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Autore: _Cthylla_    16/02/2014    4 recensioni
Lei, una bella ragazza che ha sempre vissuto nella bambagia.
Lui, un uomo maturo con un passato orribile...
Cosa può accadere tra loro?
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Warsman/Lord Flash
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Occhi di smeraldo'
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Nonostante viaggiassero insieme ormai da un po’di tempo Warsman non si era ancora abituato a tutti quei lussi. Una casa in ogni Stato nel quale valesse la pena averne una, gli aveva detto Emerald. Una compagnia aerea tramite la quale potevano viaggiare gratis, aveva anche detto. Ogni destinazione sarebbe stata decisa solo secondo i loro desideri, aveva aggiunto.

Che diamine. Lui, eccetto un’unica volta nella vita, aveva sempre viaggiato da clandestino.

Eppure non erano i soldi, quelli che invadevano i suoi pensieri al momento. No.

Avrebbe voluto avere la sua fortuna.

E non una “fortuna” nel senso di “patrimonio”.

Avrebbe voluto  potersi  togliere  tutto quel  che aveva addosso senza stare a pensarci due volte e gettarsi in acqua così, all’improvviso, come aveva fatto Emerald appena arrivati nella casa a Rio. Una casetta non troppo grande ma con tutti i comfort,  e tanto di spiaggia privata che le permettevano di fare i suoi comodi senza essere accusata di esibizionismo da nessuno. In fin dei conti, quel posto era suo.

E lui, Warsman, l’aveva invidiata.

Non era la più bella ragazza che avesse mai visto, questo no. Ma lui sapeva che lo era abbastanza da riuscire ad amare sé stessa ed il proprio corpo, cosa nella quale ormai non erano molte donne a riuscire.

Un corpo giovane, magro ma tonico, senza nei, senza ferite, senza segni di alcun tipo, nonostante le avessero sparato addosso non moltissimo tempo prima. Ma era una Lancaster, e i Lancaster erano smisuratamente ricchi. Ed avevano anche le cliniche più avanzate al mondo, o forse della galassia? Non sapeva. Ma i risultati erano quelli che erano ed Hammy, nonostante quel colpo di pistola e l’intervento che aveva innestato dei naniti nei tessuti del suo braccio destro, non aveva una cicatrice che fosse una sul corpo.

Per quel motivo era rientrato in casa praticamente subito, col dire di volersi fare una doccia -della quale effettivamente aveva bisogno- scomparendo in bagno deciso a restarci il più possibile.

Ma una volta che si fu spogliato e guardato allo specchio aveva fatto presto a rendersi conto che forse quell’idea era stata solo un’espressione di masochismo.

Era così pieno di cicatrici e segni orribili, lui. Così schifosamente pieno. Sulla schiena, sulle braccia, sul torace…cicatrici perlacee a deturparlo ovunque…

La pelle di Emerald invece era tutta perlacea. Bianca come la neve, calda, liscia, senza difetti…

Fece per rompere lo specchio con un pugno, trattenendosi solo all’ultimo pensando che tale gesto avrebbe solo aggiunto altri orribili segni. E lui di certo non ne aveva bisogno.

Incrociò lo sguardo con il sé stesso nello specchio.

Si lamentava del corpo, ma…fosse stato quello il peggio! No. Le cicatrici sul corpo non erano nulla rispetto a ciò che si celava sotto la maschera che portava come Warsman, o nei panni di Lord Flash che dopo tutti quegli anni trovava ugualmente congeniali.

Un volto tanto deturpato e modificato da non potersi definire più tale. Niente naso…niente pelle…niente labbra. Si vedevano direttamente i denti.

Ecco, adesso che stava guardando quell’orrore si che aveva una voglia matta di rompere lo specchio.

Uscì dal bagno quasi con furia, con solo l’asciugamano addosso, e corse nella stanza da letto vicina senza curarsi se fosse quella padronale o quella degli ospiti. Aveva solo bisogno di allontanarsi da quell’immagine mostruosa, di togliersela dalla testa…

A stento fece caso del canticchiare sommesso col quale Emerald annunciò l’entrata in quella che, in fin dei conti, era la propria stanza.

«…aah…questa sarebbe camera mia, sai…» gli fece notare la ragazza, un po’seccata. Lui fece appena in tempo a coprirsi il volto con l’asciugamano, decidendo che fosse peggio lasciar scoperto quello che il resto, che tanto lei aveva già avuto occasione di vedere.

«se uno le cose non le dice…! Io sono solo entrato nella prima stanza che ho trovato, va bene?!»

Stava per rispondergli a tono aggiungendo che forse per lui sarebbe stato più appropriato stare in gabbia o in una cuccia, quando notò per la prima volta i capelli del suo arcinemico. Capelli…aveva dei capelli. Lei non li aveva mai visti, così come non aveva mai visto il suo volto; lui aveva sempre indossato una maschera, sempre. E delle volte lei si era effettivamente trovata a chiedersi che cosa nascondesse lì sotto.

«u-oh. Niente maschera?»

«lasciami in pace!» sbottò lui continuando a tenere l’asciugamano sul volto.

«eddai, fammi vedere».

Lui si sentì gelare. Farsi…vedere…

No. Mai.

Si alzò, e tenendo una mano sull’asciugamano contro il volto ed un’altra a coprirsi i genitali cercò con poco successo di andarsene, finendo piuttosto a sbattere sul mobilio. «ti ho detto di lasciarmi in pace, perché tu e il tuo stramaledetto esibizionismo non ve ne tornate in spiaggia?!»

«esibizionismo tua sorella, la spiaggia è mia, non c’è nessuno nel raggio di un chilometro e più, faccio quel che mi pare» ribatté lei «andiamo, non puoi essere più brutto di quanto già abbia visto…»

“non puoi essere più brutto di quanto già abbia visto” diceva…stolta, sciocca, stupida puttanella…non aveva idea di quel che stava dicendo, non ne aveva proprio idea, non lei con la sua pelle senza segni, non lei che aveva avuto una vita facile, comoda, che non aveva mai dovuto patire quanto lui, che aveva avuto sempre tutto quel che aveva desiderato e anche di più, che non era mai stata definita una bestia com’era successo a lui, e perché poi? Solo perché era un mezzo robot, solo perché non era…bello.

«scommettiamo che ti sbagli?!» ringhiò lui lasciando cadere l’asciugamano e mostrandole il vero volto dell’orrore. Ogni traccia di scherno, o anche solo di ironia, sparì dal volto della ragazza che rimase ad osservare il volto del russo con aria mortalmente seria.

«ecco. Adesso mi hai visto. Sei soddisfatta, Emerald?» si avvicinò a lei, il volto a pochi centimetri dal suo «ti senti  superiore adesso, immagino. Starai pensando che il tuo caro papà aveva ragione a definirmi il mostro di Frankenstein dei sovietici. Ti divertirai a pensare “io sono bella e lui, cos’è lui se non un mostro”?» la prese perfino per le spalle, in un atto tra rabbia, disperazione e non sapeva cos’altro «ammettilo! Dillo! Hai paura adesso, o quantomeno sarai disgustata, tu che nel bello ci sei cresciuta, illusione o meno! Dillo che ti disgusto!»

La ragazza non disse niente, rimanendo lì ad osservarlo sempre con la stessa espressione. Non c’era paura sul suo viso, e a dire il vero nemmeno disgusto. E nemmeno curiosità, come avrebbero potuto avere gli amanti dell’orrido.

Il russo non riuscì a trovare alcun senso per quel che successe in seguito, quando Emerald con una curiosa delicatezza gli prese il viso tra le mani e lo baciò dove avrebbero dovuto trovarsi le labbra, prima su quello superiore, poi su quello inferiore…

E senza chiudere gli occhi. No. Mentre posava le labbra su quel volto orribile non li chiuse mai, per tutto il tempo, premendosi contro di lui col resto del corpo, invitandolo ad approfondire quel bacio, e non soltanto.

Quel bacio che per lui era il primo “viso a viso”. Prima era troppo giovane per darne. Ed in seguito, pensava che non avrebbe mai trovato nessuna col coraggio di farlo.

Sentì il calore della sua pelle contro il metallo del proprio volto, sentì le loro lingue intrecciarsi, le mani liberarle il corpo dall’asciugamano che indossava…si, anche lei aveva solo quello…

E non gli importava se era sbagliato.

Non pensava neanche che lo fosse, sinceramente.

Non pensava a niente, se non al fatto che tra loro non c’erano più barriere. Non pensava nemmeno ai perché, ai percome. Solo a lei sotto di lui, e lui dentro di lei, e a quel bacio che non sembrava volersi interrompere, continuo, dolce perfino, in contrasto col resto di quell’amplesso quasi selvaggio del quale -da sobri, poi- erano protagonisti.

E non fece in tempo a chiederle nulla, quando tutto finì, perché lei si alzò dal letto, raccattò l’asciugamano e se ne andò senza guardarlo neppure.

Pensò di chiamarla, di farla tornare indietro, di chiederle…”perché”?

Ma cambiò idea.

Certe domande era meglio non farle, certe cose era meglio non chiedersele, certe volte era un errore pensare troppo o pensarci e basta.

Era…successo. Ecco tutto.

Nessuno l’avrebbe saputo. Lui stesso avrebbe cercato di classificarlo come…un sogno? Un incubo meraviglioso?

Si.

Si, un incubo meraviglioso.

   
 
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