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Autore: Angie Mars Halen    20/03/2014    2 recensioni
Nikki sta attraversando il periodo più buio della sua vita e ha l’occasione di incontrare Grace. Dopo il loro primo e burrascoso incontro, tra i due nasce una profonda amicizia e Grace decide di fare del suo meglio per aiutare e sostenere il bassista. Inizialmente Nikki è felice del solido rapporto che si è creato tra lui e questa diciassettenne sconosciuta, ma subentrerà la gelosia nel momento in cui lei inizierà a frequentare uno dei suoi compagni di band. Mentre dovrà fare i conti con questo, Grace, che è molto affezionata a lui e quindi non vuole abbandonarlo, dovrà fare il possibile per non essere trascinata nell’abisso oscuro di Sikki.
[1987]
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mick Mars, Nikki Sixx, Nuovo personaggio, Tommy Lee, Vince Neil
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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27) VINCE

Grace entrò in casa mia ciondolando e ancora infuriata per la scenata che Vanity aveva fatto al magazzino. Girò un paio di volte intorno al divano poi ci si accasciò sopra dopo aver lasciato cadere la borsa sul pavimento. Intanto io pensavo a cosa avrei potuto fare per sollevarle il morale. Non sopportavo di vederla così arrabbiata per colpa di Nikki e Vanity. Se solo Sixx le avesse detto la verità su quella che andava in giro a dire di essere la sua ragazza, Grace avrebbe potuto quantomeno prepararsi, anche se pensavo che Nikki, consapevole dell’imprevedibilità delle reazioni di Vanity, avrebbe dovuto fare in modo che non si incontrassero mai. Forse un po’ di musica avrebbe aiutato Grace a sentirsi a suo agio e a dimenticare quell’incontro, così andai a riesumare Van Halen II da un mobile e misi il vinile sul piatto, appoggiando la puntina proprio all’altezza di Beautiful Girls. Grace, ancora immobile sul divano, cominciò a battere la punta del piede sul pavimento e mi sorrise appena.

“Ti piace questa canzone?” le chiesi.

Grace annuii mentre alzavo il volume poi mi sedetti accanto a lei e le circondai le spalle con un braccio. “Avevo promesso di starti lontano, quindi per stanotte dormirò qui. Il divano è una tortura per la mia schiena, ma per una volta posso sacrificarmi.”

Grace strabuzzò gli occhi. “Non se ne parla. L’ospite sono io e sul divano ci dormirò io.”

“Ti cedo il mio posto proprio perché sei mia ospite, chiaramente molto gradita.”

Lei iniziò a sfregarsi nervosamente le mani, nuovamente tesa come una corda di violino. “A proposito di ospiti graditi... quello che è successo sabato scorso l’hai già dimenticato, immagino.”

Colsi una vena di amarezza nella sua voce e rabbrividii. Era chiaro che fosse ancora convinta che avessi solo voluto prendermi gioco di lei e approfittarne, e ora toccava a me fare in modo che capisse che non era così.

“No,” risposi in fretta. “Lo penso ancora, sto solo aspettando di essere ricambiato. Se così non fosse, mi rassegnerò.”

Gli occhi di Grace brillarono sotto le luci del salotto, ma lei faceva il possibile per non lasciare trasparire l’emozione. Una qualunque altra ragazza mi sarebbe saltata addosso – o meglio, una qualunque altra ragazza mi sarebbe saltata addosso contenta di poter usufruire liberamente dei miei soldi e della mia fama. Lei invece mi guardava senza dire niente, evidentemente imbarazzata, poi appoggiò la testa sul mio petto. “A pensarci bene, quello che so di te l’ho letto sui giornali, e mi domando quanto siano affidabili.”

Su questo aveva ragione: non aveva idea di chi fossi e non poteva fare altro che associarmi al cantante viziato di una band di fama internazionale, motivo per cui decisi di raccontarle buona parte della mia storia che, come avevo previsto, non approvò del tutto. Ero consapevole di aver fatto parecchi sbagli, alcuni dei quali così grossi che me li sarei portati con me per il resto della mia vita, però adesso non volevo pensarci.

Il disco si fermò e all’improvviso in casa tutto tacque. Grace chiuse gli occhi e sospirò come per liberarsi dal peso della giornata carica di imprevisti.

“Oggi è stata una giornata davvero orribile, quindi credo che andrò a dormire. Dov'è la mia stanza?” mi informò dopo un lungo sbadiglio.

La accompagnai al piano di sopra, incurante del fatto che la mia camera fosse sottosopra dal momento che non la riordinavo da settimane, ma Grace sembrò non farci troppo caso e si chiuse in bagno, lasciandomi da solo in mezzo alla stanza a fissare la porta sbarrata come un cretino. Spostai lo sguardo e scossi il capo, brontolando cose incomprensibili persino per me stesso.

Che cazzo ti succede? mi domandai. Che cosa ti prende, vecchio? Tu non sei mai rimasto senza parole davanti a una donna, a meno che questa non fosse tua madre quando ti rimproverava ai tempi della scuola elementare.

Mi sembrava di avere un demonietto rompipalle appollaiato sulla spalla che mi rimproverava e mi diceva che cosa dovevo o non dovevo fare. Io però non sono mai stato abituato ad ascoltare nessuno, nemmeno la mia stessa coscienza, che in quel momento mi continuava a ripetere che dovevo approfittare della situazione e saltare addosso a Grace. Io però non volevo farlo perché sapevo che così avrei rovinato tutto. Ci avevo messo talmente tanto tempo per farmi apprezzare che non potevo mandare tutto all’aria in quel modo, come facevo sempre. Mi stropicciai gli occhi in un momento di sfinitezza, stupito di questo mio lato sentimentale che mi ero dimenticato di possedere.

Diedi un’ultima occhiata al mio riflesso sullo specchio per accertarmi di essere quantomeno presentabile prima di spalancare la finestra per far entrare un po’ di aria fresca. Appoggiai i gomiti sul davanzale e guardai fuori: le foglie degli alberi si muovevano delicatamente sospinte dal vento che si era alzato, mentre oltre la recinzione del mio cortile regnava il silenzio dell’area desertica abitata solo da cactus e arbusti. Chiusi gli occhi e godei dell’aria che mi colpiva in pieno viso, insinuandosi tra i miei capelli come la carezza di una grande mano. Fui distratto all’improvviso dal rumore della chiave che girava nella serratura e vidi Grace sulla soglia del bagno e con la borsa in mano, che appoggiò poi su una sedia. I capelli, ora non più raccolti dietro il capo e tenuti fermi per mezzo di un elastico di velluto, le ricadevano sulle spalle e sulla T-shirt blu notte con una grande stampa gialla del logo degli Aerosmith.

“Bella maglia,” le dissi con tono spavaldo per mascherare quell’odioso imbarazzo che si stava impossessando di me. Lei sorrise e mi raccontò che gliel’aveva regalata Nikki. A quanto pareva, quel cretino era uscito di casa apposta per andare a comprarla, e dovevo esserne felice. Fare quattro passi all’aria aperta era sicuramente meglio che stare barricato nella sua villa ad attendere l’arrivo di uno spacciatore o di quella guastafeste della sua pseudo-fidanzata.

“Era molto contento quando me l’ha consegnata,” continuò Grace. “Ha detto che una grande persona merita la maglia di un grande gruppo, o qualcosa su queste linee.”

Si infilò sotto la coperta e sprimacciò per bene il cuscino, infine si sedette e si guardò intorno abbozzando un sorriso quando si soffermò sulla mia poltrona leopardata, un pezzo d’arredamento del quale andavo molto fiero. Nessuno parlava e io avevo capito che, siccome anche quella sera non avrei concluso niente, tanto valeva che togliessi il disturbo e sparissi al piano di sotto. Presi una coperta da sopra la poltrona e l’altro cuscino del letto, poi lanciai la maglietta sopra una pila di vestiti che aspettavano di fare un giro in lavatrice alla massima temperatura da quando ero rientrato dall’ultimo concerto. Grace era già sdraiata con gli occhi chiusi, ma mi fu sufficiente vedere che stava giocherellando con un angolo del cuscino per accorgermi che era ancora sveglia. Mi avvicinai di soppiatto prima di inginocchiarmi alla sua altezza, appoggiando le braccia sul materasso, e lei aprì appena gli occhi nel momento in cui sentì il lieve spostamento dovuto al mio peso.

“Vado a dormire sul divano,” mormorai, rassegnato a passare la notte in bianco a spaccarmi la schiena, ma appena spensi la luce, Grace si alzò nel buio e mi prese un polso.

“No, aspetta,” mi fermò chiamandomi a bassa voce. “Resta qui.”

Mi tirò verso di sé per costringermi a sedermi sul letto, poi disse la stessa cosa che anche io stavo pensando: il fatto che non mi avesse considerato per una settimana non significava che non le interessassi o che non mi avesse mai pensato. Valeva anche per me, ma per qualche ragione preferii tacere e non dirglielo. Per una settimana non ero riuscito a togliermela dalla testa. Avevo persino provato a farmi una tipa che avevo rimorchiato in un locale, ma avevo finito per passare il tempo a chiedermi come sarebbe stato se al suo posto ci fosse stata Grace. Ero arrivato alla conclusione che, se non l’avessi rivista al più presto, sarei impazzito, e adesso ero lì tra le sue braccia ad ascoltare il rumore leggero del suo respiro. Mi lasciai scivolare lentamente da un lato e lei mi seguì. La guardai negli occhi, le iridi che scintillavano come zaffiri, e presi ad avvicinarmi sempre di più per vederle meglio, finché lei non decise di azzerare totalmente la distanza che ci separava appoggiando le labbra sulle mie. Ma quel lieve contatto non era sufficiente, almeno non per me. Quando ci separammo, restammo in silenzio ad ascoltare il rumore delle foglie mosse dal vento che proveniva dal giardino, poi Grace cominciò a giocherellare con una mia ciocca di capelli.

“Allora, resti o no?” domandò sorridendo e leggermente rossa sulle guance.

“Credo proprio che non mi muoverò da questa stanza.”

Grace appoggiò il capo al mio petto e le accarezzai i capelli morbidi. Mi faceva piacere che fosse lì con me e la sua sola presenza mi faceva sentire bene. Era strano a dirsi e sembrava uno scherzo, ma ormai me n’ero fatto una ragione: mi ero innamorato. Dopo tanto tempo, la rockstar spregiudicata, amante degli eccessi e vanitosa si era innamorata. Credevo di essermi dimenticato cosa volesse dire, ma lo avevo appena ricordato, e ne ero felice. Tuttavia, il mio carattere non poteva annullarsi del tutto e, sebbene conoscessi Grace da poco tempo, non potei fare a meno di provare a spingermi oltre, specialmente ora che sapevo con certezza che ci sarebbe stata. Eravamo solo abbracciati e sotto la mano che tenevo appoggiata sulla sua nuca sentivo che stava sudando come se fossimo stati in piena estate. Stava facendo fatica a trattenersi e lo stesso valeva anche per me.

Le sollevai il mento e la baciai di nuovo, ma stavolta non fu un bacio semplice e veloce come quello di poco prima. Grace dovette scansarmi quasi con forza per liberarsi di me e riprendere fiato. Mi fissava con occhi scintillanti, quasi con stupore, e io ricambiai con uno sguardo lascivo che le fece intendere alla perfezione le mie intenzioni. La strinsi forte a me e le chiesi se fosse sicura di quello che stava per fare. Un “sì” sussurrato giunse alle mie orecchie, allora la guardai dritto negli occhi mentre le accarezzavo la schiena da sotto la maglia. Il solo pensiero di quello che sarebbe accaduto nei prossimi minuti mi faceva sudare ed ero consapevole del fatto che non avrei resistito ancora per molto.

Le sollevai la T-shirt e lei si coprì istintivamente il petto con le braccia, allora la invitai a spostarle cercando di essere il più gentile possibile. Grace accettò e mi lasciò guardare i suoi seni sodi e morbidi al tatto. Mentre la accarezzavo, sentivo il suo cuore battere all’impazzata sotto i miei polpastrelli e il suo respiro diventava sempre più rapido e irregolare.

“Vince...” mi chiamò con la voce tremante e ora un po’ più profonda.

“Sì?” le risposi sussurrando.

“Non so se stiamo facendo la cosa giusta, forse dovremmo–”

La interruppi sfiorandole le labbra turgide e socchiuse con le mie. “Non vedo cosa ci sia di sbagliato in quello che vogliamo fare. Se non vuoi continuare possiamo fermarci, se invece vuoi continuare poi vuoi fermarti più tardi, allora ci fermiamo. Tu però rilassati, okay? Vedrai che andrà tutto bene.”

Grace annuì, ma il suo tentativo di rilassarsi fallì nel momento in cui le sfilai gli slip. Continuava a guardarmi con gli occhi spalancati come se avesse voluto sapere in anticipo ogni gesto che stavo per fare, soprattutto quando mi sbottonai i jeans, che adesso avevano iniziato ad andarmi stretti.

Fa’ che vada tutto bene, fa’ che le piaccia, fa’ che io faccia un lavoro decente... continuavo a pensare mordendomi il labbro inferiore, poi la rassicurai con una carezza sul viso perché in quel momento era ciò di cui avevo bisogno io per primo. Ero sempre più stupito del mio stesso comportamento: in una qualsiasi altra occasione e con qualsiasi altra donna a quel punto avrei già finito, invece quella notte ero ancora inginocchiato davanti a Grace, impegnato a rendere il tutto il meno traumatico possibile per entrambi – per lei che aveva deciso di dare una chance a uno come me, e per me perché erano mesi che non provavo altre emozioni oltre alla sola soddisfazione fisica. Le accarezzai una gamba e risalii con la mano ben aperta fino alla sua intimità.

“Dio, Vince,” mi pregò, ma il suo tono lascivo e lo sguardo carico di desiderio mi fecero capire che voleva che continuassi così. Come lei, nemmeno io riuscivo più a resistere, allora mi tolsi i jeans e li calciai via, rimanendo completamente svestito davanti a Grace, che tese una mano verso di me come per darmi il permesso di continuare. Mi posizionai sopra il suo corpo e lei mi circondò le spalle con le braccia, facendo aderire il suo seno al mio petto e permettendomi così di sentire ancora il suo cuore che batteva sotto lo sterno. La strinsi a me mentre le entravo dentro lentamente, e più affondavo, più le sue mani si stringevano sulla mia schiena. Mi morse una spalla nel vano tentativo di soffocare un lamento, ma un attimo dopo iniziò a muoversi meglio, il suo respiro prese un ritmo regolare e i nostri corpi si incastrarono perfettamente in una danza paradisiaca, mentre i nostri sospiri riempivano l’aria sovrastando il fruscio delle chiome degli alberi agitate dal vento. Ora non esisteva più niente al di fuori di noi due. Non c’era Vince, non c’era Grace, non c’era quella stanza, non c’era la mia casa, non c’era Los Angeles: c’era solo un’unica entità che comprendeva entrambi.

Appoggiai la mia fronte sudata a quella di Grace e intensificai il ritmo. “Cazzo, io... tu mi piaci così tanto.”

Grace inarcò la schiena e volse lo sguardo dritto nel mio. “Anche tu mi piaci, Vince. Mi piaci così come ti ho conosciuto io.”

Non potevo crederci! Le piacevo! E le piacevo io, non quel ragazzaccio pervertito di Vince Neil che i giornali decantavano come il re dello stravizio. A lei piaceva Vince e basta, quel tipo che le voleva bene e che, dopo tanto tempo, si era ricordato di avere un cuore.

“Oh, baby... continua così, Grace...” la chiamai mentre chiudevo le sue mani nelle mie. Lei mi sorrise e stava per rispondermi quando raggiunse l’apice. Lasciò cadere indietro la testa, si strinse a me e venne con un gemito, ritrovandosi improvvisamente destabilizzata dal piacere. Un attimo dopo giunse anche il mio momento: uscii da lei forse un po’ troppo bruscamente facendola lamentare e mi venni sul lenzuolo. Mi scostai poi i capelli sudati dalla fronte e dalle spalle e osservai Grace, che se ne stava sdraiata supina e con lo sguardo perso nel vuoto, ancora ansimante. Ormai senza forze, mi accasciai sul lenzuolo intriso del nostro sudore, poi la invitai ad avvicinarsi e Grace si accovacciò contro di me. Le accarezzai le spalle e appoggiai il mento sopra la sua testa mentre lei affondava il viso nel mio petto come se cercasse un senso di sicurezza, e mi domandai se sarei mai riuscito a farla sentire al sicuro come meritava. Ero veramente innamorato di Grace, però c’erano ancora parecchie cose che lei non sapeva di me. Forse, se le avesse sapute, sarebbe corsa via insultandomi perché nessuno vorrebbe vicino uno come me. Però adesso era lì, rannicchiata contro di me e con le mani aperte contro il mio petto, proprio all’altezza del cuore, come se il suo battito fosse stato rilassante. Era una ragazza piccola, così piccola che tra le mie braccia sembrava quasi una bambina. Sapeva essere estremamente forte, ma allo stesso tempo era anche fragile e doveva essere trattata con cura. Io però non trattavo mai nessuno con cura, e avevo paura di combinare qualche disastro per cui Grace mi avrebbe ricordato come quello che in una notte di novembre si era approfittato di un suo momento di debolezza per divertirsi a sue spese. Se avessi voluto ottenere ciò che volevo, allora avrei dovuto impegnarmi per dimostrare a Grace che aveva fatto la scelta giusta. Questo avrebbe comportato un sacco di lavoro, ma stavolta ne valeva così tanto la pena che tirarmi indietro non mi passò neanche per la testa.

“Ehi, Gracie?” la chiamai, ma lei non rispose. Stava già dormendo, e dal momento che la trovai una buona idea, tirai la coperta su entrambi e decisi che avrei provato a fare lo stesso.



N. d’A.: Buon pomeriggio a tutti e scusate per il ritardo – colpa della connessione capricciosa che mi ha impedito di caricare il ventisettesimo capitolo...
Spero che questo capitolo sia di vostro gradimento e che sia ben riuscito.
A proposito: ho scoperto che c’è un modo per controllare quante visite riceve ogni capitolo di una storia e... wow, non mi aspettavo di trovarne così tanti! È stato un vero piacere, vuol dire che i lettori silenziosi ai quali mi appello ci sono per davvero. :’) Quindi, come sempre, GRAZIE a tutti voi che leggete! ♥
E, sì, be’, se volete lasciare una recensione per farmi sapere che cosa ne pensate, ne sarò più che lieta. =D
Un abbraccio e a mercoledì prossimo,

Angie

   
 
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