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Autore: _Princess_    05/07/2008    22 recensioni
“Tom Kaulitz,” si presentò lui alla fine, stringendole la mano. Fu allora che l’attenzione gli cadde sul cartellino che lei aveva al collo. “Vibeke V. Wolner?” lesse.
“Si legge ‘Wulner’,” lo corresse lei rigidamente. “Sono norvegese.”
“Ah,” fece lui, dimostrando scarso interesse. “Posso chiamarti Vi, per comodità?”
“No.” Ribatté lei secca.
“La v puntata per cosa sta?” le chiese allora Tom.
“Non sono fatti tuoi.”
Si occhieggiarono con un accenno di ostilità. Vibeke seppe immediatamente che tra loro due sarebbe stato impossibile instaurare un rapporto civile.
[Sequel di Lullaby For Emily]
Genere: Generale, Romantico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bill Kaulitz, Georg Listing, Gustav Schäfer, Nuovo personaggio, Tom Kaulitz
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'The Heart Of Everything' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Georg aveva prenotato il ristorante con tre mesi di anticipo per essere sicuro di avere il tavolo migliore, ma, incedibile a dirsi, il migliore era già stato prenotato, perciò si era dovuto accontentare del secondo posto, particolare che lo aveva seccato non poco, ma al quale si era arreso per ovvi motivi logistici. Era pur sempre il ristorante migliore di Amburgo, anche se il tavolo non era il migliore.

Era teso, perché sapeva che qualunque cosa avesse potuto fare o dire, quella sera, sarebbe risultato banale e scontato, forzato, vuoto. Proprio quello che non avrebbe mai voluto. Avrebbe dovuto chiederle scusa, a serata terminata, per la mediocrità di tutto quanto. Lo avrebbe fatto, se non altro, per farsi perdonare l’azzardo del voler fare le cose in grande. Uno come lui, ormai abituato al lusso ed agli eccessi, trovava ancora complicato, dopo un anno che stava con lei, riuscire ad adeguarsi al suo gusto per la semplicità. Non che gli dispiacesse l’intimità – tutt’altro – però avrebbe voluto regalarle un San Valentino da non dimenticare, qualcosa che magari aveva sognato per tutta la vita, ma, conoscendo Nicole, probabilmente avrebbe preferito qualcosa di più tranquillo e riservato, essendo lei stessa un tipo tranquillo e riservato.

È tutto sbagliato, pensò sconfortato, sarà tutto sbagliato…

Ci avevano discusso spesso su quel punto, a volte perfino litigato: come potevano due persone appartenenti a mondi così diversi – personaggio pubblico lui, ragazza della porta accanto lei – riuscire a tenere in piedi una relazione già di per sé rasentante l’impossibile?

Non avevano ancora trovato una risposta empirica, eppure la loro storia, tra comprensibili alti e bassi, perdurava.

Nicole sedeva accanto a lui sul retro dell’auto nera e discreta dai finestrini oscurati, guardando dritta avanti a sé mentre lui le teneva la mano, più per tranquillizzarla che per altro.

“Siamo quasi arrivati.” Le disse, nella speranza che la notizia le fosse di qualche conforto, ma in realtà non fece altro che innervosirla di più. “Nicole,” Le sventolò una mano davanti al viso, e lei si voltò verso di lui. Le sorrise con condiscendenza. “Ma ti vuoi calmare?”

“Scusa.” fece lei, ricambiando distrattamente il sorriso.

“Qual è il problema?” Volle sapere Georg. “Non ti sto mica portando al patibolo.”

Nicole giocherellò per un po’ con l’orlo delle maniche della giacca prima di rispondere.

“Non ho mai festeggiato San Valentino, prima d’ora,” mormorò. “E adesso sono seduta in una macchina che costa più del mio stipendio annuale, e non con uno qualsiasi, ma con Georg Listing, e non stiamo andando in pizzeria, ma al ristorante più –”

Georg rise, interrompendola.

“Io sarei esattamente uno qualsiasi, se tu non fossi così disperatamente innamorata di me e drogata del mio smisurato fascino.”

Anche lei rise, distendendosi un po’.

“E non dimentichiamoci stregata dalla tua ammirevole umiltà.”

“Oh, sì, giusto!” concordò lui con veemenza. “Ma, scherzi a parte, Nicole, devi dimenticarti dei Tokio Hotel, ogni tanto, o non ce la faremo mai ad essere una coppia normale. Insomma, prima o poi ti chiederò di sposarmi, e tu non potrai certo metterti a fare storie di questo tipo adducendo scuse come ‘Non sono mai stata sposata prima e non posso credere che la prima volta sia con Georg Listing!’, capito?”

Nicole aveva distolto lo sguardo dopo il ‘ti chiederò di sposarmi’, ma quando si voltò di nuovo, sorrideva, seppur con un’ombra ormai familiare a Georg, quella che calava su di lei quasi ogni volta che si mettevano a parlare del futuro.

A Georg faceva male che lei non riuscisse a credere fino in fondo in loro due. Certe volte gli sembrava che lei vivesse nel timore che un giorno lui si sarebbe svegliato ed avrebbe deciso di lasciarla di punto in bianco, cosa che in realtà nemmeno nei più remoti, assurdi ed atroci pensieri di Georg era mai anche solo comparsa.

“Tentativo di distrazione riuscito,” gli disse Nicole, stiracchiando un sorriso appena più rilassato. “Soddisfatto?”

Lui decise che fosse un buon momento per baciarla. Fece per avvicinare le proprie labbra alle sue, curioso di assaggiare quel lucidalabbra che profumava di lampone, ma l’auto frenò all’improvviso, facendogli prendere un colpo.

“Che succede?” si lamentò con l’autista.

Il finestrino che divideva l’abitacolo di guida dal retro si abbassò e l’uomo al volante rivolse a lui e a Nicole un’occhiata allarmata.

“Guardi lei stesso, signore.”

E Georg guardò: si trovavano a meno di cento metri dal ristorante, ma la strada era ingorgata, gremita di persone esattamente come quando i Tokio Hotel erano attesi da qualche parte, con la sola differenza che nessuno poteva sapere che lui fosse diretto lì.

“Merda, e quest’affollamento cos’è?”

“Sembra che stiano aspettando qualche celebrità.” Osservò Nicole, valutando la grande quantità di ragazze presenti.

“Be’, noi no di certo,” borbottò Georg alterato. “Ho prenotato per telefono e ho dato il tuo cognome,” Si voltò a guardarla incerto. “Che facciamo?”

Con suo stupore, Nicole non ebbe una grande esitazione.

“Andiamo.” Affermò decisa.

“Sicura? È strapieno di paparazzi e curiosi…”

Lei annuì.

“Non possiamo nasconderci in eterno.”

“Per me non c’è problema, lo sai,” le disse. “Anzi, non vedo l’ora che il mondo sappia che esisti. Però una volta che ti sei esposta, non puoi tornare indietro.”

Si preoccupava per lei e per Emily. Rivelare ai media la loro storia era un passo importante e decisivo, che finora erano riusciti ad evitare, ed avrebbero potuto farlo ancora, volendo, ma una minuscola parte di Georg, quella più egoista ed esibizionista, voleva che tutti vedessero Nicole, che la ammirassero esattamente come lui la aveva privatamente ammirata finora, e che scrivessero di lei che era la fortunata ragazza di Georg Listing, bassista dei Tokio Hotel, e che tutti parlassero di loro, e non per presunzione o sete di popolarità – no, di quella ne aveva già fin troppa – ma per semplice desiderio di far sapere a tutti che lei c’era, e per lui contava più di qualsiasi altra cosa. Certo, c’era un prezzo da pagare: sarebbe stata assillata da tv e stampa, se avessero scoperto dove abitava, ma ne avevano parlato tante volte, e Nicole sapeva a cosa andava incontro, e se lei diceva che era pronta, lui era con lei.

“Deve comunque succedere, prima o poi, no?” gli disse infatti, decisa.

“Sì.” Concordò lui.

“Non ha senso rimandare,” continuò lei. “Anche se…”

“Anche se…?”

Nicole gettò una rapida occhiata alla folla che li attendeva poco più avanti.

“Mi dispiace per loro.” Sospirò.

Georg increspò la fronte accigliato.

“Loro chi?”

“Le tue fans,” rispose lei senza guardarlo. “Tutte quelle ragazze che ti adorano e ci resteranno malissimo...”

Georg non cercò di trattenere una risata, scuotendo la testa incredulo.

“Tu pensare a te stessa mai, eh?”

Nicole gli diede una spallata scherzosa.

“Non ci pensi già abbastanza tu a ‘me stessa’?”

“Be’, in ogni caso io non posso rinunciare a farmi una vita solo perché qualcuno ci resterebbe male,” dichiarò lui, che al momento non vedeva l’ora di sedersi a quel maledetto secondo miglior tavolo del ristorante e godersi la serata. “Perciò, madame,” proseguì, con tutta la galanteria di cui disponeva. “Se voi non avete ulteriori obiezioni, io entrerei là dentro.”

L’autista attendeva impassibile, come se non potesse nemmeno sentirli. Doveva essere abituato a scene simili.

Nicole però sembrava leggermente combattuta sul da farsi.

“Si chiederanno tutti cosa ci fai tu con una come me…” sussurrò, fissandosi le ginocchia.

Georg allungò un braccio oltre le sue spalle e gliele cinse con un lamento burbero.

“È molto scortese da parte tua farmi notare quanto io sia indegno di te, proprio il giorno di San Valentino.”

“Sai cosa volevo dire,” replicò lei, seria. “La rockstar e la nullità, diamanti e sabbia...” Un sospiro. “Ci si aspetta che tu stia con una modella, o perlomeno una che potrebbe passare per tale, e non una –”

“Nicole, basta,” Le chiuse la bocca con due dita. “Niente cavolate, stasera, ok?” Le sistemò i capelli dietro all’orecchio, scrutandola severo. Non le avrebbe permesso di crogiolarsi nelle sue insicurezze, non durante la loro serata speciale. “Io non volevo e non voglio nessuna squallida modella, non me ne frega niente delle modelle. Io volevo e voglio te e, se permetti, voglio anche che tutta quella gente là fuori lo sappia,” Le fece sollevare il viso per poterla guardare direttamente negli occhi con un sorriso. “Ora.”

Nonostante lei fosse ancora esitante, si lasciò stringere la mano e sorrise con un accenno di coraggio.

“D’accordo.”

L’autista ripartì e si fece lentamente largo tra la folla, a stento gestita da interi squadroni di guardie giurate. Nel vedere che un’auto si accostava davanti all’ingresso del ristorante, la folla cominciò a strepitare e urlare assordantemente, accalcandosi in preda all’isteria contro le transenne che erano state sistemate ovunque.

Quando furono fermi, Georg attese che l’usciere del ristorante gli aprisse la portiera, poi prese un lungo respiro, e così fece Nicole, ed infine uscirono, mano nella mano, accolti da un’ondata stupefacente di flash e grida al massimo dei decibel. Rimasero immobili per un istante, metabolizzando la mole di attenzione che era appena piovuta loro addosso. Georg c’era abituato, ma temeva che Nicole potesse restarne terrorizzata.

“Oddio, è Georg dei Tokio Hotel!” gridarono diverse voci acute da diversi punti. Questo scatenò una reazione di euforia a catena, che si propagò a macchia d’olio tra la calca, mentre commenti di ogni tipo si sollevavano a gran voce.

“Geooorg!”

“Cazzo, che figo!”

“Georg, sei stupendo!”

“E questa stronza chi è?”

“Geooorg!”

Georg sorrise educatamente a qualche obiettivo, poi, senza lasciare la mano di Nicole, cominciò ad avanzare verso la porta a vetri, tenuta gentilmente aperta da un altro usciere. Cercava di non dar retta agli insulti rivolti a Nicole. Si era aspettato reazioni simili: la folla di ragazze era talmente numerosa e giovane che era matematico che fossero presenti delle fans dei Tokio Hotel, anche se ne aveva stimate meno di quante invece sembravano essercene, ma era impossibile che fossero lì per lui: la riservatezza era una delle qualità migliori del Bourdogne.

“Ma tu guarda ‘sta troia!”

“Georg! Geooorg! Ti amooo!”

“Geooorg!”

“Puttana!”

“Le ammazzerei tutte, quando fanno così, ti giuro.” Sibilò Georg a denti serrati, nascosto dietro all’ennesimo sorriso studiato per gli obiettivi.

“Dai, non dire così,” lo blandì Nicole, molto rossa in viso, mentre varcavano finalmente la soglia, rincorsi dalla disapprovazione della folla. “Sono cose che avrò pensato anch’io milioni di volte quando vi vedevo con una povera fan innocente avvinghiata addosso.”

Le porte furono richiuse alle loro spalle, lasciando fuori il rumore.

“Sì,” concordò lui con un piccolo sogghigno, mentre aspettavano di essere ricevuti. C’era moltissima gente solo nella hall, sembrava quasi che ci fosse un evento molto più mondano della festa degli innamorati in corso. “Ma non ho portato nessuna di loro ad una romantica cena di San Valentino nel ristorante migliore della città.”

“Però –”

“E non dormono nel mio letto.”

“Georg!” esclamò Nicole, imbarazzata, dandogli un colpetto sul braccio.

“Be’, è vero!” si difese lui, con aria innocente.

“Sì, però –”

Al di là delle pareti di vetro che davano sulla strada, molte ragazze sbirciavano all’interno, cercando di vedere qualcosa, qualcuna che additava Nicole con smorfie di disappunto.

“Dai, sorridi,” la esortò Georg. “Falle morire di gelosia!”

“Piantala, scemo!” lo ammonì lei, non del tutto capace di trattenere un soffio di risata.

“Ok, sorridi e basta,” le concesse allora lui. “Altrimenti sembrerà che non sei felice di essere con me, e ho una reputazione da difendere.”

Non erano passati nemmeno due minuti da che lui e Nicole erano entrati, quando da fuori provenne un nuovo boato di urla, segno che doveva essere arrivata la celebrità tanto attesa.

Ci volle un minuto buono prima che le porte fossero nuovamente aperte e fu allora che una coppia alquanto improbabile fece il suo trionfale ingresso, una coppia capitanata da qualcuno di decisamente conosciuto, un affascinante qualcuno con lunghi capelli biondi raccolti in una coda, che sorrise a lui e Nicole non appena li scorse.

“BJ!” esclamò Georg, piacevolmente sorpreso, mentre lui e la sua accompagnatrice si avvicinavano. “Che ingresso trionfale!”

“Oh, ciao!” li salutò lui, brioso come suo solito, vestito all’incirca come Georg, ma con colori invertiti: giacca e pantaloni bianchi e camicia nera. “Che sorpresa trovarvi qui!”

“Di’ un po’,” si informò Georg. “Aspettavano te quegli squali appartati qui fuori?”

“Sì,” confermò BJ. “MTV ha organizzato questo concorso per San Valentino – Valentine’s Dinner With Your Idol, qualcosa così – e io ero uno dei premi in palio.”

“Ora si spiega la mobilitazione mediatica di massa.”

“Già,” annuì BJ. La ragazzetta al suo fianco, che dimostrava si e no diciott’anni, si schiarì rumorosamente la gola. “Oh,” fece lui, posandole distrattamente una mano sulla schiena. “Vi presento Belinda, la fortunata vincitrice.”

La ‘fortunata vincitrice’ in questione era esattamente il tipo di ragazza che, in condizioni normali, Georg era certo che non si sarebbe mai trovata al fianco di uno come BJ: bassa, tarchiata, con un’infelice problema di acne e sopracciglia un po’ troppo folte e troppo scure per i capelli tinti di biondo, ma ciononostante appariva disinvolta e perfettamente sicura di sé. Non era bella, e nemmeno carina, ma non sembrava importarle, così come sembrava non importare a BJ.

Georg la ammirò profondamente.

“Piacere.” Le disse, stringendole la mano con un sorriso educato.

“Ciao.” Fece Nicole, ripetendo lo stesso gesto.

Belinda fissava Georg con tanto d’occhi, spostando lo sguardo da lui a BJ come se non riuscisse a credere di averli lì entrambi.

“Senti, me lo faresti un autografo?” gli chiese, tirando fuori un blocchetto e una pennina dalla minuscola pochette.

“Oh… Sì, naturalmente.”

“Grazie!”

Georg firmò senza preoccuparsi di essere leggibile. Erano ormai anni che non si curava più della decenza del proprio autografo, più preoccupato dell’urgenza di farne il più possibile in tempi di record minimi. Restituì il taccuino a Belinda e fu ringraziato da un sorriso a trentadue denti.

“Ora, se volete scusarci,” BJ posò una mano sulla spalla della ragazza, che lo occhieggiò venerante. “Noi andiamo a farci sistemare al nostro tavolo.”

Ecco spiegata l'indisponibilità del tavolo migliore.

“Buona serata.”

“Anche a voi.” Ricambiò lui, facendo loro l’occhiolino.

Una cameriere scortò lui e Belinda verso una delle sale al piano superiore, ed un altro fece lo stesso con Georg e Nicole. mentre salivano le scale, lui notò che lei sembrava pensosa.

“Che c’è?”

“Oh, niente,” disse lei vaga. “Mi chiedevo solo come se la stanno cavando i ragazzi con Emily.”

“Sono sicuro che la stanno per mettere a dormire.” La rassicurò Georg, in cuor suo sapendo di stare mentendo spudoratamente, e, a vedere lo sguardo dubbioso che gli rivolse Nicole, lo sapeva anche lei.

 

***

 

“L’Era Glaciale è il mio film preferito! È bellissimo, voglio vederlo ancora!”

“Domani, magari.” Le disse Bill, lasciandosi cadere sul divano sfinito. Aveva dimenticato quanto fosse impegnativo portare Emily da qualche parte. La scelta del cinema era stata ottima, avevano potuto trascorrere un paio d’ore a svagarsi senza doversi preoccupare di essere riconosciuti, immersi nella sicurezza del buio della sala, ma la vivacità di quella bambina metteva a dura prova anche la quasi inesauribile verve di Bill.

“Emily, è ora di andare a letto, hai sentito la mamma…” la ammonì Gustav, le mani ai fianchi, ma lei mise immediatamente un broncio dei suoi più riusciti.

“Ancora un po’, per favore!”

Indossava una delle felpe più vecchie di Georg, che la copriva fino alle caviglie e le cui maniche le pendevano abbondantemente oltre le mani. Se non altro il bordeaux le stava d’incanto.

“Va bene, ma solo dieci minuti.” La accontentò Gustav. Nessuno di loro quattro aveva ancora imparato a dire di no agli occhioni supplichevoli di Emily.

Erano rientrati da poco più di dieci minuti, e all’inizio Bill si era preoccupato di non trovare Tom nella sua stanza, ma poi si era ricordato della Ragazza del Venerdì a cui aveva accennato Georg, e si era subito rallegrato del fatto che suo fratello avesse avuto la decenza ed il buonsenso di non portarla a casa loro. Magari un po’ di sesso lo avrebbe messo abbastanza di buonumore da fargli chiedere scusa. Utopico, sì, ma mai dire mai. E mentre Gustav si adoperava a convincere Emily, saltellante sul divano invocando un cartone animato da vedere, ad andare a dormire, Bill si augurò che, ovunque fosse, Tom stesse usando la testa.

 

***

 

Vibeke schizzò alla velocità della luce su per le scale, trascinandosi dietro la lunga giacca, l’alto tacco di acciaio degli anfibi che creava un frastuono echeggiante nell’intero palazzo, le chiavi già pronte in mano, elencandosi mentalmente la lunga lista di avventatezze che poteva aver commesso Tom per ridursi nello stato agonizzante in cui l’aveva chiamata. Probabilmente era ubriaco, o vittima di un’indigestione, o magari entrambe le cose. Con lui c’era sempre da aspettarsi di tutto.

La cosa strana era che fosse stato costretto a chiamarle lei: Bill e Gustav avrebbero dovuto essere in casa, assieme ad Emily, avrebbero dovuto esserci loro a soccorrerlo, qualunque cosa avesse combinato. Era probabile che se la fossero tutti data a gambe per evitare tempeste karmiche negative.

Infilò la chiave nella serratura e la girò rapidamente, precipitandosi all’interno dell’appartamento, trovandolo silenzioso e illuminato a giorno. Le bastò messo secondo per individuare Tom stravaccato sul divano i rasta tenuti mollemente indietro da un elastico, lo sguardo perso nel vuoto, almeno fino a che non si accorse del suo ingresso e si voltò verso di lei.

“Kaulitz!” esclamò esagitata, correndogli incontro. “Cos’è successo? Stai bene?”

Tom batteva le ciglia perplesso, con l’aria più innocente della terra.

“Benissimo.”

Benissimo?!

Vibeke si chiese se per caso non si fosse persa qualcosa.

“Come sarebbe benissimo?” esclamò incredula. “Sembravi moribondo al telefono!”

Lui agitò una mano senza darci peso.

“Non esagerare, sono solo un po’ annoiato.”

Annoiato. Lui era ‘solo un po’ annoiato’. Dopo che lei aveva corso all'impazzata dal Crossover, dall'altra parte della città, fino a lì, rinunciando al proprio divertimento credendolo nei guai, lui era ‘solo un po’ annoiato’.

Doveva riuscire a non strozzarlo, almeno non prima di averlo evirato e passato al frullatore.

Come, scusa?” sibilò, per puro amore retorico, dato che la risposta era già fin troppo chiara.

“Sì,” fece Tom, stiracchiandosi mentre si alzava in piedi. “Georg è fuori con Nicole, Gustav ha portato Bill ed Emily al cinema, e io sono rimasto tutto solo.”

Calma Vibeke, calma, si ripeté lei, sforzandosi di non cedere all’impulso di squartarlo sul posto. Se lo uccidi ora, ti toccherà ripulire la cruenza del misfatto.

“Perché questo non mi stupisce?” commentò alla fine, puntellandosi le mani sui fianchi, ma Tom non le prestò nemmeno un briciolo di attenzione.

“Allora, dove andiamo?”

Non poteva dire sul serio. Non stava dicendo sul serio, non dopo averle rovinato la serata per niente.
“Vuoi sapere dove andiamo?” sbottò infiammandosi furiosamente. “Io me ne vado a casa, visto che mi hai gentilmente mandato a puttane la serata, e tu all’inferno per avermi fatta scappare via dall’appuntamento con Moniek per niente! Cristo, credevo fossi in fin di vita!”

Lui non sembrava impressionato. Si limitava a guardarla annoiato e vagamente implorante.

“Dai Vi, è sabato sera, non possiamo starcene tappati in casa come due sfigati!” obiettò.

“Non me ne sarei affatto rimasta tappata in casa!” lo informò lei, morendo dalla voglia di farlo a pezzetti. “Dovevo uscire con Moniek, cazzo!”

“Sì, be’, ormai sei qui, quindi tanto vale uscire, no?”

La faceva facile lui, come se fosse l’unico ad avere il diritto di divertirsi, come se lei fosse la sua schiava personale e dovesse preoccuparsi prima di lui che di se stessa. quanto odiava quell’arroganza.

“Non ho intenzione di farti da autista e reggimoccolo per tutta la serata!” puntualizzò categorica.

“Non sono in vena di ragazze, altrimenti ne avrei già chiamata una.” Ribatté Tom con fare annoiato, causando a Vibeke il salto di qualche nervo.

“Ah, e io cosa sarei, allora?” sbottò, sentendo la solita incazzatura da Kaulitz montarle dentro.

Tom batté le ciglia con tutto il candore dell’universo.

“Tu non sei una ragazza,” disse. “Tu sei… Tu.”

“La tua galanteria si fa ogni giorno più raffinata.”

“Dai Vi, usciamo!”

Basta, per carità, basta!

“Dacci un taglio con questo ‘Dai Vi’, mi hai rotto!” ringhiò, sul punto di esplodere. “Io ho una vita, per quanto la cosa possa sembrarti sconcertante, e gradirei che tu la piantassi di sabotare ogni mio fottuto tentativo di viverla!”

Aveva urlato così forte da far vibrare il vetro della lampada posata sul mobile accanto a lei, la sua voce si era alzata progressivamente, tra un ansito e l’altro, fino a raggiungere un volume che aveva assordato perfino lei. Tom la fissava ammutolito, paralizzato, le braccia penzoloni lungo i fianchi. Rimase così per diversi secondi, attonito, poi i suoi lineamenti si contrassero bruscamente.

“Va bene, vattene a casa, chi se ne importa!” le gridò di rimando, più aggressivo del solito. “Anzi, guarda, me ne vado io!”

“Ma è casa tua!”

“Non me ne frega niente, voglio uscire ed uscirò, con o senza di te!”

Talvolta avere a che fare con lui era impossibile. Un conto era sopportarlo quando c’erano gli altri a fare da cuscinetto tra lui e lei, un conto era accettare di restare sola con lui e correre il rischio di finire a scontarsi con lui pubblicamente.

Non proprio il massimo della vita, considerato che non si stava parlando di un anonimo ubriacone a caso, ma del chitarrista della band più popolare dello stato, e forse anche dell’intero continente.

“Sei il solito capriccioso!” lo ammonì. “Cosa ti costa chiedere ‘per favore’ una volta tanto, anziché pestare i piedi e pretendere? Sfotti tanto tuo fratello, ma non sei da meno.”

E mentre pronunciava quelle stesse parole, Vibeke capì.

Il malumore di Tom non era da confondere con la sua solita voglia di fare la star da tragedia. Non si stava comportando da stronzo, come in genere succedeva, ma da fratello amareggiato. Vibeke riconosceva i sintomi: isolamento, spirito a terra, veleno in bocca… Sapeva che quando si litigava con il proprio gemello era come litigare con il mondo intero, che tutto andava storto e niente migliorava le cose, se non un diversivo decente, che sicuramente non curava, ma leniva un po’ la pesantezza della situazione.

“E va bene, hai vinto, sei contenta?” disse Tom, con uno sforzo più che evidente. “Ora usciamo, per favore?”

Lei gli concesse l’ombra di un sorriso.

Sei proprio disperato, vero?

“E dove andiamo?” gli domandò.

“Dove vuoi tu, ho voglia di ubriacarmi.” Fece lui remissivo.

Vibeke non era granché entusiasta di fronte alla prospettiva di avere nuovamente a che fare con un Tom Kaulitz fradicio d’alcol, ma non poteva dire di non capire il suo bisogno: anche lei quando litigava con BJ tendeva a cercare le distrazioni più drastiche, perciò decise di essere solidale.

“D’accordo. Conosco il posto che fa per noi.”

“Grande.”

“Ma offri tu.”

“Nessun problema.” Tom afferrò una giacca a caso dal guardaroba dell’ingresso, se la infilò e recuperò le chiavi della Cadillac, che lei però gli fece mettere giù.

“Queste non ci serviranno.”

 

***

 

A Vibeke non ci volle molto per capire quanto poco bastasse a Tom per diventare brillo, e non la sorprendeva più così tanto che lui non ricordasse nulla di quella famosa notte dopo il party.

Lo aveva portato in un piccolo pub ad un paio di isolati dall’appartamento, in una stradina secondaria che aveva scoperto cercando scorciatoie poco trafficate per arrivare da loro. Era un locale davvero ristretto di dimensioni, e poco frequentato, l’ideale per garantire la privacy necessaria. Era piuttosto buio come posto, le luci erano rare e deboli, soffuse, poco riflesse dai pannelli di legno scuro che rivestivano le pareti. Aveva qualche remota somiglianza con un pub irlandese in quanto ad architettura, ma gli sgabelli attorno al bancone erano in acciaio e stonavano moltissimo con il resto dell’arredamento, tutto in legno, ma a lei piacevano le stonature, i dettagli stridenti, gli accostamenti azzardati ed improbabili, come dimostrava la sua stanza, che nulla aveva a che spartire con il suo stile di abbigliamento.

Erano lì da mezz’ora, e al secondo Jack Daniel’s il piccolo Tomi era già in piena fase di allentamento delle inibizioni emotive e andava biascicando frasi non del tutto connesse riguardo la stupidità di Bill e la sua mancanza di spirito di confronto con il prossimo.

“Non per dati l’infondata impressione che io ami contraddirti,” Gli stava dicendo Vibeke, non del tutto entusiasta della propria birra piccola. “Ma anche tu non scherzi in quanto a cocciutaggine, e se proprio lo vuoi sapere, sei stato meschino ad accusarlo di essere un fancazzista senza palle davanti all’intera Germania.”

Tom, i gomiti rozzamente appoggiati al bancone, la schiena ricurva, sbuffò.

“È quello che è.”

“Invece no,” dichiarò lei, sentendosi in dovere di dire qualcosa a difesa del piccolo Kaulitz tutto vezzi e moine che teneva scrupolosamente nascosto il suo embrione di maturità. “È una diva vanitosa che trasuda perfezionismo da tutti i pori, ma questo fa di lui un tipo determinato e volenteroso, più che un fancazzista,” Tom cacciò un grugnito gutturale. “E poi sa essere molto dolce e sensibile, quando vuole.” Aggiunse lei, tanto per coronare la sviolinata. Non era esattamente convinta di tutto quello che aveva detto, ma poco importava, Tom non lo sapeva.

La guardò di sbieco, quasi contrariato.

“Tu detesti Bill, perché lo difendi?”

“Io non detesto Bill,” affermò lei. “Sono solo alcuni suoi atteggiamenti che non mi piacciono, ma so riconoscere che ha i suoi pregi.”

“Non fare la noiosa proprio stasera, io mi volevo divertire.”

“Scusa, sai, ma Disneyland era chiuso e Tokio Hotel Landia è ancora in progettazione.”

“Ecco, così va meglio,” disse Tom, poi fece un cenno al barista. “Un altro.”

E tre, contò Vibeke. Potevano anche essere piccole dosi, ma tre piccole dosi ne facevano una discreta.

“Non pensi di aver bevuto abbastanza?” gli chiese in tono insinuante, ma lui scosse la testa.

“Non ancora.”

Tracannò l’alcol in un sorso, sbattendo il bicchiere sul tavolo mentre strizzava gli occhi nel deglutire. Vibeke lo avrebbe trovato buffo e patetico, se solo non avesse avuto una tale consapevolezza del suo stato d’animo. Avrebbe dovuto convincerlo a chiedere scusa a Bill, o si sarebbe tenuto a mollo in quella gravosa cupezza che poco gli si addiceva.

Il telefono le squillò nella tasca della giacca. Lo tirò fuori e controllò il nome sul display.

“È BJ,” comunicò a Tom, alzandosi in piedi. “Esco un attimo a sentire cosa vuole.”

L’unica risposta di Tom fu un grugnito sommesso che lei scelse di cogliere come un ‘Ok’.

 

***

 

Tom doveva ancora capire cosa ci facesse lì, in quel buco anonimo e cupo, frequentato soltanto da un gruppo di omaccioni che altro non potevano essere che camionisti o muratori, e soprattutto perché fosse lì con Vibeke.

Di tutte le persone che conosceva al mondo, lei – saccente, presuntuosa, pignola, lagnosa, coriacea – era l’ultima che si sarebbe aspettato di volere accanto nel momento del bisogno, eppure era la prima a cui aveva pensato, quando si era reso conto di necessitare di qualcuno che lo distraesse e tirasse su di morale, ed era stato il suo nome che le sue dita avevano selezionato, scorrendo la rubrica del cellulare. L’aveva chiamata, forse eccedendo leggermente di pathos drammatico, e l’aveva trovata in un posto caotico, pieno di voci e rumori. Sapeva perfettamente che lei sarebbe uscita, quella sera, però aveva tentato lo stesso, e lei, anziché tartassarlo con una sfuriata delle sue, era corsa da lui senza fare domande, lasciando Tom a dir poco basito, ma quantomeno soddisfatto: lui chiamava, lei obbediva, proprio come sarebbe dovuto essere fin dall’inizio.

La cosa più strana di tutto questo, però, era l’assoluta mancanza di imbarazzi, tra di loro, nemmeno un accenno di disagio per via di quel bacio che non avrebbe mai dovuto esistere, segno che per lei significava tanto quanto significava per lui, cioè nulla.

A propria discolpa Tom poteva solo dire che in effetti Vibeke aveva delle labbra invitanti, rosse e morbide, e che comunque ciò che lo aveva portato a baciarla era stato il fatto che lui fosse assolutamente consapevole che lei non lo avrebbe mai voluto. Poi lei aveva anche risposto, baciandolo a sua volta, ma, modestia a parte, Tom non la poteva biasimare: il proprio ascendente sul genere femminile era noto a tutti, era ovvio che lei avesse ceduto.

Vuotò l’ennesimo bicchiere – quanti ne aveva bevuti? Quattro? Cinque? Aveva perso il conto – si sfilò tre banconote da dieci dal portafogli e le lasciò sul bancone, per poi alzarsi e dirigersi verso l’uscita. Fuori l’aria era fredda e pungente, ma limpida, piacevole da respirare, e la strada deserta sembrava quasi surreale. Era uscito con l’intenzione di farsi una sigaretta, ma scorse Vibeke pochi metri più in là, che passeggiava attorno ad un lampione parlando al cellulare, fumando tra una frase e l’altra. Quando lei si accorse di lui, gli fece un cenno distratto, sollevando la mano che teneva la sigaretta, lasciandosi dietro una scia di fumo particolarmente visibile nel freddo della nottata.

Tom si accese a sua volta una sigaretta e la consumò oziosamente, appoggiato al muro, mentre ascoltava di straforo la conversazione tra Vibeke e BJ. Sembrava di origliare un tipico dialogo tra lui e Bill: niente ragazze in casa, niente baccanali e cavolate simili.

Ma i gemelli sfigati sono tutti così rompicoglioni con quelli fighi?

Si avvicinò a lei con pochi passi pigri, giungendole di fronte proprio mentre richiudeva il cellulare e lo mette via di nuovo via.

“Spero che tu non sia così pedante con quei tre poveracci.” gli disse Vibeke, soffiando verso l’alto una boccata di fumo.

Tom fece lo stesso.

“Io più che altro mi auguro che tu non sia intransigente come mio fratello.”

Vibeke rispose con una bassa risatina a bocca chiusa, ma non lo calcolò. Era talmente abituato a litigare con lei, che non essere calcolato gli risultava più fastidioso di un insulto diretto.

Rimasero in silenzio per un po’, godendosi le rispettive sigarette alla luce dei rari lampioni, resa quasi del tutto inutile dalla sgargiante luna piena che splendeva nel cielo blu torbido. Ad un certo punto Vibeke si sedette a terra, sul bordo del marciapiede, spense il mozzicone sull’asfalto e lo gettò nel tombino che aveva di fronte. Tom ci mise di più a finire la propria sigaretta, ma alla fine lasciò cadere a terra il proprio mozzicone e lo schiacciò sotto ad un piede, calciandolo poi nel tombino.

“Lo sai, stavo ripensando alla conversazione che abbiamo avuto qualche sera fa…” disse, mettendosi a sedere accanto a lei. Divaricò le gambe ed appoggiò i gomiti alle ginocchia piegate, le dita intrecciate fra loro. Vibeke stava più composta, le gambe fasciate dagli alti anfibi aderenti accavallate e piegate di lato, e scrutava il cielo con un’espressione svagata. Tom si rese conto che i suoi capelli erano inusualmente mossi ed ondosi solo quando un alito di vento glieli accarezzò, scompigliandoli leggermente. Aveva le guance colorite dalla birra e non sembrava in collera con lui per il suo piccolo, innocente abuso di potere nell’averla messa in allarme sostanzialmente invano. Meglio così, comunque.

“Pensare fa male a voi uomini,” replicò lei in tono piatto. “Il vostro sistema nervoso non è progettato per operazioni così onerose e complesse.”

“Ho tentato, ma proprio non ci riesco.” La ignorò lui.

“A pensare?”

Tom si passò la lingua sulle labbra.

“Ad immaginarti brutta.”

Ci fu una pausa non proprio imprevista. Tom sapeva che un’affermazione simile da parte propria sarebbe stata accolta con scetticismo.

“Sfotti, Kaulitz?”

“Non sei brutta, Vi,” Onestà. Merce rara, per lui, ma in qualche modo si sentiva in vena di elargire gentilezza gratuita, forse per sdebitarsi implicitamente del favore ricevuto. “In nessuna di quelle foto lo eri.”

Lei si voltò e lo guardò con diffidenza.

“Sei ubriaco?”

“Non credo che tu sia mai stata abbastanza bendisposta verso qualcuno da fargli venire voglia di dirtelo,” rispose Tom senza lasciarsi impressionare. “Ma mi stupisce che tu non riesca a vederlo.”

“Vedere cosa?”

Ma quanto sei ottusa, norvegese dei miei stivali?, si stupì lui. Spero che tu lo faccia apposta per darmi sui nervi, altrimenti sei più scema di quel che avevo stimato.

“Che sei… Bella.” Puntualizzò labilmente. Vibeke arricciò il naso.

“Stai diventando melenso.” Lo accusò.

“E tu troppo acida,” ricambiò lui, sulla difensiva. “Continua così e morirai sola ed amareggiata.”

“Kaulitz, ma tu sei veramente ubriaco!” constatò lei, studiandolo più da vicino. Tom aveva la vista annebbiata, e lo considerò un bene, perché era certo che se fosse stato in grado di mettere a fuoco le sue labbra, avrebbe finito per baciarla di nuovo.

“Mi sono fatto solo un paio di Jack Daniels.” Biascicò.

“Tre.” Precisò lei.

“Ok, tre.”

“Allora reggi l’alcol come un pulcino a stomaco vuoto.”

Tom sbuffò.

“Forse erano un po’ più di tre.”

Vibeke tacque per qualche secondo di riflessione, poi gli fece una domanda che non poteva essere buttata lì per caso:

“Per via della litigata con Bill?”

Sapeva esattamente cosa Tom stava provando, e anche se a lui dava fastidio sentirsi compatito – perché era la compassione a muoverla, e non certo l’amicizia spassionata – non gli dispiaceva poi tanto che ci fosse qualcuno che viaggiava all’incirca sulla sua stessa lunghezza d’onda. Ciononostante, non se la sentiva di mettersi a conversare beatamente della sua cafonaggine nei confronti di un semi-innocente come il povero Bill, che aveva avuto la sola sfiga di fare la battuta sbagliata al momento sbagliato.

“Non sono cazzi tuoi.” Le intimò, brusco. Lei, sorprendendolo, non replicò altrettanto bruscamente, ma con una calma insolita, per una del suo calibro.

“Va bene, va bene,” sospirò, tirandosi in piedi, proprio mentre poche sottili gocce d’acqua cominciavano a piovere dal cielo. “Adesso alzati di lì, vediamo di riuscire a tornare a casa vivi e vegeti.”

Gli porse una mano, che lui scacciò prontamente, senza nemmeno sapere perché.

“Lasciami, voglio stare qui.”

“Ma sta cominciando a piovere!”

“Meglio. Ho caldo.”

“Ci credo, ti sarai scolato un litro di alcol!”

“Vi, lasciami in pace.”

“Ti ho detto di smetterla di chiamarmi Vi!”

“E tu smettila di importunarmi!”

“Mi hai chiesto tu di portarti qui!”

“Chi se ne importa!”

Vibeke, le guance sempre più colorite, si spostò irritata una ciocca di capelli dal volto, incombendo su di lui con tutta la sua considerevole statura, accentuata dai tacchi alti e spessi e dalla lunga giacca di pelle.

Ecopelle, corresse automaticamente la mente di Tom. Lei e le sue manie…

“D’accordo, come vuoi,” gli disse tranquilla. “Quando sarai a letto con la polmonite, ricordati che ci sarà un bel ‘Te l’avevo detto’ ad aspettarti.”

“Allora vattene a fanculo!” abbaiò Tom, colto da una vertigine. Vibeke pestò un piede per terra, arrabbiata.

“Con piacere!”

Gli voltò le spalle, pronta ad andarsene. Tom fece per tirarsi su, ma barcollò non appena si sollevò dall’asfalto e ricadde indietro seduto.

“Vi, aspetta.” la chiamò corrucciato. Vibeke si girò con uno scatto che lo fece soprassalire.

“Che cazzo vuoi adesso?”

Tom si imbronciò a causa dell’ammissione che stava per fare, ma aveva bisogno di lei – o meglio, della sua sobrietà – se non voleva passare la notte a dormire per strada come un barbone.

“Non ce la faccio ad alzarmi da solo.”

 

***

 

Vibeke emise l’ennesimo sospiro paziente, ma lo aiutò.

“Ti reggi in piedi?” gli chiese, osservandolo mentre cercava di muovere mezzo passo in equilibrio autonomo.

Per tutta risposta, Tom le avvolse le braccia attorno al collo, incapace di stare dritto e fermo, appoggiandole stancamente la testa sulla spalla.

“Va bene, messaggio ricevuto,” sospirò di nuovo, cercando di sostenerlo avvolgendogli il braccio destro attorno alla vita e tenendogli la mano attorno al proprio collo con il sinistro. “Andiamo, rompicazzo, ti porto a casa.”

Le labbra di un Tom mezzo incosciente sorrisero contro la pelle di Vibeke, la punta del suo naso che le sfiorava il collo, assieme ad un alito caldo.

“Perché non riusciamo a farci sembrare casa quest’oscurità?” mormorò mollemente, ridacchiando come un idiota.

“Niente più alcol, per te, Kaulitz,” decise lei, riflettendo sul fatto che la magrezza di Tom era un falso clamoroso, visto che, buttato così addosso a lei, pesava come un macigno. “Mai più.”

“Sono stanco,” sussurrò lui, mentre si incamminavano lungo il marciapiede, senza spostare la testa dalla spalla di Vibeke. “Davvero tanto stanco, Vi…”

La voce gli si smorzò su quell’ultima sillaba. Vibeke percepì qualcosa di umido e tiepido colarle dal collo lungo il petto. Lacrime.

“Dopo quella euforica, sta arrivando la sbronza depressa?”

Un rantolo sommesso vibrò nella gola di Tom.

“Stai zitta, la tua voce mi fa male alla testa.”

“No, mio caro,” disse lei. “È tutta quella roba che ti sei sbevazzato che fa male alla tua testa, devi solo ringraziare il cielo che ci sia qui io a salvarti il tuo prezioso fondoschiena.”

“Grazie, cielo, che Vi sia qui a salvare il mio prezioso fondoschiena!” ululò Tom, rovesciando la testa all’indietro e spalancando l’unico braccio libero.

“Kaulitz, trattieniti,” gli intimò lei, tappandogli la bocca mentre si sentiva una risata premerle alla gola. “Non puoi farti arrestare per schiamazzi proprio oggi, domani avete l’intervista con quelli del Times, che figura ci fate?”

Ma Tom era partito per una tangente tutta sua, completamente estranea alle leggi della logica che generalmente esigevano le conversazioni.

“Gli devo chiedere scusa, vero?” mormorò con la voce impastata dalla sbronza.

“A Bill o al povero cielo a cui hai appena strillato contro?” si informò lei, con una punta di ironia che divertì lei ed infastidì lui.

“Dai, stupida, sono serio.”

“E ubriaco.”

“Solo un pochino.”

“La colpa è tua, comunque,” gli disse Vibeke, ricordando il muso lungo di Bill. “Perciò spetta a te scusarti, anche se secondo me lui sarebbe anche disposto a prendersi il torto, pur di fare pace con te.”

Tom, sempre appoggiato a peso morto su di lei, blaterò qualcosa che somigliava ad un ‘Lo so’.

“Ti sembra giusto?” gli domandò quindi lei.

“No.”

“Ecco.”

Si fermarono ad un semaforo e attraversarono sulle strisce appena scattò il verde, mentre un orologio esposto in una vetrina si spostava a segnare mezzanotte e mezza,

“Gli chiederò scusa.” Farfugliò Tom, mancando per un soffio di inciampare nel nuovo marciapiede.

“Bravo,” si congratulò Vibeke, cominciando a sentirsi stanca di trascinarselo dietro così. “Voglio esserci, quando lo farai, voglio vederlo commuoversi.”

“Approfittatrice.”

“Senti chi parla!” sbuffò lei. “Chi è che si è fatto scarrozzare qui a scrocco?”

Tom si strappò di dosso a lei, ciondolando precariamente. Vibeke rise, ma un istante dopo lui si teneva la mano destra con uno sguardo allucinato.

“Oh, cazzo.”

“Che succede?” chiese lei, cercando di vedere cosa avesse combinato.

“Mi sa che mi si è riaperto il taglio sulla mano.” Piagnucolò lui, con un rivolo di sangue che gli colava giù verso il polso, sgorgando da sotto al cerotto che gli copriva la ferita ormai vecchia di giorni.

“Ecco, così impari a fare quei gesti bruschi.” Lo rimbeccò Vibeke.

“Cazzo!” imprecò Tom, vedendo che il sangue aumentava.

“Va bene, va bene, stai fermo un attimo,” Vibeke gli prese la mano con la forza per capire cosa fosse successo. “Ci penso io. Di nuovo.”

“Guarda che la prima volta nessuno ti ha chiesto niente.”

“Morire dissanguato o non morire dissanguato? Questo è il dilemma.”

“Sì, ok, ok…” grugnì Tom.

“Mi stai assecondando, Kaulitz?”

“Chi, io? Non mi sognerei mai!”

“Sì, immagino,” commentò Vibeke, staccando con cura il cerotto. “Dai, fammi vedere che hai combinato qui.”

“Piano che fa male…”

“Sì, sì, lo so che sei delicato, tranquillo.”

“Non sono delicato, ho detto solo che fa male!”

“Quello che è.”

Si sfilò un fazzoletto di carta dalla tasca della minigonna e glielo picchiettò attorno al taglio, nel punto in cui si era riaperto, fino ad asciugare tutto il sangue, poi lo premette sopra, senza badare ai gridolini sofferenti di Tom. Quando fu certa che l’emorragia si fosse bloccata del tutto, si tolse una fascia per capelli che teneva arrotolata al polso come un braccialetto e gliela avvolse attorno alla mano, per tenere fermo il fazzoletto.

Sopra alle loro teste, da una finestra aperta, si diffondeva una musica a lei ignota, ma piuttosto piacevole.

‘I try to believe what I feel these days, it makes life much easier for me…’

Una musica lenta ma ipnotica, una canzone sensuale, in qualche modo, particolare ma accattivante. ne ascoltò le parole, voleva cercarla, una volta tornata a casa.

‘It's hard to decide what is real these days, when things look so dizzy to me…’

“Ecco,” disse a Tom, lasciandogli la mano. “Così dovrebbe reggere, almeno fino a casa. Ma tu vedi di evitare di farlo riaprire di nuovo, o ti faccio mettere dei punti.”

“Non lo voglio un rammendo sulla mano!” esclamò lui, inorridendo.

Vibeke lo sospinse in avanti, invitandolo a camminare. Certe volte era proprio identico a Bill.

“Dicevo alla bocca,” lo informò. “Così non ti lamenti più.”

Tom, brillo e incapace di mantenere una traiettoria retta, si voltò per rivolgerle una sottospecie di sorriso suadente, che si rivelò piuttosto comico e sbilenco. Pur maledicendo se stessa per essersi lasciata trascinare in quell’anomala serata fatta di imprevisti più o meno fortuiti, Vibeke non seppe trattenere un sorriso di rimando.

‘There's always more…’

 

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Note: mi odiate, lo so che mi odiate, e sono desolata per il piattume del capitolo, davvero davvero desolata, ma sono innocente, non è colpa mia se è venuto così prolisso. Per di più non è nemmeno finito veramente, visto che proseguirà nel prossimo. Povera me, questo benedetto San Valentino sta diventando una croce eterna. Ne usciremo mai? Pregate, lettori, abbiate fede, non ci resta altro.

Allora, intanto ho sputato sangue per fare in modo di non far scadere i due piccioncini (Georg e Nicole) nel melenso ultraromantico, e ho la presunzione di sperare di esserci, se non riuscita, almeno andata vicino. Ditemi voi. u__u Inoltre mi rendo perfettamente conto che tutta la seconda parte tra Vibeke e Tom è di una noia mortale, ma l’atmosfera fiacca era intenzionale, perché Tomi è tutto mogio e gli serve un bel po’ di ringalluzzimento per riprendersi, che un po’ viene fuori quando si mette a starnazzare per strada, con sommo imbarazzo (ma anche divertimento, diciamolo) di Vi. Detto questo, mettiamoci a fare le cose serie e passiamo a ringraziare in breve le 33 (trentatré, oddio, non ci posso credere!) persone che hanno recensito, mandando la sottoscritta in brodo di giuggiole con i loro commenti tokiohotellosi (sfido chiunque a trovare un aggettivo più lusinghiero di questo!), ossia: pIkKoLa_EmO, ElianaTitti, ElyLaTeS, loryherm (sia resa lode ai Nightwish, e spero che tu abbia ascoltato quelli giusti, e non quelli con la nuova vocalist, che non è degna nemmeno di fare da scendiletto a quella sublime dea di Tarja! ^^), ruka88, PurpleBullet, Lady_Daffodil, gioconda, carol22, Lauchan, valux91 (penso che la deduzione sugli Evanescence ti sia venuta in seguito alla mia osservazione sulle imitazioni dei Nightwish post-2005. In realtà non ho nulla contro gli Evanescence, Fallen mi piace molto, e mi riferivo ai cosiddetti ‘nuovi Nightwish’, che ai miei occhi sono un patetico tentativo di non defungere dopo la separazione da Tarja, peggio che fallito, poi, visto che sarebbe stato meglio per loro sparire, piuttosto che trovare una cantante pop (argh!) e diventare così tristemente commerciali ç__ç), Ladynotorius, Muny_4Ever, withTh, Lady Vibeke, layla the punk princess, NeraLuna, CowgirlSara, Hermyone, _ToMSiMo_, MARINA KAULITZ, susisango, shaka, BigAngel_Dark, kit2007, GaaRa92, Nanako, RubyChubb, picchia, Colinde, btb, vale 87 (complimenti per l’anno di nascita! XD). Un grazie speciale ad _Ellie_, che non ha fatto in tempo a deliziarci con una delle sue epiche recensioni (come si fa a metterci giorni interi a scrivere una recensione, lo sa solo lei XD), ma che mi segue sempre con fedeltà assoluta. ;)

Un grazie immenso e generico a chiunque sia passato di qui, abbia letto e messo la storia, me o entrambe tra i preferiti, come sempre rinnovo l’invito a lasciare due parole anche semplici, (anche per lamentarvi dello spezzettamente del capitolo in due e della sconseguente slittata della parte interessante nel capitolo 11, visto che stavolta ne avreste il diritto u__u), che illuminano sempre la giornata. ^^

Alla prossima! (con l’agognata e sicuramente più interessante conclusione di questo tragicomico San Valentino.)

P.S. quasi scordavo di creditare la canzone che Vi sente per strada, ossia la sublime Sly, dei Massive Attack. Ascoltatela, se vi capita, ne vale la pena.

   
 
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