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Autore: Nihal_Ainwen    17/02/2014    5 recensioni
Kim Jongin è un abile killer in cerca di vendetta;
Park Chanyeol un normale studente universitario;
Oh Sehun è il figlio viziato del capo di una banda di criminali;
Byun Baekhyun è semplicemente autodistruttivo.
Cosa avranno in comune? Niente, apparentemente.
Genere: Angst, Dark, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, Crack Pairing | Personaggi: Baekhyun, Baekhyun, Chanyeol, Chanyeol, Kai, Kai, Sehun, Sehun
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti
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[Che dire, sono sparita per mesi.
Mi dispiace moltissimo essermi volatilizzata in questo modo, ma tra mancanza di tempo e impicci vari, proprio non ho potuto fare altrimenti. Il mio pc ha ripreso miracolosamente a vivere un’oretta fa, perciò ne approfitto per aggiornare. Immagino che la mia storia sia finita nel dimenticatoio, anche per quei pochi che la seguivano, ma non si sa mai. Ormai è una sfida con me stessa completare questa fic, una questione personale. Se poi dovessi sbagliarmi e ci fosse qualche anima pia a cui ancora interessa, sarebbe una piacevole sorpresa. Fatemi sapere i vostri pareri, dopo questo lungo periodo di stasi.
Vi lascio alla lettura.]




Like a Revolver
Non c’era giorno che odiassi più della domenica, soprattutto se la notte prima avevo dormito poco e male, tormentato da incubi che nemmeno ricordavo. Mio padre pretendeva che in quel giorno facessimo colazione insieme, si divertiva a fare la persona “normale” chiedendomi come stavo e cose del genere. Era una recita davvero penosa, perché entrambi sapevamo che lui mi avrebbe fatto quasi sempre le stesse domande e che io avrei dato sempre le stesse risposte. Eppure a lui piaceva; si divertiva da morire a vedermi contorcere sulla sedia, ogni volta che toccava un tasto che sapeva essere dolente per me. Come quando mi diceva che anche lui sentiva molto la mancanza di sua moglie e che per fortuna aveva me: non poteva essere più ipocrita e falso…e non c’era modo migliore per torturarmi psicologicamente. Una volta avevo anche reagito, ma era stato peggio, dato che si era messo a ridere ricordandomi per l’ennesima volta che somigliavo molto più a lui che a lei. Era una delle cose che chiedevo spesso a mia madre, il motivo per cui avesse sposato un mostro simile, cosa l’aveva portata a scegliere un uomo del genere, a generarci dei figli. Per quanto mi concentrassi, per quanto mi sforzassi, quella era una delle domande a cui non avevo mai avuto risposta.
-Che ne pensi del ragazzo nuovo?- mi chiese mio padre con un sorriso, distogliendomi dai miei pensieri.
-Sa il fatto suo credo. Non ha portato a termine tutti gli incarichi che gli hai affidato finora?- risposi continuando a tenere lo sguardo basso, sulla tazza di latte caldo davanti a me.
-Sì esatto, e ha anche rotto il naso al mio asso. Lo sapevi questo?- mi informò, facendomi cadere di mano il cucchiaino per la sorpresa: era così che Kai “teneva un basso profilo”? Quel ragazzo non mi ascoltava.
-In realtà no, non siamo poi così amici.- ammisi alzando le spalle, per poi bere tutto d’un fiato il latte rimasto. –Ma come mai ha fatto una cosa del genere? Ci stava provando con lui?- domandai cercando di non sembrare interessato, quando in realtà sapevo bene quanto fosse pervertito l’uomo di cui stavamo parlando.
-No figliolo, lo so che quel ragazzo ti piace. Non te lo toccherà nessuno.- mi sorprese di nuovo ridacchiando, facendomi stringere i pugni sotto il tavolo per resistere alla tentazione di alzarmi e spaccargli la faccia.
-E allora perché avrebbe dovuto fare una cosa simile?- continuai, cercando di ignorare la sua frecciatina.
-Da quello che ho capito, l’ha beccato che stava tentando di farsi uno che conosceva. Ovviamente la cosa non gli è piaciuta e gli ha rotto il naso.-disse tranquillamente, come se quella di provare a stuprare un povero ragazzo fosse una cosa da niente, completamente nella norma.
-Ho finito, posso andare?- cercai di affrettarmi, avendo passato già troppo tempo con quel’essere immondo.
-Certamente tesoro.- acconsentì lui sorridendo di nuovo.-E mi raccomando, dì al nostro caro ragazzo che ora si è fatto un nemico. Ah, lo stavo quasi dimenticando, digli anche che gli ha fatto una promessa: ha giurato che quando avrà finito col suo amico, gli spezzerà ogni osso del corpo. Sai, come risarcimento per il naso.- mi spiegò, rimanendo impassibile con quel suo sorriso mostruoso.
-Mi fate tutti schifo.- sibilai sputando a terra, per poi voltarmi senza degnarlo più di uno sguardo, sapendo che purtroppo quell’uomo non scherzava.
Praticamente scappai dalla stanza, con un forte senso di nausea a stringermi la bocca dello stomaco, immaginando che ricevere un trattamento del genere fosse la cosa più brutta che potesse capitare ad una persona. Io avrei preferito morire che vivere con quella vergogna, con quel ricordo a tormentarmi tutte le notti ed ogni volta che chiudevo gli occhi. Non riuscivo a smettere di pensarci e presto dovetti correre in bagno, a vomitare la misera colazione appena fatta. Come potevano parlare di cose del genere senza sentirsi male? Come potevano fare cose del genere senza pentirsene nemmeno un po’? Non me ne sarei mai capacitato, mi faceva tutto troppo ribrezzo quel posto. Ormai non vedevo l’ora di poter attuare il mio piano, e non solo per aiutare Kai con la sua vendetta…ma perché cominciavo a volerlo vedere morto quasi quanto lui, se non di più. Forse l’avevo sempre desiderato nel mio profondo, ma non avevo mai avuto il coraggio di ammetterlo a me stesso. Era appena mattina ed ero già stanco morto, perfetto.
                                     
Cercai di riferire a Kai ciò che mi era stato detto con le migliori parole possibili, ma ovviamente tutto rimaneva quello che era: una minaccia è pur sempre una minaccia. Non l’avevo mai visto in quello stato, e non mi ero sentito di fare alcun commento sulla sua reazione, lasciandogli sfogare la rabbia a modo suo. La casa era la sua, se voleva metterla a soqquadro ne aveva tutto il diritto in fondo. Me ne rimasi seduto sul divano, fino a che non raggiunse il limite di sopportazione: aveva cominciato ad urlare come un ossesso, maledicendo un po’ tutto e tutti…poi si era accasciato a terra l’improvviso, cominciando a singhiozzare in silenzio. Solo a quel punto mi avvicinai, passandogli un braccio intorno alle spalle e aiutandolo ad alzarsi da terra, ormai cosparsa dei vetri delle cornici vuote che aveva lanciato contro il muro poco prima.
Ti illudi di aver aiutato una persona, di averla sottratta da un destino orribile nonostante tu stesso ti definisca orribile, solo per poi scoprire di averla condannata ad una sorte addirittura peggiore. Sapevo quello che significava, sentivi il mondo caderti addosso, con tutta l’ineluttabilità del tuo essere completamente inutile. Una volta, tre anni fa, avevo difeso Tao da un ragazzo che l’aveva insultato perché cinese: ovviamente poi ci avevano frustati entrambi, perché quello era il figlioccio di non ho mai capito bene quale capo criminale. Di sicuro però, ci era andata molto meglio che a quel ragazzo sconosciuto, per cui avevo ormai simpatizzato.
Kai si riprese in fretta, asciugandosi le lacrime con stizza e allontanandomi con uno spintone, a causa del quale mi ritrovai col fondoschiena sul pavimento e un grosso pezzo di vetro conficcato in un palmo. Emisi uno strano sibilo di dolore, mordendomi la lingua per non urlare, per poi studiare il danno con occhio clinico: non sembrava essere troppo grave, di sicuro stavo più bene io che l’altro ragazzo.
-Mi dispiace.- mormorò mentre mi sfilavo la scheggia dalla mano. –Ero un po’…scosso.- aggiunse tendendomi la sua, per aiutarmi ad alzarmi.
-Figurati, penso sia…normale.- lo tranquillizzai accettando la sua offerta, facendomi tirare su da lui.
Quello che fece dopo però, non l’avevo previsto e nemmeno ci avrei creduto se me l’avessero detto. Mi attirò verso di lui, facendo cozzare il mio petto contro il suo, stringendomi poi con le braccia, quasi in una specie di prigione umana. In realtà non era affatto una gabbia, né niente di così particolare: era semplicemente un abbraccio. Mi strinse talmente forte da farmi quasi male, mentre io me ne rimanevo immobile, troppo sorpreso per poter pensare di fare qualunque cosa che non fosse impormi di respirare. Eppure, in quella morsa, persino respirare era inebriante, dato che non potevo fare a meno di inspirare il suo odore, con il viso estremamente vicino al suo collo scoperto. Alla fine ricambiai l’abbraccio, incurante del fatto che gli avrei rovinato la maglietta a causa della mano insanguinata, passandogli le braccia intorno al busto e poggiando la testa sulla sua spalla. C’era qualcosa di rassicurante in quel gesto, qualcosa che non avevo provato né quando ci eravamo baciati nella mia camera da letto, né quando ci eravamo divisi Lu Han alla festa di qualche sera prima. Avevo ricevuto molto più sentimento in quell’abbraccio, che in tutti i baci e le carezze che avessi mai ricevuto da lui o dal altri. Mi sentivo quasi in colpa, sapendo che tutto ciò era avvenuto perché un suo conoscente rischiava di essere violentato ogni volta che metteva piede fuori di casa. Senza nemmeno saperlo per di più. Era un pensiero alquanto orribile e penoso da fare in quel momento, perciò lo relegai in un angolino della mia mente per andarlo a ripescare solo in seguito, godendomi a pieno tutte le sensazioni che mi trasmetteva il corpo di Kai stretto al mio.
-Sehun…- sussurrò con le labbra fin troppo vicine al mio orecchio, facendomi rabbrividire a causa del suo respiro caldo sulla mia pelle. –Perché rovino sempre la vita a tutti quelli che mi si avvicinano?- mi chiese sospirando, poggiando il mento sulla mia spalla con fare sconsolato.
-Non è colpa tua, è il destino che prova gusto ad accanirsi sempre con le stesse persone.- lo rassicurai accarezzandogli lentamente la schiena, mentre lui cominciava a distendersi un po’.
-Sarei dovuto morire anch’io con i miei genitori, se solo non fossi stato un bambino disubbidiente.- mi disse all’improvviso, sorridendo rassegnato. –Ogni volta che mi chiamavano per andare a cena, rispondevo sempre “cinque minuti”, e arrivavo in ritardo ogni volta. Per questo sono vivo.- mi raccontò. –Ma non dovrei auto-commiserarmi davanti a te, non hai certo avuto una vita facile.- si riscosse sciogliendo l’abbraccio, con mio sommo dispiacere ed un certo disappunto.
-Ti porto a mangiare fuori.- gli dissi con tono imperativo, prendendolo per mano e conducendolo fino alla sua camera da letto. –Perciò, penso che sia opportuno che tu ti cambi.- aggiunsi, ignorando la sua espressione tra lo sconvolto e il meravigliato.
-Sei impazzito?- ipotizzò mentre frugavo nel suo armadio, incurante del disordine che mi stavo lasciando dietro lanciando vestiti a destra e a manca.
-Molto probabile, ma non è questo che conta al momento.- annuii osservando attentamente un paio di jeans chiari. –Questi non sembrano essere della tua misura...- dichiarai esprimendo ad alta voce la mia perplessità.
-Non mi pare di averti dato il permesso di guardare nel mio armadio.- mi rimproverò strappandomi di mano l’indumento incriminato. –Ringrazia il cielo di non averlo sporcato.- bofonchiò piegandolo con cura.
-Metti questi.- lo ignorai decidendo di non prendermela per come ero stato appena trattato, conscio del fatto che dovesse essere ancora relativamente sotto shock.
In tutta risposta Kai afferrò con malagrazia gli abiti che gli porgevo, andandosi a barricare nel bagno della sua stanza a passo di marcia, lasciandomi da solo in piedi in mezzo al caos procurato dall’uragano “Sehun”. A quel punto, troppo in ansia per non fare niente ma troppo spossato per fare qualcosa di costrittivo –tipo riordinare-, decisi di prendere in prestito, dal fornito guardaroba dell’altro ragazzo, un paio di pantaloni neri strappati sulle ginocchia e una t-shirt dello stesso colore stinto. Non avevo un vero motivo per cambiarmi, ma sentire costantemente il suo profumo addosso aveva un non so che d rilassante, per non parlare del fatto che ero dannatamente curioso di scoprire la sua reazione.
-Ti dona il total black.- esordì appoggiato allo stipite della porta del bagno, facendomi sussultare sorpreso.
-Hai fatto molto in fretta, non me lo aspettavo.- gli rivelai, finendo di aggiustarmi i suoi vestiti neri addosso.
-Stavo meditando se farti aspettare una o due ore, prima di uscire.- confessò sorridendo in quel suo modo insopportabilmente sensuale. –Poi mi sono reso conto che ero troppo curioso, per attuare la mia vendetta istantaneamente.- concluse alzando le spalle, per poi avvicinarsi quasi ancheggiando.
-Sei ossessionato dalla parola “vendetta”, sembra quasi che tu non riesca a vivere senza pronunciarla almeno una volta al giorno.- lo presi in giro dirigendomi verso l’ingresso.
-Forse è davvero così, chi può saperlo.- cantilenò uscendo di casa per primo, dopo essersi infilato una paio di scarpe di tela consumate. –Hai finito con tutti quei lacci?- mi punzecchiò, mentre ero intento ad allacciarmi con cura gli anfibi.
-Smettila di lamentarti, oppure mi rimangio l’invito.- lo minacciai seguendolo finalmente sul pianerottolo illuminato, per poi chiudermi la porta alle spalle.
-Non sia mai, rimpiangerei a vita di aver sprecato un’occasione del genere.- esclamò chiamando l’ascensore. –Non si riceve tutti i giorni un invito a pranzo da un ragazzo così attraente.- mi provocò ammiccando.
-Sei proprio un caso perso, deficiente dalla testa ai piedi.- sbuffai abbassando lo sguardo, per cercare di nascondere l’imbarazzo dovuto al suo complimento: sembravo una dannata ragazzina del liceo, maledizione.
Il pranzo con Kai era letteralmente volato: sia perché il tempo che passavo da solo con lui non mi sembrava mai abbastanza; sia per il fatto che i momenti che trascorrevo in quel bistrot francese mi parevano sempre scorrere più velocemente, rispetto al resto della mia vita. Ero sempre stato stranamente legato a quel posto, anche prima di sapere da mia zia che mia madre ci aveva lavorato per ben sette anni, prima che nascesse mio fratello. Mi aveva raccontato più volte di quanto le piaceva lavorare lì, e di quanto amava la granita che servivano nel periodo estivo. Non mi era mai piaciuta molto la granita, ma quella era speciale e aveva un sapore del tutto diverso; ovviamente, la prendevo ogni volta che mi capitava di andare lì. Ero partito con l’idea di offrire io, ma non avevo considerato che l’altro ragazzo si sarebbe fermamente opposto pretendendo di pagare lui al mio posto. C’era stato un piccolo ed acceso dibattito, che ci aveva portati alla conclusione più assurda che si potesse pensare: io pagai quello che aveva ordinato lui, mentre lui pagò quello che avevo ordinato io. Io gli offrivo il pranzo e contemporaneamente lui lo offriva a me. Mentre ci alzavamo, colsi con la coda dell’occhio l’immagine di una splendida ragazza dai capelli neri e setosi, china vicino all’orecchio della sua amica. Avevo lo sguardo puntato sul mio compagno -e accompagnatore allo stesso tempo-, mentre l’altra giovane sgranava gli occhi sorpresa, probabilmente per ciò che aveva appena udito. In effetti, quando passammo di fianco al loro tavolo, la sentii pigolare come un uccellino una frase simile a:“Sembrano proprio una bella coppia quei due”. Cercai immediatamente di distogliere la mia attenzione da quel commento, non potendo però impedire alla mie guance di imporporarsi al pensiero di essere stato scambiato per il fidanzato di Kai. Era forse per il modo in cui mi teneva per mano? O per l’andatura sicura con cui mi aveva guidato fino all’uscita? Poteva anche essere per quel suo sorriso convinto e irresistibile, che pure si addolciva quando parlava con me. Per un momento, per un instante soltanto, mi chiesi se magari sarei mai potuto essere davvero il suo ragazzo... Se un giorno mi avrebbe riempito di attenzioni e romanticherie, o se avremmo mai fatto l’amore tutta la notte solo per poi dormire tutto il giorno seguente. La risposta che mi diedi, dopo essermi preso il lusso di indugiare qualche minuto su quell’eventualità, fu che la cosa era estremamente improbabile, date le circostanze. Eppure, non riuscivo a crederla totalmente impossibile, come invece avrei dovuto fare sin da subito valutando la situazione più lucidamente: magari sarei riuscito davvero a farlo innamorare di me, dato che io ero innamorato di lui. Ancora non sapevo che Kai, al contrario di me, aveva già amato qualcun altro profondamente, con tutto il suo cuore, e che il ricordo di quella persona ancora aleggiava nella sua esistenza e riempiva la sua mente.
 
Avevo rischiato di perdere il treno quella mattina, sempre a causa degli incubi che tormentavano le mie notti da una settimana buona a quella parte. La cosa che non sopportavo di quegli orribili sogni era che la mattina non li ricordavo mai, avevo solo il sapore dell’amaro in bocca e un forte mal di testa, come memento del fatto che c’erano stati. Mi abbandonai già stremato sul consunto sedile in pelle verdognola, mettendomi le cuffie nelle orecchie con l’intenzione di dormire fino al capolinea, dove sarei dovuto scendere. Mio padre mi aveva spedito per una settimana da mia zia, la sorella di mia madre, la quale viveva fuori Seoul in una sperduta villa di campagna. Non mi aveva detto perché, ma io sapevo perfettamente il motivo di quell’improvviso e repentino allontanamento: aveva una paura fottuta di perdere il suo erede, che il fantomatico assassino fantasma ammazzasse anche me oltre che i suoi collaboratori. Perché in fondo, in un modo malato e perverso, doveva tenerci a me, quel minimo che bastava per fargli desiderare che non morissi ammazzato come uno qualunque. Considerando però, che tutta quell’idea era stata partorita dalla mia mente e che il killer interessato era mio socio, in realtà non correvo assolutamente nessun rischio a rimanere nella capitale. Avevo recitato bene la mia parte, fingendo di oppormi quel tanto che bastava per risultare credibile per poi “sottostare” alla sua decisione, della quale ero più che contento a dire il vero. Lily e mia zia materna MinHee erano le uniche familiari a cui fossi davvero affezionato, forse perché bene o male mi avevano cresciuto loro ed erano state le uniche a mettere un pizzico di amore nella mia infanzia arida e desolata.
Non avrei mai immaginato, chi sarebbe salito sul mio treno alla fermata dopo, tirandosi dietro un piccolo trolley grigio e uno zaino nero abbandonato sulla spalla destra: l’amico di mia cugina che avevo incontrato al campus, Park Chanyeol. Si lasciò cadere con malagrazia sul sedile di fronte al mio, troppo concentrato nell’atto di togliersi gli occhiali e sfregarsi gli occhi stanchi, per notare la mia presenza all’interno dello scompartimento. Solo quando ebbe messo via il suo bagaglio, si rese conto con meraviglia di non essere solo, spalancando quei suoi occhi già innaturalmente grandi, da cucciolo smarrito al ciglio di una strada.
Mi tolsi le cuffie accennando un saluto, come era da persona educata fare, eppure sapevo benissimo che in altre circostanze avrei totalmente ignorato il mio compagno di carrozza fingendo di dormire beato. Ma non in quel caso, non se la persona con cui dividevo quel viaggio era lui; quel ragazzo mi era rimasto piacevolmente impresso sin dal primo momento in cui l’avevo visto, quando avevo fatto quell’infelice battuta sulla sua “buona/non-buona” vista. I capelli piacevolmente scompigliati ricadevano in morbidi ricci castani sulla sua fronte e ai lati del suo viso, mascherando un po’ la sue strane ma simpatiche orecchie. Gli occhiali neri dalla montatura moderna erano tornati al loro posto, schermando i suoi occhi color nocciola con le lenti trasparenti graduate. Park Chanyeol era di certo una persona piacevole da ammirare, con quei suoi tratti delicati e quasi infantili, che pure andavano perfettamente d’accordo con il suo corpo da uomo, alto e ben formato. In quel momento sperai che rispondesse al mio saluto sbiascicato, giusto per godere del suono della sua voce calda e profonda, rassicurante in una parola sola.
-I tuoi capelli ti faranno presta causa, Oh Sehun.- mi avvertì sorridendo, mostrandomi la sua perfetta dentatura da rivista dentistica, dopo aver notato che li avevo di nuovo tinti.
-Tuo padre fa il dentista per caso?- non mi trattenni, pentendomi subito dopo del modo in cui avevo intrapreso la conversazione, essendo ben conscio che avere i genitori non era una cosa così scontata.
-In realtà insegna musica in una scuola, anche se a tempo perso da anche lezioni private di pianoforte.- mi rispose, stendendo davanti a sé le lunghe gambe fasciate in un paio di jeans scuri. –Non ti chiedo cosa fa il tuo perché credo di saperlo, non perché non provi interesse nei tuoi confronti.- mi sorprese sbadigliando.
-Grazie della gentilezza, inventare una scusa ogni volta comincia a diventare ridicolo.- gli confessai, mettendo definitivamente via il mio ipod. –Parti, dove vai di bello?- cambiai argomento subito dopo.
-A trovare i miei prima che cominci la sessione di esami di settembre, non posso permettermi di spendere troppo ultimamente.- mi disse tranquillamente, senza farsi problemi con la sua difficoltà economica.
-Ti va...di parlarmi un po’ della tua famiglia?- gli proposi distogliendo lo sguardo leggermente in imbarazzo.
-E’ una famiglia nella norma, niente di eccezionale, però per me è perfetta, la migliore del mondo.- cominciò poggiando la schiena sul sedile. –Mio padre fa quello che sai e mi ha trasmesso la passione per la musica; mia madre invece è sempre stata il saldo pilastro di casa, la persona a cui tutto ruotava intorno e che sapeva sempre cosa fare; ho anche una sorella maggiore che ha aperto un fioraio, era il suo sogno sin da piccola. Siamo tutti più o meno realizzati, non trovi che sia una cosa rara?- terminò stiracchiandosi.
-Stare fermo non è il tuo forte, vero?- lo presi in giro, cercando di nascondere l’invidia che provavo nei suoi
confronti: avrei ucciso per avere quello che aveva lui, una famiglia felice.
 
   
 
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