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Autore: Carooooool    20/02/2014    1 recensioni
Chissà quanti gradi di separazione abbiamo con le persone che ci circondano.
Quante cose condividiamo con la ragazza del bar, il commesso del supermercato, l'autista del bus, la donna che esce dal negozio di Gucci piena di borse.
Forse una vita intera, forse solo uno sguardo, forse nemmeno quello.
Claire, Graham e Vicky sono più vicini di quanto pensino.
Genere: Commedia, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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~ Claire

La spina dorsale riceve una scossa. 'Fottuto pavimento freddo'. 
Dopo essermi infilata nel letto ieri sera mi sono addormentata a fatica, mentre il mio corpo era scosso da tremiti inarrestabili. Questo è davvero troppo, andrò a parlargli più tardi. Nonostante la temperatura esterna sembra essersi abbassata decido di indossare la blusa larga bianca che mi ha regalato mia madre qualche anno fa. Mi piace la sensazione che mi dà sulla pelle la mattina, come un abbraccio delicato. Decido di saltare la colazione come tutti i giorni e, dopo essermi infilata di corsa e distrattamente le scarpe, mi fiondo nella tromba delle scale. La porta del signor Malloy è di un legno scuro, grossa e dall'aria pesante, il che mi mette sempre in soggezione. Con un dito premo il campanello per qualche secondo. Non ho pensato all'ora, men che meno alla possibilità che l'anziano stia ancora dormendo. Forse avrei dovuto prestare un po' più di attenzione, infondo avrei potuto parlargliene anche più tardi. I sensi di colpa e le titubanze mi inondano, lasciando il dito incerto vicino al pulsante dorato. Attendo, ma non sento nessun rumore provenire dall'interno. Tutto ciò mi porta ad un moto di dolcezza, e immagino il povero signore anziano che si alza dolorosamente, che arranca fino alla porta d'ingresso. E se invece fosse arrabbiato e non volesse sentire le mie lamentele? E se mi minacciasse di sfratto? Non ho ancora nessuna risposta e comincio a sentirmi stupida lì impalata di fronte alla porta. Avrei riprovato poco dopo. 
Quando faccio per risalire, sento la porta muoversi e aprirsi molto lentamente. Il signor Malloy si affaccia, perfettamente vestito, sbarbato e con la pipa in bocca. Mi guarda con sufficienza, e la sua espressione mi fa capire che la mia visita è decisamente indesiderata. Tutti i pensieri dolci di prima si riavvolgono come una cassetta guasta. Era già sveglio, quel bastardo.
- Ehm, salve signor Malloy. - accenno, mentre mi sfrego le mani nervosamente.
L'uomo mi fissa in attesa di una spiegazione.
- Volevo solo avvertirla che ho notato che...- continuo incerta. Ecco, sempre così. Leone prima e coniglio dopo, quando mi blocco come ora. Inspiro profondamente.
- Ho notato che dalle ore sette, il riscaldamento e l'acqua calda si spengono, e io avrei davvero bisogno di un bel bagno caldo, ma mi risulta impossibile farlo.- dico tutto d'un fiato.
L'uomo si accarezza i baffi e si aggiusta gli occhiali.
-Oh, sì sì lo so.- risponde. -Alle sette io vado a dormire, e non posso tenere la caldaia accesa tutta la notte. - Spiega impassibile. Lo guardo, come se mi stesse tirando scema.
- Ho capito signore, ma io vorrei lavarmi con acqua calda. - insisto.
Alza le sopracciglia e muove il naso. L'impassibilità di questo uomo comincia a infastidirmi.
- E lo faccia.- dice. Mi trattengo dal roteare gli occhi. 
- No, non so se ha capito, ma io torno a casa per le sette, e se a quell'ora lei mi toglie l'acqua calda, io non posso lavarmi. Le sto chiedendo di lasciarla accesa ancora un'ora prima di chiudere il tutto. - spiego come se stessi parlando ad un bambino.
Dall'interno il telefono suona. Lui si volta lievemente ma lo ignora, e prende a fissarmi, di nuovo.
- E torni a casa prima, no? - dice in tono leggermente canzonatorio. Sì, mi sta proprio prendendo in giro . Il suono assordante e ripetitivo del telefono mi irrita sempre di più.
- Mi scusi bene, ma io le pago l'affitto tutti i mesi in anticipo. Le sto chiedendo dell'acqua calda, Cristo!- dico esasperata. 
Si volta di nuovo verso l'interno con il suo tipico fare da tartaruga.
- Mi scusi lei, sa, il telefono suona, devo rispondere - conclude, chiudendomi la porta in faccia. 'Fanculo', impreco nella mia testa. Come se non ci fossi neanche stata. La rabbia si accumula nelle mie mani come la sera prima. Arrabbiata, con lui e con me, che non mi mostro mai decisa, che mi lascio mettere i piedi in testa e poi me la prendo. Perché non mi merito questo trattamento, non con i soldi che gli dò ogni mese. Risalgo rumorosamente le scale, infilo la giacca e prendo la borsa. Devo correre a lezione, e non posso fare tardi. 

Scendo velocemente le scale della metropolitana. Sono leggermente in anticipo, e vedo altra gente che si avvicina alla fermata. Mi sposto di fianco alla parete, schiacciata dai soliti turisti. Una città caotica come New York non è affatto adatta a una persona come me, che preferisce starsene nella calma. Sopra la mia spalla vedo svolazzare un piccolo volantino con delle frange di carta attaccate sotto. La scritta 'Cerco Appartamento' cattura la mia attenzione, e pur di non stare faccia a faccia con la schiena sudata di un signore sovrappeso, decido di girarmi e leggere cosa dice. Il tutto è scritto con una calligrafia grossa e tondeggiante, a semplice biro nera. È di una ragazza che cerca un appartamento da dividere con un coinquilino, e che per maggiori informazioni posso chiamare il numero scritto sotto. La parte finale del foglio è tagliata in frange, e su ognuna è appuntato il contatto. Fisso i foglietti per alcuni secondi. Non avevo mai pensato ad un inquilino, mi avrebbe aiutato molto. Potrei spostare tutti i miei attrezzi nella camera di sviluppo, e aggiungere un divano letto. In ogni caso, l'appartamento è tanto grande quanto costoso, ed è nato come bilocale. Avevo tanto insistito per avere un posto spazioso tutto mio per il laboratorio di fotografia, ma le mie necessità sono cambiate e posso rinunciare ad una stanza e a un po' di intimità.
Sento il rumore della metro in arrivo, e l'aria spostata dal mezzo fa svolazzare le frange di carta. Senza pensarci due volte ne afferro una prima di essere spinta verso l'entrata. Mentre entro nel posto angusto schiacciata da tantissime persone, mi soffermo a fissare il piccolo foglietto tenendolo tra le dita. In ogni caso, se con lei non avesse funzionato, sarei subito corsa alla ricerca di un nuovo coinquilino. 

Il rumore dei passi sul marmo della biblioteca riecheggia in tutto il salone. Sono rilassati, abbastanza distanti, qualcuno con gambe molto lunghe. Il suono si fa sempre più vicino, e mi ricompongo, tirandomi su a schiena dritta dalla sedia con le rotelle. 
Velocemente elimino i pacchetti di cracker dalla scrivania e sistemo il disordine dei fogli da sopra il bancone. Senza farlo apposta me li rovescio maldestramente addosso, provocando un fruscio terribile. Mi piego a carponi per raccoglierli, quando i passi si fanno sempre più vicini. 
-Serve una mano?- chiede una famigliare voce maschile. Sento il mio viso avvampare al pensiero che gli sto mostrando il mio fondoschiena da sotto la scrivania. Ci penso su due volte prima di girarmi, e decido che per evitare ulteriori figuracce sarebbe meglio non mostrargli anche le mie gote color pomodoro. 
-Nono, si figuri! Sono parecchio maldestra, lasci fare a me!- mi affretto a rispondere. 
Faccio per allungare un braccio e aggrapparmi alla scrivania quando mi trovo bloccata con la testa tra la sedia e il ripiano. Una risatina sommessa proviene dal tizio che sta dietro al bancone, il che non mi aiuta affatto e mi mette ancora più in imbarazzo. La mia mente si riempie di un mare di imprecazioni, che per fortuna non raggiungono la bocca. 
-Avrei bisogno della toilette- spiega - quella del Conservatorio è guasta. 
Il suo tono di voce lascia trapelare un sorriso divertito. Respiro profondamente.
-Infondo sulla sinistra- dico.
- È davvero sicura che non le serve una mano? -chiede di nuovo.
- Sicurissima, grazie comunque.- Santo Cielo, non può semplicemente andarsene!? Finalmente sento i suoi passi allontanarsi in direzione del bagno. Quando acciuffo l'ultimo foglio, riesco ad alzarmi. Il desktop riflette il mio viso rosso incorniciato da un ammasso di capelli biondi. 
Mi sistemo velocemente pettinandoli nella solita coda disordinata e riprendo a respirare regolarmente. Dò un'occhiata ai miei skinny aderenti neri a vita alta. Sono terribilmente trasparenti quando sono tesi, e non oso immaginare l'espressione del ragazzo quando avrà notato le mutandine colorate. Affondo la faccia nelle mani con tanta violenza che mi levo la crosticina sotto l'occhio. Una piccola goccia di sangue riprende a scorrere lenta e calda lungo la guancia. La blocco con un fazzoletto appena leccato, per cicatrizzare. Le imprecazioni nella mia testa cominciano a confluire una ad una verso la mia lingua, che le lascia uscire in un leggero sibilo.
Perfetto, un'altra giornata di merda.

Sembra così piccina nascosta tra il palo e il signore alto che le sta di fianco. Digita insistentemente con le dita sottili sullo schermo del suo tablet. La sua espressione dietro agli spessi occhiali rotondi mostra tutta la concentrazione che sta mettendo in quello che fa. I piccoli occhi a mandorla si fanno ancora più sottili e le sopracciglia nere si corrucciano quando ferma le sue dita e resta in attesa. Un grande sorriso si apre sul volto della ragazza asiatica, e la sua pelle si illumina della luce dello schermo. Saluta calorosamente una sua cara amica, da quello che posso capire. Sembra così entusiasta. Probabilmente sta facendo una specie di videochiamata, nonostante in metro sia praticamente impossibile utilizzare la rete. Non posso sentire cosa la sua amica le stia dicendo, ma lei risponde con tono felice e sembra che non veda l'ora di vederla. Poi il suo viso si rabbuia, e poco dopo riprende a smanettare sul tuch screen dell'oggetto. La connessione si è interrotta. Aspetta un paio di attimi, ma infine rinuncia, scrollando le spalle.
Sul suo viso resta però la sensazione di felicità per aver trovato qualcuno che la completi; di sentirsi a casa già solo dopo aver parlato con un'amica cara, di sapere che la stessa cosa vale anche per lei. Vedo annidarsi le sue emozioni sulle labbra tese, sulle fossette, sulle palpebre chiuse. 
Non è strano che mi metta a fissare le persone sulla metropolitana. Mi immedesimo in loro, nella loro vita. Rubo pezzi di anima negli occhi dei passanti, mi innamoro di un'occhiata, di un battito di ciglia; vivo grandi dolori nei sospiri, gioisco in una risata, provo sollievo o malinconia in un sorriso mesto. 
Questa volta però è diverso, nonostante la grande felicità della ragazza cinese seduta di fronte a me, provo un senso di solitudine assoluta.
Io non ho una persona sicura, con cui mi sento a casa. Non ho una persona-rifugio, nessuna prima scelta, nessuno che sceglierebbe me per prima.
E poi arriva, come una cannonata al cuore. Io sono sola. 
Il mio sguardo scende abbattuto sulla tasca della mia giacca. Fuoriesce un piccolo angolo di carta bianco. Lo afferro distrattamente e lo faccio roteare tra le dita. Il senso di solitudine continua ad investirmi a grosse ondate, come un mare in tempesta. Non potrei proprio tornare a casa ora, sapendo che non ho nessuno che mi aspetta. 'Indipendente', penso, ricordandomi cosa continuavo a ripetere quando avevo deciso di vivere per conto mio. Ma chi voglio prendere in giro, su. Io sono fottutamente sola, porca vacca.
Metto a fuoco le mie mani, cercando di mandare giù il magone che mi cresce in gola. Il biglietto con cui giocherello si tratta del numero di telefono che ho staccato stamattina dalla metro, quello della ragazza che si offriva come inquilina. 
Come una piccola barca in mezzo ad una mareggiata, sento nascere in me un senso di speranza. Devo trovare qualcuno che funga da rifugio, che magari non sarà lei, ma almeno devo provarci. 


"Sta squillando" penso, mentre sento il famigliare 'tu-tu' del telefono. Sono immersa nella mia vasca di acqua tiepida, e aspetto trepidante che la ragazza senta la suoneria.
-Pronto? - una voce risponde. È squillante e in attesa, come me.
-Sì pronto, salve, è lei la ragazza che si offre come coinquilina?- chiedo dopo essermi schiarita la gola.
- Sì sì, sono io! - sento la speranza nel suo tono.
- Sono Claire Williams, e volevo parlarle a proposito della sua richiesta. Ho trovato un volantino stamattina, e così ho deciso di chiamarla - 
- Io sono Sunny Jackson, la ringrazio davvero tantissimo. Sarebbe disposta ad incontrarmi? Magari per un caffè e parlare con più calma, che ne dice?
- Dico che sarebbe davvero magnifico, miss Jackson. Cosa ne pensa di giovedì?- propongo. Avrei tranquillamente detto a Judith che avevo un impegno importantissimo a cui non potevo proprio rinunciare.
-Perfetto. Le va in centro, magari nel primo pomeriggio? La chiamo io poi domattina, dandole tutti i dettagli.- la sua voce è un po' tremante, e non riesco a sentirla benissimo.
-Sì, certo. Grazie mille, a domani!- saluto.
-Si figuri, grazie a lei. A domani! 
Riattacco. 
Appoggio il cellulare sul mobiletto di fianco alla vasca, e affondo dolcemente nella schiuma. 
Quando ero arrivata qui a New York due anni fa, mi sentivo con il mondo in mano. Non avevo frequentato tutto il college, dopo il secondo anno avevo mollato. I miei erano abbastanza seccati, in quanto ero sempre stata un'alunna modello. Non so come, qualcosa era scoccato in me e mi ero semplicemente ritirata. Avevo scelto giornalismo, ma ogni qual volta che potevo inforcavo la macchina fotografica e mi abbandonavo a quella meraviglia. L'università era quello che chiunque si sarebbe aspettato da me, la tipica ragazza che prendeva sempre A, ma non io. Mia madre capì, ma non fu lo stesso per mio padre, che mandò giù la cosa come una pillola amara. Le nostre disponibilità economiche non erano cattive, anzi, potevamo ritenerci abbastanza agiati. Figlia di avvocato e businessman, non potevo affatto lamentarmi.  Una volta deciso di trasferirmi qui, potevo sentirmi finalmente 'indipendente'; fuori dai voleri dei miei genitori, fuori dall'essere la studentessa modello che mi era sempre stato imposto. Avevo diversi soldi messi da parte, e così ho cominciato un corso di fotografia, seguendo finalmente la mia passione e impegnandomi al massimo per ottenere risultati eccellenti. Ha fruttato parecchio, in quanto ultimamente venda sempre più book fotografici, e ho alcuni clienti che mi cercano spesso. Per un po' ho lavorato anche come free lance. Ogni tanto vendo ancora qualche articolo, ma ultimamente sempre meno. Beh, poi c'è la biblioteca, che mi aiuta ad arrotondare a fine mese. 
 In ogni caso, mi sentirei davvero uno schifo a dover ricorrere all'aiuto dei miei genitori. 'Hai voluto la bicicletta, ora pedala!' continua a urlarmi nelle orecchie una vocina insistente ogni volta che ci penso. Non ho completato gli studi e quindi è giusto che metta tutto il mio impegno nel rendermi autosufficiente. 
L'appartamento in cui sto in affitto è molto bello; cinque stanze, due camere da letto, nonostante una sia una specie di mio studio, un salone con cucina molto spazioso, il bagno e una piccola stanza in cui preparo i miei book. Non costa molto, i mobili sono tutti miei, compresa la cucina e l'arredamento del bagno. 
È una piccola bolla felice nel caos della città. È molto luminoso, dà un senso di tranquillità in grado di sciogliere i nervi, ma anche di solitudine. 
Ripenso alla voce radiosa di Sunny, che sembrava esplodere di felicità. Era tremante, quasi grata. Tra qualche giorno non sarò più sola.
Muovo l'acqua saponosa attorno a me, mi ci immergo completamente. Espiro pian piano, lasciando che le bolle d'aria ne formino altre di schiuma. 
Chiudo gli occhi e mi cullo dolcemente.
  
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