Libri > Amabili Resti
Segui la storia  |       
Autore: Raven85    25/03/2014    1 recensioni
Ti vogliamo bene, Susie.
Genere: Drammatico, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Avevo quattro anni quando mia sorella venne uccisa.
Di quel giorno ho ricordi molto vaghi, com’è ovvio. Ma so che era il 6 dicembre del 1973 in pieno inverno.
All’epoca ero il più piccolo della famiglia, e avevo due sorelle maggiori. Susie e Lindsey, di quattordici e tredici anni. Loro due erano spesso gelose l’una dell’altra, e forse lo erano anche di me, ma so che si volevano molto bene.
Mi fu raccontato solo in seguito quello che accadde, e almeno per un mese non seppi che mia sorella era morta. Trascorsi molto tempo a casa del mio amico Nate, convinto che Susie fosse a dormire da Clarissa e senza nessun motivo per dubitare di ciò che mi veniva detto. Mi fidavo ciecamente della mia mamma e del mio papà. Loro non mi avrebbero mai mentito.
Credo però che nemmeno Lindsey, nonostante fosse più grande, abbia saputo subito tutta la verità. Certo però con lei, che come ho detto aveva nove anni più di me, non potevano sperare che credesse ad ogni singola parola che le veniva propinata. E infatti lei non ci credeva. Ma forse, più che saperlo per chissà quale segnale che poteva aver colto, era il suo sangue di sorella a gridarle la dura realtà: Susie era morta. Non sarebbe più tornata.
Per quello che ne so, comunque, nemmeno il corpo di nostra sorella ebbe mai degna sepoltura. Il cadavere non venne mai trovato, se non il suo gomito: il suo assassino, chiunque fosse, aveva fatto ogni cosa a regola d’arte. Ad esempio, la adescò e uccise prima che nevicasse, in modo che la neve poi cancellasse ogni traccia. Aveva trovato il nascondiglio perfetto per il corpo, chissà dove. Ancora ce lo chiediamo.
Come ho detto, comunque, quelle tre settimane prima di Natale le trascorsi quasi tutte a casa di Nate. Ogni tanto, quando ero a casa mia, chiedevo a mio padre dov’era Susie: e lui non sapeva rispondermi, limitandosi a propormi ogni sorta di diversivo - dallo zoo ad ogni gioco potesse piacermi. Adesso sono convinto che volessero tutti solo proteggermi, ma non sono sicuro che fosse quello il modo giusto.
Solo la sera della vigilia, mentre in cucina Lindsey parlava con Samuel Heckler, che da quella sera sarebbe stato il suo ragazzo e mamma chissà dove, papà mi prese in braccio e mi invitò a giocare a Monopoli, per la prima volta. Così, usando i segnalini del gioco, mi svelò finalmente la verità, nell’unico modo in cui un bambino di quattro anni potesse capirla.
Quella sera presi la candelina, il segnalino preferito da Susie, e la sistemai sul cassettone in camera mia, dal quale sparì misteriosamente parecchi anni dopo. Accusai poi mio padre di averla sottratta, ma a oggi non sono del tutto certo che fosse stato lui.
All’inizio dell’anno successivo il preside propose di organizzare una messa in suffragio per Susie. Naturalmente all’epoca non sapevo cosa fosse una messa in suffragio, ma pensavo che fosse qualcosa di simile a un funerale. Per parteciparvi chiesi in prestito un vestito a Nate, che quell’anno aveva partecipato a un matrimonio. E nonna Lynn venne con noi.
Era l’unica nonna che avessimo, ed era la madre di nostra madre. Era vedova da tempo ma ogni tanto veniva a trovarci, di solito intorno al Giorno del Ringraziamento. Ed era una nonna davvero atipica: penso di non averne mai vista nessuna come lei. Amava truccarsi come una ragazza giovane, portare i tacchi e ogni volta si faceva venire a prendere all’aeroporto con una limousine a noleggio, ognuna più lussuosa della precedente. Era molto magra e toccava i sessant’anni. Il suo rapporto con la sua unica figlia, mia madre, non era semplice, né lo era il suo con le mie sorelle. Quanto a me, non mi considerava molto.
Contro ogni previsione decise di partecipare anche lei alla messa in onore di Susie, ma la sera prima Lindsey le chiese di truccarla. Allora non capivo il perché, ma adesso ritengo di conoscerlo abbastanza.
Come ho detto Lindsey e Susie si somigliavano molto, anche se non al punto da essere scambiate per gemelle. Per questo motivo mio padre aveva difficoltà a guardare la sua figlia superstite, perché ogni tratto del suo viso gli ricordava l’altra figlia, quella che aveva perso. Lindsey era a perfetta conoscenza di questo, e perciò chiese alla nonna di insegnarle a truccarsi. Per poter vedere finalmente nello specchio un viso che fosse il suo.
In quei giorni anche Nate veniva spesso a casa mia, e un pomeriggio gli mostrai il disegno di carboncino di una lapide, sotto la quale Lindsey e Susie giocavano sempre. Poi lo portai nella stanza di mia sorella, dove avevo scoperto una cosa.
Circa un anno prima, in estate, Susie controllava Nate e me che giocavamo nel giardino. Non ricordo bene perché o come andò, ma ingoiai un bastoncino di cotone e rischiai di soffocare. Mi fu detto poi che Nate aveva chiamato Susie, ed era stata lei a caricarmi in macchina - nonostante avesse solo tredici anni - e portarmi di corsa in ospedale. Grazie alla sua tempestività ero vivo: e io da allora non l’ho più scordato.
In quell’occasione confidai al mio amico che io la vedevo spesso. Non so bene se fosse realmente così: ero un bambino, ed è possibile che si trattasse solo di un amico immaginario che ero convinto fosse mia sorella. Quello che so per certo - e lo so anche adesso - è che percepivo costantemente la sua presenza benevola accanto a me. E non solo la sentivo, ma era calda, reale. Susie era vicino a me e mi proteggeva, come aveva sempre fatto in vita.
In estate Lindsey partecipò con Samuel al Raduno degli studenti dotati, e io mi trovavo per la prima volta figlio unico in casa. Però non era facile: papà dormiva sempre nel suo studio, e lui e la mamma parlavano poco o niente. Per giunta, mio padre sospettava di un nostro vicino, il signor Harvey, e lo teneva costantemente sotto controllo.
Verso agosto infine, il capitano della Polizia che si occupava del nostro caso, Len Fenerman venne a dire a papà di non telefonare più in centrale. Nulla evidentemente era stato trovato di nuovo sul signor Harvey, e loro non potevano fare altro.
Per papà fu uno shock, l’ennesimo, ma in quell’occasione Lindsey si dimostrò perfino più matura di lui. Vidi Len davvero in imbarazzo: nemmeno per lui doveva essere stato semplice venire a portarci quella notizia. E sono certo che anche lui volesse davvero aiutarci.
Il giorno dopo, di primissima mattina, le sirene di ambulanza e Polizia ci svegliarono bruscamente. Ma non potevamo certo immaginare che l’una e l’altra fossero lì per papà.
Scendemmo in cucina. Lindsey era andata a vedere nello studio, e lo aveva trovato deserto. Io ero spaventato, non sapevo cosa stava succedendo, e di certo l’atteggiamento ostile della mamma non contribuiva a tranquillizzarmi. Fortunatamente lo faceva l’amore di mia sorella.
Stavamo per tornare di sopra, Lindsey e io, con lei che mi prometteva di lasciarmi dormire nel suo letto, quando suonò il telefono. La mamma rispose, assunse un’aria sconvolta, afferrò l’impermeabile e le chiavi della macchina e uscì senza guardarci.
Vidi che mia sorella non sapeva che cosa fare, ma fu solo per un attimo: in quella circostanza le tornò utile il fatto che Samuel avesse un fratello maggiore con la moto. Telefonò però prima alla mamma di Nate, che venne a prendermi, e poi corse all’ospedale.
Adesso so cosa accadde quella notte: mio padre aveva creduto di vedere il signor Harvey nel sentiero fra le nostre due case, e armato di mazza da baseball era uscito a cercarlo. Arrivato nel campo di granturco però aveva trovato Clarissa, l’amica di Susie, che appena lo aveva visto aveva iniziato a urlare. Il suo ragazzo, che la stava raggiungendo, era accorso e aveva picchiato papà proprio con la mazza, rompendogli un ginocchio.
Ma all’epoca avevo cinque anni, e non potevo comprendere tutte queste cose. Perciò, ogni volta che chiedevo a papà cosa avesse il suo ginocchio lui mi intratteneva con una storia sempre diversa. Era stato portato sulla Terra dagli alieni, ad esempio. E io ci credevo. La cosa mi entusiasmava.
Quell’autunno andai per la prima volta all’asilo, ma non riuscivo a restare anonimo fra gli altri bambini. Inconsciamente sapevo che per un motivo solo la maestra era più gentile con me che con gli altri: c’era Susie, sempre Susie. La sua scomparsa. La perdita di una sorella.
Verso la fine dell’anno papà stava molto meglio, e un pomeriggio in particolare mi portò a cavalluccio su per tutta la rampa di scale. Amavo stare con lui.
E un giorno dopo l’altro, si arrivò al primo anniversario di quel maledetto 6 dicembre. Io stavo giocando al piano di sopra, papà era al lavoro e mamma con Lindsey nella sala. Non avevo notato nulla di strano fuori casa, ma quando papà arrivò Lindsey mi disse che nel campo di granturco c’era una “festa per Susie”. Così decise di portare anche me, e fu la prima volta in cui mi coinvolsero davvero in quello che succedeva. Ricordo anche cosa mi disse mia sorella: che ero eccezionale, e che lei ci sarebbe stata sempre, qualunque cosa fosse accaduta.
Mantenne la parola.
La mamma non venne con noi, ma nemmeno ci fermò. Arrivati al campo notammo che c’erano tutti i nostri vicini di casa, più alcuni compagni di Susie, un sacco di persone che l’avevano conosciuta e volevano dimostrarci la loro vicinanza. C’erano candele, e le persone cantavano per lei. Fu molto bello.
Nell’estate dell’anno successivo nostra madre ci lasciò. Disse che avrebbe fatto una vacanza, e invece partì davvero, lasciando me e Lindsey a crescere soli con nostro padre, che troppo spesso temeva di non farcela. Fortunatamente la nonna decise di aiutarci, e venne a stare da noi.
C’era una cosa che avrei sempre voluto fare con Susie, se lei fosse vissuta: costruire un fortino, un posto dove rifugiarmi per stare per conto mio, anche solo per leggere in pace i miei fumetti. Lo feci nella primavera del ‘76, con l’aiuto di Lindsey, Samuel e Hal. Anche lui aveva iniziato a frequentare la nostra casa, ed era troppo un giusto: aveva una specie di officina dove riparava le moto, e proprio lì mi procurò alcuni materiali per la mia struttura. Mi aiutarono molto, anche con molti consigli pratici, ma non li lasciavo mai entrare. L’unica persona che avrei voluto dentro la mia casa era Susie, e Susie non c’era più.
Intanto il ricordo della mamma sbiadiva dentro di me. Non che non ricordassi più come fosse fatta: lo ricordavo benissimo invece, e in modo quasi crudele quello che faceva per me, i suoi abbracci, i suoi baci, le sue premure. Per questo, man mano che crescevo, in me cresceva anche l’odio verso di lei, per quello che avevo vissuto né più né meno come un abbandono. Mi rendo conto adesso che probabilmente voleva solo fuggire il ricordo della sua figlia morta: ma non era giusto che per farlo fuggisse anche dai suoi figli vivi.
In reazione a questa assenza mi attaccai sempre più a papà. Per me Samuel e Hal erano i fratelli maggiori che non avevo, e Lindsey era sempre fantastica. Come una seconda madre.
E trovai anche un’altra occupazione, sostenuto da nonna Lynn: occuparmi dell’orto che la mamma aveva abbandonato. La nonna mi dava alcuni consigli e mi portava con sé al vivaio, ma io pur avendo dei libri sul giardinaggio preferivo fare da solo. Tutti incoraggiavano la mia nuova attività, probabilmente pensando che potesse distrarmi. E in effetti era così.
Un pomeriggio, dopo il diploma di Lindsey e Samuel li stavamo aspettando a casa, ma loro non arrivavano. Papà era preoccupato, ma in serata li vedemmo arrivare sotto una pioggia battente, vestiti solo di magliette e biancheria. E di nuovo rinfrancati, davanti al fuoco, ci annunciarono che volevano sposarsi.
E fu allora che vidi mia sorella, davanti alla pendola. Ed era sempre lei, con i suoi quattordici anni e i capelli color topo e la riga in mezzo. Ma era lì, e stavo per dirlo, ma poi scomparve. Ma a oggi sono sicuro di quello che ho visto.
Solo poco tempo dopo il mio orto iniziava a dare i suoi frutti, con i germogli delle piantine di pomodoro. Dato che stavano crescendo avevo bisogno di qualcosa per sostenerle, così salii in soffitta e presi una scatola che pensavo fosse piena di stracci. Quando scesi e passai davanti a papà, però, lui mi bloccò e me la tolse di mano, dicendo che quelli erano i vestiti di Susie.
Mi sento ancora tremendamente in colpa per ciò che accadde, perché so che la colpa fu soprattutto mia. Sapevo benissimo, naturalmente, che il cuore di papà era debole: ma avevo dodici anni, avevo trascorso una vita a convivere con l’ombra di una persona che non c’era più, e cominciavo a essere stanco. Perciò aggredii verbalmente mio padre. Lo accusai di aver voluto bene solo a Susie, e di considerare Lindsey e me solo come dei suoi riflessi. Gli gridai che non ne potevo più, che lei era morta, ma noi eravamo vivi. Io ero vivo. E da ultimo lo accusai del furto del segnalino della candelina.
Soltanto la sua espressione quando accennai a questo mi convinse che davvero non sapeva di cosa stessi parlando, ma ormai era tardi. Un attimo dopo barcollò e si accasciò sul prato, quasi privo di sensi.
Solo allora realizzai l’enormità di ciò che avevo fatto. Fortunatamente c’era la nonna in casa, così corsi a chiamarla, e poi chiamammo Lindsey e Samuel. Lei cercò di capire, mi fece domande, ma io non ebbi il coraggio di ammettere le mie responsabilità.
Per la seconda volta nella mia vita quella notte dormii solo a casa, senza la buonanotte di papà. Ero terrorizzato all’idea di perdere anche lui, all’idea che raggiungesse mia sorella. Non riuscivo a dormire e continuavo a rigirarmi. E a pregare Susie che non lo facesse morire.
Naturalmente la nonna aveva telefonato anche alla mamma, che in quel periodo era in California. Andammo a prenderla all’aeroporto io e Lindsey, con Samuel.
Rivederla non fu semplice, e non credo che nemmeno lei ne sia rimasta sorpresa. Non posso dire che adesso la odi, ma di certo in quel periodo era il sentimento più vicino all’odio che un dodicenne potesse provare. Pure se la persona alla quale era indirizzato era mia madre.
Quando papà uscì dall’ospedale era vicino il mio compleanno, e Hal e Samuel mi regalarono una batteria. Mi insegnò Hal a suonarla, e come sfogo serviva anche meglio dell’orto. Anche se era un hobby che rompeva i timpani a tutta la famiglia.
Si può pensare che nonostante tutto un lieto fine ci fosse. La storia della nostra famiglia non è assurda o speciale, ma è quella di tantissime altre famiglie che hanno perso un figlio. Negli anni Settanta, quando ero un bambino io queste cose capitavano raramente, ma adesso purtroppo succede sempre più spesso: per questo dico che l’America e il mondo nei quali io sono cresciuto erano largamente più sicuri di quelli di adesso.
Ma la nostra vita proseguì comunque, come per tutte le famiglie, pure se avevamo perso uno dei membri più importanti. Ci fu il matrimonio di Samuel e Lindsey, ad esempio. Ebbero casa e lavoro assicurati quasi nello stesso momento, e furono presto allietati dal primo bocciolo della nostra famiglia, la loro figlia, mia nipote, Susie.
Purtroppo la nonna se ne andò, come è naturale che succeda, e chissà se lei e mia sorella si sono incontrate, e se trascorrono il tempo insieme parlando di vestiti e trucco. A Susie piacevano queste cose.
Mamma rimase a casa dopo quell’esperienza, e posso dire che il suo rapporto con papà trasse beneficio da quella separazione. Da quel momento in poi non si nascosero più le cose, e parlarono sempre apertamente della loro figlia scomparsa ogni volta che si sentivano di farlo. Decisamente si conoscono meglio adesso di quanto abbiano fatto quando ancora eravamo tutti insieme.
E io? Essere il più giovane della famiglia mi aveva preparato da subito a rimanere in casa anche molto tempo dopo le mie sorelle: se Susie fosse vissuta si sarebbe forse anche lei sposata, magari anche prima di Lindsey, e entrambe avrebbero lasciato la casa dei nostri genitori per crearsi una famiglia propria. Ho vissuto troppo poco mia sorella maggiore per sentire davvero la sua mancanza: più che altro ho vissuto la sua assenza, il ricordo di lei. Ma in ogni caso pensavo a lei anche quella sera, quando papà era appena tornato dall’ospedale ed eravamo tutti insieme, con Ray e Ruana Singh e Ruth, e i miei genitori insieme e Hal e Samuel. Per questo sono ancora più certo che lei non si sia persa un minuto della nostra vita dopo la sua scomparsa, e che abbia fatto tutto quello che poteva per farci sentire la sua presenza. Perché io la sento ancora, anche se da tempo non ho più quattro anni. So che ci protegge sempre, noi e la piccola Susie.
Ti voglio bene, Susie.

Ok, questa è stata un po' più complicata ma alla fine ce l'ho fatta! Sarà anche più corta, ma comunque... hope u like it!
Raven85
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Amabili Resti / Vai alla pagina dell'autore: Raven85