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Autore: MartynaQuodScripsiScripsi    29/03/2014    2 recensioni
[I Dalton]
Al penitenziario arriva una giovane detenuta che i Dalton prendono sotto la loro protezione, magari anche perché cercano nuove idee per evadere.
Tra un tentativo di evasione e un altro nascerà una solida amicizia che si trasformerà in qualcosa in più...in mezzo a pazzie di ogni genere per evadere da quel benedetto penitenziario!
Genere: Comico, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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NUOVO ARRIVO

 

Era una normale giornata nel penitenziario, tanto in un penitenziario le giornate sono tutte uguali.
I detenuti spaccavano le pietre come al solito e il basso, infido Joe Dalton cercava di farsi venire un’idea per evadere.
Per lo sforzo di sollevare il piccone e di pensare contemporaneamente era rosso come una mela e bagnato di sudore, e la sua espressione faceva supporre che stesse meditando un omicidio.
I suoi fratelli lo guardavano impietositi.
Ad un tratto Joe smise di picconare e gridò: “Mi è venuta un’idea!”
“Ma no.” borbottò Jack. Era sicuro, come ogni volta, che il piano del fratello si sarebbe rivelato un totale fiasco.
“Oggi non dovrebbe arrivare un nuovo detenuto?” iniziò Joe.
“E allora?” lo interruppe Averell.
Joe si irritò.
“Come, allora? Quando le guardie apriranno la porta, approfitteremo della distrazione di tutti e taglieremo la corda!”
“Ma io voglio conoscere il nuovo detenuto!” protestò Averell.
“Non dire sciocchezze! Preferisci tornare dalla mamma o…”
“MAMMA!” strillò Averell, e si mise a vaneggiare.
Joe lo guardò soddisfatto.
“Perfetto, così non dovrebbe dare problemi” sentenziò.
Jack e William si guardarono dubbiosi.

Finalmente una diligenza si fermò davanti alla porta del penitenziario.
Le due guardie la aprirono, mentre una folla di detenuti si riuniva per osservare il loro nuovo compagno di sventure.
Intanto i fratelli Dalton scivolavano attaccati al muro, cercando di uscire passando inosservati. E ci stavano pure riuscendo.
Ma Averell era agitatissimo e recalcitrante. Voleva vedere il nuovo detenuto a tutti i costi, e a nulla servì che Joe lo minacciasse di morte o gli dicesse che la mamma lo stava aspettando a casa.
“Vuoi fare il bravo una buona volta?! Così ci farai scoprire!” gli urlava sottovoce.
Dovettero trascinarlo di peso fino al portone, ma in quel momento Emett aprì l’entrata della diligenza e fece scendere il nuovo detenuto.
O meglio, la nuova detenuta.
Infatti la colpevole di un qualsivoglia crimine che era appena stato commesso era una ragazza alta, chiara di pelle, dai lunghi e ricci capelli castani e gli occhi color cioccolata, che guardavano intimiditi la moltitudine di detenuti. Volarono dei fischi.
A questo punto Averell perse completamente il cervello e lanciò un’esclamazione che ovviamente attirò l’attenzione di tutti.
“NOOO!” gridò Joe coprendosi gli occhi.
“Ehi! I Dalton stanno evadendo!” esclamò il direttore Peabody.
“Averell, sei un pasticcione!” lo apostrofò William, accigliato.
I quattro Dalton vennero riportati nella loro cella insieme alla ragazza nuova, che aveva lo sguardo basso per la vergogna.
“Forza, fratelli Dalton, entrate!” li esortarono le guardie spingendoli dentro. Poi si girarono verso la ragazza.
“Quella è la tua cella, Nicole” le dissero, indicando la porta accanto. “Se hai delle lamentele, faccelo sapere.”
Nicole entrò. Non che si fosse aspettata una camera da hotel a cinque stelle, ma quando vide dove avrebbe dovuto passare i prossimi otto anni, le cascarono le braccia.
La cella era una stanzetta buia, appena illuminata dalla luce che entrava dalla finestrella con le sbarre. Sulla parete destra, attaccato al muro con delle catene, c’era una sottospecie di materasso verdastro, che sembrava tutt’altro che pulito.
Sul cuscino, poco più che una federa malandata, era piegata la tenuta da galeotto gialla a strisce nere.
Nicole uscì e gridò: “Ehi, vorrei fare una lamentela!”
Pitt ed Emett, che se ne stavano andando, si girarono interdetti.
“Uh? Così presto?”
“Credevo si vedesse subito” replicò Nicole allargando le braccia. “Non c’è la TV.”
Le guardie scoppiarono in una sonora risata.
“La TV non c’è in nessuna cella” spiegò Pitt quando si calmò.
“E allora come si passa il tempo?” domandò Nicole con una smorfia di disappunto.
“Semplice: SI LAVORA!” rispose Emett, e si allontanò sghignazzando, seguito dal suo compare.
Sulle guance pallide di Nicole comparvero due pozzette rosse.
“Accidenti, quei due si meritano una lezione!” esclamò Averell, che aveva seguito la scena dalla finestrella della porta. “Non si ride in faccia alle signore.”
“Di’ un po’, Averell…ma da quando sei un gentiluomo?” fece William, sdraiato sulla branda.
“Non lo so.” ammise il fratello.
Intanto, ignara dello scambio di battute tra i Dalton, Nicole si sedette per terra.
Prese la divisa da galeotto e la guardò meglio. Non fu contenta di constatare che era da uomo, ma la indossò lo stesso, con un sospiro. Non le stava affatto bene.
Si guardò intorno.
“Otto anni buttati per una dimenticanza…” mormorò, improvvisamente triste.
Si sdraiò sulla branda, con il viso verso il muro.
“Che idiota sono…” sussurrò, mentre le lacrime iniziavano a cadere dai suoi occhi color cioccolata.
Rimase a singhiozzare silenziosamente per qualche minuto, poi udì dei colpi battuti sulla parete opposta.
“Che cos…” esclamò, rizzandosi a sedere.
“SIGNORINA! SIGNORINA NICOLE, MI SENTE?” urlò qualcuno nell’altra cella.
“Chi è?!” ribatté Nicole.
“SONO AVERELL, AVERELL DALTON! IO E I MIEI FRATELLI VOLEVAMO DIRLE CHE SE LE SERVE QUALCOSA, PUO’ CHIEDERE A NOI!”
Nicole si chiese come avessero fatto ad aiutarla se erano in un’altra cella e come avessero potuto uscire ed entrare nella sua se le porte erano blindate dall’esterno.
“Beh, grazie! Al momento però non ho bisogno di niente…” rispose, confusa.
Lo sguardo le cadde sulla finestra.
“Anche se un modo per evadere non sarebbe male…” aggiunse.
Dall’altra parte esplose un’altra voce.
“Ehi, avete sentito? Anche lei vuole evadere!”
“Sarà uno dei fratelli di Averell” pensò Nicole.
“Attenzione che arriviamo!” la avvertì la stessa voce di prima.
Nicole sbarrò gli occhi.
“In che senso, attenzione che arriviamo?” pensò.
“Scusi, mi è sfuggito un…” iniziò, ma udì subito un rumore come se una grattugia impazzita stesse grattando la parete.
Fissò il muro con occhi sbarrati, fino a quando un blocco di cemento non cadde e un viso molto poco rassicurante fece capolino dal “buco”.
“Salve, sono Joe Dalton e voglio evadere.” si presentò Joe.
“…Uh…Piacere”  disse Nicole, troppo stupita per dire qualsiasi altra cosa.
Una faccia uguale a quella precedente si piazzò davanti al buco.
“E io sono suo fratello Jack…”
Una terza faccia totalmente identica (Nicole sentì i sudori freddi) disse:
“Io sono il loro fratello William!”
Qualcuno si abbassò, facendo bella mostra di un viso i-den-ti-co a quello dei fratelli, e dichiarò:
“Invece io s…”
“No, no, fammi indovinare: sei Averell! Giusto?” lo interruppe Nicole, piuttosto sorpresa.
“Ma come hai fatto?” esclamò Averell, stupitissimo.
“Forse perché hai detto chi eri prima?” lo rimbeccò Joe.
“Comunque…per tutti gli anni che siamo stati qui, abbiamo tentato di evadere almeno trentaquattro volte alla settimana, e siamo a corto di idee nuove…Siccome anche tu vuoi evadere, che ne diresti di unire le nostre forze e fare gruppo?” le propose.
Nicole tacque. Prima aveva detto di voler evadere così perché le sembrava che non fosse possibile, ma ora che si era ritrovata davanti quattro veterani della fuga le sembrò una cosa precipitosa scappare subito.
Ma poi si disse, che male c’era? Si sarebbe risparmiata otto anni di prigione.
E poi, non era veramente colpevole. Aveva rubato perché non aveva soldi, e non la avrebbero nemmeno scoperta se si fosse ricordata di staccare l’allarme antifurto.
Così accettò.
“Ah ah, perfetto!” strillò Joe e fece per afferrarle la mano quando la porta della cella si aprì.
“Ok fratelli Dalton, la pausa è finita! Tornate a spaccare le pietre!”  esordì Pitt.
I quattro uscirono controvoglia, mentre Emett apriva la cella di Nicole.
“Tu vieni con me” le disse.
Lei lo seguì e uscirono sul piazzale, dove c’erano già gli altri detenuti che spaccavano le pietre.
I Dalton andarono a prendere i loro picconi e si misero a lavorare.
Nicole li stava osservando quando Emett la richiamò all’attenzione.
“E-ehm! Il direttore Peabody ha detto che, siccome sei una femmina, non puoi spaccare le pietre come gli altri.”
“Ma che razza di maschilista! Io ce la farei benissimo!” pensò Nicole irritata.
“Il tuo lavoro sarà perciò di lavare la roba dei detenuti insieme al Sig. Ming Li Fu.”
In quel momento Nicole preferì miliardi di volte spaccare le pietre al sole, morendo di fatica e spezzandosi la schiena.
Lavare la roba dei detenuti! Si immaginò in mezzo ad acqua, detersivo e bolle, mentre sfregava e sciacquava delle mutande maleodoranti assieme a uno sconosciuto. Che poi, che nome era Ming Li Fu. Povero figlio!
Ma non poté protestare perché Emett la portò in una specie di negozietto con un’insegna scritta in ideogrammi.
“Ehi, Ming! Ti ho portato un’aiutante!”
Dal semibuio arrivò trotterellando un cinese tutto sorridente.
“Ah! Tu essele onolevole nuova detenuta?” chiese.
“Ehm…sì…” rispose Nicole, confusa.
“Bene! Molto bene! Tu andale a lavale vestiti laggiù” le ordinò il cinese.
Nicole vide un’immensa catasta di tenute da galeotto lerce, insieme a un paio di vestiti da donna, qualche smoking e divise da guardia.
“…Tanto non starò per molto qui…” mormorò.

La sera, le guardie suonarono il rancio e un branco di bufali imbizzarriti (leggere: i detenuti) corsero verso la mensa.
Nicole fu l’ultima ad arrivare.
Entrata, individuò subito il tavolo dove erano seduti i fratelli Dalton e li raggiunse.
“Ti aspettavamo!” le disse Averell, sorridendo.
In realtà non era vero, ma siccome era loro complice dovevano trattarla bene.
“Hai pensato a un piano?” le chiese Joe.
Nicole si rese conto di non averlo fatto.
Per non fare una figuraccia, improvvisò:
“E se segassimo le sbarre delle finestre e ci calassimo giù?”
“Ci abbiamo provato almeno duecento volte con tutte le varianti possibili e immaginabili e ci hanno sempre scoperto” sospirò Jack.
“Ma potrebbe funzionare” insistette Nicole. “Tentar non nuoce…”
“Vabbè…Supponendo che funzioni, con cosa ci caliamo giù?” intervenne William.
“Non so…Domani potrei provare a prendere un lenzuolo dalla lavanderia e portarlo in cella.” replicò la ragazza.
“Niente male come piano, speriamo solo che funzioni…”disse Joe.
“Ok, siamo d’accordo.”
In quel momento iniziarono a servire la cena e l’argomento fuga fu temporaneamente dimenticato.

  
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