Dopo aver visto la penultima puntata,
questi prossimi capitoli saranno una raccolta di momenti mancanti di isaia o di suoi
pensieri.
[fanfic
approvata dal “comitato in difesa delle motivazioni di isaia”
xd]
Gabriel
era appena uscito dalla porta. Aveva appena comunicato all’amico la sua volontà
di abbandonare la chiesa e gli aveva dato la spilla simbolo della congregazione
della verità.
Questa è la tua
più grande vittoria.
Ecco
tutto ciò che era riuscito a dirgli. Isaia era scontento di sé. Non era mai
stato una persona emotiva e l’educazione gesuitica gli aveva ben insegnato a
nascondere le sue emozioni, inoltre quello non era certo stato un addio,
tuttavia Isaia sapeva di essere stato troppo freddo. Sapeva anche che Gabriel
non gliene avrebbe certo fatto una colpa, lo aveva abbracciato, gli aveva detto:
sei un amico, lo sei sempre stato.
Lui, invece, non era riuscito a dire nulla.
Eppure
di cose ne avrebbe volute dire parecchie.
Qui tutto
cambierà, non sarà lo stesso senza di te, questa era la frase che aveva tenuta
serrata tra le proprie labbra, nonostante essa premesse per uscire.
La
verità era che non voleva far capire a Gabriel, quanto quella decisione lo
addolorasse, in ambito personale. Gabriel non era il solo a fra un sacrificio
con quell’atto, anzi, pareva quasi che per lui fosse una liberazione, che fosse
ciò che volesse davvero. Anche Isaia sentiva di stare sacrificando qualcosa d’importante.
Guardava
la spilla che gli aveva consegnato l’amico, la guardava, ma non la vedeva, la
sua mente era da tutt’altra parte, persa in ricordi lunghi più di vent’anni. Si
erano conosciuti alle scuole medie, nel collegio dei gesuiti e lì avevano avuto
un’ottima formazione; dopo alcuni anni avevano deciso di prendere i voti: castità, povertà e obbedienza. Isaia
ricordava ancora perfettamente quella serata: erano all’osservatorio astronomico per una ricerca scolastica,
divertiti e intimoriti allo stesso tempo dal busto in marmo di don Angelo
Secchi che li sorvegliava.
“Gabriel” aveva
esordito Isaia, dopo un lungo tempo passato in silenzio ad annotare coordinate “Uno
dei prossimi giorni, potrei parlare con tuo zio, monsignor Demetrio?”
“Certamente,
perché?” si era stupito Gabriel.
“Vorrei
diventare prete e ho bisogno di essere guidato e consigliato.”
“Prete? Tu? E
perché?”
“E perché no?”
aveva ribattuto Isaia “Sento che è la mia strada, sento che Dio mi chiama e non
desidero far altro che obbedire a Dio, compiere la sua volontà e difendere le
persone dalle insidie del male. Sento che è questo che voglio fare e se non lo
facessi non sarei felice e mi odierei.”
Un lungo
silenzio era rimasto tra i due, poi Gabriel disse: “Sono contento che tu abbia
preso questa decisione. Sai, anch’io ho la vocazione, anch’io so che è questo
che devo diventare per potermi realizzare e che non potrei star bene in nessun
altro ruolo, però ero spaventato. Temevo di essere solo, ora, invece, che so
che ci sarai anche tu, non ho più paura. Tu sei il mio migliore amico e saperti
al mio fianco è un gran sollievo per me.”
Erano
quindi entrati in seminario e contemporaneamente avevano iniziato il loro
percorso all’interno della Compagnia di Gesù, erano ovviamente partiti dal
basso: da Coadiutori Temporali si erano occupati delle mansioni più semplici
come cucinare o pulire, poi Coadiutori Spirituali, per divenire Professi dei
Tre Voti e, infine, Professi dei Quattro voti, aggiungendo ai tre classici
quello di obbedienza al Papa circa le missioni. Tutto questo sempre insieme.
Una
volta approdati nella Congregazione della Verità, avevano iniziato ad
allontanarsi. Isaia aveva seguito il percorso dell’esorcista, Gabriel no;
inoltre le verifiche li portavano spesso in posti diversi e per lungo tempo non
si vedevano. Non aveva importanza, non per Isaia, almeno, che era contento
della certezza di ritrovare sempre l’amico, prima o poi.
Tornò
a vergognarsi moltissimo del tiro mancino delle foto che gli aveva giocato l’anno
prima, ma ancora non era certo di aver agito davvero male. La sua coscienza era
divisa tra la lealtà all’amico o alla Chiesa. Leggermente diverso, invece, era
il conflitto che lo agitava in quel momento. Se fosse stato di carattere
diverso, Isaia forse avrebbe davvero potuto esternare tutto il suo dispiacere a
Gabriel, dirgli che da allora si sarebbe sentito solo e privato di un affetto
importante, in fondo l’unico affetto che manteneva da anni. Non avrebbe saputo
dire perché, ma gli tornarono in mente le letture fatte da ragazzino e pensò
che Sandokan aveva dovuto sentirsi proprio come lui, quando Yanez
aveva deciso di vivere nell’Assam con Surama.
Anche
se fosse stato meno chiuso e introverso, Isaia non avrebbe comunque detto
nulla, si sarebbe tenuto ugualmente tutto dentro, per un motivo ben preciso:
temeva che il suo dispiacere avrebbe potuto far cambiare idea a Gabriel.
Gabriel
doveva uscire dalla Chiesa, per poterla proteggere. Isaia doveva perdere il suo
migliore amico per proteggerla. Questo era il sacrificio che stava compiendo
Isaia.
Il
prete rimase a lungo a osservare la spilletta e a
ricordare una moltitudine di momenti trascorsi con Gabriel, le verifiche
compiute assieme e altro ancora. Tornò presente alla realtà solo quando udì una
campana suonare, allora sospirò, infilò la spilla in tasca e si rimise al
lavoro.
Appena
dopo l’ora di pranzo, durante la pausa concessa a tutti. Isaia era nel proprio
appartamento, era composto da tre stanze, sarebbero dovute essere un salotto,
una cucina e una camera da letto, effettivamente espletavano tali funzioni, ma
parevano collocate in mezzo ad una biblioteca. Accostati alle pareti c’erano vari
scaffali traboccanti di libri di vario genere, volumi antichi e moderni, la
maggior parte era ovviamente in italiano o latino, ma c’era un cospicuo numero
di testi anche in greco antico, ebraico, copto, egizio demiotico.
Sopra
alle finestre c’erano immagini sacre, immagini di Santi; certamente non poteva
mancare un ovale col ritratto di Sant’Ignazio di Loyola,
il fondatore della Compagnia di Gesù, l’ordine a cui apparteneva Isaia; poi
c’era anche Sant’Antonio Abate, che aveva passato gran parte della propria vita
in meditazione e penitenza nel deserto, resistendo alle tentazioni e
provocazioni del demonio; un altro quadretto raffigurava San Ciriaco, altrove
c’era San Benedetto; l’ultima icona era quella di San Michele, il principe
della milizia celeste, che col suo piede schiaccia Lucifero.
La
giornata era stata faticosa, inoltre Isaia era ancora molto affranto per la
decisione di Gabriel di lasciare la Chiesa. Era sinceramente dispiaciuto che il
suo amico, il suo migliore amico, forse il suo unico amico, presto lo avrebbe
abbandonato. Sarebbe rimasto solo. Per quanto nutrisse simpatia o stima per gli
altri confratelli, con nessuno aveva il medesimo rapporto che aveva con
Gabriel: erano cresciuti assieme! Avevano condiviso così tanto …!
Basta!
Non era questo il momento di pensarci. Per quanto la questione lo addolorasse,
doveva accantonarla, almeno per adesso. Aveva rimandato e dimenticato troppo a
lungo il proprio raccoglimento davanti a Dio, ne aveva decisamente bisogno. Per
troppi giorni si era lasciato dominare dalle proprie preoccupazioni, ora era
davvero necessario che accantonasse tutto quanto, che si concedesse qualche ora
di mentre sgombra da ogni pensiero che non fosse Dio, aveva bisogno di pregare
e di meditare.
Meditare
come gli aveva insegnato, più di dieci anni prima, il suo maestro: padre
Samuele Costa.
Andò
in camera da letto, si tolse gli occhiali e li appoggiò sul comodino, poi si
sdraiò sul letto, senza disfarlo, incrociò le mani sotto all’ombelico e chiuse
gli occhi. Innanzitutto, nella sua mente recitò un versetto della lettere ai
Romani: Lo Spirito sovviene alle nostre
debolezze, perché non sappiamo ciò che dobbiamo chiedere in preghiera, come si conviene,
ma lo Spirito stesso intercede per noi con sospiri ineffabili.
Si
lasciò poi andare a un dialogo con Dio, chiese perdono per i propri peccati,
elencando tutte le mancanze che aveva avuto dall’ultima volta che si era
confessato, poi ringraziò per ogni cosa buona che gli era capitata, compresi il
fatto di aver potuto sfamarsi e dissetarsi. Di solito avrebbe invocato l’aiuto
del Signore per sé e per chi si affidava alle sue preghiere, ma quel giorno si
sentiva troppo distante da Dio per permettersi di chiedergli qualcosa.
Prima
di dedicarsi alla meditazione di padre Samuele, decisamente non ortodossa per i
canoni cattolici occidentali, Isaia preferì ripetere una delle meditazioni
presenti negli Esercizi Spirituali di
Sant’Ignazio, testo fondamentale per la direzione spirituale dei Gesuiti.
Quella che gli sembrò più adatta per quel frangente fu quella dei due vessilli:
iniziò a immaginare una vasta pianura
con due città: una brutta, disordinata, sporca, chiassosa; l’altra bella,
ordinata, pulita, silenziosa. La prima è Babilonia; la seconda, Gerusalemme.
Fuori le mura di Babilonia c’è un mostro seduto su un trono fumante; il suo
viso è terrificante, gli occhi fiammeggianti. È Satana che, sotto il suo
stendardo infernale, chiama a raccolta i suoi. Presso le mura di Gerusalemme,
invece, c’è Gesù, bello, ordinato, pulito, che sotto lo stendardo celestiale
chiama anche Lui a raccolta i suoi. Costruì le immagini nella propria mente con
precisione e attenzione, arricchendole con dovizia di dettagli. Infine sentì la
voce di Sant’Ignazio porgli questa terribile domanda: “E tu, sotto quale
stendardo decidi di combattere?”
Decise
che era il momento di passare alla meditazione insegnatagli da Samuele. Le
meditazioni cristiane normalmente si basano sul riflettere circa alcuni passi
biblici, quella dispensata da Samuele invitava a non pensare. Moltissimi
cattolici occidentali avevano deprecato tale tecnica, considerandola una
tradizione pagana a cui i loro confratelli orientali non avevano ancora saputo
rinunciare. Effettivamente padre Samuele aveva elaborato quel tipo di
raccoglimento proprio durante il suo periodo di missionariato
in India. Questa forma di meditazione, però, non sconvolgeva i Gesuiti i quali
già nei loro Esercizi Spirituali
avevano qualcosa di simile: la terza parte della preghiera invitava a
rivolgersi a Dio non più con i pensieri, bensì col cuore per riuscire a
partecipare dell’Amore di Dio, che non è comprensibile per la mente umana.
Ecco,
in questo la meditazione gesuitica e quella di Samuele si rassomigliavano: far
tacere la mente.
L’obbiettivo
ideale sarebbe stato quello di raccogliersi a tal punto di estraniarsi
completamente da sé, pur rimanendo consapevole di quel che accadeva attorno, ma
Isaia non ci era ancora mai riuscito.
Come
prima cosa doveva regolare il respiro, teneva la bocca semi aperta, ma
respirava col naso; inspirava a lungo, senza violenza e l’addome si sollevava,
tratteneva il fiato per qualche secondo e poi lo rilasciava adagio. Lasciava che
il respiro lo attraversasse completamente e, dopo pochi minuti, aveva preso il
ritmo, senza più bisogno di stare attento a regolarlo. A quel punto cominciò la
parte più difficile: smettere di pensare. Era un’operazione complessa, anche
per il semplice fatto che a volte gli veniva da pensare: Sto non pensando?
Riuscì
comunque ad acquietare la mente e nessun pensiero lo andò a turbare. Avvertì allora
una piacevole sensazione di tranquillità, serenità, si sentiva vicino a Dio e
avrebbe voluto poter non uscire più da quello stato. Era molto tempo che non
provava quella sensazione decisamente rigenerante. Alla fine di quella
meditazione, Isaia si sentì fortemente ritemprato e ricordò perché era così
fondamentale dedicarcisi quotidianamente e non
trascurarla. Si rese anche conto che quell’esercizio gli donava energia o,
meglio, risvegliava in lui una forza non fisica. Non era la prima volta che lo
notava, aveva percepito quella forza fin dalle prime pratiche e, chiedendo
delucidazioni a padre Samuele, aveva imparato che quella era la forza che dona
lo Spirito Santo.
Isaia
rimise gli occhiali, si guardò rapidamente allo specchio ed uscì dall’appartamento
piuttosto rapidamente: padre Vargas lo aveva
convocato per le quattro e rischiava di arrivare in ritardo.
“Per
me non c’è compito più grande che difendere la chiesa.” aveva ribadito ancora
una volta Isaia e ci credeva davvero, nulla era più importante per lui che
difendere il bene ed era orgoglioso di poter consacrare la sua vita a questa
missione.
Aveva poi rassicurato Vargas
circa il fatto che Gabriel avrebbe abbandonato la Chiesa, lo aveva già deciso,
quindi la profezia non si sarebbe più potuta avverare. Isaia era convinto che
finalmente quella questione fosse stata risolta, che ora ci si poteva
concentrare solo su Serventi, senza più la minaccia del prescelto. Per un
attimo credette che anche quello sul volto sfregiato
di Vargas fosse un sorriso di sollievo. In un certo
senso lo era, ma molto diverso da quel che lui credeva.
Le
parole che aveva udito dopo lo avevano fatto rabbrividire: Vargas
non voleva Gabriel fuori dalla Chiesa per tutelarla dalla profezia, bensì per
poter essere libero di ucciderlo, cosa che il suo Ordine gli impediva di fare,
finché fosse stato un prete.
Le
persone con facoltà paranormali, nonostante non avessero nulla di demoniaco,
per Vargas e i Templari, dovevano essere eliminati
tutti. Compreso Gabriel.
Isaia
capì di essersi di gran lunga sbagliato. Preso dal primo entusiasmo di un nuovo
e più potente Ordine che proteggeva la Chiesa, si era lasciato coinvolgere e
aveva ascoltato Vargas.
In
quel momento, però, si sentiva tradito e ingannato. Gli avevano detto di volere
Gabriel fuori dalla Chiesa, ma non immaginava certo fosse per poterlo uccidere
e ora che lo aveva scoperto provava una gran rabbia. Avrebbe voluto ringhiare
qualche parola contro Vargas, ma si guardò bene dal
farlo; non poté nascondere il proprio stupore, ma finse di capire.
Di
una cosa era certo: se si fosse tirato indietro, i Templari avrebbero trovato
la maniera di fargliela pagare, pur non potendo ucciderlo direttamente. Stare al
loro gioco gli conveniva e anche per un altro motivo: volevano uccidere
Gabriel, lui era l’unico che lo sapeva e che poteva fare qualcosa per
impedirlo. Non poteva denunciarli alla Congregazione, non sarebbe stato
creduto. Doveva, quindi, fingersi fedele alla causa dei Templari, assecondarli,
essere credibile in questo e, allo stesso tempo, trovare la maniera di
proteggere Gabriel. Se lui si fosse allontanato da loro, quelli avrebbero
potuto agire indisturbati, lui invece poteva cercare di mitigare le situazioni
ed escogitare una soluzione. Inoltre non avrebbe potuto farne parola con
alcuno: la situazione era troppo confusa, la gente troppo ambivalente, per
potersi fidare di qualcuno.
Ora
Isaia era solo, non poteva contare sull’appoggio di nessuno, ma ce l’avrebbe
fatta.
Era
passato qualche giorno, Isaia aveva scoperto che Padre Alonso e una certa
Rebecca, una studentessa di Gabriel, stavano conducendo una ricerca su un
Ordine che contrastava quello di Serventi, aveva cercato di troncare la
questione, ma aveva a che fare con gente ostinata. Era quasi impossibile, ma
temeva potessero risalire all’Ordine Templare e questo non lo poteva permettere:
scoprire la sua esistenza, avrebbe messo tutti e due in pericolo e lui non
poteva permettere che ciò accadesse. Cercò, dunque, di scoraggiare le loro
ricerche, per convincerli a cessarle. Non poteva, però, esimersi dal riferire
le loro attività a padre Vargas. Isaia era certo di
essere sorvegliato: era impossibile che si fidassero ciecamente di lui, che
ancora non era entrato nell’Ordine. Forse lo stesso monsignor Sartori, che lo
aveva indirizzato su quella strada, lo stava osservando. Per mantenere la
copertura e la credibilità, anzi per guadagnarne di maggiore, decise di
riferire di quella ricerca a Vargas.
“Ho
intenzione di sorvegliare e agire, se necessario.”
Questo
aveva detto Isaia, diplomatico ma fedele alla causa: voleva avere la totale
fiducia di Vargas.
Pensò
di averla ottenuta, quando il Templare gli disse che, allora, era necessario
che lui sapesse ciò per cui essi combattevano e quando tirò fuori un grosso
scrigno, dicendo che al suo interno c’era ciò su cui si basava la Chiesa.
Quando
vide il contenuto, Isaia rimase alquanto turbato e si convinse che Vargas gli aveva mostrato ciò non per fiducia, ma in un
certo senso per obbligarlo ad aderire totalmente alla causa. Una simile verità,
non poteva permettere che ci fossero profani vivi, con o senza tonaca. Isaia a
quel punto era ancora più sicuro che sarebbe morto, se avesse osato tirarsi
indietro.
“Bene,
Isaia.” disse Vargas con un sorriso “Sei dunque certo
di volere entrare nell’Ordine del Tempio? Di voler proteggere la Chiesa da ogni
minaccia?”
“Sì.”
rispose il prete, ma quel sì era nettamente meno vigoroso di quello che aveva
pronunciato davanti a Serventi la settimana prima.
“Allora
procediamo con la tua iniziazione.” annunciò con naturalezza l’altro.
“Ora?”
si lasciò sfuggire un tono un po’ troppo sorpreso e forse con un cenno di
insicurezza.
“Qualche
ripensamento?”
“No,
certo che no. Semplicemente mi stupivo che si facesse così, in forma privata e
non dinnanzi agli altri confratelli.” si giustificò Isaia.
“Ci
sarà anche la cerimonia ufficiale, ma mi servi operativo subito, per cui ti
inizieremo ora.”
Vennero
altri due preti nella stanza per cominciare il rituale. Uno di loro aveva
portato dentro una scultura che rappresentava la testa di un uomo barbuto, la
appoggiò sul tavolo.
“Isaia.”
disse Vargas “Inginocchiati davanti al Signore.”
Isaia
si accigliò e, piuttosto che commettere blasfemia, preferì mandare all’aria
tutto ed esclamò scandalizzato: “Ma quello è Bafometto!
Non lo adorerò mai!”
Vargas sorrise e
disse: “Avresti pienamente ragione ad indignarti, se davvero ti avessimo
chiesto di adorare un idolo o, peggio, il demonio, ma questa statua rappresenta
Gesù. I Templari recuperarono la Sacra Sindone e per un secolo la hanno
adorata, esponendola piegata in modo tale che si vedesse solo il capo. Questa testa
che ti abbiamo messo davanti è quella di nostro Signore e non di un falso Dio.”
Isaia
si convinse, non era certo della sincerità di quelle parole, ma effettivamente
non ha importanza l’oggetto che si adora, bensì il significato che gli si
attribuisce, e il prete decise di vedere in quel volto, il volto di Cristo,
quindi si inginocchiò e chinò il capo.
“Padre
Morganti, tu sei un peccatore!” lo accusò uno degli
altri due.
“Sei
un pessimo cristiano, ti sei macchiato mi molti peccati!” aggiunse l’altro.
“Hai
ingannato, hai tradito!”
“Sei
ambizioso e superbo!”
Mille
accuse gli furono rivolte contro, ma lui non proferì verbo: aveva capito che
quello era parte integrante del rituale.
Padre
Vargas prese il crocefisso che c’era sul muro, si
avvicinò all’iniziando, glielo mise davanti al viso e gli disse: “Tu sei un miserabile,
un traditore di Gesù.” e poi ordinò: “Nel tuo cuore, tu sputi sulla croce,
fallo apertamente: sputa! Sputa tre volte sulla croce!”
Isaia
era sconvolto da quella richiesta: quella gente era anche peggio di come gli
era sembrato.
Vedendo
l’esitazione, Vargas intimò ancora: “Sputa tre volte,
ho detto! San Pietro rinnegò il Cristo per ben tre volte, sei forse talmente
superbo da crederti migliore del primo pontefice?”
Isaia
capì il simbolismo e, pur controvoglia, eseguì quel terribile gesto sacrilego.
“Non
temere, oh peccatore!” la voce di Vargas si fece
dolce a quel punto “Noi siamo qui per aiutarti, per sollevarti dalla polvere in
cui giaci. Noi ti mostreremo la strada della verità, ti aiuteremo a ripulire la
tua anima dai tuoi peccati e assieme a noi combatterai per proteggere la Santa
Romana Chiesa.”
Isaia
venne poi fatto alzare in piedi e abbracciato prima da Vargas,
poi dagli altri due Templari.
Quando
uscì dall’edificio, Isaia era sconvolto: quel che aveva visto nello scrigno,
quell’orrida cerimonia …
Salì
in auto, vide una busta appoggiata sul cruscotto. Ricordò allora della verifica
che si era assunto l’incarico di fare. Che stupido! Con tutto quello a cui
aveva da pensare: Templari, Serventi, Gabriel, Alonso, ci mancava solo che
andasse a perdere tempo ed energie anche in una verifica. Avrebbe potuto
rifiutarla, naturalmente, o rimandarla ad un altro giorno, ma qualcosa dentro
di lui gli aveva imposto di scegliere quella e ora lo stava spronando ad andare
subito.
Ma sì –si disse- Forse mi servirà a staccare da tutto questo
e mi rilasserà.
Guardò
l’indirizzo, mise in moto l’automobile e partì.