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Autore: Stray    30/06/2008    7 recensioni
"Passa la storia, passano anche gli uomini che l'hanno scritta. Ma questa sabbia non vedrà mai il mare: quello che vi abbiamo scrito, non verrà mai cancellato del tutto..."
Ishvar, una guerra, l'inizio di tutto.
Quello che la Storia non ha riportato, ma che non si può dimenticare.
Genere: Generale, Introspettivo, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Maes Hughes, Riza Hawkeye, Roy Mustang
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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“Nell'illusione ho creduto alla mia forza inesorabile
e inevitabilmente sono diventata debole
ora sento gli eventi si trasformano e so già
di emozioni che aprono ricordi lontani

Nell'anima ritrovo la speranza che nel corpo stanco ormai
ha smesso di vibrare come un fuoco spento dal mio pianto
tra le mani un filo d'acqua porterò con me e
nel deserto un filo d'erba sopravviverà

I do, I do
emergere dal fondo per lottare e poi
salire in alto più che mai
I
do, I do
guardare nel futuro e sorridere
senza temere nulla più

In un instante nuove aspirazioni anche se davanti a me
si apre uno scenario di conquiste e smarrimenti,
nel silenzio, riflessi de epoche lasciate via
respirando ne avverto il moto circolare e poi...

Il tempo si è fermato per tracciare nuovi confini, ed io
mi spingerò lontano raccogliendo le mie forze nel vento
tra le mani riflessi di epoche lasciate via
camminando ritrovo le tracce indelebili

I do, I do
gridare contro gli occhi spenti e gelidi
per essere sempre di più
I do, I do
oltrepassare mondi inespugnabili
senza temere nulla più...
I do, I do
emergere dal fondo per lottare e poi
salire in alto più che mai
I
do, I do
guardare nel futuro e sorridere
con una nuova identità

fino a quando il sole sorgerà....”

Ilaria Graziano, “I do”, (Ghost in the shell OST)

Epilogue: 29 years old

“Lo so, sono in ritardo. Di almeno dieci anni.”

Non ottiene risposta. Ma in fondo, quell’uomo non è mai stato di molte parole, e le loro rare conversazioni erano più strani monologhi, che scambi di opinioni.

“Ho sempre avuto paura di tornare qui. Perchè è qui che è iniziato tutto. Davvero tutto.”

La casa grande e cigolante, il cancello di legno dipinto di bianco, gli scaffali polverosi e scuri della biblioteca. Tutto è rimasto uguale, alle sua spalle.

Fermo, immobile.

L’immutabilità è qualcosa che non ha mai apprezzato, ma quel luogo è riuscito a mantenerla, nonostante la guerra, nonostante le cupe giornate di attesa, di battaglia.

Non è cambiato nulla.

“Riza non è venuta. A dire il vero non sa che sono qui. Volevo parlare da solo con voi.”

Non è venuto a chiedere perdono. Sa di non poterlo ottenere.

“Mi sbagliavo. Mi sbagliavo su tutto. Ma sto provando a cambiare quell’errore, a trasformarlo in qualcosa che potesse giustificare tanta sofferenza. Non esiste lo scambio equivalente, come mi avete sempre insegnato. In questo sbagliavamo entrambi.”

Bianco marmoreo e verde d’erba tagliata e azzurro di cielo. Colori così diversi da quelli del deserto. Non crede nella serenità, ma quel luogo è la prova esistente di quanto la cerchi, anche se comincia a dubitare di poterla raggiungere.

“Ma anche se sbagliavamo, anche se tutto quello che mi avete dato è stato un errore, sono convinto che porterà a qualcosa di diverso. Ho deciso di rimanere quel ragazzino sciocco e ubriaco di ideali sdolcinati che disprezzavate tanto, e nel quale però sia voi che vostra figlia avete creduto.”

Stringe tra le dita il cappello, la mano nella tasca è l’unico punto caldo e vivo di quella radura.

“Non ho dimenticato.”

Sussurra, perché non vuole disturbare il sonno di chi non presta attenzione a quei discorsi senza senso. E’ lì, perché per andare avanti ha bisogno di un punto di partenza e un punto di arrivo, qualcosa che può cercare solo in quel luogo che non è un luogo, in quella radura apparentemente esente dal tempo e dal resto del mondo.

“Non ho dimenticato, la vostra preghiera. Il fatto che il vostro ultimo pensiero sia andato a lei, e a me, e a quello che non eravate mai riuscito a dire ad entrambi. Mi avete chiesto di proteggerla, di starle vicino, ma l’ho fatto nel modo sbagliato.”

L’alito di vento invernale che si alza, gli dà conferma dei suoi sospetti.

“Le ho chiesto di seguirmi, ancora nel modo sbagliato. Ma lei ha accettato. E’ una sciocca, stupida ragazzina con ideali più grandi di lei, che ha deciso di seguire un pazzo.”

L’unico sorriso della giornata lo lascia sua quella tomba bianca, ma l’ironia amara lo trasforma in una smorfia.

“Ho un obiettivo. E lo raggiungerò con quella che voi chiamavate la “razionalità di un bambino”. Lo so, non è da scienziato, questo ragionamento. Ma non è da scienziato nemmeno l’amore…”

Rilegge le date di nascita e di morte, anche se le conosce già. Lo fa per riportare alla memoria quella giornata dove lei era un’altra, dove era se stessa, al fianco di un ragazzo in divisa che non conosce più.

“Non ho dimenticato le vostre ultime parole. Sono qui per dirvi che non le dimenticherò mai. Che vorrei trasformarle nel mio futuro, non appena avrò saldato almeno in parte il mio debito, realizzando l’obiettivo che mi sono posto. Ma ho bisogno di chiedervelo, come da tradizione. Voi amavate la tradizione, era la vostra ancora. Per questo le avete tatuato sulla schiena la vostra tradizione, la vostra identità, senza curarvi di chiederle se fosse anche la sua. Ma non importa, perché quella tradizione è bruciata, è andata perduta, proprio perché me lo ha chiesto lei.

E io sono qui a disseppellirla, ancora per lei.”

Lo sfregare delle foglie l’una contro l’altra, sembra la risata roca di un vecchio. Ma le suggestioni fanno parte della scenografia.

“Sono qui per chiedevi la sua mano. Quando tutto sarà finito, quando entrambi avremo esaurito i nostri scopi, se mai rimarrà tempo per noi… ritornerò qui, con lei, per avere la vostra benedizione. Se vorrete darla a due ragazzini idealisti che hanno trasformato un sogno in qualcosa di possibile.”

Si inchina, come quel giorno. Abbassa il capo, come Roy Mustang non lo ha mai abbassato per nessuno: credendoci.

Si lascia casa Hawkeye alle spalle, persa nella polvere dei ricordi, la tomba del suo maestro finalmente pulita, ma senza fiori. Severa e silenziosa, come lui è sempre stato.

Ma le foglie sussurrano tra loro, che i tempi stanno cambiando.

E’… finita. Non mi piacciono i finali, dannazione… >___<

Che posso dire… siamo tornati alla storia che tutti conosciamo, all’attualità. Lo so, avrei potuto finire con un bel matrimonio o un altro happy ending di sorta (e solo dio sa quando avrei voluto, sigh…) ma mi ero data disposizioni precise: “Segui la storia, riallacciati alla storia, non tradire la storia”.

E così ho optato per una sorta di “dichiarazione di intenti” di Roy, nell’unico luogo in cui la sensei Arakawa non ce lo fa vedere per tutto il manga (ma il futuro è ancora un’incognita e tutto è possibile): davanti alla tomba del maestro.

Penso che gli sia richiesto una grande quantità di coraggio presentarsi l’ dopo Ishvar: ho avuto l’impressione che sia lui sia Riza abbiano, come dire, paura di affrontare (anche se simbolicamente) l’uomo che è stato l’artefice involontario (?) dei loro destini, e che forse sentono di aver tradito (almeno, nel senso di aver travisato lo scopo ultimo di quella conoscenza che è stata loro affidata).

Tuttavia, ora che Roy si è riscoperto profondamente idealista, nonostante la guerra avesse inibito la sua speranza nel futuro, tornare al via è d’obbligo, se non altro per sancire una nuova partenza, un nuovo inizio. Roy non ha avuto una vera e propria catarsi (al contrario di Riza, se catarsi può chiamarsi la sua bruciatura sulla schiena), un preciso spartiacque tra la guerra e la nuova vita.

Per cui, immagino che la tomba del maestro, il confrontarsi con essa e tutto quello che simboleggia a livello emotivo e non, sia un po’ la sua personale fenice – e il suo pensiero non può non andare anche a lei, a quella parte del futuro in cui Roy la vuole includere.

Roy è quel genere di personaggio che si “scopre” nel confronto con gli altri (con Riza, con Maes, con Bradley, con Ed), che dà nuovi indizi di sé e del suo modo di ragionare – con una “razionalità da bambino”, con il prefissarsi obiettivi utopici con meticolosità matematica – del suo modo di agire e dei suoi legami con gli altri, prevalentemente quando si contrappone ad un modo di pensare, fare e relazionarsi simile, diverso o diametralmente opposto al suo.

Risalta per contrasto.

Riza al contrario, rimane un mistero - ed escludo a priori che possa essere riassunta nell’aggettivo “fredda” o “riservata”: c’è molto di più di questo in Riza.

Al contrario, la ritengo talmente emotiva da essere in grado di impregnare di significato persino il silenzio. Per questo, un capitolo del genere su di lei, sarebbe stato (almeno per me) impensabile.

Lei si confronta con suo padre (con la sua scelta e la sua non-scelta) ogni giorno, senza parole, ma solo con le azioni, con gli scopi che lei stessa si è prefissata.

Lei agisce (in silenzio), lei sceglie – e, come fa lei stessa orgogliosamente notare, lo fa da sola, di sua spontanea volontà.

Riza è il bianco e il nero, mentre Roy è la miriade di sfumature possibili che stanno nel mezzo.

Scusate il papiro, ma rimango sempre affascinata della maestria della sensei Arakawa nell’aver creato personaggi così complessi, che è un piacere manovrare, riscoprire ogni volta diversi e reinterpretare.

Come si fa a smettere di scrivere con personaggi che ti obbligano a farlo?

Mission impossibile. ^^

In attesa che il mio cervellino si faccia venire altre idee, vi ringrazio tutte, dalla prima all’ultima, per il supporto che mi avete dato in questa raccolta, per le recensioni molto profonde o anche sono per aver letto senza commentare (un grazie anche alla tribù delle lettrici silenziose).

Insomma, grazie davvero. Sono molto felice di aver condiviso (e di poterlo fare ancora in futuro) una passione come questa con voi. GRAZIE.

Un bacione enorme e buona estate a tutte!!!

  
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