File 00, Prologue.
“Ricordava il suo nome.”
Ricordava
molto bene la notte in cui lo conobbe e l'intera estate del 2001, la
promozione a Detective Ispettore e quell'umidità che gli
faceva
mancare il respiro ogni notte.
Ricordava la telefonata delle
02.00 e le parole della collega Sally Donovan, ancora semplicissima
poliziotta dai capelli ricci, faccia da schiaffi e voglia apparente
di svolgere il suo turno di notte: “Lo
strambo è stato ricoverato al Royal Marsden qualche minuto
fa, ero
di turno, lo abbiamo trovato in Hyde Park.”
e, Cristo Santo, non aveva mai sopportato sentir chiamare
così il
ragazzo riccioluto che si ritrovava a ficcanasare nei suoi casi
–
molte volte salvandogli il culo –. Il suo nome era Sherlock,
Sherlock Holmes; ed era la persona più intelligente mai
incontrata
finora.
Ricordava la corsa in macchina per raggiungere il
Royal Marsden dalla sua casa di Harrington Road e addirittura la
stupidissima tuta grigia indossata per non entrare in un ospedale in
piena notte in pigiama ed essere scambiato per un
paziente.
Ricordava il ragazzo gentile della reception, al
quale fece vedere il distintivo chiedendo di Sherlock Holmes e la
stanza numero 48, dove era ricoverato al reparto rianimazione e i
pensieri che gli divorarono il cervello: quale stronzata avesse mai
potuto compiere per finire in quel reparto, se qualcuno avesse
avvisato i genitori.
Ricordava la figura maschile dal completo
gessato, elegantissimo e probabilmente anche costosissimo seduta al
fianco sinistro del letto nel quale riposava un giovane Sherlock
stremato dai sedativi e le mille domande, che vennero esaudite non
appena la figura si alzò e si presentò.
Ricordava il suo
nome; sì, perché difficilmente si scorda un nome
così particolare
come quello di Mycroft Holmes, fratello maggiore di Sherlock, ma
così
diverso da lui: poco meno di 185 cm; più in carne, capelli
scuri ma
più tendenti al castano, occhi blu leggermente
più piccoli rispetto
a quelli del minore, niente zigomi pronunciati, ma in compenso aveva
un naso adunco che non gli stava nemmeno poi così male
nell'insieme
del suo viso e una bocca che le due volte arricciatasi a formare un
sorriso, assunse una forma piuttosto inquietante. A differenza di
Sherlock, la sua voce era piuttosto calma, fredda e melliflua.
Così
come il suo portamento, che lo colpì.
Ricordava la parola
"overdose" che gli rimbombava in tutti gli angoli del
cervello, dovendosi sedere sulla stessa sedia occupata da Mycroft
poco prima; per la stanchezza e per lo shock dovuto alla notizia che
un ragazzo di quell'età si trovasse in una stanza del
reparto
rianimazione per un motivo del genere, domandandosi come avesse fatto
a non accorgersi dell'uso di sostanze da parte del
ragazzo.
Ricordava gli occhi del maggiore degli Holmes mentre
studiava i suoi movimenti e il suo modo di parlare. Si
lasciò
studiare come un libro aperto, troppo stanco per dirgli di smetterla;
suo fratello lo faceva spesso e in fin dei conti, era abituato.
Provò
anche lui ma non riuscì a dedurre niente, chiedendosi
soltanto
perché accidenti indossasse un completo così
elegante dentro una
struttura ospedaliera.
Ricordava quando il groppo in gola fu
spazzato via dalle parole che Mycroft pronunciò: «
Non è in
pericolo di vita. » e il sospiro profondo che
lasciò la sua bocca,
seguito da un'imprecazione o due.
Ricordava Mycroft battere il
suo ombrello nero sul il pavimento, sconcertato dalle parole poco
pulite che uscirono dalla bocca del Detective e di come
abbandonò la
stanza con estrema eleganza; e di come rimase a fissare la porta per
alcuni istanti con l'espressione tra lo stupito e l'inquieto per via
della persona appena conosciuta.
Ricordò le poche visite a
Sherlock nei giorni seguenti e di come venne cacciato via in tutti i
modi possibili, perché Sherlock non aveva bisogno di
nessuno; fino a
quando non uscì definitivamente dall'ospedale cominciando a
trovarselo nuovamente sulle sue scene del crimine.
Ricordava
la sensazione di essere sempre osservato quando camminava per strada,
pensando a coincidenze; le telecamere erano sempre state agli angoli
delle strade, ma con la stessa frequenza si chiese che lavoro
svolgesse Mycroft Holmes, che non vide più dopo quella notte
in
ospedale.
Ricordava la berlina scura e la bella ragazza in
nero, qualche primavera più tardi ad attendere qualcuno
all'uscita
di Scotland Yard; scoprendo essere lui quel qualcuno e
rifletté
seriamente su tutti gli sbagli fatti in vita sua, pensando di essere
stato prelevato da qualche banda mafiosa e che lo avrebbero fatto
fuori da lì a poco; strinse le labbra, fino a quando la
ragazza non
gli porse una lettera, seduti fianco a fianco nella spaziosa macchina
nera.
Ricordava il messaggio, ovviamente: “Tieni
d'occhio Sherlock.”
e
la grafia precisa e curata della firma che riportava il nome di
Mycroft Holmes. Nessun recapito; solo quelle parole ed un nome. Chi
mai avrebbe dovuto avvisare, se fosse successo qualcosa? Fissando e
tastando la carta pregiata del biglietto, pensò che avrebbe
dovuto
chiedere qualche spiegazione alla ragazza, e soprattutto
perché alle
18.30 di quel mercoledì sera, si trovò su una
dannata macchina
nera, e non sulla District Line. I continui "bip bip" dei
tasti del telefono della signorina in nero accompagnarono i suoi
già
incasinati pensieri. Optando per infilare la busta in tasca,
salutò
Anthea, che oltre a scrivere sul suo Blackberry riuscì anche
a
presentarsi e andò a prendere la metropolitana.
Per quella sera,
nella sua testa si insinuò solamente quel biglietto, scritto
da
Mycroft.
Ricordava gli anni seguenti, passati nel medesimo
modo. Casa-lavoro.
Lavoro-casa. Fino
a quando non fu lui ad andare da Sherlock a chiedere aiuto per le sue
indagini e fino a quando quest'ultimo non si trasferì al
221b di
Baker Street con un coinquilino: John Watson, biondo; occhi blu
contornati da occhiaie che raccontavano i peggiori momenti passati in
guerra, un naso particolare e una zoppia accompagnata da un
bastone.
Ricordava, tra le tante retate antidroga a sorpresa,
quella in cui trovarono la valigia rosa al 221b e quello che accadde
dopo: la chiamata urgente di Watson; la corsa in macchina della
polizia fino all'Istituto para-universitario Roland-Kerr, il racconto
di Sherlock di un cecchino anonimo e infine una macchina nera, Anthea
e Mycroft, chiedendosi se quest'ultimo si fosse ricordato di
lui.
Ricordava il caso del "Dinamitardo", cominciato
da un'esplosione; il telefono identico a quello del caso di
“Uno
studio in Rosa” contenente un unico messaggio in segreteria:
cinque
“bip” d'avvertimento ed una fotografia. Sherlock
Holmes, perché
sì, il dinamitardo voleva lui, riuscì a risalire
al caso mai
risolto di Carl Powers, risolvendolo, salvando la vita di una donna
rapita ed usata dal Dinamitardo come "voce" per gli indizi;
il secondo caso, presentato con una fotografia di una macchina sul
cellulare rosa ed una chiamata su un cellulare di New Scotland Yard
di una voce "presa in prestito" da un ragazzo. Con un
biglietto da visita di Janus Cars e un campione di sangue del signor
Monkford, Sherlock riuscì a salvare anche la seconda voce
“presa
in prestito”; il terzo, purtroppo, non finì bene.
Con la morte di
Connie Prince, nota presentatrice televisiva, si presentò
anche la
morte della "voce" del Dinamitardo: una donna anziana
cieca, fatta saltare in aria solamente perché aveva iniziato
a
descrivere il suo aguzzino; il quarto si svolse alla Hickman Gallery;
Sherlock riuscì a salvare in extremis un bambino; la "voce"
era proprio quella di un bambino. Non aveva davvero scrupoli
questa... persona; al quinto ed ultimo "gioco", decise di
mostrarsi a Sherlock, usando come l'ultima voce John Watson. James
Moriarty, Jim, l'informatico del Bart's, come aveva voluto far
credere a quasi tutti.
L'ispettore mandò una squadra di
artificieri alla piscina, in modo da disinnescare le bombe piazzate
nella giacca di Watson.
Di quel Consulente Criminale, non si seppe
più nulla.
Ricordava il primo tradimento di Karen con un
direttore di un magazzino, Peter Dave e della loro breve separazione,
in cui tornò a casa dei suoi genitori lasciando
momentaneamente la
sua alla moglie, e del suo perdono, perché era innamorato di
lei
nonostante tutto. Gli piaceva pensare che le cose sarebbero tornate
come all'inizio, di quello che era il loro matrimonio
perfetto.
Ricordava quel Natale passato al 221b di Baker
Street, annunciando ai presenti di essere tornato con la moglie, e il
momento in cui Sherlock gli fece crollare nuovamente il mondo
addosso, dicendogli che questa volta si trattava di un insegnante di
ginnastica. Holmes non si sbagliava. Preferì far finta di
niente,
arrestando direttamente l'insegnante Louis Boyle per molestie
sessuali verso un'alunna minorenne, facendosi un piccolo regalo di
Natale.
Ricordava quella volta a Valencia, tentata
riappacificazione con Karen ed al messaggio sul cellulare privato:
“Baskerville.
Mio fratello è coinvolto in qualcosa. Indaga. MH.”
Il
megalomane risalì anche al suo numero privato, ma tramite
Sherlock,
scoprì finalmente di cosa si occupasse: aveva accesso a
tutto e
questo gli bastò a capire che ricorrere al proprio lavoro fu
perfettamente inutile con Mycroft. Gli tornarono alla mente anche
tutti gli anni in cui si sentiva spesso osservato.
Un piccolo
paese della Gran Bretagna aveva un simpatico mastino assassino, fino
a che non scoprì ciò che stava facendo Sherlock,
lasciandosi
sfuggire che era lì per conto di Mycroft. Non ci fu nessun
mastino
assassino, le persone che avevano avuto a che fare con questa bestia,
erano state esposte ad una sostanza allucinogena che trovatasi nella
nebbia.
Ricordava il periodo seguente molto bene. Come
dimenticarsene? Cominciò con il sistema eluso della Torre di
Londra,
della Banca d'Inghilterra e perfino quello della prigione di
Pentonville. Tutto in un unico, dannatissimo giorno. Il dannatissimo
giorno in cui conobbe di persona James Moriarty, seduto con Gioielli
della Corona addosso si fece arrestare come se nulla fosse; compresi
i processi che vi furono, decretando «James Moriarty, Non
colpevole.».
Ricordava il rapimento dei figli
dell'Ambasciatore degli Stati Uniti dall'Istituto St. Aldates e il
ritrovamento nella fabbrica di Addlestone, di come la bambina
gridò
alla vista di Sherlock e dei dubbi che Philip Anderson e Sally
Donovan avevano su Sherlock. E dei suoi dubbi.
Ricordava le
parole di John in centrale.
Sherlock Holmes era morto, buttandosi
dal tetto del St. Bartholomew's Hospital per salvare lui, John, e la
loro padrona di casa. Necessitò di aria e di una maledetta
sigaretta, se non di una stecca intera; la sua mente si
rifiutò di
credere alle parole dell'amico.
Ricordava il rifiuto di
interrogare John Watson, costatogli l'allontanamento da Scotland Yard
a tempo indeterminato. Sherlock era una delle persone più
importanti
della sua vita, come avrebbe potuto interrogarlo su quella faccenda?
Non avrebbe mai potuto farlo.
Ricordava il feretro, qualche
parola della cerimonia e il cimitero dove li attendeva la tomba in
marmo nero, con intagliato sopra il nome "Sherlock Holmes"
a caratteri dorati.
Fu tutto così surreale... e fece male.
Sherlock si era buttato realmente da quel tetto. Lasciò un
piccolo
mazzo di fiori colorati non appena la bara fu ricoperta di terra e si
allontanò salutando i presenti e John, ricordandogli la sua
presenza
per qualsiasi evenienza. Rimase per diversi minuti in silenzio nella
sua automobile, con solo il rumore del suo battito cardiaco a
rimbombargli nelle orecchie. Girò lievemente il capo verso
il
finestrino sinistro, notando una grande macchina nera dai finestrini
scuri.
Mycroft.
Non si era dimenticato di lui. Ora era solo,
non aveva più il fratello di cui tanto si preoccupava, a cui
chiese
perfino all'Ispettore di tenerlo d'occhio. Si accorse della sua mano
infilata nella tasca del soprabito di quell'orrendo completo nero,
alla ricerca del telefono cellulare; nella memoria, vi era ancora il
messaggio di qualche tempo prima, compreso il suo numero di telefono.
"Cosa credi di fare? Non essere ridicolo, Cristo."
pensò.
Un Holmes, peggio di Sherlock.
A detta degli altri.
Ad
uno come Mycroft Holmes, emozioni di questo genere, non toccavano
nemmeno.
A detta degli altri.
Un Holmes, ma di fatto, umano
anche lui. Posò il telefono nel vano porta oggetti sotto al
cruscotto, mettendo in moto la sua vecchia Peugeot 3008
nera.
Ricordava i giorni seguenti al funerale; la volta in cui
chiuse la telefonata con la moglie, appena arrivata a Berlino per
lavoro. Chiuse gli occhi, fece un respiro e li riaprì,
andando
nell'archivio dei messaggi. Una fitta allo stomaco lo sorprese,
leggendo l'anteprima dell'ultimo messaggio inviatogli da Sherlock e
mandò giù il nodo in gola a fatica, cercando il
messaggio di suo
interesse. Scendendo ancora di un nome o due, trovò
l'interessato.
Rifletté, mentre i suoi polpastrelli componevano una frase
di senso
compiuto, né formale, né informale. “Mi
auguro possa riprendersi in fretta”
Lo
rilesse una, due, tre volte... alla quarta inviò. Conosceva
molto
bene la sensazione di perdere un familiare. Ovviamente, la risposta
non arrivò mai.
Ricordava la chiamata del suo Capo il giorno
seguente e il permesso di rientrare al lavoro; i fascicoli dei casi
irrisolti che non fecero che aumentare in quel periodo, il troppo
lavoro arretrato e le scartoffie con cui si obbligò a
rientrare a
casa; le poche serate al pub con John, il quale non vide sorridere
da... da Sherlock.
E i due anni passati nel medesimo
modo.
Ricordava il giorno in cui Sherlock Holmes ripiombò
nelle vite di tutti e quando gli si presentò davanti,
tamponandosi
il lato sinistro della bocca. John gli diede il "bentornato".
Il Consulente Investigativo gli regalò un tentato sorriso,
cercando
di farselo buono ma l'Ispettore lo guardò soltanto con gli
occhi
sgranati, decidendo quale delle mille emozioni tirare in ballo,
accendendosi una sigaretta coprendolo d'insulti e prendendolo per la
sua sciarpa, ricambiando il sorriso. Che diavolo era successo? Si era
rotto la testa su un cazzo di marciapiede, era dentro una bara.
Sottoterra. Chiese di Mycroft, non pensando nemmeno e non essendo
nemmeno sicuro di essere stato lui a chiederlo. Sherlock lo
guardò
attentamente. Ah, Dio. Gli era mancato essere studiato così.
Rispose
che era stato aiutato da lui in quei due anni. Inarcò
entrambe le
sopracciglia, facendo un'espressione quantomeno sorpresa e decise di
allontanarsi senza nemmeno salutare chi credeva morto fino a poche
ore prima. Si preoccupò, per due fottuti anni, di una
persona che
aiutò a fingere la morte del fratello. "Complimenti, sei il
Detective migliore del mondo." Ci era voluto poco per
riassestare la sua vita con Sherlock felicemente tra i piedi. Fecero
ritorno anche gli ordini del fratello, con qualche parola in
più nel
testo.
E così, Gregory Lestrade ricordava molto bene il
momento esatto in cui Mycroft Holmes entrò prepotentemente
nella sua
vita.
Note:
dunque. Un saluto a chiunque passerà di qua per leggere
questa mia
prima fan fiction ~ È basata su una role di twitter,
iniziata da me
medesima nell'ottobre 2013 (e sta ancora andando avanti tutt'ora). Mi
ci sono affezionata davvero molto a questi due personaggi e man mano
sto imparando a conoscerli e a capirli. Contate che prima non capivo
nemmeno il senso della coppia! Btw, volevo ringraziare in modo
particolare la mia migliore amica Elisabetta, che mi ha spronata a
pubblicare la fan fiction e, ovviamente le altre due bravissime
roleplayers, Gloria ed Elisa (♥), senza le quali tutto
ciò non
sarebbe mai nato. :)
Non mi resta che lasciarvi alla storia,
augurandomi che sia di vostro gradimento!