“Nell'illusione
ho
creduto alla mia forza inesorabile
e inevitabilmente sono diventata debole
ora sento gli eventi si trasformano e so già
di emozioni che aprono ricordi lontani
Nell'anima ritrovo la speranza che nel corpo stanco ormai
ha smesso di vibrare come un fuoco spento dal mio pianto
tra le mani un filo d'acqua porterò con me e
nel deserto un filo d'erba sopravviverà
I do, I do
emergere dal fondo per
lottare e poi
salire in alto più che
I
guardare nel futuro e
sorridere
senza temere nulla più
In un instante nuove aspirazioni anche se davanti a me
si apre uno scenario di conquiste e smarrimenti,
nel silenzio, riflessi de epoche lasciate via
respirando ne avverto il moto circolare e poi...
Il tempo si è fermato per tracciare nuovi confini, ed io
mi spingerò lontano raccogliendo le mie forze nel vento
tra le mani riflessi di epoche lasciate via
camminando ritrovo le tracce indelebili
I do, I do
gridare contro gli
occhi spenti e gelidi
per essere sempre di più
I do, I do
oltrepassare mondi
inespugnabili
senza temere nulla più...
I do, I do
emergere dal fondo per
lottare e poi
salire in alto più che
I
guardare nel futuro e
sorridere
con una nuova identità
fino a
quando il sole sorgerà....”
Ilaria
Graziano, “I do”,
(Ghost in the shell OST)
Epilogue:
29 years old
“Lo so, sono in ritardo. Di almeno dieci anni.”
Non ottiene risposta. Ma in fondo, quell’uomo non è mai stato di molte parole, e le loro rare conversazioni erano più strani monologhi, che scambi di opinioni.
“Ho sempre avuto paura di tornare qui. Perchè è qui che è iniziato tutto. Davvero tutto.”
La casa grande e cigolante, il cancello di legno dipinto di bianco, gli scaffali polverosi e scuri della biblioteca. Tutto è rimasto uguale, alle sua spalle.
Fermo, immobile.
L’immutabilità è qualcosa che non ha mai apprezzato, ma quel luogo è riuscito a mantenerla, nonostante la guerra, nonostante le cupe giornate di attesa, di battaglia.
Non è cambiato nulla.
“Riza non è venuta. A dire il vero non sa che sono qui. Volevo parlare da solo con voi.”
Non è venuto a chiedere perdono. Sa di non poterlo ottenere.
“Mi sbagliavo. Mi sbagliavo su tutto. Ma sto provando a cambiare quell’errore, a trasformarlo in qualcosa che potesse giustificare tanta sofferenza. Non esiste lo scambio equivalente, come mi avete sempre insegnato. In questo sbagliavamo entrambi.”
Bianco marmoreo e verde d’erba tagliata e azzurro di cielo. Colori così diversi da quelli del deserto. Non crede nella serenità, ma quel luogo è la prova esistente di quanto la cerchi, anche se comincia a dubitare di poterla raggiungere.
“Ma anche se sbagliavamo, anche se tutto quello che mi avete dato è stato un errore, sono convinto che porterà a qualcosa di diverso. Ho deciso di rimanere quel ragazzino sciocco e ubriaco di ideali sdolcinati che disprezzavate tanto, e nel quale però sia voi che vostra figlia avete creduto.”
Stringe tra le dita il cappello, la mano nella tasca è l’unico punto caldo e vivo di quella radura.
“Non ho dimenticato.”
Sussurra, perché non vuole disturbare il sonno di chi non presta attenzione a quei discorsi senza senso. E’ lì, perché per andare avanti ha bisogno di un punto di partenza e un punto di arrivo, qualcosa che può cercare solo in quel luogo che non è un luogo, in quella radura apparentemente esente dal tempo e dal resto del mondo.
“Non ho dimenticato, la vostra preghiera. Il fatto che il vostro ultimo pensiero sia andato a lei, e a me, e a quello che non eravate mai riuscito a dire ad entrambi. Mi avete chiesto di proteggerla, di starle vicino, ma l’ho fatto nel modo sbagliato.”
L’alito di vento invernale che si alza, gli dà conferma dei suoi sospetti.
“Le ho chiesto di seguirmi, ancora nel modo sbagliato. Ma lei ha accettato. E’ una sciocca, stupida ragazzina con ideali più grandi di lei, che ha deciso di seguire un pazzo.”
L’unico sorriso della giornata lo lascia sua quella tomba bianca, ma l’ironia amara lo trasforma in una smorfia.
“Ho un obiettivo. E lo raggiungerò con quella che voi chiamavate la “razionalità di un bambino”. Lo so, non è da scienziato, questo ragionamento. Ma non è da scienziato nemmeno l’amore…”
Rilegge le date di nascita e di morte, anche se le conosce già. Lo fa per riportare alla memoria quella giornata dove lei era un’altra, dove era se stessa, al fianco di un ragazzo in divisa che non conosce più.
“Non ho dimenticato le vostre ultime parole. Sono qui per dirvi che non le dimenticherò mai. Che vorrei trasformarle nel mio futuro, non appena avrò saldato almeno in parte il mio debito, realizzando l’obiettivo che mi sono posto. Ma ho bisogno di chiedervelo, come da tradizione. Voi amavate la tradizione, era la vostra ancora. Per questo le avete tatuato sulla schiena la vostra tradizione, la vostra identità, senza curarvi di chiederle se fosse anche la sua. Ma non importa, perché quella tradizione è bruciata, è andata perduta, proprio perché me lo ha chiesto lei.
E io sono qui a disseppellirla, ancora per lei.”
Lo sfregare delle foglie l’una contro l’altra, sembra la risata roca di un vecchio. Ma le suggestioni fanno parte della scenografia.
“Sono qui per chiedevi la sua mano. Quando tutto sarà finito, quando entrambi avremo esaurito i nostri scopi, se mai rimarrà tempo per noi… ritornerò qui, con lei, per avere la vostra benedizione. Se vorrete darla a due ragazzini idealisti che hanno trasformato un sogno in qualcosa di possibile.”
Si inchina, come quel giorno. Abbassa il capo, come Roy Mustang non lo ha mai abbassato per nessuno: credendoci.
Si lascia casa Hawkeye alle spalle, persa nella polvere dei ricordi, la tomba del suo maestro finalmente pulita, ma senza fiori. Severa e silenziosa, come lui è sempre stato.
Ma le foglie sussurrano tra loro, che i tempi stanno cambiando.
E’…
finita. Non mi
piacciono i finali, dannazione…
>___<
Che posso
dire… siamo
tornati alla storia che tutti conosciamo,
all’attualità. Lo so, avrei potuto
finire con un bel matrimonio o un altro happy ending di sorta (e solo
dio sa
quando avrei voluto, sigh…) ma mi ero data disposizioni
precise: “Segui la
storia, riallacciati alla storia, non tradire la storia”.
E
così ho optato per
una sorta di “dichiarazione di intenti” di Roy,
nell’unico luogo in cui la
sensei Arakawa non ce lo fa vedere per tutto il manga (ma il futuro
è ancora
un’incognita e tutto è possibile): davanti alla
tomba del maestro.
Penso che
gli sia
richiesto una grande quantità di coraggio presentarsi
l’ dopo Ishvar: ho avuto
l’impressione che sia lui sia Riza abbiano, come dire, paura
di affrontare
(anche se simbolicamente) l’uomo che è stato
l’artefice involontario (?) dei
loro destini, e che forse sentono di aver tradito (almeno, nel senso di
aver
travisato lo scopo ultimo di quella conoscenza che è stata
loro affidata).
Tuttavia,
ora che Roy
si è riscoperto profondamente idealista, nonostante la
guerra avesse inibito la
sua speranza nel futuro, tornare
al via
è d’obbligo, se non altro per sancire una nuova
partenza, un nuovo inizio. Roy
non ha avuto una vera e propria catarsi (al contrario di Riza, se
catarsi può
chiamarsi la sua bruciatura sulla schiena), un preciso spartiacque tra
la
guerra e la nuova vita.
Per cui,
immagino che
la tomba del maestro, il confrontarsi con essa e tutto quello che
simboleggia a
livello emotivo e non, sia un po’ la sua personale fenice
– e il suo pensiero
non può non andare anche a lei, a quella parte del futuro in
cui Roy la vuole
includere.
Roy
è quel genere di
personaggio che si “scopre” nel confronto con gli
altri (con Riza, con Maes,
con Bradley, con Ed), che dà nuovi indizi di sé e
del suo modo di ragionare –
con una “razionalità da bambino”, con il
prefissarsi obiettivi utopici con
meticolosità matematica – del suo modo di agire e
dei suoi legami con gli
altri, prevalentemente quando si contrappone ad un modo di pensare,
fare e
relazionarsi simile, diverso o diametralmente opposto al suo.
Risalta per
contrasto.
Riza al
contrario,
rimane un mistero - ed escludo a priori che possa essere riassunta
nell’aggettivo “fredda” o
“riservata”: c’è molto di
più di questo in Riza.
Al
contrario, la ritengo
talmente emotiva da essere in grado di impregnare di significato
persino il
silenzio. Per questo, un capitolo del genere su di lei, sarebbe stato
(almeno
per me) impensabile.
Lei si
confronta con
suo padre (con la sua scelta e la sua non-scelta) ogni giorno, senza
parole, ma
solo con le azioni, con gli scopi che lei stessa si è
prefissata.
Lei agisce
(in
silenzio), lei sceglie – e, come fa lei stessa
orgogliosamente notare, lo fa da
sola, di sua spontanea volontà.
Riza
è il bianco e il
nero, mentre Roy è la miriade di sfumature possibili che
stanno nel mezzo.
Scusate il
papiro, ma
rimango sempre affascinata della maestria della sensei Arakawa
nell’aver creato
personaggi così complessi, che è un piacere
manovrare, riscoprire ogni volta
diversi e reinterpretare.
Come si fa a
smettere
di scrivere con personaggi che ti obbligano a farlo?
Mission
impossibile.
^^
In attesa
che il mio
cervellino si faccia venire altre idee, vi ringrazio tutte, dalla prima
all’ultima, per il supporto che mi avete dato in questa
raccolta, per le
recensioni molto profonde o anche sono per aver letto senza commentare
(un
grazie anche alla tribù delle lettrici silenziose).
Insomma,
grazie
davvero. Sono molto felice di aver condiviso (e di poterlo fare ancora
in
futuro) una passione come questa con voi. GRAZIE.
Un bacione
enorme e
buona estate a tutte!!!