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Autore: MarySmolder_1308    16/03/2014    0 recensioni
Sequel di "Friendzone?" (http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2098867)
L'amore non è mai facile.
In amore non sempre tutto è rose e fiori, ci sono i problemi.
L'amore ci rende felici, tristi, fortunati, devastati; ci consuma, ci consola, ci risolleva, ci distrugge, ci pervade, ci fa perdere il senno, ci fa agire d'istinto.
Mary e Ian stanno per riconciliarsi, quand'ecco un'auto giungere.
Ian scansa Mary.
L'auto lo travolge.
Dal mezzo esce una donna, che spara a Mary.
Nina guarda impietrita e terrorizzata.
Abbiamo lasciato i nostri protagonisti a quello che poteva essere il "lieto fine", a quella che poteva essere finalmente una riconciliazione, dopo tanti litigi e fraintendimenti; ma qualcosa è andato storto.
Chi è questa donna?
Perché ha agito in questo modo?
Ian e Mary sopravviveranno?
Continuate a leggere, perché l'amore vi/ti mostrerà ogni cosa.
Genere: Drammatico, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ian Somerhalder, Nina Dobrev, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Lime | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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POV Mary
C’era solo il ticchettio dell’orologio a farmi compagnia in quella stanza, che ormai conoscevo come le mie tasche.
Guardai le lenzuola bianche del letto di Ian e le toccai delicatamente, persa nell’attesa di ricevere notizie.
Cominciai a battere il piede, seguendo il ritmo dell’orologio.
Sbuffai e le dita presero a tamburellare sulle lenzuola.
Dopo non molto, Ian rientrò in stanza in compagnia di Steve.
“Finalmente! – mi alzai – Allora?” chiesi ansiosa.
Steve alzò le mani e uscì dalla stanza, non proferendo parola.
Inclinai il capo di lato.
Perché aveva reagito così?
Guardai Ian, ancora confusa per quel gesto.
“Tutto confermato. Domani mattina uscirò finalmente da questa stanza” concluse con un sorriso.
Sgranai gli occhi.
Le mie labbra si schiusero in un sorriso.
Ian poteva tornare a casa.
“Evviva” urlai al settimo cielo, alzando un braccio al cielo.
Immediatamente corsi ad abbracciarlo.
La sedia a rotelle andò lievemente indietro, mentre mi fiondavo tra le braccia del mio uomo, che infondevano sicurezza.
Erano un rifugio di cui non potevo fare a meno.
Gli carezzai i capelli e strofinai il mio naso contro il suo collo, prima di lasciargli un bacio casto sulle labbra.
Ian scoppiò a ridere.
“Voglio l’accoglienza domani, non oggi”
“Contaci – sciolsi l’abbraccio e gli strizzai l’occhio – Questo, tuttavia, non vuol dire che non possa accennare qualcosina” sorrisi.
“Mi sembra giusto”.
Le sue labbra si riavvicinarono alle mie.
“Sono contenta” ammisi, dopo, arrossendo.
“Come mai?”
“Domani torni a casa. Ora davvero sono certa che andrà tutto bene” tornai a stringerlo forte e chiusi gli occhi.
Finalmente serena.
Forse.
Strizzai gli occhi per non pensarci.
Un colpo di tosse ci fece sciogliere quell’abbraccio.
Riaprii gli occhi e guardai l’ingresso della stanza.
“Barbara” dissi sorpresa.
“Buonasera – Barbara sorrise – E’ permesso o devo ripassare più tardi?” mi fece l’occhiolino.
“Entra dai” le feci un cenno col capo, alzandomi.
“Che ci fai qui?” chiese Ian.
“Vi devo parlare di una cosa”
“Cos’è successo?” sospirò.
“Oh, no, niente, tranquillo. Anzi, questa cosa che devo dirvi è proprio stata ideata per evitare che succedano determinate cose”
“Non ti sto capendo” storsi la bocca in una smorfia pensosa.
O forse confusa.
“Siediti, Mary, così vi spiego tutto”
“D’accordo”.
Feci come mi aveva detto. Accavallai le gambe e strinsi una mano a Ian.
Ci scambiammo uno sguardo intenso, poi chiedemmo insieme a Barbara: “Allora?”
“Quello che vi è successo non è una cosa normale. Affatto. Perciò, in qualità di tua manager, Ian – lo indicò distrattamente – ho pensato a qualcosa che magari potesse risollevare un po’ la situazione. E credo di averla trovata. E’ qualcosa che potrebbe sembrarvi strana e priva di senso, ma credetemi se vi dico che invece ne ha molto”
“E cosa sarebbe di preciso?” chiesi.
“Dovreste essere più presenti nei social network. Uscire di più insieme. Partecipare a più eventi. Farvi vedere. Farvi conoscere un po’ di più. Specie tu, Mary” mi guardò.
“Cosa? Barbara, hai sbattuto la testa di recente?” domandò Ian, stranito da quelle parole.
“Riflettete, ragazzi. I fans in generale danno di matto quando escono nuove foto dei loro idoli o quando si scoprono più notizie sul loro conto. Quando questo accade si sentono più vicini a voi. Magari perché hanno scoperto che alcuni dei vostri gusti corrispondono ai loro o chissà. Perciò, se voi foste un poco più attivi, magari potrebbero arrivare ad accettare la vostra storia e a non attentare alla vostra vita. Inoltre, tutto il mondo ormai sa di voi, quindi perché continuare a nascondersi? Se ci sono eventi particolari e tu vai da solo, beh, non sarebbe molto normale. Allora, che ne dite?”.
Il silenzio scese in quella stanza.
Non vedendoci convinti, Barbara riprese a parlare: “Non voglio obbligarvi e, ovviamente, non vi sto chiedendo di fotografare o descrivere ogni istante del giorno. Non lo farei mai. La privacy è pur sempre la privacy, nonostante non ne abbiate molta oramai. Però, avete a disposizione dei social network che vi possono aiutare, che possono evitare situazioni spiacevoli, proprio mostrando che siete persone normalissime, che non avete niente da nascondere. Perché non sfruttarli?”
“Non lo so, Barbara. Siamo stati già esposti tantissimo. E non ha portato a molto, tutt’altro, come puoi ben vedere” Ian concluse con un sospiro.
“Ian, sono stati i giornalisti a esporvi. Se lo fate voi, è un altro paio di maniche. Quanto potrete stare insieme prima che a un altro pazzoide venga la stessa idea geniale di quella donna? Quanto potrete stare insieme prima che i giornalisti tornino ad assillarvi per ogni minimo passo che compite? Quando domani uscirai da quest’ospedale, mio caro, dovremo fare in modo che le cose cambino. E se non facciamo niente, non cambierà niente. Quindi perché non provarci?”.
Ian stava per rispondere, ma lo precedetti io: “Barbara, mi hai convito. Hai perfettamente ragione. In fondo si tratta solo di condividere qualcosa in più, mica tutta la vita! E poi già condividevo parecchio su social come Facebook, quindi non è un problema. Anzi. E’ una cosa molto fattibile secondo me. Per gli eventi, beh, mi sembra una cosa ovvia. Non lo lascerei mai andare solo, a meno che il Capo non mi conceda giorni o lui non voglia” indicai Ian con il capo.
“Sai benissimo che ti vorrei al mio fianco ovunque, ma”
“Ma prima non potevamo farlo per la clandestinità. Ora si può. E, alla fine, io posso parlarne con il Capo. Non è assolutamente un problema. Grazie per averci pensato e quindi aiutato – sorrisi a Barbara, poi mi rivolsi a Ian – Proviamo e vediamo come va. Non ci costa davvero niente e, francamente, meglio qualche foto o altro in più che un’altra pallottola” storsi il naso.
“D’accordo. Che prova sia”.
 
POV Ian
“Tadaaaa!” Mary urlò estasiata, mostrando la camera degli ospiti al piano di sotto.
Mi guardai attorno sorpreso.
Sembrava cambiata da quando ci avevo dormito la prima volta.
Per un attimo mi lasciai avvolgere la mente da quel ricordo.
 
“Sicuro che non vuoi che ti dia una mano?” Mary mi guardò, dopo aver chiuso la porta d’ingresso con un calcio.
“No, tranquilla. Davvero”
“Come vuoi” alzò le mani, forse in segno di resa?, e, posate le chiavi dell’auto e della casa, mi oltrepassò.
Restai immobile a guardarla, mentre si toglieva le scarpe e indossava le babbucce di Paperino.
Che eterna bambina!
Sorrisi.
“Allora, vieni o no?” Mary si girò di scatto, sorprendendomi a guardarla.
“Ehm, sì” scossi lievemente la testa e cominciai a camminare, portando avanti le stampelle.
“Eccoci qua” disse, aprendo la porta della stanza degli ospiti.
Si mise da parte per lasciarmi entrare.
La guardai di nuovo per un attimo.
Anche lei lo faceva, con incertezza.
Chissà a cosa stava pensando.
Si portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio e distolse lo sguardo, un po’ imbarazzata.
Mi focalizzai sulla camera che avevo davanti.
Era una stanza grande ed essenziale.
Il pavimento era in parquet scuro, perfettamente intonato con le pareti beige chiaro.
Una grande porta finestra lasciava entrare la fioca luce di una tipica mattina di Febbraio.
Mi avvicinai lentamente, con l’ausilio delle stampelle, al letto matrimoniale e mi ci sedetti sopra.
Era comodo.
“Grazie, Mary, davvero. E’ tutto perfetto” le sorrisi sincero.
“P-p-prego” balbettò lei, lievemente arrossita.
 
Tornai con i piedi per terra, sorridendo per quel particolare.
Già da quel gesto avrei dovuto capire i suoi sentimenti.
Scossi lievemente la testa e tornai a focalizzarmi sulla camera.
Come quella volta.
Era come vivere in un dejà-vu.
La stanza era luminosa e accogliente.
Più del solito.
Cosa c’era di diverso?
“Rose e Steve mi hanno aiutato a ridipingere le pareti” disse Mary, guardando contenta sia me che i muri.
Avevano scelto il colore azzurro. Il colore, per convenzione, dell’oceano.
“Ma è meraviglioso” li guardai tutti e tre, sorridendo a trentadue denti.
“Felici che ti sia piaciuto” dissero tutti e tre in coro, facendo un inchino.
Mary, che si trovava al centro, spintonò sia Rose che Steve.
In breve tempo cominciarono a battibeccare come dodicenni.
Scoppiai a ridere.
Era bellissimo guardarli.
Non importava ciò che si dicessero.
Gesticolavano, facevano facce serie, avanzavano con il petto in fuori come per fare i duri, ridevano.
La loro amicizia era come una boccata d’aria fresca, di quelle che faceva prendere lunghi respiri piacevoli, specie quando tutto quello intorno sembrava opprimere fin troppo.
“Beh, non sono io quella che non può fare sesso con il suo compagno!” Rose fece una linguaccia a Mary, canzonandola.
“Oh! – Mary sgranò gli occhi, dandole uno schiaffo sul braccio – Come osi?”.
Rose, per tutta risposta, fece una faccia buffa e si allontanò da Mary.
“Ah, la mettiamo così? Allora sai che ti dico?”
“Cosa?”
“Me ne vado con Steve ora” Mary girò la testa di scatto verso l’amico.
Dopo di che, lo prese per un braccio e uscì dalla stanza.
“Non eravate seri, vero?” guardai Rose un po’ perplesso.
“No, tranquillo – Rose sorrise – Sono andati di là per parlare delle tue cure a casa. Sai, medicine e tutto il resto”
“Però sulla frase che hai detto prima eri seria, vero?”
“Eh sì, caro mio! Ma questo lo sapevi già”
“Lo so, però speravo che cambiaste idea”
“Rassegnati – Rose sghignazzò, dandomi una pacca sulla spalla; dopo, però, si fece seria – Ian, posso parlarti di una cosa?”
“Ma certo. Dimmi”.
Ci accomodammo sul letto.
Rose cercava di non guardarmi e si torturava le dita.
“Rose, che succede?” chiesi, cominciando a preoccuparmi.
“Tu sai che Mary ha dormito da noi dopo essere stata dimessa, giusto?”
“Sì, perché non se la sentiva di stare sola a casa”
“Esatto. Ecco, devo dirti una cosa che la riguarda”
“Ha qualcosa che non va?”
“Tu la vedi serena?” Rose mi guardò finalmente in faccia.
Occhi azzurri contro occhi verdi.
Attesa contro preoccupazione.
“Beh, sì. Non dovrei?”.
Rose sospirò.
“Non so proprio come dirtelo senza allarmarti troppo”
“Parla e basta”
“Tutte le notti Mary fa un incubo. Sempre uguale. Urla straziata, si agita nel letto, piange. Ne abbiamo parlato insieme con una collega di psicologia”
“E cosa vi ha detto?” mormorai, un po’ spiazzato da quella notizia.
“La nostra collega le ha detto che l’incidente l’ha segnata. Ne è rimasta traumatizzata. Tuttavia, cerca di non darlo a vedere. Sorride, si comporta come sempre. E questo causa lo scatenarsi del suo subconscio la notte. Te lo sto dicendo per questo. Per te oggi sarà la prima notte”
“E sei sicura che accadrà anche stanotte?”
“Sì. Ian, quando accadrà, non svegliarla di scatto. Cerca di trattarla con dolcezza e falle capire che andrà tutto bene. Io e Steve ci abbiamo sempre provato nel corso di queste settimane, ma ovviamente con te sarà diverso”
“Non vedo come possa esserlo”
“Ian, Mary non è rimasta traumatizzata per lo sparo, per l’aver sentito quella pallottola squarciarle la pelle, ma per te. Il vedere te, l’uomo che ama, a terra e privo di conoscenza l’ha sconvolta. L’incubo è sempre quello. Mary rivive sempre quella scena, con la piccola differenza che lì muori all’istante. Lo so che non è bello da dire o da immaginare, ma l’idea di perderti la distrugge”
“Perché mi stai dicendo tutto questo?”
“Per prepararti – mi prese una mano – e per avvisarti. Non deve soffrire più per causa tua. Chiaro?” agitò l’indice sotto il mio naso seria.
Istintivamente la abbracciai.
“Rose, sei davvero un’amica meravigliosa. Grazie per tutto quello che fai per lei, davvero”.
 
Mi svegliai un po’ intontito.
Che ore erano?
Guardai alla mia sinistra. L’orologio segnava le quattro del mattino.
Sospirai e mi passai la lingua tra le labbra. Erano secche. Dovevo bere.
Scostai un poco le lenzuola per scendere e afferrai le stampelle.
Mi alzai con la massima cautela, guardando attentamente Mary per paura di svegliarla.
Era avvinghiata il cuscino in posizione fetale.
I riccioli le avevano coperto il volto.
Il suo respiro era regolare.
Sereno.
Sorrisi istintivamente.
Forse Rose si era sbagliata.
Uscii dalla camera lentamente e diedi uno sguardo al salotto.
Moke, Thursday e Damon dormivano beatamente, accoccolati qua e la per la stanza.
Andai in cucina e aprii il frigo. Preso un bicchiere, stavo versando l’acqua fresca, quando sentii delle urla.
La voce era squillante e terrorizzata.
Mary!
“No! No! Ian! No!” gridava.
Posai la bottiglia sul tavolo e cercai di affrettarmi.
Arrivato in camera da letto, la guardai.
Mary stava gridando addolorata, mentre agitava le braccia.
La serenità di poco prima era sparita.
Completamente.
Al suo posto solo agitazione e sofferenza.
“No, perché? No, ti prego torna da me. Torna. Non so come fare senza te, torna, ti prego” ripeteva, come se stesse recitando una litania, mentre piangeva a dirotto.
Le sue mani stringevano il vuoto disperatamente, mentre i suoi singhiozzi squarciavano continuamente il silenzio della notte.
Mi si strinse il cuore a vederla in quello stato.
Mi avvicinai, mi sedetti sul letto e, presale una mano, la strinsi.
“Mary” la chiamai, parlandole all’orecchio.
Si svegliò d’improvviso, sbattendo le palpebre.
Le lacrime, che prima le imperlavano le ciglia, scesero lentamente sugli zigomi.
Le asciugai dolcemente, lasciandole dei baci su entrambe le guance.
“Ian, cosa…?” mormorò con voce confusa e angosciata.
“Sssh. Va tutto bene”
“I-io…” si passò una mano tra i capelli.
“Ho detto che va tutto bene – le sorrisi con amore – non preoccuparti. Mi vedi? Sono qui davanti a te. Mi senti? E’ proprio la mia voce che ti parla. Riesci a percepire quest’odore? E’ il mio profumo. Riconosci questo corpo? – con la mano che stringevo le feci accarezzare il mio viso – Mi stai toccando – le diedi un bacio stampo sulle labbra – E questo… Questo è il sapore delle mie labbra” le dissi con voce pacata.
Mary mi guardava ancora spaventata con il respiro affannoso.
Sempre con la massima delicatezza, la presi per le spalle e la feci appoggiare sul mio petto, così che avesse un orecchio in corrispondenza del mio cuore.
“Mary, ascolta. E’ il mio cuore. Senti come batte”
“Sei qui” mi strinse, come se se ne stesse rendendo conto effettivamente solo in quel momento.
“Sì e non ho intenzione di andarmene”.
La strinsi anch’io.
Aspettai che si calmasse e si riaddormentasse.
Non appena lo fece, le carezzai impercettibilmente una guancia.
“Andrà davvero tutto bene, te lo prometto, piccola mia”.
Sospirai.
Senza spostarla o svegliarla, ci coprii con le lenzuola, poi lasciai che Morfeo mi riaccogliesse tra le sue braccia.
 
“Sveglia dormiglione” sussurrò una voce lontana.
Aprii gli occhi lentamente.
Mi ritrovai davanti una Mary sorridente, con alcuni riccioli davanti al viso, che teneva in mano un enorme vassoio in legno.
Come non riconoscerlo?
“Colazione a letto!” disse estasiata, guardandomi.
Sbattei le palpebre più volte per svegliarmi meglio, dopo di che mi sedetti, sistemandomi il cuscino dietro la schiena.
“Ecco qua” posò il vassoio in corrispondenza delle cosce.
Vi era un piatto con almeno cinque cialde, una spremuta d’arancia e una tazzina di caffè.
Una colazione perfetta.
“Non dovevi” dissi grato con la voce ancora impastata dal sonno.
“Scusa, forse avrei dovuto aspettare che ti svegliassi un po’ meglio” fece una smorfia e prese il vassoio.
“No, no, va bene così – la bloccai – davvero”
“Ok” fece spallucce e lasciò il vassoio al suo posto.
“Grazie” dissi, attirandola a me e lasciandole un bacio sulle labbra.
“Grazie a te – rispose, inchiodandomi con i suoi occhi – Per tutto. La scorse notte, io… scusami, avrei dovuto parlartene – sospirò – E’ che non sapevo come dirtelo. Mi dispiace”
“Non preoccuparti. Capisco benissimo. E non devi ringraziarmi. Vorrei solo che tu ricordassi la tua promessa”
“Hai ragione – arricciò il naso, poi scosse lievemente la testa e indicò il vassoio – Allora, buon appetito” concluse con un sorriso a trentadue denti.
“Mi sembra di vivere un dejà-vu, di nuovo. Se sai cosa intendo”
“Sì, lo so benissimo. Per questo ti dico che stavolta – sottolineò quella parola, alzando un indice – l’impasto delle cialde è senza glutine”.
 
POV Mary
Non appena finii di dire la frase, Ian sorrise.
Subito quel ricordo partì, come un film, nella mia mente.
 
Sfregai le mani e ammirai la mia opera d’arte. Quel vassoio era una meraviglia.
Un piatto di cialde calde e fumanti, un bicchiere di spremuta d’arancia e una tazzina di caffè lo riempivano. Inspirai ed espirai profondamente, lasciando che quel misto di profumi mi inebriasse.
“Mh, spero gli piaccia” storsi le labbra e presi il vassoio, sperando che non mi cadesse.
Data la mia goffaggine, tutto era possibile.
Lo poggiai sul mobiletto vicino alla camera degli ospiti, dopo di che aprii la porta della camera e lo ripresi.
Come uno stupida, rischiai di farlo cadere, non appena vidi Ian dormire beatamente.
Il suo petto faceva su e giù ritmicamente e i suoi capelli erano scompigliati.
Sembrava un angioletto. Sembrava un bambino innocente.
Cominciai a respirare più velocemente, sperando di recuperare ossigeno.
Forse percependo la mia presenza, Ian cominciò ad agitarsi lievemente.
Dopo poco aprì gli occhi, guardandosi intorno, fin quando non si fermò su di me.
Sentii le guance avvampare e avanzai frettolosamente, rischiando di inciampare un paio di volte.
“Attenta” disse con la voce bassa, tipica del mattino.
“Che maldestra – risi nervosamente; cominciai a balbettare – I-ian, q-questo qui è-è” mi arrestai.
Era tutto inutile.
Non riuscivo a controllarmi in sua presenza.
“Mary?” mi guardò dubbioso, inclinando la testa di lato.
“E’ un vassoio”
“Lo vedo”
“Sì e c’è la tua colazione dentro” parlai meccanicamente.
“Mi hai preparato la colazione? Ma grazie” la sua voce si alzò di tonalità.
Subito si sedette, sistemandosi il cuscino dietro la schiena.
“Ecco qua, spero ti piaccia” dissi, poggiando il vassoio in corrispondenza delle sue cosce.
“L’aspetto è invitante. Grazie ancora”.
Non perse tempo e cominciò a mangiare, deliziato, mentre io lo ammiravo.
Seppur silenziosamente.
 
Sentii dei rumori sospetti.
Corsi verso la camera degli ospiti e spalancai la porta.
Ian respirava affannosamente.
Tremava.
“Che succede?”
“S-scusami. Ho rigettato la colazione” mi guardò mortificato, con gli occhi sgranati.
“Oh” sussurrai.
Ripulito il pavimento, accompagnai Ian sul divano e lo feci sdraiare.
“Mi dispiace tanto, Ian. Non so cosa abbia potuto farti stare male” abbassai lo sguardo, dispiaciuta.
“Le cialde erano senza glutine?”
“Perché me lo chiedi?”
“Sono celiaco” mi disse, guardandomi.
“Oh! – sgranai gli occhi, poi mi diedi un pugno sulla fronte – Sono una stupida! Nina me l’aveva detto il giorno del tuo compleanno e io? Io che ho fatto? Me ne sono completamente dimenticata. Stupida, deficiente, cretina, idiota!”
“Mary, tranquilla, non fa niente”
“Non fa niente? Cosa? Ma se ora ti senti uno straccio” aggrottai la fronte, irritata da me stessa.
Come avevo potuto dimenticare una cosa simile?
“Starò bene. Non preoccuparti. Davvero”
“Ma”
“Niente ma. Piuttosto, vieni qui. Avvicinati”.
Mi avvicinai a lui.
Sentii il mio volto arrossire e il mio cuore accelerare immediatamente.
Ian mi prese il volto tra le mani e mi baciò la fronte.
“Grazie per la colazione. Sono ancora qui, dopotutto, perciò va tutto bene. Okay?” mi sorrise.
Quel sorriso, quello sguardo amichevole e quelle dita cominciarono a sciogliermi l’anima.
Lentamente.
Senza che potessi fermarle.
“Okay” mormorai, mentre il mio cuore mi suggeriva tutti i miei sentimenti nei confronti dell’uomo che avevo davanti.
 
“Mary?”.
Ritornai con i piedi per terra, scuotendo la testa.
“Sì?”
“Tutto ok?” Ian mi guardò preoccupato.
“Mi ero lasciata trascinare dai ricordi. Tutto qua – gli sorrisi – Buon appetito” gli carezzai una guancia.
Non appena Ian finì di mangiare, lavai tutto e lo accompagnai in soggiorno.
“Ma qui è tutto diverso! Quando sono apparse tutte queste foto?” mi disse, guardandosi attorno.
“Finalmente dopo un’eternità ho avuto il tempo di spargere i miei ricordi qua e là per la casa. Avevo sempre desiderato di sommergere la mia dimora di foto, ma non ne avevo mai avuto il tempo”
“Wow. Sono davvero tantissime”
“Già –le guardai anche io, poi gli toccai un braccio – Andiamo, ora siediti o sdraiati sul divano. Non ti devi affaticare, ricordi?”
“Agli ordini capo”.
Ian si sedette sul sofà, continuando a guardare incantato le foto, che ritraevano momenti indimenticabili della mia vita.
“Vorrei vederle da più da vicino, se non ti dispiace” mi disse.
“Tutte quante?”.
Annuì, accennando un sorriso.
“Ok”.
Presi tutte le cornici e le poggiai sul tavolino basso accanto al divano.
Dopo di che, ne presi una e la mostrai.
Ritraeva me, mio padre e Giorgio.
“Quando è stata scattata?”
“Se ricordo bene nel 1990. Eravamo in gita a Venezia. Una città meravigliosa e magica. Mio padre prese quel piccione e io e Giorgio lo accarezzammo. Mia madre riuscì a immortalarci”
“Aspetta, quella cosetta piccolina con i riccioli sei tu? – mi sorrise intenerito – Ma eri piccolissima!”
“Lo so. Dovevi vedermi dopo. Ero così contenta di aver accarezzato la testa del piccione che volevo dargli da mangiare. Mio padre comprò il cibo adatto a loro e me ne mise un poco sulla mano. In meno di un attimo sparii. I piccioni mi avevano assalita” risi.
Ian rise pure.
Man mano gli mostrai tutta la mia vita. Le foto tra i banchi di scuola; la laurea e la festa; la foto sull’aereo che mi avrebbe portato ad Atlanta, mentre sullo sfondo si intravedeva la sera scendere su Londra; il giorno del trasloco in quella casa con l’aiuto di Jodie; le foto in ospedale con Steve, Rose e gli altri colleghi.
Ogni momento che avevo passato stava finendo tra le sue mani.
Non ero mai stata così nuda dinanzi a lui.
Riposi una cornice sul ripiano di un cassettone e tornai a sedermi accanto a Ian.
Mancava solo una cosa da mostrargli.
Presi quel quadro.
“Questo è un collage” dissi, facendoglielo vedere.
“Chi sono tutte queste persone?”
“Sono coloro che mi hanno cambiato la vita. Ricordi quando ti dissi che nella mia adolescenza ho passato molti momenti bui? Che ero riuscita a superarli grazie alla mia famiglia e ai miei angeli barra amici meravigliosi? Bene. Eccoli qui. La mia famiglia, tutta per intero, non può mancare, ovviamente – gli indicai una foto in cui non mancava nessuno – I miei nonni e i miei zii hanno saputo donarmi una forza indescrivibile. Sono stati i primi a insegnarmi che non dovevo mollare. Erano e sono tuttora consapevoli che la vita non è facile. Stessa cosa per i sogni. In un periodo di smarrimento totale, avevo deciso di non provare più a entrare in medicina. Sono stati loro a farmi cambiare idea. Non potrò mai dimenticare quella domenica. Mi fecero sedere sul divano e mi dissero queste esatte parole: ‘Tenta, Mary. Potresti pentirtene. Se ti sembra troppo dura, se tutto quello che vedi al momento è una strada in salita, allora chiudi gli occhi e pensa. Non a come sia ripida. Non a come sia dura camminare. Pensa a come sarai soddisfatta se riuscirai a salire. Pensa a quando vedrai la bellezza della natura da lassù’”
“Mio Dio. Che meraviglia” Ian mi guardò a bocca aperta.
“Puoi dirlo forte. Poi ci sono loro – indicai un’altra foto – Conosci già me e Giorgio”
“Gli altri chi sono?”
“Il biondino che sembra avere la testa per aria è mio cugino Stefano. Ha 26 anni e vive a Barcellona. E’ uno sportivo. Fa parte di un’importante squadra di pallavolo, di cui mi sfugge sempre il nome – feci una smorfia – E’ una persona che non dimostra spesso il suo affetto, ma quando lo fa… Beh, è l’incarnazione della tenerezza. La ricciolina con la pelle olivastra è mia cugina Serena. Meglio conosciuta come ‘mia sorella’. Anche lei ha 26 anni e vive a Brisbane. Il suo nome calza a pennello, perché è la persona più serena che abbia mai conosciuto. Dice sempre quello che pensa e dona tutta sé stessa alle persone che ama. E’ di quelle che ti abbraccia senza perché. Di quelle che, se dice ‘ti voglio bene’, lo pensa davvero. E l’altra donna con i ricci accanto a lei? E’ sua sorella, Francesca. Ha 32 anni. Vive anche lei a Barcellona. E’ stata il mio modello perfetto. Lei è la prima persona che ho visto lottare per il suo futuro. Non si è arresa. Non ha buttato la spugna e cambiato strada, no. Ha uscito gli artigli per realizzare il suo sogno. E ci è riuscita. E vedere il suo sorriso, quando è successo, è stato indescrivibile. Era quella la soddisfazione di cui parlavano i miei parenti. Ed era quello il sorriso che volevo avere anche io”
“Sono davvero sconvolto. Non in senso cattivo, o-ovviamente. Mary, hai davvero una famiglia splendida”
“Non è finita qui – indicai una foto di gruppo, la più grande tra tante – Questa foto è stata scattata il giorno prima che iniziasse il mio quarto anno di liceo. Le vedi loro? Loro sono le mie rocce. Oltre Serena, ci sono Iris, Nadia e Tatia. Iris è quella con i capelli castani ricci e lunghissimi e ha la mia età. Nadia è quella con i capelli castani corti ed è un anno più grande, mentre Tatia e quella con i capelli lisci e nero corvino ed è un anno più piccola. Loro tre sono sorelle. Iris vive a Catania ed è una persona solare, forte. Forse la più forte. Ed è di una bellezza straordinaria. Ovviamente perché è mia amica” feci una risatina.
“Ovviamente” ripeté Ian, alzando gli occhi al cielo.
“Dai, scherzavo! Comunque, non per questo è arrogante o egocentrica. E’ una persona umile e altruista. L’ho sempre paragonata a una canna di bambù. Si piega al vento, ma non si spezza. E poi la sua positività è spiazzante. C’è una tempesta in corso, con tanto di vento forte e fulmini vicini? Lei ti dice: ‘Non c’è niente di più bello che ammirare l’arcobaleno che seguirà’. E, non appena finisce di parlare, tu pensi: ‘Cavolo, non ci avevo proprio pensato’ – sorrisi – Nadia vive a Roma insieme a Tatia. Hanno tipo le case collegate e ognuna di noi ha la sua camera in una delle due case, così andarle a trovare non è un problema. E’ una cosa davvero fantastica! Comunque, sto divagando”
“Giusto un pochino” Ian mi prese in giro.
“Sssh, dettagli. Allora, Nadia è una persona un po’ differente. E’ più introversa, più timida. A volte ha paura delle conseguenze di una sua azione”
“Ti somiglia molto da questo punto di vista”
“Già. Però, nonostante ciò, non nasconde il suo affetto per gli altri. E’ una persona schietta, ma allo stesso tempo fragile. E’ come una rosa. Quando sboccia, è meravigliosa. Ti toglie il fiato. Tuttavia, ci sono le spine. E non bisogna mai dimenticarsene”
“Continua a somigliarti. Sicura che tu non stia parlando di te stessa?”
“Sicurissima. Le sue spine e le mie si sono ritrovate e hanno cercato di curarsi a vicenda. Lei c’è sempre stata. Il suo supporto nei miei confronti non è mai mancato, come il mio non è mai mancato per lei. Tatia, invece, è la psicologa del gruppo. E’ una grande ascoltatrice e consigliatrice. Con poche parole ti scava letteralmente l’anima. E’ un meraviglioso strazio essere la sua ‘paziente’. Loro, tutte quante insieme, mi hanno permesso di rinascere dalle mie ceneri, come una fenice, dopo”
“Mary, ci sono altre due ragazze nella foto”
“Dopo che i rapporti con queste due ragazze sono andati distrutti, frantumati, come un bicchiere di vetro che incontra il pavimento. Ho detto di aver messo in questo collage tutti coloro che mi hanno cambiato la vita. Da brava masochista che sono, ho messo anche chi me l’ha cambiata in modo drastico. Queste due ragazze sono sorelle. Si chiamano Fabiana e Ludovica. Fabiana ha la stessa età di Nadia, mentre Ludovica la stessa di Tatia. Anche loro erano due tra le mie rocce. Poi tutto è andato perduto. Chissà come. Chissà perché” abbassai lo sguardo.
“Che è successo?”.
In un attimo mi ritrovai a raccontare quel pomeriggio di Ottobre del 2003.
 
Io e Iris entrammo a casa loro, dopo chissà quanto tempo.
Il solo mettere piede in quell’abitazione mi fece male al cuore. Troppi bei ricordi tra quelle quattro mura. Ricordi che non mi permettevano di andare avanti, che bloccavano la mia vita, facendola andare a rallentatore.
“Tutto bene?” lo sguardo preoccupato di Iris si posò su di me.
Le presi la mano e la strinsi.
Aveva insistito per accompagnarmi.
Non voleva lasciarmi da sola, perché sapeva che cosa significava per me essere in quel posto.
Dopo mesi di tentativi di comunicazione.
Dopo mesi di mancate risposte.
Aveva fatto bene.
Annuii lievemente.
“Ciao Mary – Fabiana e Ludovica mi salutarono serie – Iris” dissero, accennando un saluto con il capo.
Le guardai spiazzata.
Nemmeno un saluto decente dopo mesi di silenzio?
Incassai il colpo.
Ci fecero accomodare sui divani.
Dopo ore e ore di discussione sui mesi che erano trascorsi, su ciò che avevamo fatto, sulla frattura che si era creata, cominciai a innervosirmi.
Io volevo sapere solo una cosa da loro.
E non la stavano dicendo.
Perché ci giravano intorno?
Strinsi i pugni.
Presi un lungo respiro, poi ebbi il coraggio di guardarle negli occhi.
Il loro sguardo vitreo non mi fermò dal dire loro: “Basta giri di parole. Non voglio essere distratta con altri discorsi. Voglio solo sapere la verità. E credo di meritarmela dopo tutto quello che abbiamo passato, sia di bello che di brutto. Mi avete voluta bene?”
“Certamente!” risposero entrambe con ovvietà.
“Bene. Allora perché non mi avete mai risposto quest’estate? Perché quando io cercavo di ricostruire un qualcosa voi non avete dato segni di vita? Perché?”.
Entrambe sospirarono, irrigidendosi.
“Ditelo e basta”
“Va bene – Fabiana si passò una mano tra gli ormai lunghi capelli mori – Non l’ho fatto perché non mi importa di te. Non più”
“Idem” fu tutto quello che disse Ludovica.
Sentii le gambe cedere, le lacrime arrivare.
Inghiottii e annuii.
“Bene. Ho ottenuto la risposta che volevo”.
Io e Iris ci alzammo e uscimmo da quella casa.
Quasi di corsa.
Per non far vedere loro le lacrime che stavano riempiendo il mio volto.
Per non far vedere ancora una volta la mia fragilità.
Per non tornarci più.
 
POV Ian
Mary concluse quel piccolo aneddoto.
Aveva lo sguardo perso nel vuoto e un sorriso amaro stampato sul volto.
Io ero davvero senza parole.
Cosa potevo dire, d’altronde, dopo una cosa del genere?
Teneva ancora saldamente quel collage di foto, osservando il volto di quelle due ragazze.
Quel ricordo sembrava dilaniarla.
Riuscivo a vedere ancora l’enorme ferita sul suo cuore aprirsi e trascinarla in un mondo di rimpianti.
Senza pensarci due volte, la abbracciai forte.
Mary lasciò cadere il quadro sulle sue ginocchia e ricambiò l’abbraccio, aggrappandosi a me con tutta la forza possibile.
Sentii le sue lacrime bagnarmi il collo.
“Non devi piangere. E’ passato. L’hai superato”
“Ormai sì – sciolse l’abbraccio – solo che è stato così difficile”
“Non pensarci. L’importante è che tu ci sia riuscita. Anche io ho avuto di queste esperienze. Sono brutte. Anzi, tremende. Ti disintegrano in un millisecondo. Però, da esse devi trarre forza. Devi riuscire a ricostruirti. Devi fare in modo di rimettere insieme i pezzi, senza che gli altri ti guardino come un giocattolo rotto. E secondo me tu ci sei riuscita alla grande. Queste esperienze servono proprio a questo. A permetterti di crescere e di ritrovarti.”
“Grazie, Ian – accennò un sorriso, poi mi disse – Che sbadata! Non ti ho parlato di quella pazza di Melania”.
Alzò gli occhi al cielo e si asciugò le lacrime con il dorso della mano.
“Chi è?”
“Questa donnetta qui – indicò una ragazza mora con i capelli lisci – E’ un anno più piccola di me. Ci siamo conosciute a Firenze durante l’università. Lei frequentava il primo anno di lingue, io il secondo di medicina. Abbiamo legato subito e l’anno dopo siamo diventate coinquiline. Ora vive a Londra. E’ una persona scatenata, allegra. Con lei non puoi essere triste. Basta guardarla che cominci a sorridere. Con lei non ci si annoia mai. E’ una di quelle persone che ti fa dire: ‘Ciao vita, sei bellissima’” disse, sorridendo come un’ebete.
“Hai attorno delle persone splendide, sia Italiane che Americane, ricordalo sempre”
“Oh, lo so bene! Sono la mia volontà di vivere. Il mio amore per loro è ineffabile. E tu ricorda sempre che sei una di quelle”
“Onorato di esserlo”.
Mary posò il quadro sul tavolino e mi baciò.
“Grazie di esistere, Ian” mi sussurrò dolcemente all’orecchio.      
“Comunque ritienimi offeso. Non ci sono nostre foto” sussurrai al suo.
“Oh, ma le ho messe. Solo non qui” Mary sorrise.
“E dove sono?”
“In camera da letto” sorrise nuovamente, stavolta aggiungendo una tonnellata di malizia.
“Ah, la stanza in cui al momento non posso mettere piede! Giusto!” dissi sarcastico.
“La stanza delle tentazioni – mi corresse Mary – Pensa a come sarà bello tornarci”.
Mary mi carezzò la fronte, poi l’inizio del cuoio capelluto.
“Steve ha proprio fatto un bel lavoro. I tuoi capelli sono più lunghi e questa cicatrice non si vede praticamente più” delicatamente mi baciò il punto in cui vi era la cicatrice.
Chiusi gli occhi, sentendo la dolcezza delle sue labbra su una delle ferite più profonde che avessi mai avuto.
Dopo si avvicinò lentamente alla mia bocca.
Un attimo dopo eravamo uniti in un bacio.
Le nostre lingue cominciarono a intrecciarsi, mentre le nostre mani vagavano dentro le nostre magliette.
Mary si aggrappò alla mia schiena.
Volevo mettermi sopra di lei e unirmi a lei su quel divano, ma bastò un piccolo movimento che la gamba cominciò a protestare.
“Mary – dissi il suo nome in un soffio, staccandomi a malincuore dalle sue labbra; cercai di tornare a respirare normalmente – dovremmo fermarci qui”
“Hai ragione. Scusa”.
Mary poggiò la sua fronte contro la mia.
Dopo avermi lasciato un altro bacio stampo, si alzò e andò a posare il collage al suo posto.
Mentre lo stava appendendo alla parete più grande del salotto, notai che continuava a fissarlo con amore.
E nostalgia.
Un’idea balenò nella mia mente.
Sorrisi.
 
POV Nina
“Mary, pronta?” chiesi piegandomi sulle ginocchia alla sua altezza.
“Per cosa?” mi guardò con gli occhi vispi, nonostante avesse dormito per poco tempo.
“Per i nostri fan francesi. Ogni anno succede qualcosa” rispose Paul al posto mio, appoggiandosi al sedile davanti a noi.
“Come quando mi hanno buttato a terra” Ian fece una smorfia.
“O quando ci hanno circondati e non avevamo via di fuga. Inquietante” Joseph scrollò le spalle.
“O quando mi hanno insultata. E fatto piangere. E” cominciai a dire io, ma Ian mi interruppe: “Calma, Dobrev, le tue avventure a Parigi sono troppe. Non avresti il tempo di raccontarle tutte”.
Gli feci una linguaccia, poi tornai a concentrarmi su Mary: “Il punto è: Parigi è sublime, davvero, ma devi essere pronta a tutto. Non farti trovare impreparata” conclusi con tono molto serio.
“Ok, basta spaventarla, su – Ian le passò un braccio attorno alle spalle – Speriamo, piuttosto, che quest’anno non accada niente”
“Si avvisano i gentili passeggeri che stanno per cominciare le manovre di atterraggio e si preghino di tornare ai propri posti e allacciare le cinture. Grazie per aver scelto la nostra compagnia. Al prossimo viaggio” disse l’hostess, prima in inglese, poi nelle altre lingue.
Mi alzai e mi accomodai al mio posto, dietro Mary, accanto a Joseph.
Non appena atterrammo, scendemmo dal mezzo e andammo immediatamente al ritiro bagagli.
Erano le nove del mattino e il sole splendeva limpido.
Eravamo stati in viaggio per nove ore e mezza.
Avevamo bisogno di andare in albergo per poterci rinfrescare un po’.
La mia valigia arrivò per prima. La presi e aspettai gli altri.
 
POV Mary
Sbuffai, cominciando a battere il piede.
“Rilassati” mi canticchiò Ian all’orecchio, improvvisando una canzoncina.
“Come posso rilassarmi? Sono così sfigata che la mia valigia non è ancora arrivata” corrugai la fronte.
“Arriverà. Di certo non si è persa nei meandri dell’oceano”
“Ah, non lo dire! Potrebbe essere successo davvero. Tutto è possibile con me. Sono più sfortunata di Paperino” sbuffai nuovamente.
“Uh, guarda! Eccola lì” Ian mi sorrise, indicando la mia valigia con un cenno del capo.
Corsi a prenderla.
“Visto che non sei poi così sfortunata?” Ian mi fece l’occhiolino, venendomi incontro con le stampelle.
Presi sia la mia che la sua valigia e cominciammo a camminare.
“In realtà è la tua influenza. Se non ci fossi stato tu, la mia valigia probabilmente sarebbe finita in Cambogia – cominciai a parlare a ruota libera – Quasi tre anni fa, quando sono andata con Rose da Steve in California, la compagnia ha perso la mia valigia. Non puoi capire la mia disperazione, era la mia valigia preferita. La ritrovarono tre giorni dopo. L’avevano per sbaglio messa sull’aereo che era partito insieme a noi e che, senti un po’? Era diretto a Toronto. Chiamala fortuna, insomma”
“Mary” Ian mi interruppe e si arrestò, guardandomi divertito.
“Cosa?”
“Non straparlare. Rilassati”
“Oh, parla l’uomo più logorroico del mondo!” gli feci una linguaccia.
Ian scosse la testa e riprese a camminare.
Lo seguii.
Non appena cominciammo tutti insieme a dirigerci verso l’uscita dell’aeroporto, le guardie del corpo presero a camminare al nostro fianco.
Avevano fatto bene.
Ben presto fummo circondati dai paparazzi e dai fans urlanti.
“Santa Madre di Dio! – esclamai allibita – Allora io sembro così pazza davanti ai miei personaggi famosi preferiti” guardai Ian a bocca aperta.
“Giusto un pochino” Ian fece una faccia buffa, strizzando gli occhi.
Ben presto riuscimmo a uscire dalla struttura.
Le guardie del corpo non avevano permesso a nessuno di avvicinarsi a noi, perciò avevano potuto solamente scattare foto e fare video.
Sospirai di sollievo.
“Tutto ok?” mi chiese Ian, dopo essere saliti sulle limousine dell’albergo.
Annuii.
“Non ho dovuto subire domande imbarazzanti o irritanti. Va tutto a meraviglia” gli sorrisi.
Ben presto partimmo.
Non riuscivo a staccarmi dal finestrino, mentre la maggior parte dei luoghi di Parigi mi passava davanti.
Parigi.
Era strano essere in quella città.
Scossi la testa, facendo una risatina.
“Che c’è?” chiese Ian curioso.
Mentre continuavo a guardare rapita tutte quelle case, tutti quei negozi e, soprattutto, l’acqua cristallina della Senna, risposi: “Ai tempi del liceo solevo ripetere che non avrei mai e poi mai messo piede a Parigi”
“Come mai?”
“Perché è la capitale dell’amore e ai tempi ero l’unica zitella della mia classe. E perché odiavo il francese. Anzi, odio. Anche se, purtroppo, lo so parlare. Comunque, e ora eccomi qui, con il volto spiaccicato sul finestrino perché questa città è semplicemente splendida. Ma come facevo a odiarla? E’ così solare. Serena. Mi trasmette pace” mi voltai verso Ian.
“Allora sono felice che tu sia venuta con me” Ian sorrise.
“E io sono felice di aver accettato”
“Sono certo che saranno tre giorni indimenticabili”
“A meno che i fans francesi non combineranno qualcosa. In quel caso, credo che il loro obiettivo sarei io. Magari arriverò ad accumulare più avventure francesi di Nina” feci una risatina, seppur amara.
Per un attimo quei racconti mi avevano ricordato l’incidente.
“Non accadrà niente. Non dobbiamo nemmeno pensarlo. Lasciamo i pensieri negativi fuori da qui – Ian mimò con le mani l’atto di cacciarli via – Siamo solo io e te” mi prese la mano.
“E Parigi” mi avvicinai al suo viso.
“E Parigi” ripeté, sorridente.
Ci baciammo, continuando a stringerci la mano.
 
Non appena aprii la porta della camera, mi fiondai al suo interno, portando le valige con me.
Subito mi guardai intorno.
I miei occhi luccicavano, ne ero sicura.
Quella stanza era il paradiso.
La carta da parati era azzurra, dello stesso colore che avevo usato per ridipingere la stanza degli ospiti di casa mia.
Le lenzuola del grande letto a baldacchino si intonavano perfettamente a quelle mura, riprendendone il colore. Mi sembrava di stare tra le nuvole. O in mezzo al mare. Ed era una sensazione bellissima.
Mollai le valige al centro della stanza e corsi, esausta, verso il letto.
La morbidezza del materasso mi avvolse.
Scoppiai a ridere e cominciai a urlare estasiata.
“Tutto questo è meraviglioso!”.
Sentii il rumore delle stampelle di Ian divenire sempre più forte.
Mi issai sui gomiti e mi voltai a guardarlo.
“Sembri una dodicenne” scosse la testa, ridendo anche lui.
“Chi ti dice che io non lo sia?” mi alzai dal letto e andai verso di lui, con il petto in fuori.
Ian guardò attentamente la scena, reggendosi con le stampelle.
Le sue pupille si erano dilatate.
Si passò la lingua tra le labbra.
“Non provocarmi, Mary”
“Altrimenti?”
“Altrimenti rischierei di farmi male – indicò di sfuggita la gamba – perché trasgredirei gli ordini del dottore”.
I suoi occhi si posarono sulle mie labbra.
Avanzai verso di lui lentamente.
“Non vorrei mai che tu ti facessi male” dissi, con voce persa.
Deglutii, cominciando anch’io a osservargli quella bocca perfetta che si ritrovava.
“Solo la bocca? – disse una vocina nella mia testa – Mary, lui è tutto perfetto”.
Gli diedi un bacio stampo e mi allontanai di poco, tornando ad ammirarlo.
Ian mollò una stampella per terra e mi prese il volto, riunendo così le nostre bocche.
I suoi baci erano aggressivi, esigenti.
Era da un mese che per via della gamba e della riabilitazione potevamo solamente ridurci a quello. E a nient’altro.
Lo assecondai, lasciandomi andare.
In breve tempo, la ragione andò a farsi benedire.
Ian si sedette sul letto e mi trascinò vicino a lui con la mano libera.
Mi sedetti a cavalcioni su di lui e mi tolsi la maglietta, tornando poi a baciare quelle labbra.
Ian mi mordicchiò il labbro inferiore, dopo di che prese a baciarmi il collo.
Mentre scendeva al seno, intrecciai le dita tra i suoi capelli, lasciandomi scappare qualche gemito.
Stavo letteralmente andando in estasi con poco, ma non potevo controllare il mio corpo in quel momento.
Esso bramava il contatto con quello di Ian e non potevo fare niente per inibire quel desiderio.
Ian si tuffò nuovamente sulle mie labbra.
Cominciai a premere il bacino contro il suo, troppo presa dalla foga.
Ian protestò, staccandosi per un attimo.
Immediatamente mi alzai, accaldata e mortificata.
I miei polmoni mi ringraziarono, potendo finalmente riprendere l’ossigeno.
“Non volevo, i-io” balbettai.
“Non preoccuparti. Mi sono lasciato andare anche io” Ian si alzò, riprendendo la stampella al centro della camera.
Io indossai nuovamente la maglietta e, preso il cellulare, dissi: “Vado giù a prendere un po’ d’acqua. O un succo. O una vodka. Qualcosa di… di fresco insomma”.
Uscii dalla stanza e presi l’ascensore, scendendo nella hall.
Quell’enorme androne era pieno zeppo di ragazzi, tutti eccitati, per quei giorni di convention.
Si guardavano intorno estasiati, scattandosi miriadi di foto con i cartoni raffiguranti gli attori del cast.
Sorrisi a quella visione, poi mi diressi al bar.
“Desidera?” chiese il barista in francese.
“Avete del succo d’ananas?” risposi con la stessa lingua, sperando di non aver sbagliato qualcosa.
Mi sedetti sullo sgabello e posai il cellulare sul bancone.
“Glielo porto subito” il barista mi sorrise.
“Ok”.
Mentre aspettavo che quell’uomo tornasse, un altro si sedette accanto a me.
Mi voltai a guardarlo.
Alto, moro, occhi scuri, sulla quarantina, sorriso gentile.
Era l’uomo della reception, che mi aveva consegnato le chiavi poco prima.
“Mi scusi, lei è la signorina Maria Chiara Floridia della stanza 1809, giusto?” mi chiese in inglese.
“Sì, sono io”
“Può seguirmi? C’è una chiamata per lei sulla linea dell’albergo”
“D’accordo”.
Scesi dallo sgabello e afferrai il cellulare.
Giunta alla reception, quell’uomo mi passò la cornetta.
“Pronto?” dissi.
“Maria Chiara Floridia?” rispose una voce maschile.
“Sì?”
“Sono Nicholas Evans, avvocato di Valerie. Ho provato a contattarla in ospedale, ma mi hanno detto che era fuori città, quindi ho richiesto il numero dell’albergo, se non le dispiace”
“Avvocato di chi, mi scusi?”
“Di Valerie”.
Aggrottai la fronte.
Quel nome non mi era familiare.
Perché quell’avvocato mi stava contattando?
“Mi scusi, non capisco. Io non conosco nessuna Valerie. Chi sareb”
“Ne è sicura?”
“Certo. Ripeto, questo nome non mi dice nulla”
“In realtà l’ha conosciuta. Il ventotto Agosto per la precisione. Valerie è la donna che le ha sparato”.






















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Note dell'autrice:
Allora! Sono davvero mortificata di questo ritardo çç
Ma, purtroppo, tra scuola e test non ho avuto molto tempo per scrivere.. e per un altro po' sara così :(
Comunque, ecco qui il capitolo 4.
Vi è un salto temporale, anche se effettivamente non si nota. Da fine settembre, quando Ian infatti torna a casa, ci spostiamo a fine ottobre, periodo della convention di Halloween a Parigi.
Non ho molto da dire, a eccezione di una domanda: Cosa vorrà l'avvocato di Valerie da Mary?
Ringrazio per la pazienza che avete avuto.
Ringrazio anche le canzoni che mi hanno ispirata, "So cold" di Ben Cocks, "Stay" di Rihanna, "Kiss the rain" di Yiruma, "Parigi ha la chiave del cuor" di Anastasia (xD), "You and me" di Lifehouse e "Addicted to love" di Florence and the Machine. Senza queste canzoni non ci sarebbe il capitolo.
Ringrazio pure la mia consigliatrice fidata, Giù.
Spero vi sia piaciuto, nonostante sia più un capitolo di passaggio.
Recensite se vi va :)
Grazie per aver letto e grazie a chi ha inserito ultimamente la storia tra le seguite/preferite/ricordate.
Se vi va, unitevi al gruppo fb: https://www.facebook.com/groups/265941193578737/
Dolce notte e al prossimo capitolo :*
Mary :* 

 
  
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