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Autore: Jessy87g    05/07/2008    8 recensioni
"Nelle lotte dell’Arte succede presso a poco come nella guerra: tutta la gloria conquistata rifulge sul nome dei capi: l’armata fa a pezzi per guadagnare qualche linea d’un ordine del giorno.
Quanto ai soldati caduti nella mischia, essi vengo sepolti là dove gli altri caddero, e un solo epitaffio basta per ventimila morti."
Piccole scene di vita quotidiana attendendo la gloria.
Genere: Romantico, Commedia, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kagura, Rin, Sesshoumaru
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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Prima di iniziare vorrei ringraziare di cuore tutte quelle che mi hanno commentato per la fiducia dimostratami: eiby, kaDe, rosencrantz, Blackvirgo, thembra, lollyna, MARTY_CHAN94 e Onigiri.
Spero di non deludere le vostre aspettative.

Questa storia è dedicata a Damson che da sempre legge e supporta tutti i miei lavori.






.CAPITOLO 1.





“O bell’età d’inganni e d’utopie;
si crede, spera e tutto bello appar !”


(G. Puccini, La Bohème)




Paris, 1882


Questa storia non si ambienta nei dorati salotti del quartiere di Saint-Germain [1], né tantomeno nell’opulento e troppo visto mondo della finanza, dove l’ipocrisia si mescola al buon senso e la moralità, in mancanza di altro, è stata innalzata a Ideale.
La nuova società, che a metà secolo aveva iniziato a emettere i primi vagiti, adesso si stava pian piano decomponendo, in silenzio, ogni giorno con maggiore evidenza. Corruzione, intolleranze, giochi di potere avevano minato così nel profondo l’aspettativa del popolo francese da indignare anche l’attivista più convinto: primi tra tutti gli Intellettuali.
Inevitabilmente disgustati dal corso degli eventi, completamente disillusi nei confronti di ogni rivendicazione sociale, si rinchiusero nell’universo della propria arte per non uscirne mai più.

Ed è proprio da questo mondo che inizia la nostra storia.

In Rue Laplace, situata a due passi dal Pantheon, proprio nel bel mezzo del Quartiere Latino, luogo di scrittori e pensatori, si trovava una piccola ma attiva tipografia, circondata da piccole case di legno a da alcuni vecchi pioppi che lasciavano ricadere sulle antiche strade lastricate una piacevole ombra, divino regalo nei giorni d’estate . Sarebbe parsa un’ottima ambientazione romanzesca se non fosse stato per un intenso via vai, soprattutto dopo il calar del sole, di straccioni, attrici, bohèmien, prostitute ed ogni altro pittoresco esponente del genere umano.
Tuttavia è un’avventura assolutamente da non perdere quella di passeggiare la sera tra quei pittoreschi vicoli; perdersi in un’atmosfera senza tempo; ascoltare sorridendo le animate discussioni degli artisti, perennemente seduti nei café con ogni tempo e in ogni stagione.

Tutto sembrava fluttuare avvolto dal malinconico sapore dell’eternità.


Il proprietario della suddetta tipografia era sicuramente una figura curiosa; uno di quei rari personaggi dal quale l’aggettivo ‘banale’ rifugge, disgustato. Forse perché era un demone - ma neanche questo appellativo era ormai più una discriminante in una società dove le due razze convivevano più o meno pacificamente da secoli e dove il matrimonio tra di esse era considerato di gran lunga più rispettabile di quello con chiunque avesse la pelle di una gradazione di colore anche leggermente diversa -; forse perché Madre Natura, o uno strano beffardo destino, lo aveva fornito di un paio occhi severi delle strane sfumature dorate, di lunghi capelli argentati che ondeggiavano sulle ampie spalle robuste, di un bel portamento altero, e, soprattutto, di un magnetico sguardo insofferente; forse perché sembrava una copia in carne del Lucifero miltoniano…Fatto sta che non poteva mettere un piede per strada senza che sentisse addosso a sé, come mille aghi che pungevano insistentemente il suo sistema nervoso, gli occhi di ogni passante.
Fatto davvero fastidioso per un carattere come il suo.

Naturalmente, sebbene al lettore queste caratteristiche possano sembrare più che sufficienti per stimolare ogni genere di curiosità, alla variegata popolazione del Quartiere Latino non sarebbe bastato così poco.
Per ricevere l’ambita denominazione di “affascinante” un uomo doveva avere un qualcosa di misterioso, se poi questo mistero riguarda il suo passato, non si poteva desiderare di più. Naturalmente il povero monsieur de Lisle non sfuggiva a questa impietosa regola. Nessuno sapeva da dove venisse, né cos’aveva fatto prima di intraprendere quell’attività: tutti l’avevano sempre conosciuto come l’“imprimeur” [2]..lui e la sua tipografia sembravano tanto vecchi quanto lo stesso quartiere.
A prima visto dimostrava una trentina d’anni, ma era difficile dire quanti in realtà ne avesse; alcuni sostenevano fosse figlio di una nobile famiglia, abbandonato a se stesso durante l’occupazione di Parigi, altri ancora dicevano che fosse uno straniero emigrato anni addietro per chissà quale motivo. Fatto sta che il diretto interessato, Sesshomaru de Lisle, non smentì mai queste dicerie, né le confermò.
Le poche persone con le quali aveva, almeno in apparenza, un qualche rapporto, erano quattro giovani e affiatati bohémiens dalla testa piena di idee ma dalla borsa perennemente vuota. Sebbene ostentassero nei suoi confronti tutto il rispetto di cui erano capaci - perseveravano, quasi per istinto, a dargli del Voi -, tuttavia ciò non impediva loro di affibbiargli elaborati nomignoli, tutti rigorosamente a sua insaputa: il primo di tutti era stato l’Anglais, per sottolineare il suo carattere imperturbabile e per le sue maniere sempre posate e misurate; anche se, da qualche tempo, gli era stato scherzosamente affibbiato anche l’appellativo di Homme aux yeux d'or [3]; a sua volta spodestato da Monsieur le Décadent.


Stranamente, nonostante l’indubbio effetto che egli esercitava sull’intero pubblico femminile, nessuno l’aveva mai visto in compagnia di una donna.
“Il n’aime pas les femmes!” [4] Rispondevano, ridendo, i suoi compagni a chiunque domandava se avesse mai avuto un’amante.
Il demone, da parte sua, togliendosi con garbo la sigaretta di bocca e espirando il fumo, ribatteva placidamente a qualunque tipo di lazzo che avrebbe più volentieri fatto demolire la sua casa, prima di accoglierci un’estranea.

A smentire tutto ciò era bastata non una bella ventenne tutta vezzi e sorrisi promettenti; ma un’adorabile bambina di sette anni.
La povertà e l’alcool le avevano portato via la famiglia e Sesshomaru, per un qualche strano motivo che nessuno era ancora riuscito a decifrare, l’aveva presa con sé e, senza farle mancare niente nonostante i magri compensi del proprio lavoro, la trattava come se fosse sua figlia.
Davvero uno strano gesto in tempi come quelli. Un gesto del quale Sesshomaru non aveva mai rivelato il motivo; e nessuno aveva mai osato chiederlo.


***************


“Dobbiamo chiedere scusa al pubblico per questo libro che gli offriamo e avvertirlo di quanto vi troverà. Il pubblico ama i romanzi falsi: questo è un romanzo vero.
Ama i romanzi che danno l’illusione di essere introdotti nel gran mondo: questo libro viene dalla strada.
Ama le operette maliziose, le memorie di fanciulle, le confessioni d’alcova, le sudicerie erotiche, lo scandalo racchiuso in un’illustrazione nelle vetrine di librai: il libro che sta per leggere è severo e puro. Che il pubblico non si aspetti la fotografia licenziosa del Piacere: lo studio che segue è la clinica dell’Amore.
Il pubblico apprezza ancora le letture anodine e consolanti, le avventure che finiscono bene, le fantasie che non sconvolgono la sua digestione né la sua serenità: questo libro, con la sua triste e violenta novità, è fatto per contrariare le abitudini del pubblico, per nuocere alla sua igiene. Perché mai dunque l’abbiamo scritto? Proprio solo per offendere il lettore e scandalizzare i suoi gusti? No.
Vivendo nel diciannovesimo secolo, in un’epoca di suffragio universale, di democrazia, di liberalismo, ci siamo chiesti se le cosiddette « classi inferiori » non abbiano diritto al Romanzo; se questo mondo sotto un mondo, il popolo, debba restare sotto il peso del « vietato » letterario e del disdegno degli autori che sino ad ora non hanno mai parlato dell’anima e del cuore che il popolo può avere. Ci siamo chiesti se possano ancora esistere, per lo scrittore e per il lettore, in questi anni d’uguaglianza che viviamo, classi indegne, infelicità troppo terrene, drammi troppo mal recitati, catastrofi d’un terrore troppo poco nobile. Ci ha presi la curiosità di sapere se questa forma convenzionale di una letteratura dimenticata e di una società scomparsa, la Tragedia, sia definitivamente morta; se, in un paese senza caste e senza aristocrazia legale, le miserie degli umili e dei poveri possano parlare all’interesse, all’emozione, alla pietà, tanto quanto le miserie dei grandi e dei ricchi; se, in una parola, le lacrime che si piangono in basso possano far piangere come quelle che si piangono in alto…”


Sesshomaru, dopo una lunga pausa, posò il libro sopra l’ingente pila che si trovava sul tavolo di fronte a lui e svuotò la tazzina di caffè con un’espressione leggermente disgustata: oramai si era completamente raffreddato.
“Fratelli Goncourt? [5]” Chiese un ragazzo dalla vocetta allegra, seduto di fronte a lui, mentre si accendeva una bella pipa nuova, dentro la quale aveva pigiato disperatamente gli ultimi granelli di tabacco rimasto.
Tristan Corbière era un giovanotto di ventidue anni, capelli ricci e biondi leggermente arruffati e una perenne espressione sognante dipinta sul volto illuminato da un sorrisetto sornione: faceva parte del gruppo dei bohémiens da ben due lunghissimi anni di arte e fame, dopo che, abbandonati gli studi giuridici, i genitori avevano stabilito di comune accordo che il mantenimento di un figlio degenere fosse troppo gravoso per il bilancio familiare.
Così, ormai consacrato alla via dell’arte, si era autoprocalmato pittore “indipendente” - neanche lui sapeva bene da cosa; ma quell’appellativo sembrava accrescere la sua importanza –. Ormai da una vita cercava di far accettare lo stesso quadro all’Expo, cambiando ogni anno previdentemente titolo; ed ogni anno i critici lo rispedivano impietosamente indietro, suscitando l’inevitabile ilarità dei suoi compagni.
Tuttavia monsieur Corbière continuava orgogliosamente a chiamarsi “incompreso”.

“Si, sono loro” Confermò il demone, chinando appena la testa “Che ne pensate?”
“Parole commuoventi.” scherzò il giovane, ispirando una lunga boccata di fumo e stendendo le gambe in avanti “Ma suppongo che la vostra idea sarà sicuramente più affascinate e profonda della mia. Le vostre idee sono sempre ritenute molto interessanti..soprattutto dalle signore.”
“Credo che questo manifesto, in verità, non abbia portato niente di nuovo.” mormorò il suo interlocutore, con un gesto vago “Più siamo sommersi da queste rivendicazioni sociali, meno miglioramenti effettivi ci sono.
A parer mio, più dello sperimentalismo, più dell’impegno effettivo, a questi giovani interessa la vendita facile; al di là di queste parole piene di ogni buona intenzione.
La concorrenza è spietata, la letteratura per aumentare le tirature si abbassa al livello dei gusti sudici e semplicistici del popolo ignorante avido di letture sconce e, per avere il suo favore, innalza le umane sofferenze facendo credere che siano causate da una qualche entità metafisica..che siano architettate da una mente superiore per uno scopo che non si riesce ancora a capire, ma che dà loro un consolante significato che, in realtà, non hanno.”
“Ma signore” esclamò l’altro, dopo una breve riflessione su quelle parole “Non vi è scritto tutto il contrario dn quello che avete appena letto? “Che il pubblico non si aspetti la fotografia licenziosa del Piacere”…”
Monsieur de Lisle si sporse appena in avanti, passando lentamente un polpastrello sopra la copertina in cuoio del volume e soffermandosi dove al tatto si avvertivano le lettere del titolo impresse con dell’inchiostro dorato.
“E’ pur sempre uno studio minuzioso delle ossessioni sessuali di una domestica.”
Tristan a queste ultime parole piegò la testa indietro, scoppiando in una poco elegante risata. “Vi prendete gioco di me?” chiese il demone, alzando leggermente un sopracciglio in segno di disappunto.
“Al contrario..ammiro la vostra eloquenza. Potessi disporla per convincere il padrone di casa a esentarmi da pagamento del trimestre!”
“Ma non eravate riuscito a vendere un vostro quadro all’osteria di Rue Montpellier pochi giorni fa?Usate il compenso per pagare l’affitto.”

Il bohémien, a quell’affermazione, regalò a monsieur De Lisle un largo sorriso soddisfatto e innalzò davanti ai suoi occhi la pipa ormai spenta che teneva in mano con fare trionfante, come se si trattasse di un oggetto dal valore inestimabile.
“Con quei soldi mi sono finalmente comprato una vera pipa, sempiterna e indistruttibile!”

Sesshomaru a quelle parole si portò la mano alla tempia, con fare sconsolato: il dubbio sul perché onorasse quei giovani bohèmien, se non addirittura della propria stima, almeno della propria considerazione, era molto forte..e spesso la domanda rimaneva senza soluzione.
Sapeva che sotto l’apparente spensieratezza di quella gioventù d’artisti, c’era qualcosa di molto, molto più profondo: una angosciante sensazione di non appartenenza a quella società marcia e vacua..una sorta di fuga a quel mal du siècle che aveva schiacciato e continuava a schiacciare sotto il proprio tragico peso l’anima degli intellettuali, i quali non riuscivano più a riflettere la propria anima nel mondo esterno ed erano costretti a ricercarla nelle loro stesse creazioni.
Tuttavia a volte l’atroce dubbio quelle menti fossero più vuote e stupide di un feuilleton[6] si faceva sentire con grande vigore.
“Come una pipa?!”
Domanda stupida, dal momento che, ne era certo, avrebbe ottenuto una risposta stupida.
“Certamente! State a sentire il mio ragionamento: io spendo 3 franchi per una pipa di legno; la quale, purtroppo, ha una vita decisamente effimera – di solito non supera i quattro, cinque giorni -. Allora mi sono detto: comprerò con i soldi che ho guadagnato una pipa seria e duratura da 20 franchi! Così, a conti fatti, riuscirò a risparmiare una cifra considerevole. Geniale, vero?!”

Il demone pregò inutilmente, durante tutta quella spiegazione, che un male fulminante lo colpisse sul posto, risparmiandogli la sofferenza di ascoltare quelle assurdità.
Purtroppo per lui la sua salute era perfetta.
“..Indubbiamente.” mormorò estenuato. “E suppongo che al problema di come procurarvi del tabacco sia rimandato al prossimo ragionamento.”
“Naturale!” rispose l’altro “Mica posso pensare a tutto in una solita volta! Credo che continuerò a camminare con la pipa in bocca finché la Provvidenza, santa patrona di noi artisti, non mi farà fortuitamente trovare del tabacco!”
Monsieur De Lisle, non molto famoso per la sua pazienza, dopo tale affermazione, ritenendo di aver sentito ormai la giusta dose quotidiana di stupidaggini, probabilmente per espiare una qualche terribile colpa che doveva aver commesso nella vita precedente – che, giudicare dalla dura prova alla quale era sottoposto, doveva sicuramente avvicinarsi all’eccidio – radunò le sue carte sottobraccio e si alzò dal tavolo.
“Ve ne andate di già stamani?” Chiese tranquillamente Tristan.
“Si. Ho un appuntamento con uno scrittore che mi ha chiesto di pubblicare il suo libro.” rispose meccanicamente il demone.
“E dove?”
“Arriva dalla Normandia. Gli ho detto di attendermi all’uscita della Gare de Lyon.”
“Vi ha già mandato una copia del suo lavoro?”
“Certo. Altrimenti non l’avrei mai preso in considerazione.”
“Allora, che ne pensate? Come scrive? Ha già pubblicato altre opere?”
Sesshomaru maledisse mentalmente quella fastidiosa parlantina: nessuna femmina che aveva conosciuto nella sua lunga esistenza era stata minimamente capace di eguagliare la quantità spropositata di parole che quel ragazzo riusciva a pronunciare in un minuto netto, senza neanche riprendere fiato. Un record assoluto e imbattibile.
“Si chiama Alexandre Blas” Si sforzò di rispondere civilmente “e, a quanto ne so, non ha mai pubblicato niente. Per quanto riguarda la scrittura; se non mi piacesse, le avrei rimandato indietro il manoscritto con un secco rifiuto. Adesso lasciatemi andare, altrimenti farò tardi.”
Monsieur Corbière stette in un lungo silenzio ad osservare alternativamente l’editore che se n’era andato a pagare il proprio conto – cosa che lui si guardava bene dal fare – e il grande orologio di gusto esageratamente barocco che si trovava sull’entrata del locale.
Dopodiché si alzò in piedi e, atteso che Monsieur De Lisle uscisse dal caffè, esordì con aria trionfante.
“Benissimo signore. Visto che la mattinata è ancora lunga, sarò felice di accompagnarvi. Sono proprio curioso di conoscere questo scrittore così talentuoso da essere riuscito a conquistare i vostri gusti assurdamente difficili!”
Sesshomaru rimase per un lungo istante attonito, fissando l’altro con uno sguardo a metà tra il vacuo e il terrorizzato; ma, per fortuna, il suo cervello era troppo ben allenato per lasciarsi sorprendere.
“Scordatevelo.”
Una semplice, elementare parola le cui sillabe vennero scandite con voce leggermente rauca e gutturale.
Tristan, il quale conosceva molto bene quel timbro, decise di non insistere; così, dopo una filosofica alzata di spalle, si avviò con la caratteristica andatura flemmatica in direzione di quello che chiamava “il suo palazzo” – in realtà una soffitta discretamente sporca e malmessa -, non senza aver lanciato al demone, rimasto completamente indifferente, un gioioso sorrisetto.
Non riuscì neanche a svoltare la prima via, che un grido di gioia fece voltare, atterriti, tutti i passanti.
“Divina Provvidenza!” esultava il giovane; chinandosi a terra per raccogliere un qualcosa che il demone non riusciva a decifrare.
“Che vi succede?” sospirò Sesshomaru, estenuato.
“Guardate! Un sacchetto pieno di tabacco fresco fresco..Deve essere caduto di tasca a qualcuno.”
E, senza aggiungere altro, lo sistemò all’interno della pipa e, tutto soddisfatto, riprese il suo cammino lasciando una folta scia di fumo dietro di sé.



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[1] Il quartiere del’aristocrazia.

[2] Lo stampatore.

[3] Storpiatura del titolo del romanzo di Balzac “La Fille aux yeux d'or”

[4] “Non gli piacciono le donne”

[5] Fondatori del Naturalismo francese (del quale sarà maestro Zola). L’estratto qui riportato è la prefazione del romanzo Germinie Lacerteux, considerata il Manifesto di questo movimento letterario.

[6] Termine francese (letteralmente, “piccolo foglio”) coniato nel XIX secolo dal giornalista Julien-Louis Geoffroy per indicare un supplemento giornalistico riservato a tematiche letterarie e passato prima a indicare testi di narrativa pubblicati a puntate su quotidiani o periodici, poi un vero e proprio sottogenere letterario, noto in Italia con la denominazione di romanzo d’appendice.
L’accezione di questa parola è generalmente negativa, in quanto le storie pubblicate avevano un basso valore letterario. Tuttavia va ricordato che molti capolavori della letteratura nacquero proprio come feuilleton (per esempio Madame Bovary, Il Conte di Montecristo, I Miserabili e molti altri).





  
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