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Autore: amy holmes_JW    23/03/2014    1 recensioni
Moriarty è tornato dall’oltretomba, John vive la sua vita con Mary e la bambina lasciando, se non con sporadiche visite, quella di Sherlock.
In una giornata qualunque John esce a fare due passi in tranquillità, da solo per schiarirsi le idee, o almeno è quello che vorrebbe fare.
Partecipa al contest : Eroe e Anitero di Lolaa
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jim Moriarty, John Watson
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Salve! ecco che ci ritento, per trovare ispirazione ho partecipato al contest "Eroe e Antieroe" , che consisteva su scrivere una storia su una coppia composta dal così detto "buono" e il consueto "cattivo", la scelta era a propria scelta consultando, però, una lista già composta. La mia scelta è andata a finire su questo fandom in una Joharty. Inoltre si aveva un pacchetto da cercare di seguire al meglio.
Il mio pacchetto conteneva :

Sentimento: Sensibilità/Astio
Prompt: Neve
Citazione: Le decisioni impetuose e audaci in un primo momento riempiono di entusiasmo, ma poi sono difficili a seguirsi e disastrose nei risultati. (Tito Livio)

ed ora buona lettura :)



MISS ME?

Era una giornata come tante altre; dal cielo cadevano, ininterrottamente, lievi fiocchi di neve.
Nella casa non si sentiva nessun rumore, solo il respiro regolare dell’uomo alla finestra, che guardava il terreno farsi sempre più bianco.
- La bambina si è finalmente addormentata. Possiamo dedicarci a noi – disse, palesandosi nella stanza, Mary.
John si voltò lentamente e quando sentì la mano della moglie sulla spalla gliela prese fra le sue baciandola.
- Voglio andare a fare un giro; solo due passi – disse il medico col tono di chi vuole rimanere solo.
Mary sorrise debolmente lasciando scivolare via la mano e sedendosi sulla poltrona con un libro in grembo.
Dopo la promessa  di tornare presto e un “Salutami Sherlock” detto sottovoce, John uscì da quella casa.

Quando era piccolo adorava la neve, e camminare mentre cadeva : il paesaggio diventava soffice,il tempo sembrava rallentare e ogni suono era ovattato.
Diventando più grande il camminare sotto la neve, quando era possibile, divenne di rito negli appuntamenti, poiché le ragazze rimanevano sempre estasiate dall’atmosfera che veniva a crearsi.
Ora, in quella giornata così normale, John aveva bisogno di scappare dalla tranquillità di ogni giorno e attenuare i pensieri che gli si affollavano nella sua testa.


Le strade erano praticamente deserte, le macchine passavano sporadicamente con le luci accese per vedere tra quei fiocchi che diventavano sempre più grossi. Una sola macchina si differenziava da quelle poche che incontrava: era nera con i vetri oscurati e le luci spente, invisibile a tutti, tranne che a John.
 La berlina gli si fermò affianco e la portiera posteriore si aprì automaticamente. Il primo pensiero del medico fu che Mycroft avesse questioni riguardanti suo fratello da discutere con lui; magari era tornato a drogarsi e lui avrebbe dovuto fare il fratello maggiore che il “governo inglese” non riusciva a fare.
Ecco perché non ci pensò su molto prima di entrare. Mai deduzione fu più sbagliata : ad attenderlo sui sedili in pelle non c’era Anthea. In realtà non c’era nessuno, inoltre, le porte si chiusero e bloccarono l’uscita.
Si sarebbe dovuto sentire in pericolo ma, per qualche ragione, non era così. Quella sensazione l’aveva già provata : adrenalina che pompa nelle vene, cuore in accelerazione ma niente sudore e la mente non è offuscata dalla paura, anzi è lucida e all’erta.
 John decise di allacciarsi la cintura e vedere chi lo cercava, anche se aveva una mezza idea.
La macchina parte spedita e i fiocchi che si vedono dal finestrino sfrecciano in modo obliquo.
- La prego, vada più piano, voglio vedere la neve cadere come si deve – fece sentire la sua voce all’autista.
Un conto era aver deciso di salire, un altro era rovinarsi la vista del paesaggio che diventava soffice.

- Prego, scenda ed entri – l’autista annunciò la fine della corsa aspettando che John scendesse.
La vista che gli si presentò davanti non fu poi così differente dalla vista che ha di Beaker Street; case a schiera che si susseguono, interrotte da piccoli cafè, o bar.
 Senza tante cerimonie entra nella casa. Da una stanza lì affianco provenivano gli acuti dei Bee Gees. Aprì la porta e non si stupì nel notare, su una poltroncina davanti ad un camino acceso, due gambe, accavallate, fasciate da un westwood blu scuro.
 - John, John,John, sono molto deluso da te. Pensavo che avresti messo più zelo nel cercarmi.- parlò la voce profonda.
- Già, potrei dire lo stesso, speravo mi avresti cercato. Per imbottirmi di esplosivo – tenne testa John.
La poltrona si girò mostrando al medico militare il suo interlocutore e il sorriso serafico che lo contraddistingueva.
- Ti sono mancato? – quelle parole rimbombavano nella testa del dottore da mesi, ogni frequenza radio, televisione cartelloni pubblicitari aveva mostrato la sua faccia e quella semplice frase; ma dopo quello non era successo nient’altro.
Con un gesto annoiato indicò la sedia di fronte a lui e John ci si sedette, incrociando a sua volta le gambe.
- Che ci faccio qui? – chiese guardandosi introno. La casa era spoglia, con il giusto indispensabile, ciò significa che era lì da poco, anche se il suo ritorno col botto era  avvenuto tempo addietro.
- Per il motivo perché spesso sei corso da Sherlock, non so che fare. Tè? - continuò con voce languida evitando il suo sguardo e indicando la teiera sul tavolino in mezzo a loro.  
- Nessun traffico di armi tra noi e Iran, corrieri di nuove droghe o di oggetti cinesi? – continuò a chiedere prendendo a sorseggiare il tè che si era versato.
- Oh Jonny boy, sono dovuto rimanere dietro le quinte e vedere il tuo noioso amico che smantellava la mia rete – per qualche motivo continuava a guardare dappertutto, ma non in faccia al suo ospite. John odiava lui e quello stupido soprannome, lo faceva sentire un pezzo di stoffa, un peluche usato per i suoi piccoli giochi, una cavia, ecco cosa si sentiva, una cavia. 
- Bene, ma io non sono qui per una visita di cortesia, se per questo, non era mia intenzione farti visita – sentiva crescere dentro di sé un senso di bile acida, quante parole avrebbe voluto vomitargli addosso, ma qualcosa lo fermava, come ogni volta che ne aveva avuto l’opportunità.
- Come siamo acidi, i segreti che pesano sulla tua famiglia non sono ancora scivolati via dalla tua mente, vero? Pensavo di fari un favore, pensavo volessi sapere come ho fatto a sopravvivere, dopo essermi sparato in bocca… - Moriarty si alzò in piedi e iniziò a camminare nella stanza, e John si spostò sulla, decisamente più comoda, poltrona.
- Mi dimentico sempre quanto siate simili tu e Sherlock, pensate sempre che tutti pendano dalle vostre bocche quando fate qualcosa di fantastico, e… dio se adorate sfoggiare le vostre capacità. Purtroppo il grande botto lo ha già fatto lui, nessuno si è stupito per il tuo ritorno; sei arrivato secondo, di nuovo. – voleva farlo impazzire, scoppiare, ecco cosa voleva John.
- Bla, bla, bla… Sherlock qua, bla,bla,bla Sherlock là; perché deve essere sempre in mezzo. – in quel momento il consulente criminale è dietro alle sue spalle, ma John può immaginarlo con una faccia irritata che scimmiotta a bocca aperta, quasi fosse un pesce. Questa similitudine gli strappa un sorriso.
- Penso di poterti ringraziare a suo nome, se non fossi riapparso lui sarebbe andato lontano, col rischio di non tornare più, proprio un grande grazie. – continua facendo finta di non aver sentito i suoi lamenti.
- Adesso basta, Johnny boy, dimenticati di Sherlock. – velocemente furono uno di fronte all’altro. John ancora seduto, e Moriarty in piedi.
- E chi pensa a Sherlock… - disse incontrando lo sguardo del suo aguzzino: occhi di un cioccolato fuso, profondi,il buono e la tranquillità incontrano la scintilla di pazzia che li tiene vivi. Non ci può fare nulla, li trova irresistibili. E come sempre li guardava rapito, qualcuno aveva detto che gli occhi sono la porta dell’anima e i suoi parlavano fin troppo.
- Johnny boy, i tuoi pantaloni indicano che sei succube della sindrome di Stoccolma – gli fece notare abbassandosi appoggiando le mani sui braccioli della poltrona e spostando lo sguardo languido sulle gambe del medico.
- Watson, per te, e non soffro di nulla, tanto che tu non sei un mio carceriere e io non ti appoggio in nulla – lo sfidò abbassando per una frazione di secondo la testa per poi tornare a fissare l’altro.
- Bene, allora. – con la gamba destra prese la sedia alle sue spalle e trascinandola si posizionò a cavalcioni – Stiamo qui a guardarci -

Il fissarsi senza dire una parola durò poco, solo qualche minuto.
- Sai John, sei un uomo così assurdamente normale, il tuo caro migliore amico era bello da studiare e demolire un po’ per volta, ma una volta che hai finito di smontare rimane una persona noiosa, come tante altre. Tu, invece, ti si legge tutto in faccia, non mi viene nascosto nulla, e questo mi piace, mi affascina – la voce languida e calda lo accarezza e l’adrenalina continua a salire.
- Vorrei sapere dove vuoi andare a parare, vorrei sapere perché sono qui. Sai, ho una famiglia da cui tornare – nonostante l’effetto che gli fa, John sente di disprezzarlo.
- Hai ragione, la tua famiglia, dove tua figlia è solo un cagnolino che vomita e strilla attaccata alla gonna della mammina, e tua moglie di cui non sai neanche il nome con segreti che nemmeno immagini. Ma tranquillo, ci ritorni alla tua noiosa, per fino per te, vita. -
- La mia vita non è noiosa! – Moriarty capì di aver toccato un tasto dolente quando John schizzò in piedi puntando un dito minaccioso verso la sua faccia.
Stanco di stare seduto si alza a sua volta. Con un gesto secco allontana il dito dalla sua faccia. Silenziosamente gira in torno al medico e inizia a togliergli il cardigan. John sentì distintamente una goccia di sudore scivolare indisturbata sulla sua schiena fino a fermarsi all’altezza della cintura. Solo al quel punto si ricordò della pistola.
- Non scaldarti troppo Jonny boy – soffiò sul collo, allontanandosi subito dopo, un’altra goccia di sudore andò a fare compagnia all’altra.
Tornando in fronte a John, Moriarty gli si avvicinò pericolosamente, una mano finì a cingergli la vita, il tempo di afferrare la pistola allontanarla. Il medico notò di aver trattenuto il fiato solo quando il consulente criminale si trovò a diversi passi da lui, intento ad armeggiare con lo stereo.
Click e una musica familiare riempì l’area. Jim si riavvicinò mettendo una mano sul fianco e afferrando con la mano libera, la mano di John; iniziò a muovere i primi passi del valzer.
- Bastardo – disse semplicemente assecondando, senza opporre troppa resistenza.
- John, guardi ma non osservi; tu non ti sei accorto di essere in un quadrato: Sherlock ti ama, Mary ti ama … io… bhè, sei un uomo speciale che non ucciderei, John Watson – gli occhi del moro erano lucidi,permettendo al biondo di guardare nella sua anima, in due pozze limpide come una notte d’estate .
- Speciale, fammi il favore. Piantala e dimmi il motivo preciso perché mi trovo qui. – tutti quei giri gli facevano male: la musica gli ricordava Sherlock, il valzer gli ricordava Mary e a questi ricordi si sovrapponeva l’improbabile immagine di loro che ballano, l’aguzzino e la vittima in una danza diversa, lontana da tutto e tutti. Doveva fermarsi. Aveva bisogno di aria, la finestra era la fuga che gli saltò agli occhi.
 La neve non aveva ancora smesso di cadere, soffice sulle strade.
- Volevo solo la tua compagnia, è chiedere troppo? -
- Sì, io non c’entro nulla con te. Non c’è un vero motivo perché tu voglia vedermi – la voce aveva un tono astioso di chi fosse scocciato di ogni cosa. John sentì ridere chiaramente Moriarty.
- Sai, l’ho conosciuta anche io Mary, davvero una cattiva ragazza. La prima volta era una giornata come questa. La neve era attecchita a terra, di diversi centimetri. Un mio sicario era in Serbia e aveva alle calcagna la tua cara mogliettina. Un colpo, bastò un colpo per freddarlo. Lo vidi cadere atterra, nascosto nella penombra. Devo ammettere che mi ha fatto un grande favore, era ormai un tal peso, ma sono offeso, dovevo ucciderlo io; ha fatto troppo in fretta, niente urla, niente dolore. Un lavoro impeccabile. -
John guardò la neve sulle strade di Londra, nelle sue orecchie sentì uno sparo, e il manto bianco iniziò a diventare rosso, quasi nero, in una pozza che, diramandosi, rendeva tutto in torno di un colore rosato. Vide, inoltre Mary, con il braccio teso e, nella mano, la pistola. Vicino alla pozza, un corpo esangue che prese le sembianze del suo migliore amico, e poco lontano Moriarty che sorride nel buio della notte. Chiude gli occhi, per dimenticare quell’immagine.
- Lasciami andare, ti prego – la voce si fece tenue, l’eccitazione continuava a pulsare ma la testa si rifiutava di collaborare.
Jim si avvicinò al suo viso, il solito sorriso serafico sulle labbra, e con poco preavviso unì le loro bocche.
Il tempo di riconoscersi e il bacio si fece passionale, si cercavano nella bocca dell’altro e le loro lingue giocavano a rincorrersi. Jim prese a sbottonare la camicia di John mentre lui continuava a lasciar scivolare le mani sul corpo di lui. Quando la camicia fu completamente sbottonata Moriarty prese a baciare, leccare e impregnarsi nella mente la pelle di quell’uomo, così assurdamente normale, che in quel momento combatteva tra l’attrazione che aveva per lui e la ragione. L’istinto ebbe la meglio quando le sue mani finirono a stringere i capelli corti, quasi a volerli strappare.
John godeva mentre Jim tornava ad occuparsi della sua bocca e una mano andava ad accarezzare, con una divinazione che stonava in quel momento, il cavallo dei jeans. Era passione, semplice e insaziabile attrazione fisica dettata dall’adrenalina. In quel momento il medico capì fino in fondo il significato del soprannome che Moriarty gli dava : era una bambola nelle sue mani, e per questo lo odiava profondamente.
- Johnny boy, tu vivi di adrenalina e questa è solo passione; un momento per scappare dalla tua normalità. Non voglio questo, voglio che tu sia convinto di volermi non per soddisfare una tua frivolezza. Sei libero di andartene, in realtà potevi già andartene da ore. Pensaci – il consulente del crimine è sempre stato uno stronzo, ma John rimane colpito dalle sue parole. È combattuto tra emozioni contrastanti, quella che predilige per tutto quello che gli ha fatto, però, è quasi rancore.  
- Tu sei un fottuto bastardo, ma lasciati dire una cosa : non mi interessa di cosa ha fatto Mary, prima di incontrarmi, perché in fondo lei, ora, è tutto. Ho amato, in un amore platonico, Sherlock e provo per te attrazione fisica. Lei è il tassello mancante, la amo in nel modo giusto, nel modo che si deve amare una moglie. I segreti e quel pizzico che vedo nei suoi occhi che mi fanno dimenticare della vita comune, la rendono così interessante che è grande l’attrazione nei suoi confronti.  – gli vomitò parole piene d’odio e a malapena notò gli occhi del bruno farsi lucidi.
Ormai era sulla soglia quando Moriarty gli ruba un ultimo bacio, rapido. Un lieve tocco di labbra e la promessa di rivedersi, in altri ambiti, in altre vesti. Un attimo e i due prendono strade diverse: il cattivo, che ha provato l’amore, rimane fermo a vedere quell’uomo tanto normale, ma che lo ha cambiato senza saperlo; e il buono, che nella sua vita ha sempre seguito la strada della patria e del buon nome, lascia la casa con astio ripensando a una frase che al tempo degli studi di filosofia lo aveva colpito, ed adesso ne comprendeva fino in fondo il significato.

Le decisioni impetuose e audaci in un primo momento riempiono di entusiasmo, ma poi  sono difficili a seguirsi e disastrose nei risultati
                                                          Tito Livio
.



***********************************************Angolo Autrice *********************************************************************

Grazie a chiunque abbia voluto leggere e sia arrivato qui, spero sia piaciuta. In ogni caso mi farebbe piacere sapere il vostro parere

che la fortuna possa essere sempre in vostro favore (HG)
Amy holmes_ JW
 
  
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