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Autore: OpheliaBlack    14/03/2014    1 recensioni
“E’ questo l’errore centrale dell’immaginazione letteraria: essa suppone che gli altri sono noi e che devono sentire come noi.”
F. Pessoa
One-shot scritta per un contest talmente tanto tempo fa da non ricordare nemmeno quale fosse. Scritta come sfogo personale, basata su fatti realmente accaduti. A volte, si ha solo bisogno di sfogarsi.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“E’ questo l’errore centrale dell’immaginazione letteraria: essa suppone che gli altri sono noi e che devono sentire come noi.”
F. Pessoa


Era ufficiale. Dio mi odiava. Essendo una giovane ragazza cattolica cresciuta con lo spauracchio del timore di Dio, speravo di ottenere dei benefit. Un aiutino. Un occhio di riguardo ma credo di aver capito che Lui la ragiona in modo diverso, della serie “teniamoci stretti gli amici ma ancor più stretti i nemici”.

Un tantino scorretto non ti pare?

Da buona cattolica osservante, mi sono trovata così. Gironzolante per la città, in cerca di una migliore amica ubriaca sfuggita al mio controllo, scarpe scomodissime e umore sotto terra.
Dico io…fra tutti i bar di questa stupida città, doveva venire proprio in quel bar, con la sua nuova e poco problematica ragazza?
Ovvio che sì. Perché tu ne hai già sopportate di peggio.
Il Signore mi ha donato la fantastica capacità di fingere. Mica sono una dilettante, come quelli che palesemente si mostrano indifferenti e insofferenti ma che hanno scritto in faccia “dai su, compatiscimi e capisci”. Io faccio battute. Faccio sempre battute. In tutte le situazioni, in tutti i contesti, anche quelli sbagliati. Io sdrammatizzo all’inverosimile. 
Sono cresciuta così. Un po’ sbagliata, un po’ inadatta.
E anche lui mi ha percepita tranquilla. È passato un anno da allora ed io sono sempre più tranquilla.
Sono diplomatica, simpatica, alla mano, perfettamente a suo agio in qualsiasi luogo e con chiunque.

Sono un’ipocrita. Una brava almeno.

Come se la situazione non fosse già di per sé tragicomica, la sua voce mi fa sussultare:
“Lo sai che è pericoloso andare in giro da sola per la città?”
“Correrò il rischio, grazie…”
“Perché te ne sei andata?”
“Mi sono persa un’ amica. È ubriaca da qualche parte e, come hai saggiamente constatato tu stesso, non è il caso di andare in giro da sole.”
“Perché sei arrabbiata con me?”

Sul serio? Vuole davvero affrontare quel genere di discorso ora?

“Senti…”, dico sospirando, “non ho tempo, non ho voglia, non mi importa e non ti importa, quindi non stiamo qui a fare la commedia.”
Gli passo accanto velocemente. E' solo una perdita di tempo.
“Invece si!”. Mi prende per un braccio. “Vuoi fermarti?!”
“Lasciami o ti faccio male e lo sai…”, lo minaccio sperando che si ricordi quanto la mia mano possa nuocere al colorito della sua guancia.
“E’ per lei?”
“Oh ma per piacere!”, esclamo riuscendo finalmente a liberarmi dalla sua presa, “mi credi davvero così banale? Puoi stare con chi ti pare e piace per quanto mi riguarda. Il fatto che io ti detesti e che ti reputi un inutile omuncolo infimo ed egoista va decisamente al di là delle tue frequentazioni.”
“E allora perché mi odi? Dato che è abbastanza chiaro che mi odi! Sono mesi che non ci vediamo…”, dice allargando le braccia. 
“Che sagacia! Esatto carissimo, sono mesi che non ci vediamo. Proviamo a tornare indietro al nostro ultimo incontro ti va? Fammi pensare…”, dico portando un dito alla tempia simulando concentrazione, “era un giorno triste. Ma c’era il sole e faceva abbastanza caldo. Eravamo in una chiesa o sbaglio? Credo c’entrino pure una bara, un prete, gente commossa…”
“Non sei simpatica…”, dice rivolgendomi uno sguardo torvo.
“Ah no? Ero convinta del contrario. Pensavo fosse  la qualità che più ti piaceva di me. O forse preferisci il mio fantastico talento ad autodistruggermi piuttosto che farti pesare qualcosa? La mia abilità a gestire i problemi? “
“Adesso basta! Cosa ti ho fatto e cosa devo fare per rimediare?”
“Tu vuoi rimediare? Vuoi delle spiegazioni? Bene allora. Eccoti le spiegazioni:
Tu mi distruggi. Anima e corpo. E lo so che non è nemmeno colpa tua perché io non ti ho chiesto niente quando invece avrei potuto. Avrei potuto fare e dire tutto ciò che volevo perché io ero quella che si era guadagnata la pietà. “
“Io-...”
“E mi sono data della stupida per lungo tempo.” continuo imperterrita, “ero stata una stupida a non chiedere il tuo aiuto. Stupida a darti dello stupido. Poi però ho realizzato: non era colpa mia. Tu ne hai approfittato!  Ti sei approfittato del fatto che io mi mostrassi a tutti fantasticamente bene. Tutti si sono stupiti di come avessi preso bene la morte di mia madre. Ma loro non mi conoscevano.
Tu dovevi conoscermi.
Voglio essere io l’egoista della situazione per una volta e da egoista do tutta la colpa a te. Mia madre è morta e tu sei scappato. E non me  ne frega niente se ci eravamo lasciati. Tu dovevi esserci. Lo sai che non volevo nemmeno dirtelo? Già, visto come è andata, dirtelo o meno avrebbe fatto poca differenza.”
“Io ho fatto il possibile. Io credevo che fosse giusto così...”
“Ti sei sprecato. Io ti aspettavo per poter finalmente piangere. Io non ho mai pianto.”
“E cosa pretendevi! Io non sapevo cosa fare! Non sapevo come prenderti! Sembravi avere  il controllo di tutto come al solito”, esclama alterato, “sai cosa ho fatto prima di venire da te? Mi sono messo a leggere storie su internet, libri sulla morte e come affrontare il lutto. Non ho trovato niente che mi aiutasse con te.”
“E’ questo l’errore centrale dell’immaginazione letteraria: essa suppone che gli altri sono noi e che devono sentire come noi. Il fatto che tu sia dovuto andare a cercare informazioni su come prendermi, non fa altro che dimostrare, ancora una volta, la mia perdita di tempo. Tu, io, noi. Siamo stati solo una perdita di tempo.”
Finalmente, si allontana da me.
“Ora se non ti dispiace, io me ne torno a gestire la mia vita incasinata, fatta di amiche disperse e tragedie ricorrenti. Tu torna dall’illusione che tutti vivano come te, nel tuo fantastico mondo senza ombre.”
Me ne sono andata, di nuovo. Lui non mi ha seguita, di nuovo.
Alla fine, mi ha fatta piangere.



 
  
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