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Autore: thehurtlocker    09/03/2014    2 recensioni
[http://it.wikipedia.org/wiki/Daft_Punk]
- Hey Guyman.
- Oui, Tbang?
- You're the best friend I've ever had.
| Racconto sul passato dei Daft Punk basato sulle interviste da loro rilasciate e gli eventi delle loro vite e carriere.|
Genere: Commedia, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Daft Punk
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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- Che serata Tbang, CHE SERATA! - esclama Guy-Man mentre si sfila il pesante casco dorato dalla testa e si toglie la giacca dell'essenziale tuta bianca di dosso, quel completo alla Star Wars che ha reso i Daft Punk i più appariscenti della serata dei Grammys 2014, nonché trionfatori per merito dei loro cinque premi - incluso "Album Of The Year".
È la prima vera volta in vent'anni di carriera che si ritrovano così soddisfatti del loro lavoro e del loro essere "Daft Punk"; hanno impiegato otto anni per creare Random Access Memories, e tutto il successo che ne hanno conseguito con Get Lucky e Lose Yourself To Dance, Thomas Bangalter e Guy-Manuel De Homem-Christo non se l'erano per niente aspettati.
- C'est impossible! Se ci penso quasi quasi mi vengono le lacrime, mon Dieu! - aggiunge Thomas gioioso, svestendosi altrettanto e rimanendo in canottiera e boxer; il caldo e il sudore esagerati che quelle tute hanno loro procurato è troppo, e il fresco pungente di Gennaio è un toccasana; l'aria gelida gli percorre le lunghe gambe e, quando si scontra con la sua pelle bollente per gli abiti e l'emozione, lo costringe a gemere lievemente per il bruciore, che in seguito si trasforma in grande sollievo, come quando d'estate ci si getta in una piscina fresca e l'impatto è a dir poco paradisiaco.
Gli torna alla mente il loro abbraccio, quell'abbraccio che si sono dati un'oretta fa, quell'abbraccio fraterno, durato almeno un minuto e mezzo buono, pieno di sentimenti, di ricordi, di amicizia, di amore; quell'abbraccio che a Thomas è sembrato infinito.
Non è certo la prima volta che una cosa del genere accade; dopo tutto il tempo che conosce Guy-Man, di abbracci ce ne sono stati: dopo il rilascio di Homework, ai matrimoni di entrambi, brindando al successo di Discovery e Interstella 5555, alla fine dell'Alive Tour 2007, ai Grammys 2008, durante mille interviste, nelle loro case con pochi intimi, alla presentazione del loro film Electroma a Cannes nel 2008, dopo l'incisione di R.A.M. e, infine, a questa incredibile nottata dei Grammys 2014.
Vent'anni passano come un velocissimo flash fra i ricordi di Thomas Bangalter, vent'anni sbocciano come boccioli in primavera nella mente di Thomas Bangalter, vent'anni saltellano come piccoli bambini su un trampolino nelle memorie di Thomas Bangalter.
Ma vent'anni non sono il numero esatto per indicare da quanto tempo lui e il suo fratello, non di sangue ma per scelta, Guillame Emmanuel De Homem-Christo, si conoscono.
'Ventisette', scocca e rimbalza nel suo cerebro, procurandogli una fitta enorme di felicità, che muove i muscoli giusti per fargli emettere un piacevole sorriso sul volto magro e scavato, che invecchia via col tempo, che tenta di rimanere immortale dietro quel lucido casco argenteo, come una sorta di Dorian Gray in chiave moderna.
È dunque il 1987 l'anno in cui, dell'ormai affiatato duo parigino, risalgono gli albori della loro longeva e splendida amicizia; che ne ha passate molte, di avventure.. tra sesso, droga, alcool, pubs, ragazze, matrimoni, divorzi, figli, successo, denaro, eccessi, riconoscimenti, e via dicendo.
Thomas, quindi, in boxer e canottiera, seduto sul divano di pelle di casa propria, succube da una serata a pieni rpremi e un'ottima performance, lontano dalla propria moglie - a New York per lavoro - e dai propri figli - dai nonni a Montmartre -, si trova solo col suo più fidato amico, a rammentare e incespicare con la memoria, che comincia a fargli beffe, del giorno esatto nella quale i due si sono parlati per la prima, vera volta.
- Hey Guy. - lo chiama pensieroso, con voce affusolata.
- Si, mon ami? - risponde l'altro con euforia e forse un po' troppa convinzione a strimpellargli le corde vocali.
- Ti ricordi come ci siamo conosciuti? - domanda Tbang confuso, incerto, febbricitante.
- Mais oui! Il treno per la gita a Pompeii, am I right? - il sorriso genuino di Guy-Man gli scopre i denti, piccoli, ma bianchi e perfettamente allineati l'uno con l'altro, ovviamente merito dei suoi genitori, che l'hanno costretto a portare l'apparecchio fino ai nove anni; la 'r' con la cadenza francese procura una piccola risata a Thomas che, finalmente, si ricorda di quel famoso giorno in cui il Lycée Carnot aveva organizzato una piccola school trip in Italia, le rovine di Pompeii, in Campania, come destinazione.
Improvvisamente sente il peso dei ricordi assalirlo, ed è impossibile per lui non chiudere gli occhi e lasciarsi travolgere.
Anche
solo
per pochi
minuti.  

***

La sveglia
suonò
precisamente
alle 5.30, come se fosse stata un orologio svizzero, e Thomas aprì i grandi occhi a mandorla all'istante: neanche un minuto di ritardo, nossignore.
Strisciò via dal letto con nonchalance, attento a non far rumore e lasciar ancora dormire i suoi genitori; scese poi le scale in punta di piedi e, una volta giunto in bagno e aver accuratamente chiuso la porta, si spogliò del pigiama e dell'intimo per potersi lasciare inondare dal getto d'acqua calda che lo stava benevolmente aspettando.
I bronzei ricci gli si sgonfiarono in un secondo e appiccicarono alla pelle rosea e liscia; la vista gli si fece più chiara e la sensazione di sonno fu quasi svanita, mollando il posto ad un senso di adrenalina e energia puro; Thomas Bangalter era sveglio, in tutto e per tutto.
Quel giorno, lui e la sua classe, insieme ad un'altra del secondo anno, si sarebbero messi in viaggio per andare a visitare l'antica Pompeii in Italia, quella nazione che, a detta dei suoi genitori, si faceva chiamare 'la cugina di Francia'.
Non che a Thomas fosse mai piaciuta una noiosa e inutile materia come storia, dato che i suoi veri hobby erano per lo più cinema e musica, ma provava un non-so-ché di curiosità nel sbirciare tra i ruderi di una città che aveva subito così tanta violenza in un solo momento, cotanta crudeltà in un breve attimo.
Mentre s'insaponava immaginava già di sentire un inebriante odore di vecchio, di bruciato, o anche di marciume; già sentiva le narici passare sulle superfici piene di muschio di quel che rimaneva dell'intrigante Pompeii, e gli occhi chiudersi, e le mani muoversi, quell'erba morbida sotto le sue dita, fresca, viva in mezzo a ceneri morte.
Sciaquato via anche l'ultimo residuo di sapone dal giovane corpo e dai ribelli capelli, Thomas si mise l'accappatoio e risalì piano piano le scale a chiocciola, con una mano sul liscio corrimano di legno, e una impegnata a non far cadere i vestiti.
Lo zaino era già pronto, e sembrava una bomba a mano pronta ad esplodere; all'interno vi era la macchina fotografica Canon Eos del padre, un cellulare d'emergenza per contattare i genitori se necessario, fumetti giapponesi tascabili in caso di noia assoluta, una copia di Empire Magazine per tenersi aggiornato sulle novità cinematografiche del momento, qualche merendina per l'evenienza, un k-way se avesse dovuto piovere, due pacchetti di fazzoletti che non guastano mai, il nuovo incredibile thriller Misery di Stephen King da leggere la notte per provare il brivido del terrore, e.. 'Dove diavolo ho messo la mia Super 8?' pensò mentre ripassava mentalmente l'elenco delle cose messe nello zainetto di tela.
La Super 8 che suo padre gli aveva regalato in occasione del suo undicesimo compleanno era la cosa più di valore che avesse mai ricevuto nella sua ancora giovane vita; gli piaceva uscire e filmare qualsiasi cosa con quella meraviglia di 8 mm.
Una volta era nel giardino della scuola a passare l'intervallo con la sua piccola "cinepresa" riprendendo il cielo azzurro macchiato di bianche nuvole e, mentre abbassava l'oggetto, si era ritrovato con gli occhi e il mirino puntati su un ragazzo non più grande di lui, seduto sull'erba, con la schiena appoggiata alla dura corteccia dell'albero.
Aveva i capelli lunghi poco sotto le spalle, mossi, e di un castano scuro, quasi nero; le spalle erano inarcate e piccole, così come le dita, occupate a rollare una sigaretta, a sua volta impegnata a boccheggiare del grigio fumo. Sembrava fregarsene di tutto e tutti, schivo e introverso, sembrava.. solo.
Quando la campanella aveva segnato la fine dell'intervallo, tutti i bambini avevano smesso di giocare ed erano corsi dentro la scuola, mentre il ragazzo aveva spento la sigaretta sull'erba e si era alzato lentamente, sempre con quell'aria strafottente a solcargli i lineamenti; infine, aveva camminato con passo trascinato e, prima di entrare nell'edificio, si era voltato in cerca di qualcosa, ma trovando solo gli occhi di Thomas, quegli occhi sorpresi alla scoperta del mondo.
Preso da un impeto di vergogna e rossore, Thomas aveva spento la Super 8 con velocità meccanica ed era scappato via come una saetta. Più tardi, il giorno della gita, seduto sul treno per Pompeii, Thomas avrebbe fatto la conoscenza di quel ragazzo, quel ragazzo che poi non lo avrebbe abbandonato mai più per altri ventisette anni.
Ed esattamente così avvenne.
Arrivato alla Gare Du Nord, accompagnato dal famoso padre Daniel Vangarde, Thomas portava il suo zainetto rosso sulle spalle e la valigietta nera per mano mentre raggiungeva con emozione i compagni radunati davanti il binario 4, in partenza per le 7.30 del mattino.
Afferrò il braccio del papà con cautela per guardare l'ora: le 7 e 22 minuti; lo rilasciò senza problemi e, prima di entrare nel vagone, stampò un piccolo bacio sulla fronte del suo genitore, che di rimando lo abbracciò con affetto.
Prima di attraversare l'angusto corridoio, l'insegnante, l'arcigna Marie Margot che insegnava Matematica, si posizionò davanti la porta e consegnò a ogni alunno il proprio bigletto.
Al giovane sognatore capitò il posto A76, vicino alla finestra; la cosa lo fece sorridere genuinamente, e non gli dispiacque affatto la sua collocazione, dal momento che amava osservare i paesaggi che scorrono con l'andare del treno.
S'incamminò alla ricerca della sua postazione e, quando ci arrivò, si accorse con una punta sia di entusiasmo, sia di rammarico, che avrebbe dovuto passare l'intero viaggio al fianco del solitario ragazzo dai capelli lunghi.
Non voleva avere pregiudizi, in fondo, non lo conosceva nemmeno.. ma la sua presenza lo turbava un poco, lo metteva a disagio, e decisamente in imbarazzo; per sdrammatizzare, quando sistemò la valigia e si decise a sedersi, mostrò un ilare sorriso e salutò il giovane fumatore con un forzatamente allegro "Ciao!".
L'altro aveva lo sguardo fermo sulla finestra e non mostrava cenni di vita.
- Sono Thomas Bangalter, sono della 1C.
Ancora niente.
Di solito Thomas non era così.. timoroso, anzi! Diceva sempre quello che pensava e non aveva paura di sembrare sfrontato o sfacciato; gli piaceva essere sincero e diretto.
Quella volta però, con quel ragazzo, c'era qualcosa che lo bloccava, e non sapeva cosa fosse. Aprì lo zaino e tirò fuori i fumetti ed Empire, lanciando qualche occhiataccia curiosa sul ragazzo di fronte a lui; cominciò a sfogliare la rivista e lesse di nuovi scoppiettanti film, attori e registi emergenti, alcune recensioni cariche di critiche, interviste a pionieri come Eastwood e Allen, - entrambi tra i suoi preferiti - e infine, un dettagliatissimo ed emozionante portrait su Stanley Kubrick, che era il suo ispiratore per eccellenza.
Mentre leggeva delle varie chicche su 2001: Odissea Nello Spazio, o il nuovissimo Full Metal Jacket, appena uscito nelle sale, (film che aveva visto da solo di nascosto dei suoi genitori.. un segreto che gli piaceva tenere per sè), gli occhi presero a luccicare in preda a tenere lacrime piene di entusiasmo; l'introverso giovane dai lunghi capelli scuri stava in quel momento puntando gli occhi sulla copertina del magazine, che ritraeva per l'appunto l'ultimo film del regista, quando si accorse del ragazzino che tremava e quasi piangeva lì davanti alla sua faccia.
Un sorriso gli spuntò sul viso.
- Credevo di essere l'unico pazzo qui a cui piacessero cose del genere. - disse con lo sguardo su Empire e le mani puntate sui Manga.
All'inizio Thomas non realizzò di chi fosse la voce, ma quando vide che quell'essere taciturno aveva finalmente deciso di aprir bocca, quasi le lacrime furono sul punto di traboccare, ma le fermò appena in tempo, e poi raccolse il briciolo di voce che gli era rimasta per esprimere senza pudore - Ah, allora delle corde vocali ce le hai! Il ragazzo rise di sottecchi e poi allungò una mano verso Thomas.
- Guillame Emmanuel de Homem-Christo, 2B. - Thomas la strinse attonito, ma con forza - Puoi chiamarmi comunque Guy.
- Piacere di conoscerti, finalmente.
Ci fu una pausa di un solo minuto, eterno e imbarazzante, che poi Guy si prestò a rompere.
- Ti ho visto quella volta, con la Super 8.
La faccia di Thomas divenne paonazza per lo sconcerto, terrorizzato al pensiero di essere stato beccato in flagrante, ma neanche questo riuscì ad abbattere il suo muro di sfacciataggine.
- Davvero? Forse è perché sono troppo carino ed è difficile non notarmi. - la risata partì da entrambi; intanto il treno continuava a marciare dritto verso il confine con l'Italia.
- Senti ma.. come mai sei così.. insomma.. silenzioso? - domandò Thomas.
Guy esitò un attimo, poi rispose con voce bassa e le guance rosse.
- Sono un po' timido, non mi piace parlare molto.
Thomas si disse di essere un po' confuso: un ragazzo di dodici anni, dall'aspetto singolare, che fuma addirittura.. "TIMIDO?".
'Il mondo è bello perché è vario', pensò, citando una delle tante lezioni di vita della madre.
- Non l'avrei mai detto guardandoti. - sbottò, imitando la sua voce e la sua postura.
- Tu invece sei terribilmente sfrontato, e non lo si direbbe comunque dal tuo aspetto. - ribattè l'altro - Sembri quasi un peluche con tutti quei ricci! - si affrettò ad aggiungere.
- Oh, dici? Beh buono, le ragazze amano i peluche, quindi mi reputo fortunato. - chiuse gli occhi e alzò il mento come per sentirsi superiore, e Guy lo colpì sulla fronte lanciandogli un pezzo di carta.
- Ma finiscila. Piuttosto, tornando al cinema, deduco che Kubrick ti piaccia molto..
- STANLEY È IN ASSOLUTO IL MIGLIORE!
- Ok ok, però è troppo visionario per i miei gusti.. penso invece che Ford Coppola abbia un talento pronunciato. - lo disse piano, quasi contando le sillabe, per la paura di aver detto qualcosa da cui Thomas potesse cavarne qualche insulso litigio e chiudere per sempre anche quell'unico po' di amicizia che si stava creando.
- Assolutamente! Hai visto Apocalypse Now? Il talento è solo una delle doti di Coppola.- il sorriso di Thomas era così contagioso che rassicurò e mise in pace il preoccupato cuore di Guy, che, sentita la risposta, si sentì più sicuro di sé.
- Naah preferisco Il Padrino di gran lunga! I film di guerra non mi sono mai piaciuti. - esclamò con dissenso e scuotendo il capo.
- Ah no? Ma come? Io li amo tutti, specialmente quelli ambientati in Vietnam! Dimmi che hai almeno visto Platoon, il film di Oliver Stone dell'anno scorso! QUELLO È UN CAPOLAVORO! - continuarono così, senza fondo, ingordi di conoscersi e saperne di più l'uno sul conto dell'altro.
Probabilmente passarono quasi tre ore, e ormai quasi tutti gli altri ragazzi si stavano appisolando sui posti passeggeri, mentre i due cinefili francesi continuavano a parlare e parlare e parlare, passando da un argomento all'altro senza sosta: prima film, poi fumetti, poi libri, poi quadri e sculture, poi storia, e infine, anche la musica, che é ciò che in futuro li ha resi uniti e famosi più che mai.
Alle 13 arrivarono a Monaco, al confine con l'Italia, e da lì presero un altro treno diretto a Milano, per un'aggiunta di circa otto ore di viaggio, e giunti alla capitale lombarda, avrebbero preso un terzo treno-notte, fornito di letti, per raggiungere, finalmente, verso le 8 del mattino dell'indomani, la meta prefissa.
Durante tutto il tempo, Thomas e Guy si tennero compagnia vicendevolmente, e più scoprivano, più il muro bianco che li separava si abbatteva e li univa, amalgamandoli come due ingredienti indispensabili per la formazione di un impasto, ancora acerbo, ma pronto per essere infornato.
Si erano raccontati mille cose in quelle lunghe infinite ore di viaggio, cose stupide, cose intelligenti, cose belle, cose brutte, cose felici, cose tristi, cose Bangalter, cose Homem-Christo. Per esempio, Thomas rivelò di quando a tre anni entrò in camera dei suoi e li vide agitarsi sotto le lenzuola, ridendo e gemendo.
- Pensavo stessero giocando -  ammise sghignazzando ma arrossendo al contempo, - e invece, quando l'anno scorso studiammo l'apparato riproduttivo a scuola capii tutto.
Guy, invece, spiegò che tre anni prima si era imbattuto in una bambina carismatica follemente invaghita di lui.
- Al tempo avevo i capelli molto più corti, nessuno mi scambiava per l'altro sesso, e lei non faceva altro che seguirmi ovunque. Era un ossessione!
- E poi che successe? Come te ne liberasti?- domandó sinceramente curioso Thomas, con gli occhi frenetici e il volto sporto su quello del compare, che quasi le guance si sfioravano.
- Poi? Finsi di essere gay. Così tutte hanno cominciato a starmi alla larga, e lei ha preso a bighellonare con altri bambini.
Nel viso di Thomas apparvero prima smorfie di sgomento, e poi di risate trattenute a stento, e per inghiottirle si portò le mani sulla bocca premendo su di essa con forza, rimangiandosi il tutto, emettendo comunque dei suoni gutturali e soffocati.
Guy sorrise sornione e domandò cosa ci fosse di strano, sempre mantenendo quel ghigno.
- No, niente.. è che non avevo mai sentito una cosa simile! Ha-ha! Sei molto furbo. - poi fece una pausa, e riprese - Ma dimmi, qualche bel ragazzo ci ha provato con te, allora? - assunse una faccia ambigua, mosse le sopracciglia su e giù, spalleggiò Guy come per prenderlo in giro.
- Assolutamente no! - le guance pallide e paffute gli si colorarono di rosso per la vergogna - E comunque avrei rifiutato in ogni caso, in fondo, era solo una copertura.
Ci furono anche dei momenti seri, in quella chiaccherata che pareva non voler finire mai, come quando Thomas parlò del suo amore per gli ambienti, per gli spazi aperti, vuoti, e di dimensioni indefinibili.
- Hai presente quei film in cui i paesaggi sono lunghi e distesi, rilassanti, calmi, belli? - Guy mosse il capo all'insù e viceversa.
- Ecco. Una volta sono stato ad Hong Kong in vacanza coi miei, e ho visto un cielo azzurro mescolarsi coi toni autunnali del luminoso Sole, e con l'acceso verde dell'erba, e con le soffici bianche nuvole che sembravano squisita panna, e con esso vi era uno stormo di uccelli neri che faceva capriole e acrobazie per noi impossibili. - chiuse gli occhi nel tentativo di riportare a galla i ricordi di quell'estate - Nell'aria vi era un forte odore d'incenso, fatto delle spezie più variegate, che mi solleticava il naso e pizzicava la pelle.. e il prato che ivi si stagliava! Era indescrivibile, era immenso, era perfetto.
Guy lo guardava in silenzio, studiando i gesti che compiva mentre parlava di questo panorama suggestivo, notando le dite impegnate ad annodarsi e snodarsi tra loro, le pupille muoversi dietro le palpebre chiuse, le labbra accostate un poco per far entrare dell'aria, il collo teso con la giugulare in evidenza, i ricci sparsi e confusi, le sopracciglia rilassate, il sorriso sognante stampato sul volto.
Gli piacque, questa visione in sè, questo ragazzino pieno di amore per l'astratto, ma coi piedi per terra.
Gli piaceva Thomas Bangalter, e gli piaceva ancora di più il suono che faceva la parola "ami" associata a quella del compagno di un anno inferiore. 'Thomas Bangalter, mon ami', si ripeté mentalmente.
Dannazione sì, suonava troppo bene; ed era ormai troppo tardi per tornare indietro, perché il tifone Bangalter si era già abbattuto sulla spiaggia Homem-Christo, e aveva sconvolto il suo mondo, lo aveva meravigliato, catturato. 'Thomas Bangalter, mon ami', si ridisse un'altra volta, come per confermarlo, per essere sicuro che non fosse tutto un sogno, per assicurarsi che le parole si accordassero tra loro come melodie e armonie, parole che per altri ventisette anni non avrebbero mai stonato per Guy-Manuel de Homem-Christo, decisamente e inevitabilmente mai.
Alle prime luci dell'alba, verso le 4.17 del mattino, gli occhi dei due giovani cominciarono a stancarsi, le voci arrochirsi, e gli animi spegnersi, per dar spazio a quella tipica brezza sonnifera che da tempi immemori attacca gli esseri umani al calar della luna, quel piccolo e breve pizzichio che tormenta il cervello e piano gli comanda di riposarsi, quella misteriosa sensazione di piacevole distacco dal mondo chiamata "sonno".
Thomas poggiò la folta e riccioluta testa sul posto passeggero, mentre quella di Guy ricadde sulla spalla dell'altro con un tonfo sordo. Tbang sorrise.
Prima di abbandonarsi e lasciarsi sedurre completamente dalla fata del sonno, Guy trovò ancora la forza per esprimere un ultimo pensiero, inconscio di farlo, al suo nouvel ami, mentre quest'ultimo, prima di chiudere gli occhi e privarsi della dote della vista per alcune ore, posò lo sguardo sulla finestra, che ritraeva un tratto di mare, blu cobalto, e un cielo di un rosa-arancio intenso, ammaliante.
- Tu es le meilleur ami que J'ai jamais eu.
E
detto questo,
s'addormentarono.  

***
 

Quando
Thomas
riapre
gli occhi, è ancora seduto sul suo divano in pelle, con ancora indosso la canottiera bianca e i boxer grigi; Guy è alla sua sinistra, a petto scoperto e con un paio di pantaloncini neri, la testa appoggiata sulla sua spalla.
È mattina, lo capisce dalla pressante luce che fuoriesce in piccoli sprazzi dalle tapparelle della finestra, che Thomas ricorda di aver abbassato la notte precedente intorno alle 4; si porta le mani agli occhi e li sfrega, per stabilizzare la vista e cercare di destarsi il prima possibile.
Non ricorda nulla di cosa è successo dopo i Grammys, ma poco gl'importa.
Cerca di alzarsi, ma ha le gambe un po' intorpidite, e poi, deve prima fare i conti col testone di Guy, il quale è ancora perso nel mondo onirico, cingendogli delicatamente la testa da ambedue i lati con le grandi mani, e infine, accomodandolo sul divano; una ciocca scura di capelli si sposta e gli finisce sul viso, Thomas la nota e con un gesto furtivo la rimette al suo posto, dietro l'orecchio, che al tocco par essere caldo.
Quindi, finalmente si alza, si sgranchisce le ossa, e raggiunge la camera; agguanta una t-shirt nera dall'armadio e un paio di pantaloni morbidi grigio-scuro.
Si volta e ritrova il suo riflesso sullo specchio alla sinistra; non è più quel Thomas Bangalter di undici anni seduto sul treno diretto a Pompeii, non è più giovane come prima.
A volte si chiede cosa vede Guy quando lo guarda, cosa vede Élodie quando lo guarda, cosa vedono i fans guardandolo attraverso le rarissime, ma esistenti, recenti foto unmasked. Cosa pensano di lui? E del suo aspetto? Dei suoi cambiamenti fisici?
Osserva quell'uomo identico a lui che lo fissa di rimando dallo specchio; è alto, molto, quasi 1 metro e 90, gli occhi a mandorla come segno di un'infanzia che non se ne vuole mai andare, le braccia magre che portano il ricordo delle notti brave della sua gioventù, il collo lungo dove Élodie lo morsicava spesso durante la luna di miele, della peluria che spunta da sotto la maglietta e l'intricata barba che gli contorna il mento come per evidenziare una pubertà più che passata, i piedi grandi che cominciano a stancarsi anche solo per pochi scalini, e i capelli ancora ricci ma che vanno a diradarsi verso il centro con l'intenzione di ragguardarlo sulla futura vecchiaia.
'Diventerò calvo, oh Gesù', si dice quasi rassegnato all'idea. 'I miei figli avranno un padre pelato', continua, 'al contrario del mio che ha ancora un cespuglio afro, damn'.
Si dirige verso il bagno cercando di non pensare di quanto ancora potrebbe degradare il suo aspetto, e apre l'acqua fredda del rubinetto con l'intenzione di riempire il lavandino e infilarci il volto dentro, una cosa che usava fare nella fascia d'età tra i cinque e i vent'anni.
Mentre il getto esce imperterrito come una cascata burrascosa, Guy pare essersi svegliato, perché la sua voce giunge all'orecchio destro di Thomas, quello affetto da acufene, - ovvero, sensazione uditiva di ronzio, sibilo o tintinnio dovuta non a stimolazione esterna, ma a disturbi del nervo acustico - come un'eco in lontananza, o un suono distorto.
- Tbaaang! Seì qui dans la maaaaíson?- dagli accenti spostati e il tono frivolo, Thomas capisce che Guy è ubriaco, e che probabilmente devono aver bevuto molto per festeggiare i cinque premi, dato che all'after party è stato impossibile per via dei caschi.
Giusto due minuti prima di affogare il viso nella gelida acqua del lavandino, risponde a Guy quasi urlando, sperando di farsi sentire.
- Sono al bagno! Un attimo e arrivo.
Poi l'acqua si scontra sulla sua pelle con un impatto quasi doloroso, e
per un momento
si sente
di nuovo
giovane.  

***

Nel momento
in cui
Thomas
alzò la testa
dal lavandino, l'acqua cominciò a scorrergli sul candido volto che grondava dappertutto, inzuppandogli il colletto della sua camicia avocado, e infiltrandosi addirittura all'interno, bagnandogli i timidi capezzoli, cosa che lo eccitò un poco; afferrò un'asciugamano e se lo passò sulla faccia e sul collo con l'intenzione di asciugarsi, ma rimanendo comunque con una sensazione di umido non proprio piacevole.
Diede un'occhiata allo specchio prima di raggiungere Guy in cucina, e sorrise al suo riflesso facendogli un occhiolino d'intesa: era un giovane diciannovenne, molto alto, capelli corti, mossi e non più ricci, di un biondo acceso, gli occhi piccoli che gli davano un non-so-ché di asiatico, le braccine esili dove s'intravedevano i buchi delle siringhe con cui faceva circolare la droga nel suo corpo, le labbra carnose sulle quali molte ragazze avevano appoggiato le proprie, il collo tenero anch'esso vittima di stupefacenti, e un paio di tenerissime orecchie a sventola a contornargli quel viso ancora bambinesco.
Era il 1994. Il 5 Aprile 1994, e loro si trovavano a Glasgow, per ultimare i contratti con la scozzese Soma Records; alloggiavano in un piccolo Motel in centro.
Guy se ne stava seduto davanti al tavolino con una bottiglia di birra mezza vuota e lo sguardo assente, come suo solito; indossava una t-shirt grigia e un giubottino di pelle, e il tutto gli dava un'aria da sballato, che Thomas aveva imparato essere il suo scudo contro la timidezza. Gli abiti in contrasto col suo carattere lo facevano sempre sentire protetto.
- Se ti ubriachi adesso, quale sarà il divertimento di uscire sobri stasera e tornare strafatti al mattino? - domandò con tono retorico senza aspettarsi propriamente una risposta.
- Mi ubriaco ora perché so che passeremo la notte a parlare di contratti con DJ da quattro soldi e..
- Ti ricordo che siamo DJ da quattro soldi anche noi, per ora. - lo interruppe Thomas, ma l'altro continuò senza nemmeno badare al suo aspro commento - ..tu mi abbandonerai nel locale per andarti a sniffare quella merda di codeina, cocaina.. quello che é, e farti poi qualche tipa.
Non gradì il tono duro di Guy, era lo stesso che suo padre usava per rimproverarlo quando chiedeva di mangiare qualcos altro oltre la merenda pomeridiana; non gli piaceva allora, e non gli piacque nemmeno in quel momento.
- Non parlarmi così.
- Tu impara a rispettare me e te stesso, prima.
Restarono alcuni minuti a fissarsi seri, con occhi truci e la rabbia che ribolliva nei loro corpi, ma poi Thomas si affrettò ad attuare il piano, da sempre infallibile, che aveva appositamente studiato tempo addietro per far uscire Guy di casa.
- D'accordo, senti.. io stasera esco, che ti piaccia o no. - prese le chiavi dal tavolo e la giacca di camoscio dall'appendiabiti nell'ingresso - Se cambi idea sono al Shirley Club. - aprì la porta e, prima di uscire definitivamente, concluse - Sai la strada.
Fece alcuni passi rumorosi per fargli credere di essersene andato, poi si accostò al fianco della porta e attese che Guy uscisse, perché di lì a pochi minuti avrebbe cominciato a sentirsi solo e non sarebbe stato capace di sopportarlo, Thomas lo conosceva troppo bene.
Infatti, tre minuti più tardi la chiave si mosse nella serratura, e un Guyman cinereo ne uscì frettoloso.
- Going anywhere? - chiese Thomas di sottecchi, imitando l'accento americano dei poliziotti nei classici film made in USA.
- Mon Dieu, Thomas! - esclamò l'altro con enorme sollievo - Credevo mi avessi seriamente abbandonato.
- Ma come ti salta in mente, eh?- si sorrisero divertiti l'un l'altro, poi Tbang passò una mano sui lisci capelli scuri dell'amico per scompigliarglieli, e disse - Allons-y!
Il bisticcio venne dimenticato del tutto, e i due s'incamminarono verso il locale come due uniti fratelli.  

Nel frattempo, dall'altro capo del mondo, a Seattle, in una maestosa casa che dava sul Lago Washington, un uomo di ventisette anni se ne stava solo a fissare il muro, tracannando della vodka insieme a pillole di eroina e diazepam come niente fosse; il suo nome era Kurt Donald Cobain.  

Tornando però a Glasgow, al loro arrivo, il proprietario del Shirley Club, Jean Cognat, accolse Guyman e Tbang calorosamente, essendo un loro caro amico d'infanzia del Lycée Carnot trasferitosi in Scozia dopo il liceo, ed essendo comunque loro degli assidui frequentatori del posto; li fece accomodare nel solito posto all'angolo, zona fumatori ovviamente, dove alcune ragazze li stavano già aspettando. Le gemelle Tamara e Roxanne Beaurrot.
- Mais bonsoir petites mademoiselles! - esordì Thomas nel vederle; non erano prostitute, ma si avvicinavano a quel genere di ragazze, e forse ''facili'' riassumeva in pieno ciò che erano e come si comportavano.
Appesi alle orecchie avevano gli stessi enormi orecchini argentei a cerchio, stampato sulle labbra lo stesso pesante rossetto fuxia, avevano entrambe gli occhi molto scuri e contornati di nero come se qualcuno avesse fatto a botte con loro, e ai piedi portavano delle identiche e vertiginose scarpe arancioni col tacco, ma il vestito no, quello era diverso per ambedue le parti; Tamara, o più semplicemente Tam, indossava un cortissimo tubino blu acceso che si fermava cinque o dieci centimetri sotto la vita e le lasciava intravedere le liscie e lunghe gambe abbronzate, - era stata un mese a Rio col suo marito fantoccio, Grégory Chervitz, un riccone di settant'anni erotti - mentre Roxanne, per tutti Rox, aveva optato per una maglia lunga rossa vermiglia, raffigurante una tigre in procinto di ruggire, che le arrivava giusto sopra le ginocchia, le quali erano un po' grosse e sporgenti, ed evidenziava la sua perfetta silhouette post-parto - rimase incinta a diciassette anni di un ragazzo di diciotto, che però la abbandonò per trasferirsi in Brasile, con una ragazza brasiliana.
Le gemelle Beaurrot venivano anch'esse dalla Francia e avevano  rispettivamente venticinque e ventitré anni, ma per il diciannovenne Thomas e il ventenne Guy la cosa non era rilevante, - le avevano incontrate nello stesso posto una settimana prima, circa - se 'ci stavano', o almeno questa era la filosofia del più giovane, allora.
- Donc, ça va piccoli musicisti? - chiese Tamara sorseggiando dal bicchiere di birra di Roxanne.
- Pas mal. - rispose Tbang con un tono e un sorriso più che amichevoli; Tamara li colse al volo, e ricambiò posandogli una mano sulla gamba, vicino all'inguine.
- Et toi, Guy? - domandò invece Roxanne all'altro, che se ne stava in disparte con una sigaretta spenta tra le labbra; inizialmente non parlò, forse per non far cadere quel cumulo di catrame per terra, ma poi si mosse, schiuse la bocca, tirò fuori la sigaretta, con un gesto meccanico girò il volto verso quello della donna, e con sguardo assente le chiese - Hai da accendere?
Roxanne fu un po' sorpresa, ma accennò un sì col capo e, smanettando con la pochette nera, tirò fuori l'accendino, si avvicinò al viso del giovane e gli accese la sigaretta; il respiro di Guy fu pesante nel momento in cui fece un tiro e buttò fuori il fumo sulla faccia di Roxanne, che non si lamentò e, anzi, gradì l'odore aspro e asciutto del fumo sulle sue labbra.
- Merci. - borbottò infine con noncuranza Guy, con il volto coperto dalla nebbiolina grigia, disinteressato alla serata, venuto lì solo per la gioia di Thomas.
- Ci suonerete qualcosa stasera?
- Forse yes, forse no. - disse Thomas - Non dipende da noi, ma se Jean ce lo permette potremmo farvi sentire la nostra nuova chicca. - fece un occhiolino diretto a Guy, come per invitarlo a continuare il discorso, ma quello si limitò a guardarlo muto, con un'espressione illeggibile in volto.
Imbarazzato, allora, Tbang vociferò piano - Psst, hai portato la cassetta? - nella direzione del suo amico, per non farsi sentire dalle due donne; Guy mosse il capo quasi impercettibilmente, ma Thomas notò lo spostamento dei suoi capelli e lo prese come un'affermazione - Allora dammela.
Guy, rapidamente, sempre tenendo la sigaretta in equilibrio tra le sottili labbra, infilò la mano nella tasca del giubbino, e ne tirò fuori un rettangolo di plastica che poi diede in mano a Thomas.
- Questo - cominciò a prepararsi il discorso pieno zeppo di autocomplimenti mentre passava la cassettina in mano alle gemelle - Questo è il nostro primo singolo, e verrà rilasciato a breve, l'11 Aprile, grazie alla Soma Records.
Il viso compiaciuto del ragazzo fece ridere e tossire Guy nel vederlo; quel brano non era un granché, niente di cui vantarsi, niente che avrebbe potuto far loro guadagnare qualcosa di più dei soliti 80 euro che prendevano a serata nei Club.. ma Thomas sembrava tenerci molto, 'Un po' come Gollum tiene all'anello ne Il Signore Degli Anelli di Tolkien', pensò con fare divertito, sorridendo per sé.
Tamara e Roxanne tenevano l'oggetto in mano studiandolo, poi lo voltarono e trovarono un pezzo di scotch cartaceo attaccatovi con sopra la scritta ''The New Wave''. - Che vuol dire? - domandò curiosa Tam, che era arrivata solo alla terza elementare - per via dei soldi; nella famiglia Beaurrot sono sempre mancati, ed è forse per questo che la più giovane delle gemelle aveva sposato un uomo, sì più vecchio, ma di grande patrimonio.
- La nuova onda. - proruppe Guy, con lo sguardo dritto davanti a sé, osservato da tutti con occhi sgranati.
- ..Esatto! - continuò per lui Thomas, seguendolo con lo sguardo, e poi posandolo su Tamara.
- E perché questo nome? - s'inserì nel discorso Roxanne.
'Quante domande', si disse scocciato Tbang, ma Guy sembrava averlo letto nel pensiero, e fiatò nuovamente al posto suo - Perché è una cosa che nella musica non si è mai sentita, una nuova onda in un mare di cose uguali.
Thomas lo avrebbe baciato se avesse potuto, ma l'idea di posare le labbra su quelle del suo migliore amico, che considerava come un fratello, era a dir poco ributtante, e si corresse rabbrividendo al pensiero.
- Donc, rivoluzionerete la musica? - chiesero entrambe, ridendo della cosa, come se fosse tutto un gioco o una fantasia infantile.
- Lo speriamo, e..
In quel momento, nel locale entrò un ometto tarchiato della stessa età di Thomas, che aveva i capelli castani e un poco lunghi, ma non quanto quelli di Guy; le gemelle lo riconobbero e, chiamandolo verso di loro, i due amici parigini le sentirono pronunciare il nome di  - Pedro! Pedro!
Il ragazzo si voltò di scatto, e nel vederle un bianco sorriso si stagliò sulla faccia; aveva la pelle di un cappuccino chiaro.
- Tam Tam! Rox Roux! - le due si alzarono con l'intenzione di abbracciarlo, e lui corse loro incontro con la medesima idea in testa; l'abbraccio fu quasi identico ad uno schianto, dal punto di vista di Guyman e Tbang: Pedro aveva le mani sui fondoschiena delle due donne e, quando tutti e tre si staccarono, baciò prima una e poi l'altra sulle labbra, con convinzione.
Thomas e Guy si guardarono straniti.
- Pensavi fossero tutte tue, eh? - buttò lì il secondo, come per prender in giro il primo.
- Chiudi il becco. - intanto, i tre individui si avvicinarono e presero posto al loro fianco.
- Ragazzi, voici Pedro Winter, un nostro caro amico. - esclamò ''Rox Roux'' sprizzante di gioia.
- Be', lui è un po' amico di tutti a Parigi, ha-ha. - aggiunse ''Tam Tam'' ridendo.
- Ma non ancora il loro. - disse infine l'annunciato, porgendo ambedue le mani ai due fratelli - Piacere di conoscervi.. - sembrava che dove loro andassero, l'intera Francia li seguisse.
- Guy-Manuel de Homem Christo. - si presentò, stringendo rigido la mano di Pedro, che ricambiò con inversa vivacità.
- Thomas Bangalter. - si affrettò l'altro.
- AH, il figlio di Daniel Vangarde! Quale onore! - e strinse ancora più forte ed emozionato la mano del biondino coetaneo - Spero tu abbia preso la vena artistica di tuo padre.
- Abbiamo. - corresse Tbang.
Pedro, all'inizio un po' confuso, poi si prestò a dire - Quindi siete un gruppo? Beh ma che aspettate? Il locale è troppo silenzioso per le mie orecchie!
Così dicendo, Thomas e Guy si guardarono nuovamente perplessi, ma Pedro sapeva benissimo cosa intendeva; prese qualcosa dalla tasca interna della giacca e la porse di sottecchi nelle mani dei due: ecstasy in pasticche.
- Sst, non fatevi vedere. - sibilò piano - E' MDMA. Per darvi la carica.
Guy teneva sulla punta delle dita il sacchettino contenente quelle bianche pillole e lo guardava con disgusto, sguardo che da piccolo riservava solo ai broccoli e gli spinaci lessi; Thomas invece sorrideva con un ché di ebete, come se tra le mani avesse avuto la cura a chissà quale malattia, e invece quella roba la malattia la poteva procurare.
Quest'ultimo, senza esitare un attimo, aprì il sacchettino e ingerì tre pillole di fila, chiudendo e riaprendo gli occhi estasiato - non a caso questo tipo di droga si chiamava ''ecstasy''; Guy continuava a fissarle intimorito, e confuso.
Ora Thomas lo scrutava, sorridente, incitandolo di prenderne almeno una o due.
- Per darti la carica. - ripeté le parole di Pedro lentamente; non sembrava per niente il Thomas che aveva conosciuto otto anni fa.
Guardò il sacchettino, e poi Pedro; guardò le pasticche, e poi Tam e Rox; guardò l'ecstasy, e poi il suo migliore amico Thomas.
Ma poteva fidarsi di loro?
'Posso solo che scoprirlo', si convinse.
Una, due pillole, giù, dritte in gola, piccole, grandi, amare, dolci, angoscianti, estasianti.
Poi fu come trovarsi nel mezzo di una maratona, che invece di marciare in avanti, girava in tondo, e in tondo, e in tondo..
Pedro prese altre quattro pasticche e ne posò due sulla lingua di Rox, e due su quella di Tam; le baciò entrambe alla français, come si usava dire, e rubando loro una pillola ciascuno, il tutto mentre Thomas trascinava un Guyman intontito alla console al centro della sala.
Nel giro di pochi minuti il Shirley Club divenne la prostituta di Glasgow.
Centinaia di persone, tra i diciotto e i trentasei anni, entravano nel locale e ballavano a ritmo dell'incessante, acida, intensa, glorificante, e fresca Nuova Onda, con due giovani a cavalcarla, rapiti dall'estasi più estrema, ammaliati dal caldo dei corpi che attorno a loro si muovevano, piacevolmente colpiti dalle urla di apprezzamento che dalla folla si levavano.
Si guardarono con un gesto d'intesa; si sentivano pieni, si sentivano al massimo, si sentivano Daft Punk.  

Nel mentre, tornando all'altro capo del mondo, a Seattle, nella maestosa casa che dava sul Lago Washington, il musicista ventisettenne Kurt Donald Cobain era ancora solo, ma non più a fissare le pareti, non più a impasticcarsi di eroina e diazepam, - 'DANNAZIONE SONO FINITE SONO FINITE COME FACCIO SONO FINITE' - non più. Se ne stava ora accucciato, in posizione fetale, gli occhi rossi, le pupille dilatate, le vene in bella vista, i capelli umidi appiccicati alle guance un poco tumefatte, le labbra screpolate e quasi violacee, il naso incrostato di sangue, - 'HO FINITO ANCHE LO SPEED E LA KETAMINA COME DIAVOLO FACCIO NON DOVEVO SNIFFARLE TUTTE DANNAZIONE' - gocce di sudore sparse per la fronte e il collo, le unghie mangiucchiate e con residui di sangue ai bordi, i denti gialli che digrignavano, la mano sinistra che stringeva un pennarello nero a punta fine e un foglio di carta stropicciato, e la mano destra impugnata sul fucile a pompa che Dylan Carlson gli aveva comprato.
Si alzò su a forza, gemendo ad ogni movimento; si mise seduto con le gambe incrociate, tirò col naso, e sentì il sangue risalirgli per il setto. Poi si decise, e cominciò a scrivere, tremando.
«TO BODDAH,» rise «ti parlo dal punto di vista di un sempliciotto un po' vissuto che preferirebbe essere uno snervante bimbo lamentoso.» fece una pausa, respirò cautamente, riprese. «Questa lettera dovrebbe essere abbastanza semplice da capire. Tutti gli avvertimenti della scuola base del punk-rock che mi sono stati dati nel corso degli anni, dai miei esordi, intendo dire, l'etica dell'indipendenza e di abbracciare la tua comunità si sono rivelati esatti.» un'altra pausa, un'altro respiro. «Io non provo più emozioni nell'ascoltare musica e nemmeno nel crearla e nel leggere e nello scrivere da troppi anni ormai. Questo mi fa sentire terribilmente colpevole. Per esempio quando siamo nel backstage e le luci si spengono e sento il maniacale urlo della folla cominciare, non ha nessun effetto su di me, non è come era per Freddy Mercury,» poteva vederlo davanti a sé, in quella stanza, nei suoi costumi stravaganti, ballare a ritmo e sorridergli tra i baffi, in tutta la sua sicurezza, in tutta la sua professionalità, in tutta la sua magnificienza, in tutto il suo talento, in tutta la sua perfezione, con il resto dei Queen, e con le miriadi di ragazzine urlanti che chiedevano di lui, di Freddy.. «a lui la folla lo inebriava, ne ritraeva energia e io l'ho sempre invidiato per questo, ma per me non è così. Il fatto è che io non posso imbrogliarvi, nessuno di voi. Semplicemente non sarebbe giusto nei vostri confronti né nei miei. Il peggior crimine che mi possa venire in mente è quello di fingere e far credere che io mi stia divertendo al 100%. A volte mi sento come se dovessi timbrare il cartellino ogni volta che salgo sul palco.» si fermò per autocompiacersi della bella metafora, ma non perse altro tempo e ricominciò a incidere l'inchiostro del pennarello sulla carta con pesantezza, marcando le parole di troppo. «Ho provato tutto quello che è in mio potere per apprezzare questo (e l'apprezzo, Dio mi sia testimone che l'apprezzo, ma non è abbastanza). Ho apprezzato il fatto che io e gli altri abbiamo colpito e intrattenuto tutta questa gente. Ma devo essere uno di quei narcisisti che apprezzano le cose solo quando non ci sono più.» sentì gli occhi pulsare, le lacrime arrivare. «Io sono troppo sensibile. Ho bisogno di essere un po' stordito per ritrovare l'entusiasmo che avevo da bambino. Durante gli ultimi tre nostri tour sono riuscito ad apprezzare molto di più le persone che conoscevo personalmente e i fans della nostra musica,» nella mente gli si formarono immagini di tutti i fans che avrva incontrato, abbracciato, ringraziato.. sì, allora era felice di donare il suo amore a tutti coloro che lo sostenevano, ma ora si domandava se davvero quella felicità l'avesse provata. «ma ancora non riesco a superare la frustrazione, il senso di colpa e l'empatia che ho per tutti. C'è del buono in ognuno di noi e penso che io amo troppo la gente, così tanto che mi sento troppo fottutamente triste. Il piccolo, triste, sensibile, ingrato, pezzo dell'uomo Gesù!» gridò le parole ad alta voce, come se pensasse che così Dio potesse sentirlo e fermarlo e riportarlo alla realtà e togliergli di dosso tutta la desolazione che provava; pensò per un secondo al suo amico e collega Dave Grohl, ma non seppe il motivo, né ebbe mai più il tempo di pensarci. «Perché non ti diverti e basta?» si domandò sconsolato, sempre leggendo quello che scriveva. «Non lo so.» si rispose da solo, sentendo l'eco di quelle piene parole rimbalzare sui muri e riempire di almeno un poco il suo vuoto corpo.
Gli venne in mente Courtney, la sua Michelle, la sua Love, il suo amore. E la sua Frances, il suo piccolo fagiolo, - 'MA PERCHE' DIAMINE L'ABBIAMO CHIAMATA BEAN DI SECONDO NOME COS'AVEVO IN TESTA' - l'unica erede del suo cognome, l'unica vera Cobain. «Ho una moglie divina che trasuda ambizione ed empatia e una figlia che mi ricorda troppo di quando ero come lei, pieno d'amore e gioia. Bacia tutte le persone che incontra perché tutti sono buoni e nessuno può farle del male. E questo mi terrorizza a tal punto che perdo le mie funzioni vitali. Non posso sopportare l'idea che Frances diventi una miserabile, autodistruttiva rocker come me» Cominciò a singhiozzare rumorosamente con la sua roca voce, ma non lasciò che anche solo una goccia salata cadesse e macchiasse quelle belle parole d'inchiostro. «Mi è andata bene, molto bene durante questi anni, e ne sono grato, ma è dall'età di sette anni che sono avverso al genere umano. Solo perché a tutti sembra così facile tirare avanti ed essere empatici. Penso sia solo perché io amo troppo e mi rammarico troppo per la gente.» si asciugò il viso con la manica della camicia; puzzava di nicotina e droga. «Grazie a tutti voi dal fondo del mio bruciante, nauseato, stomaco per le vostre lettere e il supporto che mi avete dato negli anni passati. Io sono troppo un bambino incostante, lunatico! E non ho più nessuna emozione, e ricordate,» si passò la lingua secca sulle ruvide labbra; aveva bisogno di un'idea, di una frase efficace per finire in bellezza questo scritto.. - 'HA-AH CI SONO' -. «it's better to burn out than to fade away.» Neil Young, Hey Hey, My My (Into The Black), perfetto. «Pace, amore, empatia. Kurt Cobain.» posò la penna sul pavimento e guardò il suo foglio quasi con soddisfazione; sì, era pieno di cancellature e scarabocchi, ma gli piaceva, e forse era l'unica cosa al mondo a piacergli in quel momento - fatta eccezione per il sapore di codeina ancora in circolo per le sue papille gustative. All'improvviso si accorse che qualcosa mancava; riprese il pennarello e posò nuovamente la punta sulla carta. «Frances e Courtney, io sarò al vostro altare.» smise. Sorrise. S'incupì. Riprese. «Ti prego Courtney continua così,  per Frances.» si fermò, convinto di aver finito, ma poi altre parole si formarono nella sua mente, e la mano le scrisse da sola, senza che il suo cervello dovesse fare alcuno sforzo. «Per la sua vita che sarà molto più felice senza di me.» a questo punto gridò e si dimenò in preda all'ira di non riuscire a controllarsi, di non poterla smettere, di essere incapace di fermarsi.
Strinse il fucile nella mano destra, che crepitò un poco, e il pennarello in quella sinistra, che calcò con forza le ultime parole. « I LOVE YOU. I LOVE YOU.»  

Alle 23.48 Thomas e Guy erano fuori dal Shirley Club barcollanti; non era molto tardi, ma il buio era pesto, netto, simile al colore dei capelli del ventenne.
Avevano perso di vista le gemelle - che mai più avrebbero incontrato - e anche quel giovane Pedro Winter - che avrebbero sì perso di vista, ma ritrovato nel giro di pochi altri anni, e che sarebbe diventati parte integrante e importante delle loro vite - ma non ci badavano nemmeno.
Erano felici, felici come non mai nella loro vita; avevano suonato il loro brano in esclusiva, avevano ballato senza interruzione e restare attenzione a chi li vedesse, - perché normalmente Tbang e Guyman non amavano farlo - avevano pomiciato con due ragazze a caso dal brulichio di persone affamate di divertimento, e infine, avevano bevuto fino a oscillare e cadere sul pavimento, come se fossero stati nello spazio in un pianeta qualsiasi a ondeggiare nell'aria e la gravità avesse di colpo deciso di tornare e portarli di peso sulla Terra.
- Ouaaais! - urlò Guy, completamente perso nell'effetto dell'alcool e dell'ecstasy.
- Si maaan, è stato trés trés SUPERBE! - rispose con un altrettanto alto tono Thomas.
- Je n'peux pas croire che lo abbiamo fatto, SIAMO LA NUOVA ONDA, E LA CAVALCHIAMO ALLA GRANDE. - le lacrime cominciarono a scendergli involontariamente sul tondo viso, rigandogli le morbide guance.
Thomas si fermò, girò Guy per la spalla, e lo abbracciò intensamente, forte, stringendolo, cingendolo per i fianchi, col viso infossato nel suo collo bollente, gli occhi chiusi nel vano tentativo di non piangere, cosa che fu quasi inevitabile; dopo alcuni minuti si staccò, si passo le braccia sul volto con un gesto quasi bambinesco, trasse un respiro, e poi guardò il suo amico dritto negli occhi.
- Sai quel giorno nel treno nell'87?
- Certamente. - rispose Guy, riacquistando quel tono calmo che faceva parte del suo essere così lui.
- Ecco, credevo di essermi addormentato e stare sognando.. ma io quella frase la sentii. Quella che tu dissi prima di crollare sulla mia spalla. - Guy spalancò le pupille per lo stupore, ma un sorriso andò formandosi agli angoli della bocca, con un piccolo cenno di fossette ai lati.
- Quindi.. ecco.. - nel tempo in cui Thomas cercava le parole giuste per completare la frase lasciata a mezz'aria, coi piedi indietreggiava piano piano, senza accorgersi di stare attraversando la strada, senza far caso al camion che si stava avvicinando a velocità smisurata, senza notare il clacson dell'autistà strillargli nelle orecchie, ma udendo nitido quel rumore assordante che aveva sentito migliaia di volte fumare dalle canne delle pistole dei film americani con John Wayne nelle vesti di qualche intrepido cowboy.  

Ci fu uno sparò, un timido sparo che rimbombò per tutto Lago Washington, che giunse persino alle orecchie di due giovani francesi a Glasgow, uno sparo che entrò nel cuore di migliaia di persone per anni, uno sparo che distrusse una generazione, uno sparo che segnò la storia della musica come un marchio indelebile.
Kurt Donald Cobain era sfumato via dalla Terra.  

Guy, con una salda presa e grande coraggio, corse verso Thomas afferrandolo per le spalle e trascinandolo sul marciapiede, al sicuro.
Il camion passò e andò per la sua strada.
Thomas era di nuovo tra le braccia di Guy, ansimante, col fiato corto, il cuore a mille, gli occhi strabuzzati, le labbra spalancate dal terrore, le mani tremanti intorno al busto del suo amico.
- M-m-mi ha-a-a-a-ai s-s-s-alv-v-vat-t-t-to l-l-la v-v-v-viit..
- Ssst - lo zittì debolmente con un sospiro, e come il mare in una tiepida sera d'estate dondola e alimenta i suoi abitanti, così l'infinito oceano Homem-Christo cullò la sua piccola barchetta Bangalter.
Ci fu un lasso di tempo indefinibile in cui nessuno dei due fiatò, ma poi Thomas, ritrovata la voce e scomparsa la paura, affermò - Prima di.. quella cosa - disse con stizza per indicare il mancato incidente - ho sentito il colpo di uno sparo. Non so da dove venisse, ma l'ho sentito chiaro nella mia testa come se fosse qui, diretto a me.
- Anche io. - lo assecondò Guy, e poi annetté - Mai più con la droga, ok?
- Sì. - pronunciò solenne Thomas - Ho chiuso.
E quella fu sì l'ultima notte, l'ultima notte di molte cose.  

L'8 Aprile, l'elettricista Gary Smith trovò il corpo esanime del cantante dei Nirvana insieme ad un'ultima lettera d'addio, verso il mondo della musica e la sua vita.
I Nirvana si sciolsero, e Dave Grohl fondò, più tardi, i Foo Fighters, in onore di Kurt.
Courtney Michelle Love divenne in seguito una brava musicista, ma è tuttora una donna acida, chiusa.
Frances Bean Cobain è cresciuta. Somiglia tutta al padre.
Kurt Donald Cobain è ancora
uno
dei musicisti
più apprezzati
al mondo.  

***  

- Hey Guyman.
- Oui, Tbang?
- You're the best friend I've ever had.                  

  
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