Note
della
traduttrice:
Salve a tutti.
Vi presento fanfiction di thefireplanet, postata
sul sito fanfiction.net
(se volete potete trovarla in lingua originale QUI
(https://www.fanfiction.net/s/9870780/1/Songs-of-Ice-and-Snow).
E’ ambientata
una settimana dopo la fine del film. Per chi di voi è
familiare con Tumblr, il
nickname dell’autrice è dreamsalittlebigger, nel
caso vogliate esprimerle
personalmente i vostri commenti. La fanfiction è conclusa.
Buona lettura, rossanasmith.
Capitolo
1.
"La
porto solo a fare
un giretto di prova."
"Beh, perché non posso portarcela anche io? Non
c’è un motivo per cui non
possa!"
"Ti ricordi cos’è successo l’ultima
volta che sei salita sulla mia
slitta?"
"Io—Io—eravamo inseguiti dai lupi, non
l’ho fatta finire contro un albero!
E comunque, non è che non possiamo sostituirla o altro."
"Non—non c’è bisogno che la sostituisci
ogni volta che la rompo—"
"Che stai dicendo? Hai intenzione di romperla un sacco di volte, o cose
del genere?"
"No, sto solo dicendo che so badare a me stesso—"
"Non ho mai detto che non puoi, ma come ti è
persino—"
"Anna."
"Bene. Non ci volevo andare comunque."
"Beh, e dai non—camminare—ok, perfetto, se ne
è andata. Che hai da
guardare? Dacci un taglio, Sven." Kristoff si guarda i piedi di
malumore,
strascicando gli stivali sull’acciottolato del porto. Una
settimana fa, lo
stesso porto era stato racchiuso dal ghiaccio; adesso l’acqua
scintillava sotto
un sole estivo crescente. Guarda le montagne, gli alti picchi impervi
al
calore, e la meravigliosa neve che le incorona. Non vede
l’ora di essere lì.
Sven gli mordicchia la manica. "Non è che non voglio stare
con lei,"
scatta, scuotendo l’amico via di dosso. "E’ che lo
voglio."
E con questo si avvia alle stalle, a prendere puntelli e corda. Doveva
schiarirsi le idee. E la strada più rapida per avere una
mente sgombra era andare
dieci metri più in alto.
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Elsa guarda la sorella attaccare il proprio pranzo, e osserva, gelida,
"C’è qualcosa che non va?"
"No," Anna scatta, a metà tra lo strappare grossi pezzi di
pane coi
denti e il risucchiare la zuppa di piselli posata vicino al suo gomito
sinistro. "Non c’è niente che non va,
perché dovrebbe esserci qualcosa che
non va, è tutto perfetto."
Elsa posa il cucchiaio. Le piace la sensazione del metallo freddo
contro i
polpastrelli nudi. C’è un cameriere accanto alla
porta che dà in cucina—Elsa,
imbarazzata, non riesce a ricordarsi il suo nome, poiché era
parte del gran
numero di persone assunte al palazzo dopo l’apertura dei
cancelli—e osserva
Anna con un misto di orrore e fascino. "Anna," sospira.
"Non mi dire Anna," Anna borbotta, ma, come al solito, la rabbia
ormai si è calmata, consumata in fretta, come un fiammifero
acceso. Posa il
pane, stende una mano sul tavolo—"Non è
stato—" Elsa inizia—e beve un
lungo, lungo sorso del vino color mogano di Elsa.
E lo sputa nella zuppa di piselli.
"—allungato," Elsa conclude, debolmente e ormai tardi.
Anna adesso inizia a strofinarsi il pane sulla lingua; Elsa toglie il
bicchiere
alla sorella e quasi sorride. Le labbra si sollevano agli angoli. Ma
è una cosa
strana, sorridere, e non riesce a farlo ancora bene—non
completamente, almeno;
non ancora. Una settimana, e le cose erano ancora strane,
nuove—sentimenti.
Traballava inesperta come un neonato.
"Come fai a—bere quella roba?"
Elsa dice, secca, "Ingoio."
Anna le lancia un’occhiata fulminante, poi risprofonda nella
sedia. Gli occhi
si spostano veloci lungo il tavolo; è un tavolo lungo,
coperto da una tovaglia
rosso ciliegia, e a capotavola un’unica sedia vuota, e anche
un’altra, accanto
ad essa; e poi, forse a cinque piedi di distanza, eccole appollaiate
lì, due
sorelle; e tutto il resto vuoto. Anna dice, "Solo—Scusa. Ho
litigato con
Kristoff. Prima."
A Elsa piaceva Kristoff infinitamente più di quanto le era
piaciuto—lui. Ma
questo non significava che Anna non si fosse buttata a capofitto; forse
non era
stato progettato un matrimonio, ma non era passato comunque abbastanza
tempo.
"Sono sicura—"
"Voglio dire, non è stato proprio un litigio. Più
me che mi arrabbiavo, e
non lo so, volevo solo passare un po’ di tempo assieme a lui,
ed era come se
stesse scappando via, il che è ridicolo, perché
chi scapperebbe mai via?"
Anna si blocca, fa in fretta un profondo respiro. Elsa sbatte le
palpebre,
senza parole. "Scusa."
Elsa scuote la testa. "No, Anna, non scusarti; Voglio che tu condivida
le
tue cose con me senza problemi," finisce piano, come se avesse paura di
dirlo. "E so che le cose sono state—frenetiche, questa
settimana."
Forse frenetiche non era la parola adatta; più
“impossibili”, sarebbe stata una
descrizione migliore. Elsa aveva dovuto mandare delle scuse ad almeno
quindici
dignitari stranieri, organizzare un incontro in piazza con tutta la
gente del
regno per affrontare il problema della sua maledizione, e scegliere
nuovi
servitori—un compito che aveva affidato ad Anna.
"Ho paura che non sia amore," Anna fa all’improvviso.
"Non—" gli occhi guizzano a capotavola. Le sedie vuote. "Non
ho
proprio grandissime capacità di giudizio quando si tratta di
queste cose."
Ride piano, un po’ prendendosi in giro da sola.
"Vorrei poterti aiutare," Elsa stringe la mano sul tavolo; la pelle
quasi traslucida contro la tovaglia rosso ciliegia, "ma ho paura di non
saperne molto nemmeno io."
"Beh," Anna fa, tirando su col naso, e pulendosi la bocca col dorso
della mano in una maniera non molto principesca, "almeno abbiamo
l’un
l’altra."
Elsa sorride, e da qualche parte dentro di lei, il ghiaccio si rompe un
po’ di
più.
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Anna a malapena registra il fatto che la porta si stia
aprendo—cioè, da qualche
parte nel suo sogno di troll e abiti da sposa, c’è
uno scricchiolio. Poi una
dei troll apre la bocca pietrosa e piena di muschio, e la voce di Olaf
parla:
"Ah—nna, Ah—nna—"
"Olaf," Anna geme, ormai sveglia ma rifiutandosi di aprire gli occhi,
"Pensavo che ne avessimo già parlato." Una brezza gelata, e
sa che la
nuvoletta tempestosa personale di Olaf deve essere da qualche parte
sospesa sul
suo braccio sinistro. Si rintana di più sotto le coperte.
"Il cielo si è svegliato," Olaf dice allegro, "e quindi
anche
io!"
Anna non può fare a meno di ridere a quelle parole,
sorridendo nel cuscino,
l’eco di un ricordo che appare dietro gli occhi chiusi. Ne
apre uno. Le porte a
vetri che danno sul balcone rivelano un cielo che inizia a colorarsi di
viola.
"Non si è svegliato ancora."
"Ma lo sarà presto! Alzati, alzati!"
"Okay, cavolo," Anna sbadiglia, tirandosi su a sedere. Olaf balla
sulle coperte, spargendo fiocchi di neve ovunque. "Andiamo."
Arranca fuori dal letto, sobbalzando quando i piedi toccano il
pavimento freddo
di marmo. Rabbrividisce, e i brividi la fanno star male, da qualche
parte
dentro; era più sensibile al freddo, da quando era successo
quello che era
successo. Avrebbe potuto sotterrarsi in un centinaio di coperte e non
stare mai
al caldo—come se una scheggia le fosse rimasta infilzata nel
cuore, e riusciva
a immaginarla, sempre lì.
Era così che ci si sentiva, ad essere Elsa?
Anna apre le porte della balconata, ed è accolta
dall’aria che piano piano si
fa meno gelida, nella fredda notte estiva. Lontano, sulle cime, riesce
a vedere
i primi raggi di sole. Olaf praticamente danza di gioia accanto a lei.
"Hai mai visto niente di così bello?"
"Beh, anche ieri è stato abbastanza bello," Anna sbadiglia,
appoggiandosi alla balaustra di pietra, "e anche l’altro
ieri; e anche
l’altro-l’altroieri."
"Sì," Olaf sospira sognante. Non arriva al bordo della
balaustra,
tranne che con la punta del naso. Il sole si vede appena. Anna ride.
"Olaf, sei—Olaf!" Si raddrizza di scatto. "Kristoff
sarà
tornato!"
"Sven è partito?"
"Già—devo andare, scusa, è
che—"
"Ma il sole non è nemmeno sorto tutto!"
"Lo so!" Anna urla, fiondandosi nella stanza, infilandosi due scarpe
diverse e mischiando corsetti e gonne. "Ma devo chiedergli scusa!"
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Elsa apre gli occhi, e il sole è color albicocca, e si
accorge di aver dormito
troppo. Si siede, e la lista dei suoi doveri le occupa la
mente—per cominciare,
quella lettera arrivata proprio il giorno prima dalle Isole del Sud,
ancora
sigillata. Sospira.
E poi la porta si spalanca di scatto.
"Elsa!" Anna si affretta dentro. Indossa un berretto pesante rosa,
una gonna gialla, un corpetto celeste, e due scarpette di colore
diverso. Elsa
sbatte le palpebre. "Che stai—"
"Non è ancora tornato," Anna dice. Inizia a marciare ai
piedi del
letto, avanti e indietro. "E’ passata tutta la
notte—praticamente
un’eternità, e non è ancora tonato, la
slitta non c’è più—"
"Chi—Kristoff?"
"Sììì! Pensavo che ormai fosse tornato
e sai che insiste per dormire nelle
stalle con Sven? Beh, lo fa, gli ho detto che poteva dormire nella
stanza degli
ospiti, ma comunque non è questo il—il punto
è che non c’era. Voglio dire, non
so, credi che sia scappato?" Anna si ferma per respirare.
"…no?" Elsa ha voglia di ridere, che probabilmente
è la reazione
sbagliata. "Sono sicura che stia bene, Anna. I venditori di ghiaccio?
Passano settimane da soli tra le montagne."
"Settimane? Troppo tempo." Pausa. Poi: "Quindi credi che non gli
sia successo niente?"
"No," il lato destro della bocca di Elsa si solleva. "Adesso
vatti a cambiare. Sei ridicola."
Anna si guarda velocemente, e spalanca gli occhi, come se si fosse resa
conto
solo allora di come era vestita. "Oh, cielo, sono andata in
giro—oh. Ok,
ci vado subito. Buona idea."
Elsa la guarda andar via, tirando un filo della coperta.
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Anna guarda le montagne lontane, come se potessero dirle qualcosa. La
Vetta
Nord sembra piccola e insignificante da lì. Sopra di lei il
cielo brilla, un
migliaio di stelle che la illumina, e sta congelando.
Non fa particolarmente freddo, e lo sa, ma non riesce a smettere di
tremare,
anche con le braccia allacciate e le dita dei piedi premute assieme.
Nella
stanza dietro di lei scoppietta il fuoco, ma a parte questo il palazzo
è
silenzioso, le luci spente.
Non è che—lo vuole soffocare, né
niente, ma se ne era andato così e lei sentiva
il bisogno di scusarsi. Si fissa le dita, premute ai lati del torace, e
il
volto di Hans guizza tra i suoi ricordi come un’alga. Fa una
smorfia, tirando
fuori la lingua. Più che altro provava vergogna, e imbarazzo.
Più che altro aveva paura accadesse di nuovo.
Più che altro temeva di non sapere cosa fosse
davvero il vero amore.
Sospira, e si rannicchia, e poi sente, "Hai freddo?"
Sì gira, a metà; Elsa è lì,
delineata sulla soglia. Si ricorda dei tempi in cui
condividevano la stanza. Un’infanzia intera, sprecata. Dice,
"No, sto
perfettamente—"
Elsa agita la mano, e un venticello gelato raccoglie una coperta dal
letto
nella sua stretta di ghiaccio, la trascina fuori, e con uno svolazzo la
deposita ordinatamente sulla sua testa. Anna ride. Non riesce a vedere
nient’altro che diamanti che si intrecciano. "Stai
migliorando!" alza
la voce per farsi sentire da sotto la stoffa. "Credi di potermi far
volare
oltre il muro?"
Elsa non risponde. A volte—cioè,
sempre—Anna è convinta che lo scherzo non
faccia parte del suo vocabolario; del resto, Anna scherza solo in
parte. Se
potesse volare oltre il muro, ora, sarebbe capace di trovare Kristoff.
Sente il
rumore dei passi, e poi le braccia di Elsa le si stringono attorno,
insieme
alla coperta.
"Ciao," Anna sorride. Scrolla le spalle e le avvolge nella coperta,
lasciando la testa fuori. Elsa è lì in piedi, con
l’aria un po’ preoccupata e
persa alla luce della luna. Anna le prende la mano. "Ancora alzata?"
"Come te," Elsa controbatte. "Avevo degli affari di cui
occuparmi. La tua scusa qual è?"
"Nessuna. Voglio dire, niente. Nessuna scusa. Non riuscivo a dormire."
"Kristoff sta bene, Anna."
"Lo so! Sto solo—ammirando le stelle!"
Elsa le lancia un’occhiata. Il tipo di occhiata fraterna che
smaschera le sue
bugie. Sorride sfacciata. Poi Elsa fa quello che Anna non voleva
facesse, e
nota la pelle d’oca sulle braccia mentre si aggiusta la
coperta. "Hai
freddo?" sua sorella si acciglia.
"Un pochino. Non è niente. Forse mi sto ammalando, credo."
Non aveva
detto a Elsa di come non riusciva più a riscaldarsi, non
davvero. Sua sorella
non aveva bisogno di un altro peso sulle spalle. Cambia
l’argomento.
"Allora, domani posso aiutarti con qualcosa?"
Elsa stringe le labbra. Dopo un momento, comunque, risponde secca. "Ci
sono alcune cose, sì. Devo chiamare il pittore reale per i
nostri ritratti e
rispondere a un paio di lettere. Forse puoi controllare che le merci
arrivino
nel porto come devono?"
Anna annuisce, sorridendo. "Ma certo."
Si fissano per un minuto. Ad Anna tutto questo piace. Le piace avere
qualcuno a
cui parlare, anche se si stanno sondando piano di nuovo, dopo tutti
questi
anni. Il suo sorriso si fa più largo, e si piega in avanti
per un abbraccio
veloce. La pelle di Elsa non è di ghiaccio—e un
po’ più calda di com’era
prima—ma quasi, e non aiuta la temperatura di Anna. Dice,
"Buonanotte."
Elsa sorride, una cosa piccola, fragile. "Vai a letto."
"Sissignora!" Anna unisce i tacchi, osservando la sorella che se ne
va, e poi si volta di nuovo verso i muri massicci del cortile, e oltre,
i
fiordi. E’ pace. E’ silenzio. Voleva solo dire mi
dispiace, tutto qui. Sospira,
appoggiando la guancia nel palmo con forza. La coperta le scivola dalle
spalle.
I cancelli sono ancora aperti, anche di notte, ora; qualcosa che Elsa
aveva
detto sul farli rimanere così. Ad Anna non importava. Erano
aperti, e sarebbe
potuta andar via, se voleva, e—
Dove sarebbe andata?
"Ugh, Kristoff," Anna sospira, guardando le due guardie appoggiate
ognuna a un lato dei cancelli. Traballano alla luce del braciere.
"Stupido, presuntuoso, non ci posso credere che è—"
C’è un suono di zoccoli. Debole,
all’inizio, e poi che si precipita in avanti,
oltre i due uomini spaventati e nel cortile. Anna rabbrividisce da capo
a
piedi, perché Sven è lì, e molto privo
di Kristoff.
"Lo sapevo!" sibila, alzandosi all’indietro e lanciando la
coperta
sul pavimento della stanza. Si infila gli stivali (appaiati, questa
volta) e il
mantello rosa e si mette anche il cappello per essere sicuri, e se ne
va, di
corsa per i corridoi, senza fermarsi, anche se parecchie delle Guardie
di Notte
gridano al suo passaggio. Scivola nel cortile,
l’abbigliamento invernale
proprio perfetto per l’aria fredda della notte, anche se non
dovrebbe essere
così, anche se avrebbe dovuto sentirsi soffocata—e
c’è Sven,
Sven—"Sven!" urla, inciampa, e riesce appena a mantenersi
sulle sue
corna per non cadere. Sembra preoccupato. "Sven,
dov’è- cos’è—"
Sven muove la bocca.
"Non so parlare il rennese, Sven, solo Kristoff ci riesce."
Sven ripete il movimento, e poi le morde la manica. Lei si solleva e
gli si
siede in groppa.
"Okay, amico, se qualcosa non va—devi portarmi da lui."
Balzano oltre
le guardie ai cancelli. "Dite a mia sorella che sto cercando di trovare
quello stupido del mio fidanzato!" urla loro, ma non sa se
l’hanno sentita
o no, perché ormai erano puntini ai limiti del suo campo
visivo, e lei e Sven si
precipitano alla Vetta Nord.
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"Kristoff?"
Anna si chiede perché bisbiglia; non
c’è bisogno di bisbigliare.
C’è un
silenzio di tomba, e la neve è vecchia, e densa, ma non
può fare a meno di
ricordarsi dei lupi. Sussurra di nuovo, un po’ più
forte, "Kristoff?"
Sven la porta fuori dagli abeti, e alla luce splendente della luna, che
si
riflette sul suolo candido, a sufficienza da farle distinguere
facilmente la
slitta. E’ a posto, non un graffio. C’è
una torcia, mezza spenta e praticamente
un tizzone morente, a terra accanto a essa. Il cuore le batte in modo
orribilmente frenetico. Smonta da Sven, senza grazia, cadendo
violentemente
sulla schiena; la renna si muove in avanti impaziente.
"D’accordo, ok,
arrivo, lasciami solo—" si alza in piedi. Non vuole vedere
cosa è
successo. Lo farà in fretta, come strapparsi un cerotto.
Corre in avanti.
Sven, con una specie di nitrito, le afferra il mantello coi denti e la
strattona all’indietro proprio prima del margine irregolare
di un crepaccio
stretto e profondo che non aveva visto. Corre di nuovo
all’indietro, col cuore
che batte.
"Grazie, Sven," sussurra. Gattona in avanti.
Lo spazio tra il limite vicino a lei e l’altro non
è molto—è davvero stretto,
in realtà, e potrebbe superarlo con un balzo Ci sono dei
segni sull’altro lato,
come se qualcuno l’avesse fatto. Le rocce scure, nere,
tagliano la terra, e lei
spia il margine della roccia; le pareti strette scendono per altri sei
piedi,
forse, e poi non riesce a vedere più. Nero.
"Sven, dove sta?"
La renna sposta la torcia verso di lei, dandole dei colpetti. La
prende,
soffiando sui tizzoni per farla riaccendere un po’. Sfarfalla
smorta tra le sue
mani. LA infila nel crepaccio stretto e urla, "KRISTOFF! SEI
LAGGIU’?"
Battito. Due. Poi, un gemito. "…Anna?"
"Kristoff!" urla, e il suo corpo si rilassa, e si sente sollevata.
"Dove sei? Vengo a prenderti!"
"No, torna indietro, Anna, non puoi farlo da sola—"
"Va bene—ecco, ho trovato la corda." Se la infila in spalla.
"Dove sei? Che stavi facendo, comunque, quanto lontano —"
"Anna, non ci sono sostegni, devi—"
Fa scendere la torcia più a fondo nella crepa, cercando di
vedere al buio, e
coglie un barlume di luce, un mormorio di qualcosa di viola, e si piega
un po’
di più. "Faccio cadere la torcia, è sopra di te?"
"No, ma Anna, solamente—"
La lascia andare. La torcia precipita per circa sei metri, e poi
atterra, con
un sibilo che si fa via via più debole, su qualcosa di
freddo. Illumina
vagamente l’interno di qualunque cosa ci sia sotto, e riesce
a vedere il corpo
disteso di Kristoff. "Perché non stai in piedi? Hai rotto
qualcosa? Ti sei
rotto tu?"
"Anna, ti prego, non voglio che tu—"
"Ecco, faccio un’ancora di neve!" Si volta indietro, e Sven
piega la
testa, ed è grata perché ha qualcosa da fare,
qualcosa che le fa continuare a
scorrere il sangue e le tiene la testa lontana dalle cose. Inizia a
scavare una
piccola curva spostando la neve, infilando un capo della corda sul
mucchietto
che ha fatto. "Che ci facevi laggiù, comunque? Non importa.
Lo sapevo che
qualcosa non andava. Ecco."
Finisce, testa la corda, e poi si lega l’altro capo attorno
alla vita. Si alza,
si stiracchia un poco, e poi barcolla fino al margine della spaccatura
profonda. C’è un altro pezzo di corda nella
slitta, e la afferra. "Okay,
adesso scendo fin dove posso e ti passo la corda, e poi—poi
Sven può tirarci
su, o roba così. Sai, quello che è, decidiamo
quella parte quando ci
arriviamo."
"Anna, si scivola," Kristoff la avverte. "Vai a chiamare un paio
di guardie e basta—"
"No, stai scherzando? Possiamo farcela. Sarà," grugnisce,
sporgendosi
in avanti, "un’esperienza che ci legherà," si
sporge un poco di più,
e poi, col rumore di un cuscino che cade a terra, e l’ancora
di neve cede. Sven
fa un grugnito. Anna non ha nemmeno il tempo di urlare prima di
cominciare a
cadere. Sbatte la testa sull’entrata stretta di qualcosa
prima che si allarghi
e continua a cadere, solo che adesso è sottoterra, e
poi—
"Oof," emette un rantolo, senza respiro, le scintille davanti agli
occhi. E’ stesa su qualcosa di bitorzoluto.
"Credo che tu mi abbia appena spappolato la milza," Kristoff riesce a
dire, ansimando.
"Kristoff!" E poi si accorge di quello che è appena
successo. La
torcia si sta spegnendo, a un metro o poco più di distanza,
i tizzoni che
brillano debolmente, e la luce della luna non basta. Sono in una
caverna, ma è
tutto quello che riesce a distinguere. Kristoff si muove sotto di lei;
sente le
mani poggiarsi sulle sue braccia.
"Beh," Anna dice, "Potrebbe andare un po’ meglio."