Faceva freddo, il vento ululava di una forza brutale e ridondante, non c’era tenda o riparo che potesse resistere all’evento atmosferico che possiede, senz’altro una decisione degna della più cocciuta delle principesse.
Come la sua.
Ma che non sarebbe mai stata davvero sua.
Era solo un’amicizia, una di quelle sincere unite in intrecci difficoltosi di nodi che aveva reso loro due complici di una ricerca forsennata prima, poi, dopo la notizia.
Dopo quelle parole.
“Aspetto un bambino”
Più nulla.
Le si erano sgretolate in bocca le parole come un mosaico infranto, doveva dirle molte cose dal suo ritorno ma non ce l’aveva fatta.
Era rimasta muta.
E aveva pianto - di spalle - , poco dopo come un riflesso incondizionato del corpo.
E sono solo piccole parti quelle che si polverizzano in lei perché sarebbe facile, davvero troppo facile, se lei potesse dimenticare tutto.
I suoi occhi, azzurri.
Il suo sorriso, accogliente.
I suoi capelli, cascate chiare e morbide. 
Il suono delle sue parole, la sua voce.
E quanto le faceva male in un punto definito del petto, all’altezza del cuore, dell’organo debole di una guerriera coraggiosa.
Quanto faceva male solo lei lo poteva davvero sapere, ma era come una scheggia che si conficcava sempre più in profondità ad ogni giorno.
Ogni giorno faceva sempre più freddo, nonostante l’inverno stesse ormai finendo.
Mulan! Mulan, svegliati!
Quella era la voce che ogni mattina , quasi disperata , la chiamava.
Lei era in un altro incubo quando apriva gli occhi ed osservava il volto di Robin Hood, nell’incubo di una giornata senza Aurora.
Perché nei sogni, nei suoi movimenti sconclusionati del sonno.
Nei suoi sogni Aurora e Mulan si tenevano per mano e sempre nei suoi sogni entrambe loro erano innamorate l’una dell’altra.
Ma la realtà.
La realtà è tutta un’altra storia.
La realtà era la guerra della ragione e il sogno, il sentimento dell’anima.