Se solo fosse una favola
Quando Neal socchiude le palpebre, dimenticando per un sol momento di trovarsi
nella Foresta Incantata, i magici profili di quella landa appaiono meno palpabili
e ha come l’impressione di poter vagare con la mente.
Magari in un altro tempo, poiché, se solo potesse, Neal scriverebbe nuovamente
le pagine bianche della loro storia, la cui trama sembrerebbe essere stata decisa
dalle mani del destino.
Fato, coincidenza, caso: comunque lo si voglia chiamare, tornando indietro Neal
apposterebbe il suo maggiolino giallo nello stesso punto e se lo farebbe rubare
ogni singola volta. Magari non è il modo più appropriato di cominciare una
favola, direbbero i più romantici, ma è unica nel suo genere e tanto basta.
Tante volte Neal, nel corso degli anni, si era trovato a fantasticare circa il
loro possibile futuro insieme: se solo le loro vite fossero andate come
previsto, se il tempo non li avesse cambiati tanto, magari avrebbero potuto
incontrarsi all’interno della Foresta Incantata. Certo, un regno può essere
immenso ma a suo cospetto il destino non ha eguali: sa sempre come maneggiare
le abili fila del caso, spesso e volentieri con intento segreto.
Se solo ciò fosse stato possibile, Neal – o, meglio, Baelfire – avrebbe fatto
le cose adeguatamente, corteggiandola solo come una principessa merita. Emma
lo avrebbe invitato a corte, magari presentandolo ai suoi genitori come un
amico, almeno inizialmente, gli avrebbe concesso il primo ballo e il salone
sarebbe stato null’altro che loro.
Neal avrebbe potuto guardarla negli occhi, soffermandosi per un sol momento sul
luccichio che emanavano, e dirle: «Tallahassee è dove sei tu».
Emma avrebbe fatto una battuta circa la sua recente inclinazione al
romanticismo, ma sottovoce – eppure abbastanza vicina affinché le sue labbra potessero
essere lette –, avrebbe bisbigliato: «E dove sei tu».
Tallahassee sarebbe potuto essere tutto, in fondo, ma erano loro a essere le
grandi costanti in un mondo di variabili: impostata in tal maniera, avrebbe
potuto avere tutte le sembianze di una favola.
Ma questa non è una favola, eppure una favola era.
Emma si accorge di strofinare lo stesso piatto, chissà da quanto tempo,
solo quando suo figlio inizia a chiederle se si sente bene: deve far mente
locale per un attimo, realizzare di trovarsi coi piedi fermamente poggiati al
suolo e scacciare via ogni altro pensiero.
«Sto bene, Henry. Torna a fare i compiti», afferma con voce ferma, cercando di
sembrare il più naturale possibile.
Emma riesce sempre a smascherare coloro che mentono, ma talvolta ha
l’impressione di non riuscire a scoprire davvero se stessa. Sotto strati di
risolutezza e forza, alcune volte Emma teme ancora di essere la stessa
ragazzina consegnata tempo addietro alla giustizia: non c’è nessuna Tallahassee
a cui poter guardare, ormai. È vero, quei tempi sono ormai parte di un passato
remoto, ma questo non vuol dire che non esistano: si potrebbe ribaltare
l’intero mondo, Tallahassee sarà sempre lì.
Emma ha appena fatto un sogno ad occhi aperti, talmente tangibile da averla
costretta a dubitare della medesima realtà. Riesce a mettere a fuoco solo
qualche particolare, ma i violini, le arpe, i luccichii e i riflessi colorati
delle finestre sono ricordi vividi nella sua mente.
Ricorda la mano di Neal, ancora, la quale sfiora la sua e poi si susseguono una
serie di volteggiamenti frenetici, dita che si stringono attorno ai suoi
fianchi, scambi di sorrisi e parole, batticuore, ancora parole.
Sono le parole che l’hanno fatta innamorare, purtroppo non sono state le
medesime a lasciarla: Emma si è meritata un unico grande e clamoroso gesto, il
quale ha segnato la sua intera vita.
Eppure, se potesse tornare indietro, cosa cambierebbe davvero?
Il maggiolino giallo spesso e volentieri era sembrato loro una carrozza, il
ciondolo che Neal le aveva donato era stata la sua corona (pur smielato che potesse
apparire, Emma si era sentita per la prima volta un’autentica principessa) e
Tallahassee la loro fortezza. O quella che sarebbe potuta essere un giorno,
magari nelle favole.
Ma questa non è una favola, eppure una favola era.
In un’altra realtà, in un tempo non troppo lontano, Emma Swan può dirsi quasi a
suo agio mentre cammina lungo la navata laterale del castello. Una fortezza che
dovrebbe considerare la sua casa, invero, ma che ai suoi occhi ha dei tratti
ancora troppo fiabeschi per risultare reale.
«Non dirmi che ti stai nascondendo», afferma Neal, avanzando a passi spediti in
sua direzione.
«Non mi abituerò mai a tutto questo», ribatte lei, ignorando la precedente
battuta. «Insomma, guardami, sembro uscita da un cartone».
«Un cartone bellissimo», ammette Neal, accorgendosi solo in un secondo momento
di aver proferito quella frase ad alta voce, «Per quel che ne posso capire di
cartoni».
Emma gli rivolge un’occhiata brusca, poi sentenzia: «Non stai migliorando la
situazione».
«Per questo hanno inventato il ballo».
Neal ha sempre la battuta pronta, ma nel tempo anche lei si è dotata di questo
incredibile potere: «No, io non ballo con te».
Neal china il capo per un sol istante, passandosi una mano dietro al collo con
aria colpevole: «Prometto che non farò più commenti al riguardo», afferma,
indicando il suo incantevole vestito.
«No, non è questo», Emma socchiude le palpebre alcuni secondi, il tempo di
inspirare profondamente: «Non voglio chiudere gli occhi e puntare ancora a Tallahassee,
non voglio svegliarmi e scoprire che tu…».
Non indicherai nella stessa direzione – vorrebbe dire Emma, ma le parole
si fermano sulla punta della lingua.
«Punterei a molto di più, Emma, oggi come oggi. E lo avrei fatto anche in
passato, se solo…», un breve istante di pausa. «Ma comunque… non c’è nessun
ballo che non ripeterei con te. La domanda è: vuoi tu ripeterlo con me?».
Stavolta sono le azioni ad agire prima delle stesse parole, la mano di Emma
accetta istintivamente quella di Neal e solo una volta che hanno raggiunto
l’immenso salone, in un frastuono di suoni e chiacchiericcio, il respiro si
trasforma in voce: «Sì».
Questa era una favola, ma ora è una realtà.
____
Oh,
sono emozionata. È la mia prima Swanfire, di solito in questo fandom
scrivo Rumbelle ma il fatto che questa coppia venga tanto oscurata dagli autori
negli ultimi tempi, mi ha fatto venire l’ispirazione.
Alcune note al riguardo: questa storia è divisa in “tre atti”, diciamo
così, dal momento che nella prima parte Neal immagina di aver potuto conoscere
Emma nella Foresta Incantata e, quindi, in un passato molto remoto e in
un’altra realtà. Nella seconda parte vi sono i fatti di “New York Serenade”,
ho immaginato che di tanto in tanto Emma pensasse a lui e si ritrovasse a
sognare a occhi aperti. Il fatto che, poi, sognino la stessa cosa dovrebbe
essere un cosiddetto “segno del destino”. E nell’ultima parte, invece, Emma e
Neal sono riuniti nella Foresta Incantata e lei gli concede il suo primo ballo
(davvero, stavolta). Ah, una cosa importante: Tallahassee nella prima parte è
più un “luogo simbolico”, può essere tutto, inoltre Neal sta sognando. L’ho
nominata così tanto perché volevo che di volta in volta
avesse un significato diverso, a seconda del contesto (talvolta è un luogo
simbolico, talvolta una fortezza e così via). Okay, smetto di essere prolissa.
Grazie per aver letto. J
Kì.