Riflessioni
e ricordi
(perché in ogni società, qualcosa non va!)
Genio si guardò
intorno, allungò la mano verso il fratello
minore, Genietto e insieme cominciarono a volare verso la scuola.
Genietto era molto
agitato; era il grande giorno, per la prima volta vedrà
altri piccoli geni della
sua età e imparerà a controllare i suoi poteri.
“Stai
tranquillo, fratellino.” Disse Genio, cercando di
tranquillizzare il minore. “Andrà tutto bene,
vedrai che i tuoi compagni ti
adoreranno!” cercò di sdrammatizzare, facendo
nascere l’ombra di un sorriso sul
volto di Genietto.
Se lo ricordava bene il
suo primo giorno all’Accademia
Orientale dell’Infanzia per Geni, era molto nervoso e sua
madre non aveva
potuto accompagnarlo, perché Genietto era nato da poco, il
padre lavora vicino
ad Agrabrah da quasi due anni e lui si era ritrovato solo e spaventato,
davanti
a quel gigantesco edificio blu, dove avrebbe passato sette anni della
sua
eterna vita. I primi minuti erano stati spaventosamente lunghi, dieci
insegnanti si erano alternati per spiegare le materie che avrebbero
insegnato e
i corsi extra che i piccoli allievi potevano seguire. Genio si era
sentito
spaesato e solo, fino a che un suo futuro compagno non si era
avvicinato,
presentandosi come “Genie” e dicendo di venire
dalla Francia, aveva un accento
buffo e un cappello strano in testa, ma a Genio era stato da subito
simpatico.
Aveva scoperto poco dopo
che lui e Genie sarebbero stati
nella stessa classe, era stato entusiasta della notizia. Da quel
momento in
poi, il primo giorno e le seguenti giornate erano state delle
divertenti
esperienze all’insegna dell’apprendimento: quella
scuola era fantastica e Genio
aveva imparato a padroneggiare i suoi poteri in poco tempo. Invidiava
Genie, poiché
sapeva volare molto meglio di lui; in cambio era diventato un maestro
nel far
comparire oggetti dal nulla e il più veloce
“realizza-desideri” di tutta la sua
classe.
Poteva capire la paura del
suo fratellino, ma era sicuro che
si sarebbe trovato bene in quella scuola, in più se avesse
avuto bisogno di un
aiuto o di un suggerimento, lui ci sarebbe sempre stato.
Arrivarono
all’AOIG e Genio dovette sentire, per la seconda
volta, tutta la solfa sulle materie, sui corsi e sulla
straordinarietà della
scuola. Alla fine del discorso, ogni insegnante chiamò uno a
uno gli alunni
della sua classe.
Quando fu il turno di
Genietto, questi si attaccò ai
pantaloni del fratello maggiore, sperando che lo riportasse a casa.
“Ehi…
io ce l’ho fatta… Sarà così
anche per te, rendimi
fiero!” disse, guardandolo negli occhi neri il più
piccolo, che annuì.
Guardò
sfrecciare la piccola figura rossa, verso il maestro
Genietico, un genio di mezza età di colore giallo con una
folta barba
arancione, che gli sorrise e gli indicò la fila di cinque
bambini al suo
fianco: ce ne era lilla, uno verde, uno bianco, uno viola e uno color
senape.
Genio vide suo fratello
seguire il maestro per il corridoio
e sospirò.
Quanto
mi piacerebbe
poter ritornare in questa scuola, frequentare ancora le lezioni insieme
a Genie…
ridere, scherzare e fare i compiti con lui…
pensò, leggermente, giù di
tono. Quell’anno aveva cominciato il primo anno
all’Istituto Superiore per
Geni, all’ultimo anno gli avrebbero conferito il diploma di
“Genio al lavoro” e
gli avrebbero assegnato il suo oggetto.
Non pensava già
all’ultimo anno, sarebbe stato inutile, ne
aveva ancora sei davanti e temeva di non riuscire a farcela senza
Genie, che
era dovuto tornare in Francia, poiché suo padre era stato
richiamato alla Sede
Centrale. Non aveva paura di non farsi dei nuovi amici, anzi si era
già creato
una bella combriccola nella Prima G, grazie ai suoi modi scherzosi e
alla sua
naturalezza; sapeva che non sarebbe stato lo stesso senza Genie e si
chiedeva quando
e se lo avrebbe rivisto.
Scosse la testa,
sorridendo mesto e uscendo dalla scuola del
fratellino. Vide una “nuvola-navetta” che gli
passava di fianco e decise di
prenderla per andare a casa, tirò fuori il biglietto e lo
fece vedere al
conducente, poi si sedette vicino agli altri geni.
Il giorno dopo, sarebbe
dovuto andare a scuola e aveva un’interrogazione
sulla Storia dei Geni Antichi; non aveva tempo da perdere con inutili
paturnie
mentali. Nel caso in cui Genie non fosse tornato prima,
l’avrebbe cercato lui,
una volta preso il diploma! Si batté una mano in fronte,
dandosi del cretino da
solo, sarebbe stato rinchiuso in un oggetto e avrebbe dovuto ubbidire
agli
ordini di un padrone, altro che cercava il suo amichetto
d’infanzia.
Sbuffò. Forse un
giorno troverò qualcuno che sarà disposto a usare
uno dei suoi desideri per
concedermi la libertà… che idiozia, chi userebbe
i miei stessi poteri per me!
Si passò una
mano sul mento, pensieroso e poi rimase a bocca
aperta per la sua stessa conclusione.
Siamo
più liberi da
bambini e da adolescenti che da adulti! Non è giusto, non ha
senso… perché dobbiamo
imparare a essere degli schiavi?
Sapeva che quella domanda
non avrebbe mai avuto risposta,
che non avrebbe potuto porgerla a nessuno: così era
costituita la società dei
geni e così sarebbe rimasta per sempre, non sarebbe bastato
un giovane genio sognatore
a cambiare secoli e secoli di tradizione, di schiavitù quasi
volontaria.