteva dire che loro due fossero propriamente amiche, ma di certo spesso si trovavano in sintonia durante lavori di compresenza o nei consigli d’istituto. In più, la moglie di David era una persona piacevole e solare, sempre gentile e adorava alla follia suo marito.
Quando Mary Margaret aveva intrecciato una relazione con lui, si era chiesta spesso cosa ci fosse che non andava in Kathryn da indurlo a iniziare una storia extraconiugale, ma la sostanza cambiava di poco. Lei e David non stavano facendo una cosa giusta, e lo sapevano.
Mary Margaret non riusciva a non sentirsi in colpa.
- Kathryn non sa niente- le assicurò David.
- Lo so, ma noi non possiamo continuare così!- protestò la professoressa di inglese.- Devi chiarire con lei, devi spiegarle come stanno le cose. E’ meglio che lo venga a sapere da te, piuttosto che da altri…
- Io...
- E poi, non pensi alla preside e a Spinner?- insistette Mary Margaret.- Stiamo compiendo un atto privo di moralità. Se lo venissero a sapere, direbbero che siamo un pessimo esempio per i ragazzi e rischieremmo il licenziamento!
Già, c’era anche quel problema. La preside Mills e il vicepreside Spinner erano due infami di prima categoria. Se li avessero scoperti, non ci sarebbero passati sopra.
David annuì, dandole un altro bacio.
- Ci penserò.
 
Ruby Lucas si assicurò che lo smalto alle unghie fosse a posto, appollaiata sul bancone della bidelleria. Si sporse un poco in avanti, vedendo uscire il professor Nolan e la professoressa Blanchard da uno dei ripostigli, e subito si voltò verso sua nonna.
- Ehi, hai visto?- bisbigliò.
Granny le scoccò un’occhiataccia.
- Quello che vedo è una ragazzetta vestita in maniera dubbia che sta facendo tardi a lezione!- la rimbrottò, al che Ruby alzò gli occhi al cielo, sbuffando. In occasione del primo giorno di scuola aveva deciso di indossare qualcosa che le ricordasse l’estate, ovvero degli shorts in jeans e delle calze a righe colorate, scarpe con il tacco e una giacca di pelle sopra un top che lasciava scoperto l’ombelico su cui spuntava un piercing. Aveva i capelli castani sciolti con alcune ciocche tinte di rosso, ombretto scuro e rossetto color vermiglio.
E ben poca intenzione di iniziare un nuovo anno scolastico.
- Allora? Hai intenzione di andare? Cos’hai la prima ora?
- Matematica…- Ruby roteò gli occhi. Non avrebbe saputo trovare materia peggiore e professore più bastardo per iniziare male l’anno scolastico.
- E hai intenzione di andarci? O vuoi farti bocciare come l’anno scorso?
- Va bene, va bene…- sbuffò Ruby, scendendo dal bancone e iniziando ad avviarsi in direzione dell’aula. Appena giunta sulla soglia, andò a sbattere contro Anton Tiny e il suo notevole peso.
- Scusa, Ruby…- fece lui.- Come sono andate le vacanze?
- Bene, grazie Anton…- rispose Ruby, cercando con lo sguardo l’unica persona che aveva voglia di rivedere dopo ben tre mesi. Non aveva mai legato molto, in quella scuola – complice anche il fatto che fosse ripetente e due anni più vecchia dei suoi compagni di classe –, e lei era l’unica amica che aveva.
Individuò Tink Bell, una biondina piccola e minuta, presidente del gruppo di scrittura e lettura della scuola, seduta da sola in un banco in fondo all’aula. Ruby sapeva che lei e la sua amica si conoscevano bene per via della passione che le legava. Infine, scorse la persona che le interessava trovare, e corse ad accaparrarsi il posto libero nel banco vicino a lei.
- Ciao, Belle!- esclamò, abbracciandola.
- Ciao…!- Belle French ricambiò l’abbraccio, sorridendole contenta. La giornata era iniziata decisamente male, ma vedere Ruby era sempre un piacere.
La ragazza si sedette accanto a lei, dando un’occhiata in giro. Vide una ragazza alta e bionda che non aveva mai incontrato prima entrare ingobbita e sedersi in uno degli ultimi banchi dell’aula.
- Chi è quella?- s’informò Belle.
- Una certa Alice Hatter, una nuova- Ruby fece spallucce, quindi si sporse verso di lei.- Allora, dimmi: che hai combinato quest’estate?
Belle fece per rispondere, ma l’ingresso di un’altra persona fu in grado di zittirla, così come accadde per tutti gli altri presenti nell’aula.
Solo Ruby si azzardò a borbottare qualcosa.
- Ma non è ancora morto, questo?!
Belle non rispose, rendendosi conto di come l’ingresso in aula del professor Gold fosse sempre stato in grado di raggelare l’intera atmosfera. Non era mai accaduto con nessun insegnante: c’erano quelli con cui ti sentivi a tuo agio come il professor Hopper, quelli che ti mettevano soggezione come il professor Jafar o quelli con cui potevi fare casino a tuo piacimento come la professoressa Holyheart.
Ma nessuno riusciva a caricare gli studenti di tensione come lui.
Per di più, il professor Gold insegnava anche l’unica materia in cui Belle avesse mai trovato delle difficoltà. Era una ragazza studiosa, aveva ottimi voti in tutto, ma con lui e ciò che insegnava non era mai riuscita a trovare un compromesso. Faticava a comprendere la matematica, e in più l’uomo era un bastardo di prima categoria, che affibbiava loro dei compiti in classe lunghissimi e difficilissimi, in cui era già tanto se riuscivi a racimolare una striminzita C.
Gold appoggiò il bastone che utilizzava per sostenersi alla cattedra, quindi prese uno dei gessi posati accanto alla lavagna. Belle si rese conto di stare ansimando.
- E ti pareva che faceva lezione anche il primo giorno…!- sbuffò Ruby, sottovoce.
- Silenzio!- intimò Gold, voltandosi a guardarli uno ad uno. Iniziò a tracciare sulla lavagna gli assi di un piano cartesiano.- Ora, senza prenderci in giro…quanti di voi hanno svolto gli esercizi che avevo assegnato per le vacanze estive?
Nessuno profferì parola. Belle gemette, scivolando sulla sedia. Lei i compiti li aveva fatti, ma sapeva con assoluta certezza che erano tutti sbagliati. Ci aveva perso quasi un mese sopra, eppure non era riuscita a venirne a capo. Si preparò psicologicamente al primo votaccio dell’anno.
- Immaginavo…- commentò Gold di fronte a quel silenzio. Sfoderò il suo solito ghigno sghembo che aveva terrorizzato Belle e molti altri studenti per anni.- Quei temerari che hanno osato aprire i libri anche durante l’estate, a fine ora lascino i loro elaborati e gli esercizi sulla cattedra. Li restituirò corretti alla fine della settimana. Quanto a tutti gli altri…beh, non credo che ci sia bisogno che vi dica di annotare una bella D sul vostro libretto…
- Ehm…- dal fondo dell’aula, Alice Hatter alzò timidamente una mano.- Io…io non ho potuto svolgerli, professore…
- Io di norma non accetto alcun tipo di giustificazione, signorina Hatter.
- Ma lei è nuova!- s’intromise Tink.- Professore, lei è arrivata quest’anno. Non poteva sapere che ci fossero degli esercizi.
- In tal caso…lunedì prossimo provvederò a interrogarla riguardo al programma dell’anno scorso - Gold ghignò, quasi si divertisse nel vedere l’espressione sgomenta di Alice di fronte a quella rivelazione.- Oh, e…signorina Bell: consideri pure una nota sul registro per aver parlato senza permesso.
Tink ridusse le labbra a fessura, e tirò rabbiosamente una ginocchiata sul fondo del banco.
- Stronzo!- ringhiò.
- Se abbiamo finito con i convenevoli, passo a illustrarvi quello che sarà il programma di quest’anno - Gold posò il gesso, voltandosi a guardare l’intera classe.- Da qui fino agli esami finali ci soffermeremo solo ed esclusivamente sullo studio di funzione. Inizieremo con il calcolare dominio e codominio di una funzione sul piano cartesiano, incluse anche quelle con denominatore sotto radice quadrata. Nel programma saranno incluse le rette tangenti e, quando arriveremo ai limiti, i concetti di infinito e meno infinito…
Al solo sentire quell’elenco, Belle si sentì mancare.
Dominio, codominio, retta tangente, limiti, infinito…che lingua è? Aramaico?
Gold si accorse dello sconcerto suo e di molti altri studenti, e sfoderò nuovamente il suo ghigno.
- A questo proposito, inviterei il signor Tiny, il signor Prince e la signorina Lucas a non tentare di copiare dalla signorina Bell durante i compiti in classe. Sapete che sarebbe inutile, vi scoprirei subito. Signorina Hatter, lei è meglio che impari subito e…signorina French, la prego, siamo solo a inizio anno: aspetti almeno di arrivare a calcolare dominio e codominio, prima di rischiare l’asfissia.
Belle arrossì violentemente, punta sul vivo. Era consapevole del fatto di essere la peggiore studentessa della classe, in matematica, e Gold lo sapeva e non perdeva occasione per punzecchiarla. E, per quanto impegno ci mettesse, alla fine dell’anno riusciva ad avere solo una tiratissima C.
Gold si voltò nuovamente verso la lavagna, e iniziò a dettare la definizione di funzione.
Belle aprì il quaderno e scrisse minuziosamente, pur sapendo che, al momento di studiare, non ci avrebbe capito niente. Ruby si chinò verso di lei, facendole l’occhiolino per incoraggiarla.
Belle continuò a scrivere mentre la voce calda e l’accento scozzese del professor Gold riempiva il silenzio dell’aula.
Buon inizio anno, Belle French!
  
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