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Autore: Neverland98    14/03/2014    1 recensioni
[Dal capitolo 9]
La porta si aprì lasciando entrare una luce accecante che la costrinse a chiudere gli occhi, “Finalmente”, pensò, “Sono libera!”.
Genere: Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Bruce non riusciva a capacitarsene. Cos'era quella sgradevole sensazione, quasi simile a nausea, che l'aveva invaso quando aveva visto Elsa baciare Leighton? Dopo che lei era guarita, che non era più in pericolo di vita, tutte le certezze su cosa fare a missione conclusa erano svanite. Pensandoci meglio, si era detto, è stata colpa dell'ansia se ho parlato così. Io non voglio davvero abbandonare il mio lavoro per una stupida cotta! ed era tornato ad essere un agente della CIA in missione speciale.
Ma allora perchè gli dava tanto fastidio vederla baciare un altro uomo? In realtà, come spesso accade nelle questioni d'amore, il cuore l'aveva già capito mentre la ragione si rifiutava di ammetterlo. Gelosia. Ecco cos'era quel malessere che gli attanagliava lo stomaco; gelosia. Pensò che era una sciocchezza e si diede mentalmente dello stupido, ma la vista di lei che rideva civettuola e volteggiava tra le braccia di un cavaliere che non era lui, gli dava il voltastomaco. Afferrò un calice di spumante dal vassoio di un cameriere che passava e ne bevve avidamente il contenuto. Giusto per calmarsi i nervi, si era detto. Poi aveva abbandonato il bicchiere sul tavolo del buffet e ne aveva preso un altro già pieno; di champagne, questa volta. Stava commettendo un errore, doveva rimanere lucido nel caso fosse successo qualche imprevisto, ma non riusciva a smettere di bere. I calici di alcol da due divennero tre, poi quattro. Al quinto, Bruce iniziò a sudare e la stanza prese a vorticargli intorno. Si appoggiò al muro con ancora in mano il bicchiere mezzo pieno, si allentò il nodo della cravatta che era diventato troppo stretto e asciugò le goccioline di sudore che gli imperlavano la fronte. Per sua fortuna ebbe un aspetto decente quando Elsa e Leighton lo oltrepassarono mano nella mano, dirigendosi verso l'uscita. Fu abbastanza lucido persino da lanciarle un'occhiata significativa, anche se nemmeno lui sapeva cosa volesse dire. Stai attenta.? Buona fortuna.? In bocca al lupo.?
Chissà cosa avrebbe inteso lei. Comunque, ora che se n'era andata, poteva tornarsene a casa.
Già, a casa.
Si rese conto di non averci mai pensato prima di allora, ma gli si strinse il cuore all'idea di una casa vuota e senza Elsa, senza il suo profumo leggero che aleggiava per le stanze, senza le sue risate, le sue imprecazioni poco raffinate e, soprattutto, senza qualcuno da amare nelle notti più fredde. Si era affezionato a lei, questo doveva ammetterlo. E ora il solo pensiero di essere di nuovo solo lo lasciava senza fiato. Non voleva tornare a casa, almeno non ancora. Decise che sarebbe rimasto alla festa, la solitudine aveva assunto per lui un aspetto più angosciante; quasi la temeva.
Per questo tornò a ballare come se niente fosse, non fece fatica a trovare una bella ragazza disposta a passare la notte con lui e solo a quel punto tornò a casa. Perchè, anche se con una sconosciuta, era meglio che tornare da solo.

 

Il soffitto era a volta, osservò Elsa; dipinto nei toni dell'azzurro e del grigio chiarissimo. Era affascinante, e nell'ambiente aleggiava un inebriante profumo esotico. Elsa individuò una crepa sottilissima nel soffitto e si morse il labbro quando Edward affondò di nuovo. Il letto era molto grande, quasi a tre piazze, e i loro vestiti costosi giacevano aggrinziti sul parquet. La notte non era mai stata così lunga, constatò Elsa che non vedeva l'ora di farla finita. Non che Edward non fosse un bell'uomo, anzi; era anche un amante eccezionale. Ma nei suoi affondi, nei suoi baci, riscontrava un forte senso di malinconia. Non poteva fare a meno di paragonare Edward a Bruce, e non avrebbe dovuto, perchè la differenza era evidente e le faceva stringere il cuore. Per distrarsi, aveva provato a scandagliare con lo sguardo il soffitto, ma a parte qualche minuscola crepa non aveva trovato niente di interessante, che potesse tenerle la mente impegnata. Lui era ancora sopra di lei, una mano sulla spalla e una tra i capelli; e quando finalmente Edward si fece da parte e si adagiò contro l'alta testiera del letto, Elsa non potè non sospirare.
“E' stato fantastico, eh?” commentò lui accendendosi una sigaretta, le pupille ancora dilatate. “Vuoi una?”
Elsa scosse la testa e si sforzò di sorridere: “No, grazie.”
Ripassò mentalmente le fasi del piano: Uno, fare colpo su di lui; due, andarci a letto; tre, fare la preziosa.
Attraverso la finestra, la luce biancastra dell'ora blu si dipanava nella stanza.
“Ora devo andare.” lo informò Elsa, mettendosi a sedere e stiracchiandosi con fare sensuale, come un gatto che fa le fusa.
“Dove? Sono le quattro del mattino!”
“Proprio l'ora in cui contavo di tornare a casa! Andiamo, non ti sarai illuso che restassi con te tutta la notte!” lo canzonò, poi indossò rapidamente il vestito e si recò fuori dalla stanza.
“Lasciami il tuo numero!” le urlò la voce di lui dalla camera da letto.
Elsa estrasse il rossetto scarlatto dalla porshette e scrisse il numero su una parete, a caratteri cubitali. “Fatto!” comunicò, allegra.
Poi scese al piano di sotto, oltrepassò i corridoi della grande villa e uscì.
Una volta fuori, l'aria gelida la investì all'improvviso e sentì una forte voglia di piangere e vomitare. Rimase immobile per un po', inspirando ed espirando con esagerata lentezza, cercando di mantenersi lucida. Aveva lo stomaco in subbuglio e una voraggine enorme nel petto. Stranamente, il suo pensiero andò a James, a quanto le era stato indifferente e quanto invece lo stava apprezzando ora, in confronto a Leighton il Mitomane. Voleva tornare a casa, voleva tornare da Bruce; rifugiarsi tra le sue braccia e versare tutte le lacrime che aveva in petto. Frugò nella borsetta finchè non trovò il palmare e potè chiamarlo.
“Pronto?” le rispose una voce assonnata e... femminile?
“Chi parla?” domandò Elsa con un filo di voce.
“Sono un'... amica del signor Malone!”
Di sottofondo si udiva una risatina soffocata. Ecco, questo era Bruce. Una rabbia cieca mista a qualcos'altro lasciò Elsa senza fiato.
“Allora?” incitò la voce femminile.
Elsa si riscosse: “Può dirgli perfavore di richiamare questo numero? Sono Jennifer Lilliams, gli dica di fare al più presto, è urgente.”
“Va bene, appena può ti richiama!”
Elsa ebbe un'idea. “Signorina! Si ricorda il mio nome?”
“Certo: Jennifer Lilliams! Ti faccio richiamare appena possibile!”
Ecco, ora era certa che Bruce sapesse chi lo stava cercando.
“Buonasera” Elsa chiuse la chiamata e si accasciò sul marciapiede, affondò il volto sulle ginocchia e scoppiò in lacrime.


“Elsa! Che ci fai lì? Corri in macchina, presto!”
Bruce si affacciò al finestrino e le fece cenno di salire a bordo, Elsa non se lo fece ripetere due volte e corse al posto del passeggero. Richiuse lo sportello con un tonfo sordo.
Bruce mise in moto: “Cosa stavi facendo rannicchiata sotto casa di Leighton?”
Elsa si sentì improvvisamente una stupida per essersi mostrata così fragile: “Ero stanca di aspettare e mi sono seduta. Sai, non ho dormito molto.”
“E non potevi cercarti un altro posto? Proprio sotto la sua finestra dovevi fermarti? E se mi avesse visto arrivare?”
“Ne dubito, era molto stanco quando l'ho lasciato.” replicò Elsa pungente.
“Be', però perchè non hai risposto alle mie telefonate? Ti ho richiamato un sacco di volte, poi mi sono messo a cercarti. Temevo ti fosse successo qualcosa di grave.”
Elsa non ricordava di aver sentito il cellulare squillare, ma non lo ammise: “Dev'essersi scaricata la batteria.”
“Sarà.”
Rimasero in silenzio mentre la macchina correva lungo la strada quasi deserta.
Elsa ripensò alle parole di Bruce; era in pensiero per lei! La cosa le avrebbe fatto anche piacere, se non fosse che dubitava avesse trovato il tempo di preoccuparsi, in compagnia di qualche supermodella.
“Chi era la bambola che mi ha risposto al cellulare?” lo prese in giro.
“Ci credi se ti dico che non mi ricordo il nome?”
“Purtroppo sì.”
Sarebbe stato comico, pensò Elsa, se non avesse fatto così male.
 

   
 
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