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Autore: Arial    19/03/2014    4 recensioni
Mentre la frattura tra Dean e Sam si fa sempre più profonda, qualcosa di oscuro si sta lentamente impossessando del maggiore dei Winchester. Sam, con l'animo ancora diviso tra rabbia e amore, si rende infine conto di stare assistendo alla seconda discesa agl'inferi di suo fratello.
Questa storia è ambientata nella nona stagione.
Genere: Angst, Dark, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Dean Winchester, Sam Winchester
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Nel futuro
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“I was blindfolded, but now I’m seeing.

My mind was closing, now I’m believing.”

(I’d come for you – Nickelback)

 

 

 

«È una gorgone.»

Dean sollevò lo sguardo dal PC, puntandogli addosso occhi iniettati di sangue e cerchiati di nero.

Il risultato di un paio d’ore di sonno appena e di qualche bottiglia di Jack, si disse Sam, stanco. Ma non era quello il momento di discutere i problemi del fratello.

Sì, aspetta che si lasci ammazzare dal primo coglione di passaggio, vivo o non morto che sia, così potrai sbattergli in faccia tutta la tua coerenza, sussurrò una voce fra i suoi pensieri. Il cacciatore la soffocò in fretta: un’operazione di una facilità estrema per chi aveva sopportato le estenuanti tirate di un arcangelo egocentrico.

«È una gorgone» ripeté. «Ne sono certo.»

«Quando mi avrai spiegato che cazzo sia una gorgone, sarò il primo a darti una pacca sulle spalle, te l’assicuro» ribatté Dean, per niente colpito. «Potrei persino arrivare a mettere un centesimo nel barattolo che riempio a ogni tua uscita da secchione, ma solo se saprai stupirmi.»

Il sorriso che gli riservò non arrivò oltre le labbra e seppe risvegliare ognuno dei suoi istinti omicidi da fratello minore, eppure Sam mantenne la calma. Un altro talento coltivato negli anni.

«Mostri della mitologia greca, con artigli di bronzo e ali d’oro. Pietrificano le loro prede. E a casa di…» Sfogliò gli incartamenti delle vittime, sparsi intorno al laptop e mezzo sepolti sotto un bestiario vecchio di trecento anni. «Mark Blossom e Philip O’Toole sono state trovate tracce d’oro.»

Dean sembrò soppesare le informazioni un istante. «Come la uccidiamo?» chiese, infine.

«Un pugnale di corallo. La leggenda dice che si sia formato dal sangue della prima di esse.»

«E i centesimi salgono a due» commentò il maggiore. Si allontanò dal tavolo con un sospiro grato e indossò la giacca. «Dopo un salto al museo di storia naturale, passeremo in rassegna i magazzini che avevamo individuato. Non vedo l’ora di lasciarmi ‘sto buco nello specchietto retrovisore.»

Già, come se avessero fatto altro nelle ultime settimane. Dean aveva annegato l’attesa di Crowley nel sangue di qualsiasi creatura a disposizione, perdendosi in una caccia dopo l’altra. Nessuna pausa era contemplabile, non da quando la tensione fra loro era divenuta qualcosa di palpabile e ogni inezia l’occasione perfetta per gettarsi al collo dell’altro.

«Non è tutto» disse Sam, fermandolo sulla soglia. «Gli artigli della gorgone sono intrisi di veleno, basta un graffio a fermarti il cuore.»

Il maggiore non si voltò neppure, prima di uscire. «Vorrà dire che le strapperemo le dita una a una, per non correre rischi.»

Le sue parole dipinsero una vividissima scena agli occhi di Sam, infranta solo dalla porta che sbatteva. E non per la prima volta, il ragazzo si chiese quando esattamente fosse diventato normale associare simili azioni a suo fratello.

 

 

*  *  *

 

 

Dalle braccia della creatura si dipartivano lunghe penne, sottili come carta e ricoperte dalle venature delicate delle foglie. Colpite dai neon, rimandavano un tenue bagliore dorato che alla luce del sole avrebbe senza dubbio ferito lo sguardo. La loro disposizione ricordava non le ali degli uccelli, ma le appendici con cui planavano alcuni mammiferi.

Quando la gorgone calò su di lui, una di esse gli lacerò il volto. Sam sibilò e affondò quasi alla cieca il pugnale di corallo; il colpo si infranse contro un’impenetrabile armatura d’oro e gli riverberò fino alla spalla.

Il suo grido fu soffocato dalle dita della creatura che gli si chiusero sulla gola. Poteva sentire i gelidi artigli di metallo che gli sfioravano la pelle, il suo stesso cuore che pulsava frenetico nella folle speranza di rispondere a quel tocco ancora così dolce.

La gorgone strinse e strinse. Sam provò a scrollarsela di dosso, ma questa lo inchiodava a terra col proprio peso e lui si sentiva così debole. Si disse di dare uno strattone, di farle perdere l’equilibrio; sapeva però che il più superficiale dei graffi l’avrebbe condannato.

«De… an» tirò fuori in un flebile soffio.

Non voleva dirgli addio, non così. Quelle appena trascorse non potevano essere state le loro ultime settimane insieme. Penserà che sono morto odiandolo, sarà come con papà…

La mano che aveva portato al collo in un patetico tentativo di liberarsi scivolò a terra, senza apparentemente fare rumore alcuno. I suoi polmoni erano in fiamme, la mancanza d’ossigeno aveva tinto ogni cosa di grigio.

Dean, ti prego…

A fatica, risollevò palpebre che non si era reso conto di chiudere e inspirò un’avida boccata d’aria: il mostro l’aveva lasciato andare.

Poteva sentire rumori di lotta sopra di lui, la voce di suo fratello. Tentò di rialzarsi, ma a metà strada fu sopraffatto dalla nausea e dovette desistere.

«Dean» mormorò ancora. Gli esplodeva la testa.

Mani tiepide e callose gli cinsero il viso, quelle di Dean.

«Vedo che non sei ancora pronto per il museo di Madame Tussauds» sospirò il fratello, grato. Indugiò ancora un istante, poi lo lasciò andare.

Sam sorrise. «Ha ancora tutte le dita?» gracchiò, mentre provava a rialzarsi.

«Contagliele pure, prima di bruciarla» ribatté l’altro, d’improvviso ostile. «Sono l’unico a uccidere qualcosa, di questi tempi. Il minimo che tu possa fare è sbarazzarti dei corpi, partner

Si allontanò senza aggiungere altro. Il minore pensò di urlargli dietro qualcosa, ma a cosa sarebbe servito?

Finalmente in piedi, si avvicinò al cadavere della creatura – uccisa con una ferocia che metteva alla prova persino il suo stomaco – e cominciò a trascinarla verso il terreno appena fuori dal magazzino. L’Impala era parcheggiata poco distante, un’ombra appena più chiara di quelle che sembravano fagocitarla. Sam prese una pala, del sale e del liquido infiammabile dal bagagliaio; dall’abitacolo veniva un assolo di chitarra, ma suo fratello non accompagnava la canzone. Il giovane cacciatore ne scorgeva giusto la testa, reclinata contro il finestrino gelido. Eppure riusciva a immaginarselo: le palpebre abbassate, le labbra appena dischiuse, l’adrenalina che l’abbandonava lasciando posto alla stanchezza e a una sorta di esausta calma.

Dean stava perdendo il controllo, come sempre in situazioni simili. La caccia che diveniva al tempo stesso sfogo e ossessione, una panacea e una maledizione. Sapeva che in qualsiasi altro momento l’avrebbe spinto a confrontarsi, a farsi aiutare, ma il tradimento del fratello bruciava ancora troppo.

Che si arrangi, si disse, mentre un’angoscia tinta di colpa gli stringeva il petto, così simile agli artigli della gorgone.

Scavò per quasi mezz’ora, rabbioso e instancabile. Un lavoro ingrato. Un lavoro per due, rifletté, col desiderio di prendere a schiaffi qualcuno. Dean, o più probabilmente se stesso.

In mancanza di meglio, tirò un calcio al corpo del mostro. In fondo, se la gorgone non fosse stata ricoperta d’oro e bronzo, si sarebbe limitato a un più classico e meno faticoso falò. Ma la situazione era quella che era e gli toccava scavare: non poteva lasciare che qualche operaio cazzone si uccidesse, mentre depredava quella che nei giorni successivi sarebbe sembrata la pira funebre di un rapper.

Un velo di sudore gli si raffreddava sulla pelle, intirizzendolo; le mani scivolose perdevano di continuo la propria presa sulla pala; un dolore bruciante gli risaliva lungo la schiena, irradiandosi a spalle e braccia. Sam imprecò, domandandosi dove cazzo fosse finito il fratello che per ripararlo dal freddo avrebbe bruciato il mondo.

Dean si sta semplicemente attenendo alle nuove disposizioni aziendali, dovresti esserne felice… Il cacciatore rabbrividì e affondò inconsciamente unghie crudeli nel palmo della mano, ma non era il fantasma di Lucifer a tormentarlo. Non più. Eppure continuò a martoriarsi, osservando in silenzio le fiamme che divoravano ciò che restava della gorgone.

Quando ebbe finito, tornò da Dean.

«Parti» ordinò a mo’ di saluto. «Devo togliermi ‘sto tanfo di dosso.»

L’altro non rispose. Tipico.

Cullato dallo schifo che chiamava musica e dalla temperatura tropicale dell’abitacolo, quel coglione si era addormentato. Questo mentre lui faceva il lavoro sporco.

Un fiotto di bile gli risalì in gola; Sam sbatté la portiera con tutte le sue forze, sperando di rovinare almeno un po’ la carrozzeria di quella dannata ferraglia.

Al rumore, Dean si voltò lentamente verso di lui.

Troppo lentamente.

«Sam?» biascicò. Era confuso, frastornato. Ferito.

Il minore fece infine caso all’odore dolciastro che stagnava nell’auto e alla macchia scura che si allargava sui vestiti dell’altro.

Non può essere la gorgone, si disse, stranamente lucido, sarebbe già morto.

«Dean» rispose soltanto, incapace di elaborare qualcosa di più sensato. «Fammi vedere.»

Suo fratello sorrise, una smorfia acida, piena di derisione. «Non siamo più tanto in intimità, partner» ribatté. «E non sei abbastanza carina perché ceda alle tue insistenze.»

«Non essere idiota, fammi dare un’occhiata!»

Fece per sollevargli la maglia, ma le dita dell’altro si chiusero sul suo polso. «Sfiorami ancora e ti spezzo il braccio, ci siamo capiti?» disse, in un roco sussurro.

Per un attimo, Sam fu così sorpreso da non dire nulla. Non c’era dubbio che Dean fosse mortalmente serio. La sua stretta era ancora leggera, ma restava una minacciosa promessa; gli occhi erano febbrili e selvaggi, come quelli di un animale braccato.

Il cuore del cacciatore batteva all’impazzata, così forte che neppure i Metallica potevano più coprirlo, ne era certo. Con uno strattone, si liberò del fratello e colpì il mangianastri.

Era incazzato nero.

Si godette quel momento di dolcissimo silenzio, poi sollevò lo sguardo su Dean. «E così saresti disposto a morire, pur di punirmi.» Scosse la testa, un sorriso incredulo sulle labbra. «A che punto devi odiarti, per fare una cosa del genere? A che punto odi me, stupido idiota?»

Dean sorrise a sua volta. «Da quando la mia morte ti devasterebbe così tanto, fratellino?» domandò, esausto e crudele. «Quanto ci metteresti a investire un altro cane e a trombarti una nuova veterinaria, sempre ammesso che sia questo l’ordine che segui? Ma tranquillo, io non giudico.»

Mentre parlava, si era protettivamente portato una mano al fianco; questo e il colorito cereo che aveva assunto la sua faccia di cazzo furono gli unici motivi che impedirono a Sam di colpirlo. Un favore che a parti inverse, lo sapeva, non avrebbe ricevuto. «Non ho mai utilizzato il tuo corpo come una SPA per angeli e demoni, significa che non ti amo abbastanza, hai ragione!» gridò, calando un pugno sul cruscotto. Meno soddisfacente, ma altrettanto catartico. «Non hai mai pensato che forse, ma forse, le tue fottute scelte vengano prima, per me?»

«Cosa?» mormorò Dean, sbigottito. «Stai dicendo che mi lasceresti morire perché il mio corpo è mio? Ti avevo detto di non frequentare quegli incontri di sole donne, Samantha, guarda in cosa ti hanno trasformato.»

«Sono sempre stato così, Dean» ribatté Sam, la voce ancora più dura. «Ricordi Doc Benton?»

L’altro scosse la testa, poi sembrò ricordare. «Chi, il dottor Frankenstein? Che cazzo c’entra lui?»

«Ti ho lasciato morire perché i pancreas non si trovano al supermercato» gli fece il verso, acido. «Ho accettato di vederti fare a pezzi, di saperti all’Inferno perché era quello che volevi e non ti ho forzato la mano.» Si passò dita tremanti fra i capelli, cercando inutilmente di ritrovare il controllo. «Ma, ovviamente, quando si è trattato di me non hai saputo fare altrettanto. Quando si è trattato di me, hai deciso ogni cosa senza neppure chiedermelo, e nel momento in cui non mi sono inginocchiato a ringraziarti per l’ennesima volta, sono diventato l’ingrato. Lo stronzo che ti avrebbe lasciato morire. Il mostro.»

Per lunghi minuti, nell’auto scese il silenzio. A interromperlo di tanto in tanto solo i patetici sospiri che Dean non poteva più trattenere.

«Hai ragione,» concesse infine il maggiore, «avrei dovuto chiedertelo.» Scosse la testa, un pallido sorriso sulle labbra. «Ma se non avessi accettato, ti avrei perso per sempre, Sammy. So quello che pensi, ma ti sbagli. Non ho paura di restare da solo, è quello che merito, in fondo.» Chiuse gli occhi, affondando maggiormente nel sedile. «Posso saperti ovunque, Sam, fintanto che tu sia vivo. Fintanto che tu sia felice, che tu stia bene. E no, quella squallida imitazione di Matrix che spacciano per Paradiso non è felicità, per me. Soprattutto non con quel piccolo nanetto psicopatico a dirigere la baracca.»

«Bene, direi che abbiamo sforato il tetto di estrogeni, per questa vita» sorrise Sam. «Adesso posso dare un’occhiata a questa benedetta ferita? O hai forse intenzione di macchiare indelebilmente la tappezzeria?»

Dean allontanò la mano dal fianco e gli permise di sollevargli la maglia.

«Cosa non faresti pur di molestarmi…» borbottò, stanco. «È solo un graffio, non me n’ero neppure accorto.»

Il graffio erano tre ferite da taglio, profonde almeno un paio di dita. Sanguinavano copiosamente e avrebbero avuto bisogno di punti, ma non era questo a preoccupare Sam. A ferire suo fratello erano stati gli artigli della gorgone: il veleno avrebbe dovuto ucciderlo.

«Sono felice che ti sbagliassi sulla trasformazione in pietra» sospirò Dean, abbandonandosi inconsciamente al suo tocco. «Così felice che metterò ugualmente la seconda monetina nel barattolo.»

Sam non lo contraddisse. Versò invece abbondante acqua ossigenata sui tagli e, quando ebbero finito di schiumare, li rivestì con una lenta fasciatura. Si sarebbero occupati di ogni cosa in albergo, Dean aveva bisogno di riposare, adesso.

«Passa dal lato del passeggero, coraggio» disse, sfiorando la fronte sudata dell’altro. «Hai perso parecchio sangue, ci faresti schiantare contro il primo albero.»

Il maggiore ghignò. «Ti darei un pugno per l’insinuazione, se sapessi a quale delle tue quattro teste mirare.» Si sollevò piano e con un po’ di fatica riuscirono a cambiarsi di posizione.

Mentre era ancora col sedere a mezz’aria e col collo pericolosamente vicino al punto di rottura, suo fratello gli cinse di nuovo il polso. Nel suo gesto niente della precedente ferocia.

«Sam,» gli confidò esitante, quasi imbarazzato, «per favore, smettiamola di litigare. Io… non credo che saprei trattenermi ancora.»

Era evidente che Dean gli stesse dicendo simili cose solo perché fuori di sé, ma Sam non poteva lasciarsi sfuggire un’occasione come quella: per aiutarlo, aveva bisogno di ogni informazione possibile.

«Trattenerti dal fare cosa?» chiese.

«Dal farti del male» confessò l’altro, le palpebre che si abbassavano. «Non penso ad altro che ai modi in cui potrei farti urlare, e ne conosco tantissimi, Sam. La maggior parte delle volte mi basta concentrarmi, fare un profondo respiro per cancellare tutto quanto. Ma quando sei tu ad aggredirmi diventa… più difficile.»

Nonostante il fianco ferito, Dean si voltò dall’altra parte e Sam si convinse che fosse finita. Poi suo fratello aggiunse altro: «C’è qualcosa di corrotto in te, qualcosa di sbagliato, e non voglio altro che distruggerlo. Preferirei morire che farti del male, ma non so quanto ancora riuscirò a controllarmi. Forse dovresti andartene, Sammy.»

Il minore sfiorò i corti capelli sulla nuca dell’altro, chiudendo dita tiepide sul suo collo gelido e sudato. «Risolveremo ogni cosa, te lo prometto. Io non vado da nessuna parte, Dean» rispose.

Con riluttanza, ritirò il braccio e mise in moto l’Impala. Sapeva perfettamente contro cosa avrebbero combattuto, stavolta.

L’odio che Dean stava sviluppando per lui, il modo in cui cacciava, la sua invulnerabilità al veleno della gorgone, tutto puntava in un’unica direzione: il Marchio di Caino. E anche a costo di strappargli il braccio e di ficcarlo a forza nel culo del demone che gliel’aveva passato, Sam avrebbe salvato suo fratello da quella maledizione. Non avrebbe permesso che Dean fosse trascinato all’Inferno, non di nuovo. «Abbiamo un lavoro da fare» disse con rinnovata determinazione.

«Non rubarmi le battute, stronzetto» fu l’assonnata risposta proveniente dal sedile del passeggero.

E il ghigno ferino che scopriva i denti di Sam si trasformò in un sorriso esasperato.

 

 

 

 

Note: Perché ancora credo che il litigio fra Dean e Sam si sarebbe potuto risolvere davvero alla svelta, se non fosse stato essenziale per la storyline del Marchio.

La dedico ad AryYuna, che è deviata quasi quanto me ♥

Un ringraziamento e un bacio appassionato a quella Bitch della mia Beta ♥

 

   
 
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