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Autore: jaybird    27/03/2014    0 recensioni
« … W-What the hell?! Dove pensi di finire con questa tua strafottenza, ah?! »
« Dove dovrei finire? Ormai nel tuo cuore, ci sono già~ »
Genere: Comico, Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Non c’era pensiero che potesse confortarlo. Che cosa aveva fatto, esattamente, di così crudele per meritarsi quella che sembrava essere una vera e propria punizione per la persona che era?  Un brutto presentimento, prima che si alzasse dal proprio posto, da quella vecchia poltrona, posando ago e filo, lo aveva accompagnato sino alla porta che aveva annunciato una visita che non attendeva.  Diciamo che Arthur possedeva il ‘’dono’’ di poter prevedere cose sgradevoli che non avrebbe giovato alla sua poca pazienza. Un brutto presentimento che cresceva sempre più, mentre il campanello continuava ad urlare impetuoso, in casa Kirkland.

 « ARRRR~THUR! ☆ Era ora che aprissi! »

Lo sbaglio di aprire la porta, senza poter prepararsi psicologicamente e senza  aver pensato di guardare  dallo spioncino:  un uragano sembrava aver deciso di incombere nella modesta dimora del povero britannico. L’immensa figura dell’americano che andò a sporgersi rudemente, giusto per impedire un’imminente chiusura della porta da parte dell’anglosassone, sfoderando all’istante uno dei suoi miglior sorrisi, mentre l’azzurro, dietro le lenti degli occhiali di Alfred, sembrava aver sostituito il cielo stesso, nuvoloso e grigio, tipico di una giornata in Inghilterra, sebbene fosse appena giunta la primavera.  Alfred, di certo, non era il tipo che andava a reprimere la gioia nel vedere il maggiore, mentre quest’ultimo, ovviamente, non poteva far a meno di menzionare la sua contrarietà a quella visita non annunciata, accigliandosi, così, da andare anche a deviare l’innocente gesto d’affetto dello statunitense, un bacio che andò al vuoto, lasciandolo con le labbra arricciate, potendo ben percepire la disapprovazione altrui.

« Sei stupido o cosa? Mi pare di averti già ripetuto un milione di volte che devi avvisare, nel caso ti venisse l’idiozia di venire qui. E se ci fosse stato qualcun altro, qui con me, a discutere di cose importanti? Non ci pensi alla tua sconsideratezza che potrebbe portarmi  ad una scomod—»
« Un semplice ‘’mi sei mancato anche tu, bell’omone mio’’, sarebbe bastato, sai?~  »

Come al solito, la sfrontatezza dell’americano era impeccabile ed immancabile e, come sempre, Arthur, non poteva far a meno di andare ad arricciare il naso, aggrottando, così, maggiormente le spesse sopracciglia.  Chi glielo aveva fatto fare di sopportare un tipo del genere? Un’altra domanda che si poneva e che, inesorabilmente, non aveva mai una sincera risposta.  Le braccia si incrociano al petto, mentre la lingua schioccò contro il palato, come una frusta.

« … che cosa ti farebbe credere che mi sia mancata la tua irritabile persona?  »
« Buuu! Se dici queste cose, non riceverai il tuo regalo!  »

La sfacciataggine di Alfred, lo portò a strizzare un occhio, drizzandogli un’imbarazzante ammiccamento, lasciando che la spalla, robusta, si appoggiasse allo stipite della porta. Solitamente, a questo punto,  l’americano si era già preso la scortesia di varcare la porta stessa, così da addentrarsi in casa altrui, tanto da permettersi di fare i propri porci comodi—ma così non fu, e la cosa fece pensare, all’inglese, che evidentemente il nostro bell’imbusto aveva una certa fretta, non avendo la possibilità di trattenersi oltre.  Ed Arthur non ebbe la possibilità di poter chiedersi del perché di quella così breve visita, il senso di sopportare così le pesanti ore di volo che li separavano, per una puerile visita… tant’è che i pensieri vennero concentrati solamente su quell’insieme di vocaboli: regalo. 
Regalo?  Che fosse in sottoforma di una parola così, apparentemente, gradevole e dolce all’udito,  l’irrequietezza  che lo stava torturando? C’era qualcosa di tremendamente sbagliato il fatto che Alfred aveva avuto l’idea di un regalo ancor più inatteso di quella sua stessa visita. Aveva quasi paura di chiedere di cosa si trattasse, tant’è che rimase in silenzio un breve attimo, andando ad inarcare un sopracciglio, visibilmente perplesso, lasciando che le iridi, ancora una volta, attente, andassero ad esaminare la situazione: non poteva di certo essere un mazzo di fiori, come era solito portargli; solitamente esagerava con i mazzi, tant’è che la sua immensa schiena, quando li nascondeva lì dietro, non riusciva a celare alcuni petali dei fiori e, Arthur, ogni volta, doveva far fingere di non vederli. E poi, a parte ciò, Alfred non era bravo, in generale, con i regali: erano sciatti e scontati, la maggiora parte delle volte, sembravano piacere più a lui che al diretto interessato, ovvero all’inglese—ma ormai sembrava non averci più dato troppo peso. Quindi, gli occhi scesero, mentre l’americano restava con lo sguardo cristallino e abbagliante,  finendo per arrivare al polso del braccio destro, dove sembrava trattenere una corda. Una corda con una specie di manico, fatto apposta, nero:  sembrava essere un vero e proprio guinzaglio, e i guinzagli si usano solo se si hanno dei cani. E per quel che ne poteva sapere, Alfred non avrebbe avuto la costanza di occuparsi di un cane e, fino adesso, per quelle rare volte che imbracava un aereo dritto per l’America, in casa del minore, non aveva mai notato un cane.  O, nei discorsi, non aveva mai udito il desiderio emergente di possedere un animale.

« …  bloody hell. Dimmi che stai  tenendo al guinzaglio il tuo cervello. »
« Eh? Sbagliato! E’ un cucciolo!~  »

Ed Arthur sbiancò, nel mentre la risposa esaltata di Alfred fece sbucare una palla di pelo rigorosamente nera, troppo grande, per i suoi gusti, per poter essere definito ‘’un cucciolo’’, che gli scodinzolava, vedendolo agitarsi un po’ troppo, probabilmente con  la voglia di giocare. Non fraintendiamo,  Arthur non era il tipo da ripudiare i cani, solo che… preferiva cani di taglia piccola, eleganti e di razza; quella palla di pelo che tirava con troppa forza con l’intento di entrare in casa, con quelle zampacce luride, che aveva costretto  lo stesso inglese ad indietreggiare per non essere assalito e sporcato, non era di certo una delle razze predilette che avrebbe scelto come una probabile compagnia. Alfred, al contrario, sembrava essere divertito ed intenerito, dopo tutto, si poteva quasi confermare che quella bestiola potesse essere ad immagine ed somiglianza allo stesso americano: per lo meno, il muso da idiota sembrava proprio quello.

« Perché diavolo hai portato questo… coso, qui?  »
« Ehi! Non è un ‘’coso’’!  Si chiama Hamburger! Ed è  il tuo regalo~  »
« Ti sembra che io abbia bisogno di un cane?  Che razza sarebbe? E poi ha le zampe lerce di fango, non lo farò di certo entrare in casa mia!  »
« E’ un Terranova, e poi è adorabile! Perché non dovrebbe piacerti?  »

C’era anche da chiederlo? Perché non gli piaceva? Come prima cosa, aveva il pelo troppo lungo, e Dio solo sa quanti peli avrebbe perso per tutta la casa, con il tempo, poi di tenere una razza del genere che, crescendo, sarebbe diventato enorme, non se ne parlava proprio. L’ultima cosa che gli serviva, era quello di dover badare ad un /altro/ animale, bastava già Alfred.  L’espressione di Arthur continuava a rimanere accigliata, mentre il minore s’era messo in ginocchio per lasciare che il cucciolo gli facesse le feste, mettendosi a due zampe, così da leccare totalmente la faccia altrui; ed Arthur non potette che farsi sfuggire un verso di ribrezzo.

« Non penserai seriamente che possa tenere una cosa del genere! Non sono organizzato per poter mantenerlo, non c’è spazio e non avrei tempo.  »
« Ah?  »

Le iridi azzurre dell’americano si spodestarono verso l’alto, incrociando l’espressione accigliata di Arthur, non potendo che mettere su un broncio, non capendo quale potesse essere il problema di tenere un singolo animale in un casa grande come quella del maggiore, e poi aveva un intero giardino a sua disposizione, dove Hamburger avrebbe potuto scorrazzare liberamente e se il problema era solo il  dargli da mangiare, sarebbe andando a comprarlo—e poi, cosa principale, non aveva voglia di lasciare Arthur da solo, in quel periodo, dato che (come l’attenzione dell’inglese aveva già scrutato) sarebbe sparito per un po’, a dover risolvere i problemi con Russia ed Ucraina, e non aveva idea di quando sarebbe potuto ritornare, ecco perché aveva pensato ad una compagnia come quella di un cane: lo avrebbe tenuto occupato tutto il giorno, non potendo permettersi di starsene solo, così da non farlo stare in pensiero.  Alfred si alzò, ritornando eretto, continuando a mantenere il cucciolo.

« Che stai dicendo? Ma se hai una casa enorme! E poi se proprio non vuoi tenerlo in casa, hai un grosso giardino dove farlo stare! E poi so che, con il tempo, imparerai ad amarlo~  »
« Oh, certo, lasciarlo in giardino… Così potrà scavare delle buche, rovinarmi i fiori e, cosa che mi auguro, lasciarlo che faccia i suoi bisogni in ogni angolo, così che possa pestarli.  »
« Perfetto, allora! Hai sentito Hamburger? Potrai fare quello che ti pare! ☆ »

Sapeva che il sarcasmo non sarebbe giunto alle orecchie altrui, cosa che fece sospirare  il povero inglese che sembrava essersi cacciato in una situazione, la quale, non vi si sarebbe potuto sbrogliare. Dopo tutto, sia lo statunitense che il britannico erano due testoni, e quindi uno dei due avrebbe /per forza/ dovuto vincere.

« No, Alfred. Non posso e  non voglio tenerlo. E poi… ha un nome così idiota che mi ostina a non volerlo nemmeno farlo entrare in casa. »
« Non è un nome idiota! E’ sempre meglio di quello che gli avresti dato tu: magari da vecchio e super noioso! »
« Perché chiamarlo come un cibo disgustoso, è una cosa molto intelligente, secondo te?  »
« Hai sentito Hamburger? Questo vecchiaccio ti vuole già un mondo di bene! E ha anche detto che puoi rosicchiargli un paio di quelle orribili scarpe che porta! ☆ »

Ovviamente non lo stava  nemmeno ascoltando,  e più che ripetergli di no, che non poteva, Arthur non sapeva che altro fare, dato che non sarebbe stato così vile da abbandonarlo chissà dove, ma poteva comunque insistere, no? Poteva portarlo da qualcun altro che, magari, ne sarebbe stato anche più entusiasta—ma la pazienza dell’anglosassone era finita, e non sarebbe stato a discutere, ancora, con uno che  non lo stava nemmeno ad ascoltare, limitandosi a parlare in modo idiota con un cane; per tanto, rimase in silenzio, a braccia incrociate severamente al petto, cacciando occhiatacce all’animale… e anche al cane.  Ma tempo di un’altra carezza, di un grattino dietro le orecchie, Alfred ritornò nuovamente in una postura eretta, così da ritornare a dare attenzioni al maggiore, restando con un sorriso di uno che sapeva che, Arthur, sarebbe presto ceduto con una qualche altra moina. E poi sapeva anche che il maggiore non era abituato alle novità e a degli arrivi così impensabili, non dandogli il tempo di abituarcisi.

« Io devo andare via con il Boss, sai il perché, e non ho idea di quando potrò finire tutto ciò.  »
« E allora? Perché dovresti rifilarmi un cane solo perché  sparisci? Non pensi che, per me, possa essere un riposo psicologico, una benedizione, ah?  »
« Pfft- no, affatto, perché so quanto mi ami, e quanto tu sia perso senza di me~  »

Cinguetta, in tutta risposta, Alfred, con solo la sicurezza e la strafottenza che lui soltanto poteva avere, andando a cingere la vita secca del maggiore con l’unica mano libera, per poter creare un  piccolo contatto che, in quel lasso di minuti che era arrivato, non avevano ancora avuto.  Inutile dire che Arthur avvampò all’istante, senza nemmeno a provare di scostarsi da quella carezza, limitandosi a farfugliare qualcosa, ovviamente, con tono fintamente scocciato.

« … W-What the hell?! Dove pensi di finire con questa tua strafottenza, ah?!  »
« Dove dovrei finire? Ormai nel tuo cuore, ci sono già~  »

Sapeva perfettamente che Alfred lo stava facendo apposta, nel dirgli quelle cose, lo faceva apposta per confonderlo e lasciargli scappare il fatto che la questione principale era quella di non poter tenere quel cane e che delle moine non sarebbero servite a niente—però, ugh, il cuore di Arthur, ormai, sembrava essere diventato più debole. Quel che il povero britannico poteva rispondere, erano solo un insieme di farfuglii e rantoli incomprensibili, che lo mandavano al diavolo più e più volte, non riuscendo proprio a sgattaiolar via da quel lieve abbraccio, sentendo perfettamente  l’odore di Alfred:  un profumo tenue, dolce, uno dei suoi innumerevoli profumi, probabilmente.  Le sopracciglia dell’inglese, però, non sembravano voler sfumar via quell’espressione accigliata, maledicendosi solo del fatto di aver permesso che le proprie guance pizzicassero  per via l’imbarazzo.

« … Mhph-  »

Era fatta. Un borbottio del genere, per Alfred, non poteva che apparire come una silenziosa vittoria, come un indiretta ‘’via libera’’; ancora una volta, Alfred F. Jones, aveva vinto. Allargò, quindi, il sorriso che teneva ancora sul volto, mentre diede un veloce bacio sulla guancia dell’inglese e, quasi, avrebbe potuto sentirlo tutto il vicinato, quel bacio, dato lo schiocco vergognosamente udibile, per poi, con fare lesto, avvertì lo scambio di guinzaglio: il compagno lo aveva condotto ad una dolce, dolcissima, trappola e, cascandoci, si ritrovò a mantenere il cane dal guinzaglio, mentre lo statunitense aveva già preso le distanze di sicurezza, facendo tre passi indietro, con un’espressione più che vittoriosa in faccia.

« Ah!  Mi spiace, ma ora devo proprio andare, mi stanno aspettando! E se proprio non vorrai tenere Hamburger, allora, finito il mio dovere, verrò a riprenderlo, ma fino ad allora, te lo affido! Se ya, love!☆  »
« E-Ehi! Aspetta, razza di idiota!  »

Era troppo tardi, ed era inutile che Arthur lo richiamasse, orami Alfred  era salito nella macchina che lo aspettava al fondo del viale, partendo senza aspettare troppo, probabilmente, diretti  verso l’aeroporto.
Quindi, senza nemmeno capire il come e il perché, il nostro inglese, ora, si era ritrovato con al guinzaglio un cane, dal nome osceno, che gli scodinzolava, probabilmente in cerca di attenzioni, ricevendo solamente un’occhiataccia, mentre abbassava le iridi verdi verso il basso.

« … Scocciatura.  »

Aveva trovato, senza nemmeno volerlo, un nome provvisorio al nuovo ed indesiderato coinquilino.
  
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