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Autore: bimbarossa    16/02/2014    0 recensioni
Sono passati molti anni dalla battaglia con Galaxia e tanto è cambiato. Le guerriere Sailor non sono più così unite dopo il personale confronto con l'oscurità dell'assenza del loro seme di stella, oscurità che condividono con Mamoru, il quale ancora non ha superato la questione di Seiya e dei sentimenti di Usagi. In più un ritorno inaspettato lo sconvolgerà e lo tenterà, mentre sulla Luna una presenza, risvegliatasi per sbaglio metterà in pericolo il futuro della Terra.
Genere: Dark, Drammatico, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Haruka/Michiru, Mamoru/Usagi
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Dopo la fine
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La stanza era piena di nebbia.

Ma non era una stanza come tutte le altre. Non era una nebbia come tutte le altre.

Usagi volse lo sguardo da destra a sinistra, da sinistra a destra, e quello che vedeva erano pareti di un fragile marrone scuro, come quelli di molti locali malfamati di Tokyo in cui Haruka-chan qualche volta la portava, con Michiru che fissava sdegnata gli avventori mezzo ubriachi e i muri impregnati di fumo e di poster pieni di liceali nude.

Gli sguardi di fuoco che la violinista lanciava alla sua compagna per averla trascinata lì divertivano immensamente Usagi, che aveva goduto di quelle piacevoli serate (piacevoli per tutti tranne che per Michiru-san!), anche perché apprezzava gli sforzi di quelle due, soprattutto di Haruka di farla sorridere il più possibile, di farla svagare il più possibile, ora che le sue amiche più care erano lontano, troppo lontano per ricreare quella piacevole compagnia di gruppo che aveva sempre contraddistinto la sua adolescenza di paladina della giustizia.

Sì, Usagi aveva goduto di quelle gradevoli serate, ma non era stata la stessa cosa, non sarebbe mai stata la stessa cosa, quella calda sensazione di unione, di affinità e affiatamento totale che condivideva con le quattro ragazze che erano diventate quasi dei fantasmi nella sua mente. E di fantasmi sembrava fatta quella nebbiolina che imperniava tutta la stanza, di una consistenza che sarebbe potuta risultare, percepire, opprimente se solo non avesse avuto la chiara sensazione che se avesse voluto, con un semplice soffio di fiato, l'avrebbe potuta spazzare via, per sempre.

Sentiva odore di otsunami, e anche di sakè, di sudore maschile e di angoscia sopita a tutti i costi. Proprio odori di una bettola della peggior specie, si disse dentro di se, all'interno dell'Usagi che in quel momento sognava con la consapevolezza di sognare. Un brusio di voci rendeva tutto più realistico e surreale al contempo.

Poi dal nulla, o forse la nebbia si era diradata quel tanto per farle vedere davanti a se, sorse dal pavimento un enorme tavolo da biliardo, uno di quelli che ci sono sempre nei telefilm americani ma che non sono molto comuni in Giappone, una larghissima lastra di ardesia della migliore fattura, lucida, scintillante, come un occhio maligno nell'angolo più buio di una stanza di notte.

Il verde del ripiano in confronto sembrava più acceso del dovuto, un effetto che le provocò un inspiegabile disagio, un misterioso senso di disastro incombente che veniva direttamente verso di lei, nei panni magari della figura immobile dall'altra parte del tavolo, completamente irriconoscibile, interamente grigia come una persona senza lineamenti, come un'anima senza pace.

Eppure c'era qualcosa di scattante, di felino in quell'ombra, qualcosa che le ricordava Haruka-chan, o certe volte anche Makoto. Una potenza latente, che rimaneva sopita fino a quando la persona amata non era in pericolo e questa forza veniva fuori per proteggerla, per custodirla, per amarla meglio, per amarla di più.

Ma non erano nessuna delle due, perché quelle spalle possenti e larghe, quei fianchi stretti e quelle braccia muscolose potevano appartenere solo ad una figura maschile.

E Usagi conosceva solo un uomo che possedesse quella particolare caratteristica, quel particolare dono.

Il volto di Mamoru bucò la nebbia come un faro, il suo faro, il suo eterno punto di riferimento, la sua eterna metà della mela.

Mamoru, il padre di sua figlia, la guardava dall'altra parte di quel tavolo lunghissimo e senza fine; Mamo-chan, l'uomo con cui divideva il letto ogni sera, la squadrava come se non la riconoscesse, o come se non volesse più riconoscerla.

Ma Usagi poteva sbagliarsi. Sì, sicuramente si sbagliava, da una tale distanza quel cipiglio fermo e deciso che aveva sempre nascondeva il profondo amore che aveva per lei, il legame forte come l'acciaio che li univa da secoli e secoli.

Doveva essere così, lei doveva essersi immaginata l'amarezza della piega della bocca, il luccichio freddo degli occhi che non sembravano neanche più di quell'azzurro che l'aveva fatta imbambolare la prima volta che lo aveva visto, che l'aveva fatta innamorare nel medesimo istante in cui aveva guardato nelle iridi del suo alter-ego Tuxedo Kamen.

Per un attimo Usagi tornò nel passato, e si diede della cretina. Come non aveva potuto riconoscere Mamoru nel suo salvatore che interveniva ogni volta in suo soccorso, quando ancora era una paladina della giustizia? Come era potuta essere così stupida e ingenua? A 14 anni si commettono molti errori certo, ma la verità era stata così limpida, così netta, stampata nelle profondità di quel blu meraviglioso che solo una rimbambita come lei non aveva potuto scorgerla subito. Tanto tempo perso che non era stato riguadagnato, nemmeno in quegli anni di matrimonio.

Il rumore di qualcosa che scattava la riporto alla realtà del sogno, e l'istinto e i riflessi di Sailor Moon vennero fuori contro la sua volontà.

La lunga stecca di legno che venne lanciata rabbiosamente verso di lei fu presa prima che la colpisse direttamente in faccia, anche se il contraccolpo la fece vacillare.

Quando Usagi capì che era stato proprio Mamoru a lanciarle quel bolide comprese anche che era stato lanciato ben altro.

Un guanto di sfida, uno schiaffo morale e passionale, una rivincita che aveva aspettato 21 anni per essere dichiarata. Per essere accettata. Da entrambi.


Amy Mizuno sapeva che quella era un sfida e l'aveva accettata.

Kakeru-san l'aveva messa alla prova portandola all'ESA, per vedere quanto lei fosse appassionata, per vedere quanto lei fosse cambiata.

E lo era, ma forse non quanto si aspettava, o forse non dove si aspettava.

Infatti l'amore per l'astronomia, per il cielo nero pieno di misteri da esplorare, da sondare, era rimasto intatto, custodito in una parte di lei, la parte più segreta del fortino che aveva costruito attorno a se stessa,con se stessa, con le sue ossa, con il suo sangue, con il suo preziosissimo cervello pieno di nozioni e formule matematiche, con il suo cuore pieno di paura e nostalgia. Per il passato scritto da un pezzo e per il futuro, scritto e scolpito da ancora prima.

Mentre rifletteva sul perché avesse deciso di seguire l'impulso folle di guardare in alto quando per 21 anni aveva invece solo osservato vetrini e campioni di tessuto anatomico, sentì Kakeru avvicinarsi a lei, accompagnato da altre due persone, uno vestito con una cravatta perfetta e inamidata, polsini accurati e camice immacolato con tanto di logo dell'ESA, e l'altra che era il suo opposto, capelli biondi e arruffati, top al limite della decenza e jeans a vita bassa.

Amy, ti presento il dottor Roger Griffin, della Royal Society di Londra e la sua collega, Angelina Rojas dell'Istituto Nazionale Spagnolo. Fanno entrambi parte del programma che eseguirà le rilevazioni del fenomeno. Li ho voluti nella mia squadra perché sono i migliori, come te.”

Sì, ma io non faccio parte del tuo team. Sono solo un'ospite,”ci tenette a puntualizzare la donna con il caschetto turchino.

Dettagli trascurabili, credimi.” Kakeru sembrava talmente sicuro di se stesso, così a suo agio in quell'ambiente accademico che aveva sempre disprezzato che Amy si chiese chi fosse cambiato di più, se lei o lui.

Piacere Amy, puoi chiamarmi Angie se ti va! Kakeru è sempre così entusiasta, che a volte dimentica che anche gli altri hanno i loro piani e i loro progetti!”

La bionda spagnola, a dispetto del suo nome angelico non sembrava affatto tale. C'era una diffidenza nel suo comportamento, come se Amy avesse invaso il suo territorio, e un po' era così, anche se ciò era avvenuto inconsapevolmente e per colpa non sua.

Greg invece si limitò a darle la mano, molto formalmente e con una stretta ne forte ne debole. Tutto in lui sembrava guardingo, in attesa di fare le dovute valutazioni per potere emettere un giudizio, un atteggiamento tipicamente inglese.

Amy si chiese come Kakeru-san fosse finito con quei due, come avesse potuto scegliere uno snob che se la tirava e una versione antipatica di Haruka in salsa spagnola.

Ma anche lei doveva valutare, prima di emettere le sue di sentenze; magari le loro qualifiche erano così eccellenti da sopperire al resto. E poi neanche lei era un grande esempio di simpatia e socievolezza allo stato puro.

Allora ragazzi, manca poco ormai. Controllate gli schermi e i vari collegamenti con XMM-Newton e Mauna Kea. Voglio che il segnale sia più che ottimo. Angie, tu invece sposta l'obiettivo di Chandra sul quadrante nord-ovest per vedere dove è il nostro amico e se è puntuale per l'appuntamento.” Kakeru sparava ordini a raffica, tutti i colleghi avevano gli occhi appuntati sui monitor dei computer, con i dati che sfilavano, sopra le scrivanie che riempivano la stanza, mentre gli schermi giganti sulla parete più lunga, quelli per le riprese via satellite e dallo spazio, mandavano bagliori rossi, gialli e azzurri, bande colorate che si riflettevano sui volti, sulle facce, come tante maschere di speranza, di paura, di eccitazione.

Ok, ancora pochi minuti ragazzi! Angie, come va con il nostro amico?”

Sempre puntato sull'obiettivo, dritto al bersaglio.”

Bene, meglio così.”

L'uomo aveva la sguardo sollevato, ma Amy poté notare quasi una nota delusa nella sua voce, la stessa di quella di un bambino che vuole vedere i fuochi d'artificio ma invece che colorati e dalle forme complesse, si ritrova con qualche sprazzo di bianco e qualche scintilla, nulla più.

Come ti stavo dicendo al bar, si tratta di un evento molto raro, direi unico. Per la posizione della Luna in questo momento, con un perigeo molto avanzato, un record quasi. E poi anche per il luogo in cui avverrà il contatto. Proprio il quadrante nord-ovest, vicino Demonax, lo vedi?”

Kakeru si piegò verso un computer su una scrivania, spingendo il suo occupante che infastidito dovette farsi più in là.

Qui c'è il limbo lunare,” fece vedere ad Amy la zona così chiamata della Luna vicino ai suoi bordi, ”l'impatto avverrà tra la metà illuminata e quella oscura. Sarà disastroso. Non posso usare altra parola se non disastroso Amy, davvero. Un vero cataclisma di dimensioni titaniche. Erano secoli che sulla Luna non impattava un asteroide di quella portata. 2014-QC è grande più di tre kilometri, 3'272 metri se vogliamo precisare, di puro ferro spaziale, tanto per complicare la situazione.”

Amy sentì gli occhiali scivolarle sul naso e dovette faticare a rimetterli a posto con tutta la nonchalance possibile.

Sei sicuro che sia così massiccio? Un asteroide ferroso di quelle dimensioni sulla Luna è un evento eccezionale, mostruoso.”

Vuoi i dati che abbiamo su 2014-QC? Roger, manda su questo terminale i dati sul nostro amico, e anche la ricostruzione 3D dell'impatto, nonché la versione Armageddon.”

Versione Armageddon? Cos'è?”

Le mani di Kakeru-san tremarono leggermente nel muovere il mouse del computer, poi una fila di dati indecifrabili se non da un esperto, riempirono il monitor di cifre e statistiche.

Sai, quando abbiamo scoperto 2014-QC un anno fa, la NASA e tutte le agenzie spaziali del mondo si erano messe in allerta. Nella scala Torino eravamo arrivati a 8 vista la traiettoria, praticamente una collisione con la Terra era data quasi per scontata. Siamo molto più grossi della Luna, con una maggiore forza gravitazionale. Avrebbe colpito noi, era più che sicuro e stavamo quasi per fare progetti tipo arche di salvataggio per milioni di persone, o cernita di semi e animali per la sopravvivenza delle specie che sarebbero morte. Ma poi ha deviato.” Kakeru scrollò la testa ancora incredulo. “2014-QC ha deviato il suo percorso, e punta alla Luna.”

Amy sentì un brivido lungo la schiena, come di chi è stato appena sfiorato da un proiettile mortale, e lo avesse visto passare radente a sé al rallentatore.

Allora Armageddon è stato scongiurato, no? Fammi guardare queste equazioni.” Non avrebbe mai dovuto dare retta a Kakeru-san. Non avrebbe dovuto farlo!

Riconosceva quella sensazione, l'adrenalina che le scorreva nelle vene, la possibilità di usare dati e cifre per risolvere un problema che minacciava l'intero pianeta.

Amy Mizuno in quel momento si sentiva di nuovo un'eroina!

Fece spostare ancora più in là il sempre più incattivito assistente che occupava quel terminale, il quale decise di alzarsi e di lamentarsi direttamente con un altro membro di quel progetto. Cosa che fece raggiungendo Roger Griffin, che se ne stava da solo ed isolato dal suo mentore per cui nutriva una strana forma di possesso e di adorazione assoluti, mentre questi neanche lo considerava da quando la donna nipponica era entrata li dentro.

Ma chi è quella tizia giapponese? La conosci per caso? Il capo sembra pendere dalle sue labbra, e non ha detto niente quando quella mi ha spinto via dalla sedia!”piagnucolò.

Roger Griffin guardò nella direzione di colei che aveva portato tanto scompiglio, i capelli scuri dai riflessi bluastri che risaltavano su quel collo così esile, eppure fiero, forte, che sarebbe rimasto sempre fermo su se stesso, magari anche rigido, sulle sue posizioni e davanti a chiunque.

Per un attimo l'inglese perse la sua imperturbabilità, gli occhiali che si appannavano leggermente che resero le sigle sui monitor incomprensibili e trascurabili.

C'era qualcosa di misterioso in lei, qualcosa che andava al di là della sua sconcertante bellezza, dello spirito intelligente e arguto che traspariva da tutta la sua persona, dalla fama che si portava dietro.

Sì, Roger Griffin sapeva chi era Amy Mizuno; era famosa in tutta la Germania dopo il caso del serial killer di Bonn che lei aveva contribuito a catturare.

Ma quell'idiota di Jérȏme non poteva saperlo. Era appena arrivato lì da un paese sperduto dell'Alvernia, e si sa che i francesi non vanno mai al di là del piacere del vino, della carne e della bella vita.

Roger Griffin si rimise gli occhiali sul naso, dopo averli puliti ben bene senza tracce di quella caduta di stile e aplomb che non si poteva permettere.

Quel Jérȏme era solo un tecnico, un passacarte pescato per sbaglio. Non avrebbe mai capito lo spirito granitico, profondamente radicato sulla ricerca interiore, magari un po' tetro che condividevano le culture anglo-teutoniche e la lontana eppur vicina tempra giapponese.

Rammollito! Dovrò fare un rapporto a Kakeru per farlo licenziare al più presto.

Al di là di queste considerazioni che facevano perno sulla sua naturale presunzione da membro altolocato della Royal Society e da qualcosa che non voleva sviscerare proprio in quel momento, quel qualcosa che era nato dall'incontro con gli occhi azzurri di Amy Mizuno, Roger Griffin era preoccupato. Ed eccitato.

Sentimenti che sembravano animare chiunque in quella stanza, correnti misteriche e crepitanti che andavano oltre le invidie, le attrazioni, il senso di possesso e il broncio idiota del francesino che aveva l'aria di un cane bastonato.

Non si sarebbe staccato molto presto dalla gamba del suo nuovo padrone, così l'inglese, le mani in tasca e la postura di un soldato inattaccabile, invulnerabile a qualunque nemico, si diresse verso il gruppo principale, la figura della giapponese che si avvicinava, che oscillava, e la sua voce morbida e piacevole che snocciolava stime e dati matematici.

Non importava.

Niente di tutto questo importava, l'apocalisse interiore che si stava srotolando coattivamente come un film al rallentatore dentro la sua testa di scienziato non era niente in confronto all'apocalisse di materia e roccia esplosa che si sarebbe svolto di lì a poco sulle loro teste.

Gli occhiali brillarono maliziosi, e maligni, e diffidenti, mentre numeri scuri e timer inesorabili sfilavano senza posa riflessi su di essi, in uno scivolare altrettanto malizioso, altrettanto malevolo, e di una indifferenza finalmente compiuta e totale.


La maschera di indifferenza che alterava il suo volto era finalmente compiuta, e totale.

Usagi, in qualche mondo alieno a se stessa e alla realtà al di fuori del suo sogno, sapeva che Mamoru aveva covato quell'espressione all'interno di se stesso per mesi, per anni. E aveva infine deciso, lì e proprio lì, di smascherarsi mettendosi quella maschera, per sfidarla, per turbarla, per allontanarla.

Per un attimo la compassione prevalse, perché Usagi sapeva che una buona parte della responsabilità di quel mutamento era imputabile a lei; ma poi il brillio di quel tavolo così verde, e il freddo intenso che cominciava ad insidiarsi nel suo corpo e dentro il cuore, come se la nebbia si stesse raffreddando, solidificando in un blocco di cemento pesante sul suo petto, divennero talmente fastidiosi, talmente frustranti che una collera stranissima, non da lei che era la paciera in persona, dilagò piano, dolcemente. Cerchi concentrici e sottili in un lago che fino ad adesso era stato tranquillo. Troppo.

Che succede Mamo-chan?”

Non avrebbe voluto metterci tanto sarcasmo, ne sentiva addirittura l'eco in quella malfamata distesa desolante e desolata che ne amplificava il tono ironico; ma se l'era cercata lanciandole quella stecca addosso che avrebbe potuto anche farle male!

Gioca.”

Un suono così flebile eppure feroce non lo aveva mai sentito, neppure nel peggiore dei mostri che aveva affrontato in passato.

Andiamo Mamo-chan, sai che non so giocare a biliardo!” Rise, la rabbia che veniva vaporizzata dall'assurdità della conversazione. Sì, il suo Mamoru non le avrebbe mai chiesto una cosa simile sapendola tanto imbranata in quella disciplina, quindi doveva essere qualcun altro. O qualcos'altro.

Gioca, ho detto!”

L'uomo, il suo uomo, si chinò in avanti, la luce della nebbia che gli illuminava i capelli scuri come ebano appena lucidato, e liberò le biglie colorate che erano improvvisamente comparse sopra quella visiva tortura color smeraldo dalla loro prigione triangolare che le teneva unite, che le teneva forzatamente legate.

Cos'hai Usa, non vuoi giocare con me?”

Mamoru sogghignò, e persino con la consapevolezza che niente era reale, quella piega maligna della bocca le diede un senso di tradimento, una pugnalata in mezzo alle scapole.

Se quello fosse stato un anime di quelli che lei e ChibiUsa seguivano in televisione nelle serate in cui Mamo-chan lavorava e loro lo aspettavano alzate (ChibiUsa si rifiutava categoricamente di dormire senza prima avere ascoltato le storie del suo papà sulle strane operazioni che eseguiva con la mascherina e il bisturi che tanto la terrorizzavano e la eccitavano!), in quel momento la sua faccia sarebbe diventata blu, poiché sentiva il viso congestionato da una rabbia aperta, pronta ad esplodere persino in un sogno, anzi proprio perché erasolo un sogno.

Non mi piace che mi chiami così, te l'ho sempre detto!”

Stridula, troppo stridula e patetica che sei Usagi!

Non seppe con certezza se questo fu un pensiero suo o di Mamoru, o di entrambi, o di colui che era il regista oscuro di quella dimensione artefatta e allucinante.

Ti chiamo come voglio Usa.” Si mosse lentamente, la stecca che danzava con abilità dentro le sue mani, dentro le sue braccia.

Usagi per un secondo pensò che desiderava prepotentemente essere al posto di quella stecca da bigliardo, anche a costo di essere uno strumento per colpire e da colpire, di essere quasi toccata con amore dall'uomo davanti a lei, in un modo che le ricordava loro due ai tempi di Silver Millennium, un modo che non si era più ripresentato, nemmeno mille anni dopo.

Ora che ci pensava, ora che poteva davvero permettersi di pensarci perché protetta dall'illusione onirica così rivelatrice da non rivelare neanche il più imbarazzante dei segreti, doveva ammettere con se stessa che Endymion era molto diverso da Mamoru, che era sempre stato diverso da Mamoru.

Ora che i confini dei ricordi del passato si facevano confusi per rendere tutto più chiaro grazie al fatto di essere dentro ad un sogno, sì, Endymion, e lei Serenity, erano molto diversi da Usagi e Mamoru.

Forse perché quel legame era appena nato, e per questo più saldo, non logorato dal tempo e dalla quotidianità, o forse perché doveva essere più saldo dato che il loro mondo stava andando in pezzi e la guerra bruciava tutto e tutti; si ritrovò ad invidiare Serenity, ad invidiare il fatto che non dovesse pensare ad altro che ad amare, circondata dalle sue amiche e da un regno splendido e perfetto.

Non aveva dovuto fare la casalinga lei! Non aveva avuto un marito quasi assente che aveva smesso di confidarsi (a pensarci bene Mamoru non era mai stato un gran conversatore né uno che condivideva i suoi pensieri più intimi con chicchessia), né una bambina che non sarebbe cresciuta per altri novecento anni, anni che si sarebbero dipanati nell'attesa degli splendori di Crystal Tokyo e dell'attacco dei Black Moon, con tutto quello che conseguiva.

Uno scatto, uno schiocco secco e duro la fece sobbalzare, dentro nel sogno, e fuori, nel letto con la trapunta piena di conigli in cui era sdraiata, i capelli biondi e splendenti sciolti in onde lunghissime e che brillavano alla luce della Luna piena,la quale entrava a fiotti bucando il buio come un laser bianco.

Una angelica statua crisoelefantina, in cui l'oro dei capelli e l'avorio della pelle ne risaltavano la purezza, l'innocenza senza limiti e senza pecche.

Questo pensava l'uomo appoggiato pesantemente allo stipite della porta della camera; una figura in ombra, una figura stanca e pallida, di un pallore molto diverso da quello del satellite sopra le loro teste che invece splendeva su tutti loro. Su di lei.

Non avrebbe dovuto essere così bella, non poté fare a meno di pensare buttando la testa all'indietro e facendola aderire al duro legno giapponese che era freddo tanto quanto lui.

Impossibilitato a smettere di guardarla, impossibilitato a smettere di desiderarla, impossibilitato a smettere di essere arrabbiato, furioso con lei, l'uomo in nero che dentro di sé portava l'energia del Sole, si rese conto che una semplice palla di grigia materia, bucherellata come un cuore ferito, era più potente, dannatamente più potente di un solo singolo raggio di quell'astro tanto splendente al centro del Sistema Solare.

Un Davide che avrebbe potuto schiacciare il suo gigante quando lo avesse voluto.

  
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