Fanfic su artisti musicali > My Chemical Romance
Segui la storia  |       
Autore: alwayswithgreenday    05/03/2014    4 recensioni
Quando dici di essere pronto al peggio, non sei mai pronto veramente.
E questo Frank lo capì quando la sua monotona vita fu bellamente mandata a puttane dall’imminente trasferimento a Belleville, citta del suo tanto odiato cugino, e all’incontro di tre ragazzi del posto. In particolare di uno di essi; Gerard. Che oltre a fargli scoprire nuove verità su se stesso, lo porta a vivere per la prima volta la sua vita sul filo del rasoio.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Frank Iero, Gerard Way | Coppie: Frank/Gerard
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Image and video hosting by TinyPic

 
-Ma è… beh… è così… carino!- mentì mia zia incrinando la voce a tal punto da farmi quasi fischiare le orecchie.
Sbuffai. Pensavo che la pelle del suo viso tesa sino all’inverosimile e il suo mascherato tono omicida mi avrebbero divertito, ma mi sbagliavo. Tutti i miei buoni propositi di passare una serata all’insegna del piacere post vendetta, stavano via via scemando.  Colpa di quel fottuto fastidio viscerale che non si era degnato di lasciare il mio petto da quando avevo messo piede fuori dal negozio di dischi.
Grazie a Dio quella schifo di ‘festa’ non si dilungò oltre le undici di sera e potei dirigermi in macchina sperando che il viaggio da li a casa mia sarebbe stato il più breve possibile.
Mio padre sedette al posto del guidatore,  girò le chiavi illuminando il quadro del cruscotto, mia madre era accanto a lui, testa poggiata al finestrino umido di condensa, guardava fuori. Io dietro. Solo come al solito, ma più irrequieto. Con la mente ripetutamente assalita dall’odiosa faccia da schiaffi di Gerard.
La casa mi apparve come un bellissimo miraggio. Mi appropriai delle chiavi e attraversando velocemente il cortile arrivai al portone. Non avevo nessuna intensione di rimanere sveglio per un solo altro minuto. Volevo fuggire. Fuggire da quella sensazione snervante che mi attanagliava la bocca dello stomaco. Corsi su per le scale, togliendomi giacca, felpa e maglia mentre le salivo. Tolsi anche i jeans quando fui in camera e mi gettai nel mio rifugio fatto di stoffe calde e accoglienti e finalmente la fortuna decise apparentemente di sorridermi, facendomi scivolare in fretta in un sonno profondo.
 
Profondo e tormentato. Sono le sei del mattino, a detta della sveglia che non faccio altro che fissare in attesa del suo allarme, e sono sveglio da circa un ora. Incapace di richiudere occhio. Gli incubi mi hanno assalito per tutta la notte. Riesco ancora ad avvertire l’emotività causata dai miei sogni incanalarsi sotto la pelle, muovendosi furtiva e scattante appena sotto di essa.
Al mio risveglio, però, non c’era stata traccia neanche di un solo ricordo sbiadito, il vuoto in tutto il suo fitto mistero mi avvolgeva la mente e l’unica testimonianza del mio sonno inquieto era la sensazione di ansia e stress.
Mi costrinsi ad alzarmi. Feci una doccia veloce e mi vestii alla cieca nella camera da letto buia, poi scesi.
Mi intrufolai in cucina di soppiatto, i miei stavano ancora dormendo e sapevo che se li avessi svegliati, privandoli di quei venti minuti extra di sonno, mi avrebbero tolto dal mondo in tempo record. Perciò facendo rumore meno possibile, mi preparai qualcosa di veloce da mettere sotto i denti.
Mancavano ancora una manciata di minuti prima dell’orario che avevo prestabilito per uscire di casa ed arrivare in tempo, almeno per una volta, a scuola; così decisi di finire i compiti di matematica, ma i miei risultati e quelli del libro sembravano provenire da due mondi diversi. Ma come cazzo avevo fatto a far venire fuori una cifra simile?
Non ne avevo idea. Fatto sta che non avevo più la minima voglia di tentare di risolvere quel problema e che l’ipotesi di uscire di casa e andare a scuola, anche se in anticipo, si concretizzò qualche minuto dopo.
L’aria era gelida, fredda a tal punto da sfumare l’orizzonte colorandolo di un tenue azzurro tendente ad un chiaro grigio cenere. Le mie dita erano irrigidite, arrossate, congelate, ma il contatto con il fondo delle tasche della felpa, attenuava un po’ la situazione.  Camminai lento, nonostante avevo bisogno al più presto di rintanarmi al calduccio lontano da quel vento pungente, osservando il paesaggio mattutino, la calma delle strade e la bellezza della periferia deserta che da sempre mi piaceva. In quel momento tutta la stanchezza dovuta alla mia notte in bianco, parve dissolversi come i cristalli di ghiaccio sui parabrezza delle auto che cominciavano a sciogliersi.
L’ idillio finì non appena mi resi conto che la mia passeggiata era giunta al termine e che l’incubo stava per avere inizio.
Neanche il sorriso  di un Ray che stava venendomi incontro riuscì a farmi risvegliare dall’apatia in cui mi stavo per gettare a capofitto, sperando di riuscire così a far passare le ore il più velocemente possibile.
Ultimamente la mia deprimente idea di ‘felicità’ si stava trasformando in questo ‘Accontentarmi di veder scorrermi la vita davanti agli occhi, non partecipando ’. Volevo che il tutto scorresse più fluidamente, più veloce e che non si degnasse di integrarmi nel suo corso. Non sentivo il bisogno di esserne partecipe, di provare emozioni. Ne ero stanco. Avevo notato che ogni volta che nella mia routine si insediava l’ombra di un cambiamento, il mio precario equilibrio mentale, vacillava pericolosamente e il più delle volte finiva col rompersi in mille pezzi che nessuno mai si sarebbe dato la pena di raccogliere. Perciò evitavo le novità. Perciò mi rifugiavo nell’apatia. Accontentandomi del vivere delle emozioni altrui descritte nei testi delle canzoni, riflesse nella musica stessa, facevo mia ogni parola ed ogni nota, così sarei stato io l’unico in grado di decidere quali sentimenti provare e in quale momento provarli.
-Nicotina per il piccolo Frankie! Amico, sembri distrutto.- urlò Ray ficcandomi con poca delicatezza una sigaretta accesa tra le labbra. sorrisi, allontanandomi dalla miriade di pensieri che speravo fossero soltanto di passaggio nella mia mente. Si, avevo bisogno proprio di una sigaretta per distendere i nervi che avevano da poco ricominciato ad irrigidirsi per la stanchezza e come al solito il mio amico afro sapeva sempre di cosa avrei avuto bisogno, o perlomeno questo accadeva il più delle volte.
Aspirai per poi ringraziarlo e gli diedi il buongiorno accompagnata  da una pacca sulla spalla.
-Che lezioni hai stamattina?- chiesi interessato a Ray.
 In terza e quarta ora avrei avuto un ora di ginnastica seguita da quella facoltativa di religione, perciò mi avrebbe fatto piacere evitare di passarle da solo, in giro per i corridoi. –Mh, fammi pensare…- si bloccò poi, facendo scivolare fuori dal pacchetto di sigarette una stecca bianca che si accese poco dopo. –nelle prime due ore sono con Mikey, abbiamo il corso di matematica e fisica insieme, terza ho storia, le altre non ne ho idea. Davvero.- asserì facendo uscire il fumo denso dalle narici.
-Capisco, se in quarta ora non hai nulla di meglio da fare, mandami un messaggio.- detto questo, finita la Marlboro e salutato Ray, mi diressi all’interno dell’edificio.
 
-Iero, a cosa devo il suo essere puntuale?- chiese fingendosi esageratamente sorpreso il professor Kelson.
Si.. sempre lui, quel fallito che mi avrebbe dovuto insegnare matematica, invece di sfottermi in continuazione, ma evidentemente la seconda come opzione era più allettante della prima e lui pareva tenersi alla larga dalle cose che non lo divertivano.
Non risposi per il semplice fatto che una simile provocazione non era degna di essere raccolta.
Stranamente seguii tutta le due ore di lezione. Presi appunti e colmai apparentemente alcune delle grosse lacune che avevo in quella materia. Finalmente la seconda campanella suonò e mi sentii decisamente più leggero. Dopo poco ero già sul prato popolato solo da pochi ragazzi della mia classe, gli altri, probabilmente, erano ancora negli spogliatoi a cambiarsi. Di partecipare, come al solito, non ne avevo voglia, perciò mi diressi verso il retro della scuola.
Un posto che fino ad ora non aveva mai attirato la mia attenzione, mi era capitato di raro anche solo di passarci, ma la noia era tanta e di posti per starmene lontano dallo sguardo severo della professoressa di ginnastica ce n’erano pochi.
Mi guardai attorno, camminavo sul vialetto in ghiaia bianca che spiccava dal tappeto di foglie dai colori spenti, le mura della scuola in quel lato sembravano stessero per cadere a pezzi, le piante rampicanti soffocavano gran parte della facciata, facendosi strada fino al secondo piano.  
Era un paesaggio malinconico, trascurato, sciupato, ma rappresentativo. Era la prova inconfutabile della realtà liceale. Contava l’estetica, le mura esposte, la parte in vista, quella impaurita dai giudizi, che non serviva ad altro che a celare le macerie, il lato più trasandato, il lato vero.
Il  piccolo sentiero portava al muretto di recinzione, alto circa un metro e mezzo, che separava il mio istituto dall’azienda a conduzione famigliare di mobili, e continuando ad avvicinarmi finii col decidere di passare, seduto lì, il resto della lezione.
Poggiai i gomiti sul cemento e gettai la testa sulle mie braccia, arrendendomi al fatto che non c’era modo di farmi passare quel mal di testa lancinante. Fottuti incubi, una dormita in santa pace. Chiedo forse troppo?
-Devo piacerti davvero tanto per spingerti a pedinarmi.- Disse una voce alquanto famigliare dai piedi del muretto. Il ragazzo alzò gli occhi verso di me, confermando i miei sospetti.
Dovrei cominciare a pregare più spesso, sia mai che entro nelle grazie del signore e che questo decide di smettere di sommergermi di vagonate di spiacevoli coincidenze. Alzai gli occhi al cielo e questo parve divertire il moro. Decise di alzarsi dalla posizione in cui era rannicchiato con le spalle contro il muro e mi imitò chinandosi sul muretto e appoggiandovici i gomiti.
-Fanculo, è stata una fottuta coincidenza. Ora se non ti dispiace..- girai i tacchi, lo stress e il mal di testa mi stavano uccidendo. Più avevo di queste conversazioni con Gerard più l’immagine che mi ero fatta di lui agli inizi si dissolveva.
Il ragazzo delle docce con il sorriso angelico?
Scomparso, quel sorriso non l’avrei più rivisto. Al suo posto c’era un ghigno provocatorio.
Quello infuriato con mio cugino che sembrava stesse per esplodere?
 Dimenticato e sostituito da un pallone gonfiato pieno di se ed esageratamente fastidioso.
Quello fragile del retro del pub?
Sembrava non essere mai esistito. Il ragazzo che ora mi stava chiamando alle mie spalle sembrava tutt’altro che un debole.
-Beh, si. in effetti mi dispiace. Non mi andava di restare da solo.- mi bloccai e tornai a guardarlo con uno sguardo interrogativo. –Sigaretta?- mi propose, per poi portarsi alla bocca una stecca ed accendersela. Lo fece in un modo così lento e.. bello che quasi non mi incantai nell’osservare quel gesto.
Scossi la testa per riprendermi e accettai diffidente la proposta tornando al muretto.
-Gerard Arthur Way, per gli stalker. Ma se mi assicuri di non esserlo allora puoi semplicemente chiamarmi Gerard.-  asserì sarcastico porgendomi la mano. Tutto in quel momento avrei voluto tranne che si dilungasse con le sue battutine ironiche. Mi sarebbe bastata innanzitutto la Marlboro che teneva ancora nel pacchetto stretto nell’altra sua mano e, se ci scappava, avrei accettato molto volentieri le sue scuse per avermi soffiato da sotto il naso il cd e per avermi fatto fare la figura dell’idiota davanti al commesso del negozio di dischi di cui sarei volentieri diventato cliente abituale.
-Frank.  Non sono uno stalker, e se anche lo fossi dovrei essere un pazzo per avere un ossessione per uno come te.- dissi stringendogli la mano. Lui sembrò soddisfatto della mia risposta e si lasciò scivolare addosso, con la più assoluta nonchalance, le mie frecciatine.
Gerard tornò a sedersi nella posizione in cui si trovava prima del mio arrivo. Voleva che facessi lo stesso. Ma perché? Perché mai avrebbe dovuto volere la mia compagnia? Chi mai aveva insistito perché io restassi?
Probabilmente fu per quello che mi sentii strano ed insolitamente … onorato.
Scavalcai e mi accovacciai alla sua sinistra, a debita distanza, ovvio, la sua vicinanza mi innervosiva. Mi sentivo così strano quando era nei paraggi. Qualcosa di insolito, nuovo, si impossessava del mio stomaco e lo faceva contorcere fino allo spasmo. Era un emozione nuova, ma non per questo sgradevole. Anzi. Mi toccava ammettere, almeno a me stesso, che tutta questa stranissima situazione in cui mi trovavo, non mi seccava più di tanto, diversamente da come avevo pensavo. Ma no, non mi sarei fatto prendere dal momento, non mi dovevo fare illusioni. Lo notavo da quel suo sorriso a mezza bocca che quel momento di tregua tra noi non sarebbe stata una cosa duratura. Si annoiava a morte a stare lì da solo e aveva deciso che sarei stato io il suo passatempo, tutto qui. Perciò decisi che la scenetta dei finti amiconi poteva anche finire qui e tagliai corto chiedendo ciò che mi aveva promesso. –Sigaretta?- chiesi io scocciato.
Sorrise e spense la sua che ormai era ormai fumata fino al filtro per poi tirarne fuori dal pacchetto una ancora spenta.
Allungai  la mano sicuro di avere il permesso di prenderla, ma lui subito ritirò la mano avvicinandosi pericolosamente al mio volto. I nostri nasi erano circa ad un centimetro di distanza, sentivo il suo respiro sfiorarmi la pelle e i suoi occhi puntati sulle mie labbra. Il mio cuore probabilmente aveva cessato definitivamente di battere e il mio cervello e i miei polmoni di funzionare a dovere. Mi ritrovavo in un atmosfera sospesa, mi sentivo incapace di prendere una vera e propria decisione. Avrei dovuto scostarmi, sferrargli un pugno in piena faccia, spintonarlo o anche solamente respirare. Sarebbe già stato tanto. Ma in quel momento non riuscivo a sbloccarmi. Era come se il tempo si fosse fatto pesante, così tanto da far tardare le lancette di ogni orologio, facendo durare ogni secondo secoli e secoli.
-Non penserai mica che io sia tanto gentile da farti un regalo così grande.. senza ricevere nulla in cambio.- soffiò Gerard non accennando il minimo movimento che potesse sbloccare la situazione.
-Un bacio, per una sigaretta. E diciamoci la verità ‘Il permesso di baciarmi ed una sigaretta’.. non sono stato soltanto gentile, direi piuttosto magnanimo. -
Un bacio. Un bacio. Un bacio. Quella parola riecheggiava nella mia testa e rimbalzava da una parte all’altra di me facendomi percorrere da una moltitudine di brividi. Li sentivo salire su per la schiena, percorrevano la spina dorsale diramandosi poi sulla pelle delle braccia e delle gambe facendomi venire la pelle d’oca. Lo stomaco era ridotto peggio del solito, la bocca secca, il respiro, tornato da poco, aveva deciso di nuovo di andare a farsi fottere. Sbattei le palpebre per realizzare cosa mi avesse appena proposto il ragazzo a pochi centimetri da me. Perché si, era un ragazzo. Ed anche io lo ero. E non potevo negare che non mi sarei mai immaginato di dover fare i conti , un giorno, con una situazione simile.
Lui voleva baciarmi… O voleva che io lo baciassi, magari per soddisfazione personale. Ed era alquanto plausibile come spiegazione, visto che sembrava divertirsi da matti a darmi del gay. Avrebbe potuto scansarsi all’ultimo momento, lasciandomi lì. Confuso. Come aveva fatto poco prima negandomi la sigaretta. Avrebbe potuto fare lo stesso. E poi ridere di me e prendermi in giro davanti ai suoi amici.. davanti a Ray. E io sarei rimasto solo un'altra volta. Avrebbe potuto mettere in giro delle voci sul mio conto, le prese in giro sarebbero diventate insostenibili. D’un tratto tutto mi sembrò incredibilmente sbagliato, fu come risvegliarsi da un lungo sonno. Provai la stessa sensazione di quando ancora ti senti stordito e stanzi nella dormiveglia e ti accorgi di essere in ritardo per qualcosa di importante, alzandoti di scatto. Fu esattamente questo che feci. Mi alzai di scatto. Rimanendo comunque con lo sguardo, fisso su di lui, contratto in una smorfia di delusione. Perché nella mia testa quelle conseguenze erano diventate reali. Era  come se fossi certo che avrebbe reagito in quel modo se solo avessi provato a concedergli un bacio. I miei incubi si fondevano con la realtà, non riuscivo più a distinguere il reale da ciò che erano i miei pensieri. Di nuovo il mondo che stava nella mia testa mi reclamava a gran voce. Voleva che tornassi da lui. Ad essere il solito imbranato asociale. In quel mondo tutto mio sarei stato comunque protetto. Non ci sarebbe stato nessun bacio. Nessuna presa in giro. Nessuna delusione. Cominciai a respirare affannosamente, colpa del troppo tempo passato in apnea e della rabbia che adesso provavo nei confronti di Gerard. Dovevo andarmene di lì alla svelta. Scavalcai il muretto velocemente e mi diressi verso il cancello della scuola ed uscii.
Non mi degnai neanche di tornare in classe a prendere la mia roba, chiesi a Ray di farlo al posto mio.
Grazie a dio con le scuse ero ancora bravo e anche se Ray avesse capito che c’era qualcosa che non andava nel mio comportamento, una spiegazione da me, non l’avrebbe mai ricevuta. 
*ANGOLO AUTRICE*
io non so più come chiedervi scusa, sono proprio la peggior autrice di fan fiction di tutto
EFP con le scadenze. Ci tengo comunque a continuare anche se magari non sono stata molto
(diciamo che non lo sono stata affatto)
 regolare con l'aggiornamento. Facciamo così, se mi fate sapere se ancora seguite la fanfiction e come
vi sembra il capitolo in una recensione, mi impegnerò ad aggiornare una volta a settimana!
TwT
Vi voglioo ancora taaaaanto bene, anche se voi preferireste picchiarmi, gnn.
-Gee. x
  
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > My Chemical Romance / Vai alla pagina dell'autore: alwayswithgreenday