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Le pareti interne del
tempio erano tutte un’unica, immensa distesa di geroglifici e bassorilievi.
Quel
posto era una vera macchina del tempo della storia elfica, ed era un peccato
non riuscire a capire cosa quelle scritte millenarie avessero da dire, tanto
antico e morto era l’alfabeto utilizzato.
Il
professor Colbert era il più meravigliato di tutti, e sembrava un bambino in un
negozio di giocattoli; avrebbe passato la vita a studiare quei simboli nella
speranza di decifrarli, e anche Saito e gli altri erano senza parole.
«Non restate
indietro.» li ammonì Bidashal vedendoli ammaliati dallo spettacolo che avevano
intorno «In questo posto perdersi è molto facile».
Gli elfi
condussero i ragazzi dapprima attraverso l’immenso atrio circolare prospiciente
l’ingresso, quindi lungo l’intricato reticolo di scale, corridoi e rampe che
scendevano verso il basso, a riprova del fatto che quel luogo era in realtà
molto più grande e imponente di quanto apparisse in superficie.
Ogni
singolo angolo, ogni muro, era decorato, e fu sorprendente notare come molti
dei bassorilievi che coprivano le pareti raffigurassero apparecchiature
apparentemente anacronistiche rispetto al periodo a cui quelle rovine dovevano
risalire, quali aeronavi, armi da fuoco e varie altre tecnologie proprie
dell’odierna Halkengina.
Ma la
sorpresa più grande doveva ancora venire.
Nel
punto più profondo di quella monumentale struttura sorgeva una stanza immensa,
una vera cattedrale sotterranea perfettamente circolare, fatto salvo una specie
di ampio altare rettangolare opposto all’ingresso posto su di una rampa
leggermente rialzata, sul quale capeggiava un imponente trono di pietra; il
soffitto, altissimo, era a volta, così alto che le torce non riuscivano ad
illuminarlo, mentre sul pavimento era tracciato quello che aveva tutta l’aria di
essere un pentacolo magico a cinque punte, simile a quelli usati dagli umani, con
altrettanti troni poco più piccoli del primo ad ogni sommità a formare quasi
una tavola rotonda.
E poi
geroglifici, ovunque e di ogni dimensione, così tanti da far impallidire
persino il più saggio degli studiosi.
«È
incredibile.» disse Kiluka
«La Sala
della Memoria.» disse Bidashal «In queste rovine è racchiusa tutta la nostra
storia.»
«Mai
visto niente di simile.» disse Colbert «Questi geroglifici sono antichissimi. E
questi disegni, poi… che cosa raffigurano?»
«Ho
trascorso tutta la vita a studiare questo luogo, e nonostante tutto sono
riuscito a ricostruire solo una parte infinitesimale delle innumerevoli
testimonianze trascritte su queste pareti.»
«Per
centinaia d’anni, questo postò è stato tabù per la nostra gente.» disse
Luctiana «E teoricamente lo è ancora oggi. Il professor Bidashal si è preso
molti rischi per poterlo esplorare.»
«Ma ne è
valsa la pena. Questi geroglifici raccontano la nostra storia più antica. Sono
lo scrigno che custodisce le origini della nostra civiltà. Anzi, di tutto
questo continente.» quindi Bidashal si incupì «Anche il lato più oscuro»
«Che
intendi dire?» domandò Saito.
L’elfo
iniziò così una lunga ed incredibile narrazione, illuminando di volta in volta
con il suo globo magico le porzioni di muro che come una pellicola si
dipanavano nel raccontare la più antica delle storie.
«Tutto
ebbe inizio all’incirca ottomila anni fa. Un’epoca lontana, in cui tutti i
popoli di Halkengina vivevano ancora da selvaggi, cacciando nei boschi e
dormendo nelle grotte.
Un
giorno, i saggi dèi che governano tutte le cose osservarono dall’alto questo
mondo, e videro che gli elfi, malgrado tutto, erano degni di ricevere la loro
conoscenza.
Così,
discesero dal cielo, portando sulla terra la loro città celeste, e nel luogo in
cui essi posarono i piedi sorse come d’incanto una valle rigogliosa,
traboccante di vita.
Fecero
dono della magia agli elfi, ed in cambio essi li adorarono, erigendo in loro
nome questo grande tempio per celebrare la loro magnificenza.
Nell’arco
di questi secoli questa giovane civiltà crebbe, perennemente illuminata dalla
luce degli dèi, fino ad abbracciare tutta la parte orientale di Halkengina.
Come
simbolo del loro amore per la razza degli elfi, i saggi dèi scelsero tra loro
cinque dei più illustri sapienti, perché diventassero le guide del nostro
popolo conducendolo alla grandezza, e facendo dono ad ognuno del controllo del
controllo di un elemento, cosicché nessuno sarebbe potuto esistere senza gli altri
al fine di preservare l’ordine del mondo.
In
principio questi cinque guardiani regnarono in armonia, nel rispetto dei
vincoli di lealtà e fratellanza. Ma poi, un brutto giorno, uno di loro iniziò
ad ambire ad ottenere maggior potere.
Ciò che
per volontà divina era stato creato per essere unito, venne diviso dai più
bassi desideri mortali. Mosso dall’avidità, costui insegnò la magia anche agli
uomini, primitivi e violenti, e ne fece il proprio esercito.
Forti
del loro nuovo potere, gli umani attaccarono queste terre, e ne nacque una
guerra apocalittica. I quattro guardiani rimasti fedeli al proprio credo
tentarono a lungo di riportare il loro compagno alla ragione e porre fine al
conflitto, ma più la guerra procedeva più loro stessi iniziarono a cadere preda
della sete di potere.
Il male
del mondo mortale aveva infine corrotto anche gli dèi, e quello che era
iniziato come un conflitto tra due razze, così, divenne un devastante scontro
fratricida senza veri schieramenti.
Gli
uomini combattevano gli uomini, gli elfi combattevano gli elfi, e tutta
Halkengina sprofondò in un bagno di sangue. Nel pieno di questo massacro, i
cinque guardiani finirono per uccidersi a vicenda, e con la loro morte la
guerra ebbe finalmente fine.
Ma di
quella civiltà, e della sua grandezza, ormai non rimaneva più niente.
Una cosa
però era certa. Umani ed elfi ormai non avrebbero più potuto vivere in armonia,
giacché gli elfi accusavano gli umani di aver contribuito a far sorgere la
apocalisse, mentre viceversa gli umani imputavano agli elfi di non aver voluto
dividere dal principio con loro le conoscenze degli dèi lasciandoli nella loro
barbarie preistorica.
Le due
razze furono così divise da un’atavica rivalità, unita solo dal terrore comune
per quel potere oscuro che era stato all’origine di tutto quel male, e
separatamente ricostruirono ognuno la propria civiltà, mentre quella che le
aveva precedute andò invece incontro all’oblio».
Negli
sguardi di tutti, da Saito al professor Colbert, Bidashal e Luctiana lessero
l’incredulità più assoluta; anche Tiffa era sconvolta, non avendo mai saputo
niente di tutta quella storia, tanto era stata dimenticata e sepolta per
secoli.
Gli
occhi di tutti in particolare erano rivolti al bassorilievo che mostrava la
discesa degli dèi sulla terra, in piedi sopra la loro città celeste che come un’astronave
planava dalle stelle tra l’adorazione degli elfi prostrati sotto di essa.
«È una
storia quasi inverosimile.» disse Louise
«In
effetti, nei resoconti storici della nostra razza.» spiegò Colbert ugualmente
atterrito «Non vi è alcuna menzione sull’uso o sulla conoscenza della
stregoneria che risalga a prima di seimila anni fa.»
«Quindi,
il dio che iniziò la guerra sarebbe stato colui che custodiva la magia del
Vuoto.» disse Saito
«È
così.» rispose Luctiana «Le iscrizioni parlano di un potere più grande di
qualunque altro mai visto prima, in grado di manipolare lo spazio e il tempo
equiparando da solo gli altri quattro elementi messi insieme.»
«Ora è
chiaro.» disse ancora il professor «Ecco spiegato l’odio degli elfi. Odiano gli
uomini per aver provocato il crollo della loro prima civiltà, e temono i maghi
del vuoto perché incarnano il potere di colui che ha reso possibile questo
crollo.»
«Seppur
con alcune imprecisioni e le inevitabili sporcature
proprie della tradizione orale.» spiegò Bidashal «Questa storia è nota a tutti
sottoforma di leggenda. Per molto tempo ho creduto che non si trattasse d’altro
che di questo, ma quando ho visto tutto questo le mie certezze sono crollate».
Una
raffica di fasci luminosi irruppe alle spalle dei ragazzi interrompendo la
discussione, e anche se nessuno rimase ferito quando i ragazzi si voltarono si
videro la via di fuga sbarrata da un nutrito schieramento di guardie elfiche,
al cui comando vi erano Eruvere ed Eshamel.
«La lezione
di storia è finita, amici miei.» disse malevolo Eruvere.
All’esterno era rimasta
solo una coppia di soldati al comando di Maddarf, che come la tradizione
comandava avevano dato sepoltura ai loro compagni morti nello scontro con Kaoru
e stavano ora sorvegliando l’entrata.
«Non
dovremmo seppellire anche lui?» domandò una delle guardie buttando un occhio al
corpo di Kaoru, riverso sulla pancia in un lago di sangue
«Un
umano?» replicò l’altro disgustato «E dopo quello che ha fatto ai nostri
compagni? Che se lo mangino gli sciacalli».
Maddarf
si avvicinò al giovane umano, certamente morto, cercando di scorgere qualcosa
in quel suo volto martoriato.
«Seppellitelo.»
«Come!?»
disse il secondo, basito
«Ha
combattuto con valore. Si merita una tomba decorosa.»
«Ma
signore, è un Umano!»
«E noi
siamo elfi. Migliori degli umani.
E ogni
guerriero merita il medesimo rispetto, se ha combattuto con valore.
Fate
come vi ho detto.
Io torno
all’ingresso».
Seppur
con evidente disappunto, soprattutto da parte del secondo, i due soldati si
misero al lavoro, e mentre uno scavava una fossa abbastanza profonda l’altro,
raccolta una pietra, prese ad intagliarla con la magia per darle le fattezze di
una lapide da apporvi sopra.
Entrambi
davano le spalle al corpo, ed entrambi, ad un certo punto, ebbero l’impressione
di sentire qualcosa alle proprie spalle, come un rumore di sabbia smossa.
Si
voltarono, e furono sorpresi nel vedersi l’un l’altro fare la stessa cosa, come
lo furono nel rendersi conto che nessuno dei due era responsabile di quello
strano rumore.
Il corpo
era ancora lì, immobile, e da sotto di esso fece capolino uno scorpione,
emergendo dalla sabbia con le sue chele e il pungiglione velenoso.
«Al
diavolo.» brontolò uno, ed entrambi tornarono al loro lavoro.
Quello
intento a scavare aveva ormai quasi completamente terminato il proprio lavoro;
non che si fosse impegnato troppo, visto che per come la vedeva quel cane
schifoso non meritava neppure di essere sepolto in una fossa comune.
Il suo
compagno lo sentì improvvisamente rantolare, e nel momento in cui si girò il
suo volto divenne una maschera di terrore.
Passò
qualche istante, e un urlo straziante ruppe il silenzio del deserto, mettendo Maddarf
sul chi vive.
«Che
succede?» esclamò svoltando l’angolo dove aveva lasciato i suoi uomini, la
spada già sguainata e pronta a colpire.
Niente e
nessuno, neppure le divinità infernali, sarebbero state capaci di terrorizzarlo
a tal punto.
Quello
che vide, o che non vide, lo lasciò impietrito per la paura, a tremare come una
foglia.
Non
riuscì a parlare, né a muoversi. Poteva solo guardare quella…
quella cosa che, accortasi di lui, emise un gemito, come una specie di roco
ruggito, per poi scattare fulminea.
Un nuovo
urlo, più tremendo del primo, riempì l’aria, e subito dopo fu di nuovo assoluto
silenzio.
«Come avete fatto a
trovarci?» ringhiò Bidashal mentre i soldati facevano cerchio attorno a loro
mettendoli in trappola
«Sei
sempre stato un tipo poco previdente, Bidashal.» rise Eshamel «L’onda d’urto
magica creata da quel portale magico si sarà sentita in mezzo continente. Ci è
bastato seguirla».
Era una
situazione disperata, ma non si sarebbe mai detto che Saito e gli altri
sarebbero caduti senza lottare.
Come
vide Saito e Luctiana mettere mano alle spade, Eshamel puntò immediatamente il
dito contro tutti loro.
«Fermi!»
ordinò, e come già accaduto a Kaoru i ragazzi si ritrovarono impotenti e capaci
di muoversi, totalmente alla mercé del loro nemico.
«Ma cosa…» mugugnò Luctiana «Che mi succede?».
Eruvere
sorrise, e tutti videro comparire sulla sua gola le rune del Vuoto.
«Io sono
Voxegnir. La Voce di Dio. Io parlo, voi obbedite. Una
mia parola può farvi sprofondare nella disperazione.»
«Eruvere… ti prego…» tentò di dire
Tiffa
«Non
temere per la tua vita, giovane mezz’elfa. A te non
sarà fatto nulla, e neanche alla Maga del Vuoto. Voi siete molto importanti per
noi».
Uno dopo
l’altro, Eruvere scrutò tutte le sue altre vittime, e quando i suoi occhi
incontrarono quelli di Kiluka il suo sguardo si fece sorpreso.
Si
avvicinò alla ragazzina, terrorizzandola con la sua figura minacciosa, e tutto
quello che Kiluka poté fare fu rimanere immobile mentre lui la sollevava di
peso tenendola per la gola.
«Lasciala,
maledetto!» urlò Saito tentando inutilmente di muoversi.
L’elfo
le scoprì la pancia, rivelando le rune che vi erano impresse.
«Sei
anche tu un Famiglio del Vuoto.
E sei
anche potente, da quello che vedo. Ma sembra che tu non abbia ancora trovato un
signore da servire.
Il mio
padrone è generoso, e molto potente. Sempre alla ricerca di valorosi compagni
che possano mostrarsi degni del suo potere. Sono sicuro che sarebbe felice di
accoglierti nelle sue fila».
Kiluka
tergiversò, sembrava indecisa. Certo, l’ipotesi di avere finalmente un mago del
vuoto da servire non doveva lasciarla indifferente.
«Kiluka,
non ascoltarlo!» tentò di dire Colbert, salvo poi venire messo subito a tacere
da un pomo di spada nello sterno
«Forza,
piccola.» disse ancora Eruvere «Fai la cosa giusta».
Ma
Kiluka non era certo una stupida, e la sua risposta fu uno sguardo che, da
smarrito, si fece di colpo sprezzante.
«Io non
servirò mai il tuo padrone. Non lo voglio un padrone malvagio come il tuo.» e
concluse con uno sputo ben indirizzato che centrò l’elfo dritto in un occhio.
Per
nulla contrariato, almeno in apparenza, Eruvere la mollò, lasciandola ricadere
a terra.
«Hai
fatto la tua scelta».
Fatti
due passi, tornò verso i suoi compagni, e quasi contemporaneamente Eshamel,
come un toro infuriato, caricò Saito, prendendo a tempestarlo di calci.
Schiumava
rabbia, e per tutta la durata del viaggio non aveva pensato ad altro che a far
pagare a quell’umano insolente di averlo quasi ucciso.
«Saito!»
urlò Louise
«Ti
piace? Ti piace, maledetto? Chi è che mangia la polvere adesso? Chi è a terra?
Eh? Rispondimi!»
Saito
era impotente, del tutto alla mercé di quel pazzo, che seguitò a colpirlo fino
a che non ne poté più, dovendosi fermare per mancanza d’aria.
Ma non
era ancora finita. Aveva qualcos’altro in mente.
«Voglio
che sia lei ad ucciderlo.» disse sadicamente indicando Louise «Ordinaglielo,
Eshamel!».
Louise e
Saito si scambiarono uno sguardo atterrito.
«Non
siamo qui per la tua vendetta personale, Eshamel.» tentò di spiegargli Eruvere
«Ho
seguito tutti i tuoi ordini senza mai discutere. Questa volta me lo devi.
Voglio che si sappia. Che si sappia cosa succede a chi osa provocarmi e
mettermi in ridicolo.»
«Non
serve che qualcuno ti metta in ridicolo, ci riesci benissimo da solo.» disse
velenosa Luctiana
«Non
avere fretta. Verrà anche il tuo momento».
Eshamel
era visibilmente impazzito, ed Eruvere pensò che forse per il momento era
meglio assecondarlo.
Quando
si vide puntare contro il dito dell’Elfo, Louise si sentì morire dentro.
«Obbediscimi».
Fu
sufficiente quell’unica parola, e Louise come una marionetta si mosse
meccanicamente verso Saito, ancora agonizzante sul pavimento per tutti i colpi
ricevuti da Eruvere.
«Ti… ti prego…» disse mentre
veniva costretta a raccogliere la spada del compagno «No…
ti prego…».
La
ragazza tentò di ribellarsi, arrivando perfino a cercare di rivolgere la spada
su di sé, ma ciò nonostante afferrò l’elsa con entrambe le mani, e divaricate
leggermente le gambe alzò la spada sopra di sé, la punta rivolta verso la gola
scoperta di Saito, che a sua volta la osservava senza potersi muovere.
Tutti
assistevano impotenti, e per volontà di Eruvere non era loro concesso neppure
di distogliere lo sguardo.
«Sa… Saito…»
«Louise…»
«Non voglio… non voglio…».
Eshamel
ghignò come un demone.
«Fallo!»
«Saito!».
Per
poter controllare le sue vittime, Eruvere era costretto a tenere lo sguardo
costantemente fisso su di loro. Per questo momento, quando d’improvviso una
katana lanciata con tutta la forza possibile lo trafisse ad una spalla, senza
in realtà affondare più di tanto, Saito e gli altri si ritrovarono
improvvisamente liberi.
L’elfo,
chiaramente attonito, si piegò in avanti, ma pur avendo fatto il suo dovere la
lama era penetrata così poco che scivolò fuori dalla ferita ricedendo a terra;
stavolta, voltatisi alle proprie spalle, furono lui ed Eshamel a rimanere di
sasso.
«Tu!?»
ringhiarono in coro.
Kaoru
era lì, accanto all’arco d’ingresso, traballante e provato, ma in piedi, i
vestiti ancora rossi di sangue e una mano poggiata sulla ferita, ancora aperta
ma visibilmente più piccola di quella che, per quanto ricordavano i due elfi,
Eruvere lo aveva costretto ad infliggersi.
«Come
fai ad essere ancora vivo?»
«A dire
il vero… non lo so nemmeno io…».
Ritrovatisi
liberi, i ragazzi colsero al volo l’occasione e si scagliarono contro le
guardie, dando vita ad una violenta battaglia.
Benché
ferito, Kaoru riuscì a recuperare la sua spada e a confrontarsi con Eruvere,
che prese a schivare i suoi fendenti senza accennare una qualche resistenza. Il
ragazzo evitava di guardarlo negli occhi nel timore di poter cadere nuovamente
sotto la sua influenza, e in un certo senso fu sorpreso nel constatare che il
suo avversario non sembrava intenzionato ad agire in tal senso.
«Che ti
succede?» gli domandò con aria di sfida «Non ricorri più a quel trucco».
Eruvere
non rispose, ma il suo sguardo diceva tutto; allora, Kaoru capì.
«Non
sarà forse che ti è consentito usarlo solo una volta?».
Capendo che
aria stava tirando, con le guardie messe sotto dall’abilità di Bidashal e
Luctiana ed Eruvere che per tenere in pugno tutte quelle vittime si era
stancato al punto di non riuscire a combattere contro un nemico ferito, Eshamel
fece per battere in ritirata, ma con grande stupore di tutti da un momento all’altro
il tempio cominciò a tremare, e dall’esterno giunsero violenti rombi di tuono.
Da là
sotto non potevano vederlo, ma la Valliere era di nuovo in volo, malconcia ma
nuovamente in mano ai suoi padroni, e stava cannoneggiando l’aeronave di
Eshamel rimasta al confine del complesso.
Non era
da sola; con lei c’erano cinque aeronavi elfiche, sulle quali sventolava una
bandiera nera con all’interno un grande triangolo rosso.
Data la
spaventosa inferiorità numerica, i soldati fedeli ad Eshamel si arresero quasi
subito, mentre quelli all’interno del tempio, capendo che aria tirava,
cercarono frettolosamente di darsi alla fuga, pur sapendo che così facendo
sarebbero caduti tra le braccia dei loro nemici; ma erano troppo preoccupati
del fatto che il tempio potesse crollare per stare a pensarci.
«Andiamocene
da qui, prima di fare la fine dei topi in trappola!» strillò il capo elfico
fuori di sé.
Eruvere
sembrava conoscere bene quelle rovine, tanto che, invece che dirigersi verso l’uscita,
accecati i ragazzi con un globo di luce corse insieme ad Eshamel verso un’altra
sala vicina a quella dove avevano combattuto, al centro della quale vi era un
pentacolo magico.
Saito e
gli altri provarono a rincorrerli, ma quando li raggiunsero l’elfo aveva già
attivato il pentacolo.
«Non
finisce qui, ve lo garantisco.» disse Eruvere mentre lui ed Eshamel sparivano
«Il nostro piano ormai è in atto! Non potete fermarlo!».
Colbert
fece un ultimo tentativo di bloccare l’incantesimo disturbandolo con la sua
magia, ma fu tutto inutile, e i due riuscirono infine a scappare.
«Maledizione,
se ne sono andati.» ringhiò Bidashal.
A quel
punto, sia Saito che Kaoru stramazzarono al suolo, il primo per i colpi di
Eshamel il secondo per la ferita che ancora lo tormentava.
«Kaoru nii-san, che ti è successo?» chiese Kiluka cercando di
aiutarlo
«Non ne
ho idea… quel maledetto mi ha costretto a trafiggermi.
Credevo di stare per morire, ma poi…»
«E Derflinger?» domandò Colbert.
Kaoru si
incupì, guardandosi la mano.
«Temo
sia morto».
Tutti si
voltarono.
«Come,
morto!?» esclamò Saito
«È così.
Non sento più la sua presenza. La mia è solo un’ipotesi, ma credo si sia
sacrificato per salvarmi. Altrimenti non mi spiego come abbia fatto a
sopravvivere».
L’aria
si riempì di tristezza. Saito e gli altri avevano visto Derf morire
apparentemente già una volta, salvo poi ritornare in modo quasi miracoloso;
stavolta, però, regnava il sospetto che non ci sarebbe stato spazio per
improvvise resurrezioni.
Derf, da
vera arma, aveva fatto quello che gli era dato di fare: proteggere il suo
padrone.
Uscendo all’esterno, Saito
e gli altri trovarono ad attenderli altre aeronavi e un nuovo, piccolo esercito
di elfi, i quali però invece che con le armi li accolsero con abbracci e
strette di mano.
«È la
Resistenza.» disse Luctiana riconoscendo la bandiera che svettava sui velieri,
un drappo nero con all’interno un grande triangolo rosso.
Nel riconoscerne
il comandante, poi, Bidashal abbozzò un sorriso.
«Ride.»
«È da
molto che non ci vediamo, professore. Felice di saperla sano e salvo.»
«Ringraziate
il cielo che stavano transitando da queste parti.» disse Ari sbucando da dietro
una colonna «O altrimenti non saremmo mai riusciti né a riprenderci la vostra
nave né a venire qui ad aiutarvi».
Saito,
benché dolorante, volle restare per ringraziare chi li aveva aiutati prima di
fare rientro a Tristain, mentre Kaoru dovette venire portato immediatamente in
infermeria per essere curato.
«Adesso
cosa farete?» domandò Louise
«Mi
sembra ovvio.» rispose Bidashal «Nonostante questa sconfitta, Eshamel controlla
ancora quasi tutto il nostro Paese. Ci uniremo alla Resistenza.»
«Inoltre,
quando si saprà della colossale bastonata che il nostro amico ha preso oggi.»
disse Luctiana «In tanti accorreranno per unirsi a noi. Libereremo il nostro Paese
molto presto, potete contarci!».
Saito
guardò Tiffa, scambiandosi con lei un gentile sorriso.
«Allora,
vuoi davvero restare qui?»
«Sono
stata una sciocca a fidarmi di Eruvere. È anche colpa mia se è successo tutto
questo. Voglio dare una mano.»
«Allora,
abbi cura di te. E se dovessi avere bisogno di qualcosa, non farti scrupolo.»
«Grazie,
Saito-san».
Nel mentre
il professor Colbert stava ispezionando parte delle rovine, raccogliendo
appunti e campioni da riesaminare una volta tornato all’accademia.
Era intento
ad imbustare l’ennesimo reperto, che d’improvviso vide uno dei ribelli elfici
svoltare un angolo pallido come se avesse visto la morte in faccia; quel
poveretto sembrava trattenere a stento i conati di vomito, uno sforzo che alla
fine risultò inefficace.
«Che è
successo?» domandò Colbert cercando di aiutarlo
«È… è orribile…» riuscì a
mormorare l’elfo.
Colbert
alzò lo sguardo e ripercorse i passi dell’elfo, e fatti pochi passi si trovò di
fronte ad una scena che riuscì a lasciare sgomento persino uno come lui,
abituato in gioventù ad ogni sorta di orrore.
Non lo
si poteva neanche chiamare massacro. Era riduttivo.
Era…
abominevole.
Che cosa
mai era successo in quel posto fattosi di colpo un piccolo angolo di inferno?
Ad
assistere a quel macabro spettacolo vi erano altri due elfi, uno dei quali
cercava di scuotere Maddarf, all’apparenza ferito solo lievemente, ma raggomitolato
a terra come un pupo con i pantaloni fradici e gli occhi sbarrati, come morti.
«In nome
del cielo, che è successo qui?»
«Sembra
quasi che siano stati mangiati.» disse uno dei due «Forse è stato un animale. Da
queste parti girano bestie pericolose.»
«Ma che
razza di animale sarebbe in grado di fare una cosa del genere?».
Entrambi
poi si avvicinarono a Maddarf, constatandone lo stato catatonico.
«Un
mostro.» continuava a ripetere «Un mostro nero.»
«È
completamente impazzito.»
«Maddarf
era un soldato, e un valente guerriero.» disse il solito elfo «Mi domando cosa
sia stato capace di ridurlo in questo stato».
Mentre uno
dei due elfi dava sepoltura a quei poveri sventurati, o a quello che ne
rimaneva, Colbert aiutò l’altro a sollevare Maddarf per poterlo portare via. Nel
tornare verso le navi incrociarono Siesta e Quintus, intenti a trasportare
Kaoru verso la Valliere. Maddarf, quasi per caso, sollevò leggermente lo sguardo,
incrociando quello di Kaoru.
Passò un
istante, e l’elfo prese ad urlare con tutta la sua voce, urla strazianti che
attirarono l’attenzione di tutti.
«No! No!
Vattene! Lasciami! Aiuto!».
Dimenandosi
come un dannato Maddarf si liberò dalla presa del professore e dell’elfo,
iniziando a correre delirante in tutte le direzioni senza smettere un momento
di urlare. La sua corsa si concluse contro una colonna, e quando Colbert cercò
di andarlo ad aiutare lo vide esalare l’ultimo respiro, la bocca impastata di
saliva e gli occhi letteralmente fuori dalle orbite.
Non
avrebbe mai creduto di assistere ad una morte per paura, né credeva fosse possibile
per un essere vivente morire di paura nel senso letterale del termine.
Ma cosa
poteva aver terrorizzato a tal punto un soldato abituato a convivere con la
morte?
Nota dell’Autore
Eccomi qua!^_^
Come promesso ho cercato di andare un po’
più spedito del solito, anche se la velocità non era quella che mi ero
immaginato.
Comunque, il capitolo è piuttosto lungo,
ma ormai la stavo tirando decisamente troppo per le lunghe con questa vicenda
relativa a Neftes e agli elfi e ho voluto concludere senza stare a girarci
troppo attorno.
Tanto più che da qui in avanti le cose
cambieranno velocemente; già a partire dai prossimi capitoli molti altri nodi
verranno al pettine, e tutto inizierà a volgere verso un colpo di scena
drammatico quanto inatteso.
Ormai siamo già a tre quarti della
vicenda, e confido che entro una ventina di capitoli vedremo la fine di questa
lunga avventura.
A presto!^_^
Carlos Olivera