Videogiochi > Final Fantasy X
Segui la storia  |       
Autore: Mischa_Lecter    04/03/2014    0 recensioni
Nella speranza che nessuno di voi lettori reputi la mia idea una bestemmia, ho deciso di trascrive la storia di Final Fantasy X in un romanzo così da poter allietare anche chi non ha avuto il piacere di giocarci.
Genere: Avventura, Fantasy, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Tidus, Yuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Sentii una voce maschile chiamarmi. Mio padre?
Mi ritrovai a fluttuare sopra i tetti ancora integri e luminosi di Zanarkand.
Nuotai, per così dire, fino ad una terrazza circolare che dava su tutta la città e mi accorsi che in piedi c'era qualcuno, un bambino con i capelli biondi e gli occhi azzurri. Mi avvicinai a lui e rimasi per un po' ad osservarlo in silenzio senza che però si accorgesse di me.
Dov'ero? Cos'era successo? La testa mi girava.
Sognai, sognai d'esser solo. Sentivo il bisogno di avere qualcuno accanto che non mi facesse più provare quella brutta sensazione, poi lentamente mi destai.
Attorno a me il cielo era cupo e lampeggiante, una leggera nebbiolina rendeva la visuale offuscata e l'aria umida e fredda mi scuoteva la pelle di brividi. Giacevo su uno scoglio circondato dall'acqua con il corpo immerso fino al busto e uno strano pennuto mi osservava con insistenza.
“C'è nessuno?” La mia voce riecheggiò tutt'attorno. “Auron?” Silenzio. “EHII!” Urlai ancora con tutto il fiato che avessi in gola spaventando lo strano uccello che volò via nel cielo plumbeo.
Rassegnato decisi quindi di esplorare il luogo in cui ero capitato così, forse, da ritrovarne la strada di casa. Lasciai lo scoglio e iniziai a muovermi nell'acqua scura; attorno a me si ergevano strane costruzioni diroccate, colonnati e resti di templi con tutta l'aria d'esser stati abbandonati lì da diverso tempo.
Continuai la mia perlustrazione approdando su un piccolo isolotto roccioso che un tempo doveva ospitare una delle vecchie costruzioni perchè mostrava ancora i resti di quattro possenti pilastri di pianta quadrata. Uscii dall'acqua poggiando il piede sopra il primo scalino ancora immerso sotto il livello del mare e poi sul pavimento piastrellato corroso dagli anni e dal muschio.
Girai attorno ai quattro monoliti dalla superficie ancora liscia scrutando il primo crollato sotto il suo stesso peso e, inseguito, tutti gli altri fino all'ultimo.
Lì il mio occhio venne attirato da una flebile luce azzurra che si irradiava a forma circolare sulla pietra. Con prudenza mi avvicinai e tastai il bassorilievo luminescente seguendo le piccole intagliature scavate nel minerale che recitavano così:

Tuja e mysbe lytuhu casbna taje nalynde yccumidysahda. Y Macalania ma cbymma taje tyna a my xiyndy dunna lanlyna. Ca ymmuny lunykkeu yjnye, ym mydu tacdnu kiyntanye.

Doveva essere qualche lingua locale perchè l'agglomerato di lettere non aveva alcun senso in quella che conoscevo io.
Decisi dunque di lasciare quell'isola e continuare la mia ricerca, così scesi nuovamente gli scalini e mi rituffai.
Nuotai fino a che difronte a me comparve un secondo isolotto questa volta molto più grosso del precedente. La rampa di scale era amplia e presentava un numero maggiore di scalini che si dirigevano verso un arco a tutto sesto a guardia dell'entrata circondata da righe di colonne spezzate.
Salii gli scalini e oltrepassai il possente arco imboccando il sentiero piastrellato che si stendeva fra l'acqua salata e giungendo davanti ad un piccolo ponte dall'aria tutt'altro che stabile. Poco convinto rimuginai sul da farsi e, giunto alla conclusione che se anche fossi caduto in acqua non mi sarei ammazzo, decisi di attraversarlo. Ad ogni mio passo sentivo la roccia cedere e tuffarsi nelle acque che attendevano pazienti sotto i miei piedi. Camminai un altro po' svoltando ad un bivio ritrovandomi in una strada senza uscita.
Fantastico, ed ora che faccio? Mi chiesi incrociando le braccia al petto e alzando un sopracciglio. Come in risposta alla mia domanda il pavimento iniziò a sgretolarsi, feci appena in tempo a vedere con la coda dell'occhio delle bolle risalire dall'abisso prima di caderci dentro.
In meno di un secondo mi ritrovai a sguazzare sul fondale torbido tra alghe, sabbia e altre antiche rovine. Non ebbi nemmeno il tempo di apprezzarne la bellezza perchè, in men che non si dica, tre esseri dalla forma di pesci troppo cresciuti dall'aria decisamente minacciosa sbucarono fuori dalle tenebre balzando sulla superficie.
La pelle squamata del corpo snello sfumava dal verde scuro al chiaro, mentre le enormi pinne a ventaglio munite di aculei pungenti alle estremità, andavano dal giallo al rosso, ma furono i denti affilati che mirarono al mio stomaco a convincermi che era arrivato il momento di estrarre nuovamente la spada. Senza pensarci troppo mi lanciai verso uno dei tre Sahajin, era questo il loro nome e, con un colpo secco, lo spedii al creatore meritandomi un trattamento simile dal suo compagno che però non tardò a fare la stessa fine del precedente.
Ne era rimasto solo uno. Ci scrutammo senza muovere un muscolo, lui sbuffando dalle branchie ed io tenendo saldamente il manico della mia arma attendendo un suo passo falso; poi un'esplosione ci colse di sorpresa abbattendo buona parte dei reperti che mi attorniavano.
Rimasi lì in apnea con la spada ancora sguainata quando una grossa bocca agguantò l'ultimo Sahajin inghiottendolo in una nube di sangue a pochi metri da me.
Deglutii sonoramente mentre “quella cosa” dotata di uno stomaco che ricordava una gabbia circolare fatta di ossa, mi sfrecciava davanti con i suoi, almeno, dieci metri di lunghezza.
Mi bastò una semplice occhiata per capire che era alquanto improbabile abbattere un mostro di quella portata, così feci appello a tutte le mie doti di Blitzer e sgambettai fino al margine dell'acqua. Inalai una grossa quantità d'ossigeno ma il mostro dietro di me guadagnava terreno ed io dovevo trovare una rapida via d'uscita da quella situazione. Avvistai uno stretto tunnel nel muraglione di fronte a me ed ebbi l'idea. Mi fiondai verso di esso, ormai mancava poco ed il mostro mi era alle calcagna tanto da poterne percepire il respiro fetido dietro la schiena. Spalancò la grossa bocca per inghiottirmi ma in quell'attimo riuscii ad infilarmi nel tunnel salvandomi per il rotto della cuffia.
Buio.
L'entrata era crollata sotto la forza prorompente del mostro assetato di sangue ed io, ora, ero bloccato dentro quella sottospecie di grotta dalle pareti decorate.
Il freddo era pungente e le infiltrazioni gocciolavano dai muri precipitando sul pavimento già abbastanza umido. Dalla padella alla...ghiacciaia! Pensai. Mi serviva qualcosa per scaldarmi e non potevo certo fare affidamento sui miei vestiti che consistevano in una corta giacca gialla smanicata dal petto scoperto, una salopette nera e guanti di pelle, la mia divisa da Blitzball.
Mi guardai attorno notando una scalinata che conduceva in una spaziosa sala circolare dagli alti muri che ospitavano tre piani terrazzati. All'ultimo, da una grossa voragine che segnava come una ferita aperta la facciata, sgorgava una cascata che si rigettava sul pavimento lucido della sala stessa.
Camminai fino al punto più centrale notando vecchi pezzi di legno bruciato segno di un recente focolare, qualcuno doveva esser stato lì. Decisi dunque che la soluzione migliore era quella di sfruttare quelle braci per accendere un nuovo fuoco, ma sembrava un enorme problema trovare qualcosa di abbastanza asciutto da ardere. La prima cosa a cui feci appello furono dei vasi sparsi in giro, ma in ognuno di essi i fiori secchi che contenevano galleggiavano in una pozza stagnante. Iniziai allora a setacciare ogni centimetro di quel posto così umido e misterioso scoprendo una porta dietro un ammasso di macerie che conduceva ad un corridoio angusto e buio. Spinsi il pesante portale decorato incontrando nuovamente una rampa di scale che saliva ai piani superiori, la percorsi scavalcando pezzi di soffitto franato sui gradini e colonne spezzate fino ad arrivare alla terrazza del primo piano. Lì, sulla destra, vidi un piccolo vaso incastonato nel muro da dove miracolosamente usciva un mazzo di fiori secchi ancora in buone condizioni. Li afferrai con avidità e proseguii il cammino curiosando la balconata che si affacciava nella sala della cascata.
Ad ogni passo, il mio respiro caldo a contatto con l'aria fredda creava piccoli sbuffi di vapore. Mi precipitai giù dalla rampa rischiando più volte di scivolare e, con quel misero mazzolino di fiori secchi aggiunto ai resti di legna bruciata, riuscii a dare vita ad una flebile fiamma che ben presto si animò in un caldo fuocherello.
Mi sedetti sul pavimento per goderne appieno, dimenticandomi gradatamente dei brividi che facevano sussultare il mio corpo; era così bello, dopo tanto tempo passato al gelo, esser accarezzati da quel dolce tepore che mi donava un senso di pace e tranquillità. Ombre danzanti si animavano sulle pareti sotto l'effetto della luce giallo arancio che mi illuminava il viso segnato dalla stanchezza, solo ora mi rendevo conto di quanto fossi affamato e stanco. Buttai indietro la schiena sdraiandomi sul pavimento per rilassarmi e mi addormentai.
Sognai una casa. Ero in piedi e osservano spavaldamente Auron, il vecchio amico di cui avevo perso ogni traccia in seguito alla distruzione di Zanarkand, che mi stava parlando.
“Brutta partita. Avete perso per colpa tua.” Mi stava dicendo. Io mi alterai. “Sei venuto solo per dirmi questo?” Gli risposi irritato. Auron si limitò a fissarmi negli occhi poi, con un sospiro, mi disse: “Oggi sono dieci anni, pensavo stessi piangendo.” E, come se nulla fosse, mi sfilò davanti dirigendosi alla porta con me dietro che gli urlavo quanto non fosse vero. Fu allora che lo rividi, il ragazzino dalla carnagione scura con il viso coperto dal cappuccio della casacca blu notte ricamata di filo dorato. “Piangevi.” Furono le sue uniche parole prima di risvegliarmi.
Il fuoco ormai si era spento lasciando al suo posto solo una piccola scia di fumo che aleggiava tutt'attorno nell'oscurità. Faceva di nuovo freddo e il mio respiro era tornato visibile. Guardai nervosamente a destra e a sinistra, avevo la brutta sensazione che qualcosa di malvagio mi stesse osservando ma il buio non mi permetteva di vedere fra le macerie. Mi alzai in piedi scosso dai brividi e un rumore proveniente dalla prima terrazza mi irrigidì. Vidi un'ombra sfrecciare rapida dietro la cascata tanto da schizzarmi addosso qualche goccia fredda poi un tonfo sul pavimento. Ok, ora ne ero certo, c'era davvero qualcosa.
Sguainai lentamente la spada indietreggiando quando, sotto i flebili spiragli di luce, comparve un essere molto più alto di me con la pelle scura come la pece e la coda sottile ritta verso l'alto. Si muoveva nervosamente avanti e indietro sulle quattro zampe scheletriche e affusolate minacciando di colpirmi.
“Tutt'altro che noiosa questa giornata!” Dissi mettendomi in posizione di difesa appena in tempo per parare una sua artigliata. Io lo attaccai con la mia arma ferendolo sul muso e lui mi colpì alla gamba facendola sanguinare copiosamente. Dolorante gli sferrai un altro colpo sul dorso che mi fece guadagnare quei due secondi di vantaggio per allontanarmi un po' e mentre il mio avversario si preparava per un nuovo attacco, la porta, dal quale si accedeva al corridoio che portava ai piani superiori, si distrusse in mille pezzi spargendo detriti e polvere ovunque.
Quando la nube si dissolse vidi finalmente quelle che erano le prime forme di vita umane dopo diverse ore. Portavano strani abiti gialli rinforzati e i loro volti erano coperti da maschere antigas o occhialini, cinque imbracciavano armi da fuoco simili a fucili mentre quello che stava al centro era apparentemente disarmato e fissava la scena con una mano sul fianco che gli dava un'aria alquanto sicura di se. Aveva il busto esile fasciato da una tuta aderente circondata da una cintura dal quale pendevano delle piccole sacche, coprispalle di un materiale lucente e aranciato, stivali alti e degli occhialini scuri dal quale spiccava una folta chioma di capelli biondi legati in una coda. Non ne ero certo ma sembrava avesse un accenno di seno. Possibile che fosse una donna?
Avanzò verso di me scrocchiandosi le dita delle mani e, con le labbra incrinate in un sorriso furbo, fece un gesto provocatorio al mio avversario.
“Rinforzi, ottimo!” Dissi all'inaspettato aiutante che però non mi degnò nemmeno di uno sguardo. Vidi invece che, da una delle piccole sacche appese alla sua cintura, estraeva qualcosa di piccolo e ovale. Con un colpo secco tirò via qualcosa dall'oggetto e lo scagliò verso il mostro che sussultò per l'esplosione. Granate. Notando che il colpo era andato a buon fine, mi accinsi ad aiutare il mio nuovo compagno e mi lanciai a capofitto tirando un fendente ben assestato seguito poi da una seconda granata che mise a tacere per sempre il nemico.
“C'è mancato poco!” Dissi con un sospiro ma soddisfatto del risultato. Mi girai verso il mio aiutante che ora mi squadrava a debita distanza e sempre in religioso silenzio. Poi la sua mano destra si sollevò e afferrò gli occhialini che coprivano buona parte del suo viso rivelandone i lineamenti dolci di quella che, effettivamente, era davvero una ragazza forse un tantino più piccola di me.
Non ebbi nemmeno il tempo di ringraziarla che subito, quattro degli uomini che l'accompagnavano, mi puntarono le armi addosso circondandomi, mentre quello restante mi afferrava per i capelli gridandomi addosso in una lingua incomprensibile. Fu solo grazie alle parole di quella strana ragazza che questo mi mollò, anche se effettivamente non capii cosa lei gli avesse ordinato. Mi portarono con loro, forse più con la forza che per mia volontà, ma comunque ne fui felice dal momento che non sapevo ne dove fossi e ne come c'ero arrivato. Ero nuovamente all'aperto sotto il cielo grigio e in mezzo al mare, ma stavolta a bordo di una piattaforma fatta di grata. Essa era costeggiata da una ringhiera di protezione dal quale affiorava un gigantesco macchinario che ricordava vagamente una gru illuminata di fari abbaglianti, un grosso meccanismo rotante si muoveva cigolando a fianco ad una porta sbarrata, mentre due uomini con le stesse vesti di quelli che erano venuti in mio soccorso, stavano di guardia.
“Vansu. Bnekeuheanu!” Mi disse uno dei due ma ovviamente non capii, certo, l'arma che mi sventolò in faccia non mi suggerì niente di troppo amichevole comunque e ne ebbi la conferma quando mi spintonò facendomi cadere all'indietro picchiando la schiena contro la ringhiera. “EHI! FA MALE!” Gli urlai mentre l'altro si avvicinava chinandosi su di me col suo fucile. “Vansu. Le cahde?” Senza saper cosa rispondere buttai lì un “Va bene” che sembrò tranquillizzarlo. Poi la porta si aprì. Riapparve la ragazzina bionda di poco prima accompagnata da un ragazzo che non avevo ancora visto. Era alto con le spalle larghe, portava dei pantaloni scuri dal quale si agganciavano due bretelle rosse che attraversavano il petto nudo e tatuato. Anche il suo viso era coperto da occhialini e, come lei, aveva i capelli biondi rasati però in una cresta. Si mosse con passo pesante verso di me dicendomi qualcosa che non afferrai, poi vidi lei avvicinarsi e tendermi una mano per aiutarmi ad alzarmi mentre lui faceva strani gesti per dialogare. Lo lasciai fare osservandolo divertito in silenzio finchè non ebbe finito, per poi dirgli che non avevo capito un acca. In tutta risposta mi porse degli occhialini come i suoi indicandoli ed emettendo versi alquanto buffi, se non altro si impegnava. “Ti ho detto che non ti capisco.” Risposi per l'ennesima volta guadagnandomi nuovamente un'arma puntata addosso. “Dice che puoi rimanere se ci aiuti.” Questa volta era stata la ragazza a parlare, con mia enorme sorpresa, nella mia lingua. “Tu...mi capisci?!” Mi girai di scatto verso di lei beccandomi un pugno in faccia da uno dei sottoposti che mi costrinse ad accettare senza troppi rigiri di parole. “Tieni, potrebbe servirti!” Mi disse poi la bionda lanciandomi un libro che afferrai al volo. Lo analizzai senza capire l'ammasso di lettere stampate sulla copertina che parevano esser state messe lì a caso rigirandomi verso di lei con un sopracciglio alzato. “E' un dizionario Alphed, la nostra lingua.” Mi spiegò incamminandosi più in là.
Alphed?! Ma che razza di nome è?! Pensai mentre mi intascavo il volume e mi accingevo a seguirla. “Abbiamo ritrovato delle rovine infondo al mare. E' una macchina antica ma forse potrebbe funzionare ancora. Il nostro compito sarà di immergerci e cercare di riattivarla. Chissà, magari riusciamo a sgraffignare anche un bel tesoro!” Mi disse facendomi l'occhiolino. “Mh, ok! Ricevuto!” Beh insomma, niente di troppo difficile per il fiore all'occhiello degli Zanarkand Abes, pensai. Così salii sopra la ringhiera e mi tuffai in acqua seguito poco dopo dalla giovane donna che mi indicò il relitto a parecchi metri di profondità sotto i nostri piedi. Nuotammo tenendo d'occhio la catena della gru che si immergeva negli abissi per indicarci la via, finchè non arrivammo all'ingresso della base. Lì trovammo una serie di macchinari che emettevano luci e suoni senza controllo mentre una porta ci sbarrava il passaggio per la stanza successiva. Mi girai verso la mia compagna per valutare il da farsi e lei mi indicò il computer che avevo a pochi centimetri. Lo osservai ma non sembrava funzionante, lo schermo emanava una flebile luce e una grossa frattura rigava il vetro del display. Provai a tirare un pugno al motore nella speranza che avvenisse il miracolo e, con mia grande sorpresa, lo schermo si illuminò di azzurro rivelando dei codici che sbloccarono la porta.
Nuotammo nella sala adiacente seguendo un lungo corridoio completamente sommerso e illuminato qua e la da neon fluorescenti, giungendo finalmente davanti a quello che stavamo cercando. La strana tecnologia giaceva dimenticata al centro della stanza: una capsula che poteva benissimo ospitare un uomo in piedi e dal quale si articolavano numerosi tubi collegati con piccoli cilindri di vetro contenenti energia azzurra. La ragazza si avvicinò e cominciò a trafficare con i numerosi comandi che, al suo tocco, emetterono dei bip. Compito facile, tutto sommato.
Non l'avessi mai detto! Un tentacolo sbucò dal corridoio dal quale eravamo arrivati con l'intento di attaccare alle spalle la ragazza intenta nel suo lavoro. Estrassi la spada e colpii con tutta la mia forza per difenderla e costringendo il nuovo avversario ad uscire allo scoperto. La bionda si girò grata e, con un ultimo tasto, riuscì nel suo intento. Afferrò una delle sue granate e la lanciò contro la piovra che si ritirò nuotando a perdifiato dietro i cilindri di vetro sussultanti attendendo di attaccarci a sorpresa se avessimo tentato di scappare. Non potevamo far altro che liberarcene. Deciso a porre fine a quella situazione stabile, mi mossi verso l'uscita brandendo sempre la spada. La piovra caricò verso di me investendomi con forza, faceva male ma quantomeno ero riuscito a farla schiodare da quel nascondiglio scomodo. Con furia si abbattè anche sulla giovane al mio fianco frustandola più volte con i suoi lunghi tentacoli ma ella non si fece scoraggiare, afferrò diverse granate dal suo borsello e gliele scagliò contro. Ripresomi leggermente dal colpo subito, nuotai verso di loro e tagliai di netto il mostro riducendolo ai consueti brillii luminosi che segnavano la morte di un avversario. Ce l'avevamo fatta, eravamo liberi di tornare finalmente in superficie e respirare una bella boccata di ossigeno. Imboccammo il corridoio, sorpassammo la porta col computer e ci ritrovammo nuovamente in mare. Mentre nuotavamo verso la superficie, la grossa macchina che avevamo riattivato continuava il suo processo di caricamento e fari come quelli presenti sulla piattaforma Alphed si accesero illuminando la strada ai sottoposti che ora nuotavano in massa verso la tecnologia antica.
Finalmente toccai il pelo dell'acqua. Con una mano afferrai con forza la grata e mi tirai su scavalcando la ringhiera, ero esausto. Sulla piattaforma alcuni discutevano cose che ancora non comprendevo, mi avvicinai per attraversare la porta con loro ma uno mi spintonò all'indietro urlandomi qualcosa. Non potevo entrare eppure, però, li avevo aiutati. 
Rassegnato mi sdraiai sul pavimento di ferro, non sapevo nemmeno più da quanto tempo non mangiavo ed il mio stomaco iniziava fortemente a reclamare. Mi sentii picchiettare sulla spalla, girai la testa e vidi la donna dai capelli biondi che mi porgeva un vassoio carico di cibo sul quale mi fiondai senza nemmeno usare forchetta o coltello tanto da farmi andare tutto di traverso. “Vacci piano! Mangi troppo in fretta!” Mi rimproverò passandomi anche dell'acqua. Dopo essermi ripreso mi alzai, mi stiracchiai finalmente sazio e la guadai in faccia. “Co-me ti chia-mi?” Le chiesi sillabando bene le parole come se stessi parlando con un ebete. Lei, infatti, mi guardò un po' irritata con le mani sui fianchi. “Rikku.” Mi rispose tagliente. “Wow! Mi capisci davvero!!!” Saltellai di gioia afferrandole i polsi che però ritrasse praticamente subito. “Ma perchè non me lo hai detto prima?” Le chiesi un po' titubante. “A dire il vero non ne ho avuto modo, pensavo fossi un Sucdnu.” Mi disse facendomi il segno della gola tagliata. “Un...che?!” Non riuscivo a capirla. “Un mostro!” Sbottò come se fosse la cosa più ovvia del mondo passeggiandomi davanti. “Oh, ma certo!”Risposi assecondarla. “Senti...tu non odi noi Albhed, vero?” Mi chiese poi con una vocina da bambina imbarazzata appoggiandosi alla ringhiera. “Odiarvi? E come potrei? Nemmeno vi conosco!” Risposi sorpreso. Parlava davvero in modo strano. “Tu chi sei? Da dove vieni?” Mi domandò Rikku. “Mi chiamo Tidus, vengo da Zanarkand.” Già, Zanarkand. “Sono un giocatore di Blitzball, l'AS degli Zanarkand Abes.” Rikku mi osservò da prima in silenzio poi tentò di soffocare una risata. “Temo che tu abbia preso una gran botta in testa, mio caro AS degli Zanarkand Abes!” Non capivo. “Ricordi qualcosa prima di allora?” Mi chiese poi tornando seria vedendo la mia espressione incerta. Mi avvicinai appoggiandomi come lei alla ringhiera per scrutare il mare e le raccontai della mia città. Descrissi ogni singola cosa ricordassi: la vita lì, il Blitzball, l'attacco di Sin e quella luce che avvolse me ed Auron. Parlai senza riflettere ma poi cominciai a dubitare del mio stesso racconto. “Mi dispiace, ho detto qualcosa di strano?” Chiesi bloccandomi. “Sei stato vicino a Sin, ecco perchè! Entrando a contatto con lui, le persone subiscono perdite di memoria oppure i loro ricordi vengono sfalsati ma è una cosa momentanea. Non preoccuparti, presto starai meglio!” Mi sorrise. “Quindi...sono malato?” Ora ero un po' agitato. “ Una cosa del genere, sei stai intossicato.” Sembrava fermamente convinta di quanto diceva. “Zanarkand non esiste più da mille anni, Sin stesso la distrusse e ti posso assicurare che non esiste più nessun Blitzer lì.” Se mi voleva prendere in giro era davvero un pessimo scherzo. “Cosa? Io ho visto Sin distruggere Zanarkand! E tu mi stai dicendo che tutto questo è successo mille anni fa? NON HA SENSO!” L'afferrai per le spalle e la scrollai. Era davvero possibile che tutto quello che conoscevo fosse stato solo un sogno o addirittura che fosse successo mille anni prima?! Entrambe le ipotesi sembravano assurde. “Forse dovresti andare a Luka, c'è pieno di Blitzer lì e magari qualcuno ti riconoscerà...” Disse dispiaciuta tentando di rimediare, peccato che io non avevo idea di cosa stesse parlando. “Ah! Ho capito!” Sbuffò lei. “Ti porterò io a Luka. Ne parlerò agli altri, promesso!” E fece per incamminarsi verso la porta, ma dopo qualche passo si rivoltò. “Ah, un consiglio. Non dire a nessuno che sei di Zanarkand, è la terra sacra di Yevon e qualcuno potrebbe arrabbiarsi.” Zanarkand terra santa? Certo, come no. E da quando? Yevon, Sin, Luka? Credevo che Sin mi avesse portato in un posto lontano da cui sarei tornato presto, ma mille anni nel futuro?! “Oh, ehm...sicuro!” Le risposi mentre scompariva al di là della porta. Stressato da tutti quei pensieri, tirai un calcio contro la grossa gru illuminata e nello stesso momento uno spruzzo d'acqua mi colse di sprovvista. La piattaforma iniziò a vibrare facendomi ruzzolare per terra e la porta dal quale Rikku era scomparsa poco prima si era riaperta permettendo a tre uomini armati di uscire di corsa. Qualcosa si muoveva a gran velocità sott'acqua, qualcosa di potente, qualcosa che andava ben oltre ai mostri che avevo abbattuto fin'ora. Sin.
Mi rialzai e corsi alla ringhiera dove i subordinati urlavano parole sconnesse nella loro assurda lingua e guardai in basso. Non si vedeva nulla se non onde alte diversi metri che si abbattevano sulla piattaforma sballottandola come fosse fatta di carta; poi in un attimo, una di queste si abbattè su di me, mi strappò dalla ringhiera e mi trascinò via risucchiandomi in mare.  

  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Final Fantasy X / Vai alla pagina dell'autore: Mischa_Lecter