Disclaimer: I personaggi non
mi appartengono
La storia è scritta senza scopo di lucro.
I Swear – I Fear
Quando le prime, frastornanti
avvisaglie di Kicked In The Teeth mordono
e azzannano l’ovattato mormorio dei tranquillanti, Steve capisce che Sam è
appena stato mandato in licenza forzata. Si muove un poco sotto le lenzuola, accartoccia
le coperte tra le dita, geme un verso fiacco, spossato.
«La tua ironia è pessima.» borbotta il Capitano, facendo anche un blando tentativo
di sollevare le palpebre senza che la testa inveisca per la pessima idea
«Preferivo il disco che c’era prima.»
«E’ perché sei vecchio dentro.» lo
canzona una voce dai contorni ancora sfocati -Non che abbia bisogno di vedere,
Steve, giacché solo l’introduzione della canzone, la scelta della canzone sono un biglietto da visita piuttosto chiaro.
«Ho novantacinque anni.»
«E’ per questo che hai dato
spettacolo? Crisi di mezza età?»
Questa volta, il Capitano riesce a
raggranellare abbastanza forze per convincere i muscoli del collo a girarsi:
solleva quindi le sopracciglia in quella che dovrebbe essere un’espressione
ammonitrice, un Porta rispetto ad un tuo
superiore, soldato, ma che è sicuro gli sia uscita più o meno come una
blandula smorfia cadente, dondolante sulla bocca impastata.
«Diamine, smantellare lo S.H.I.E.L.D.
E poi credevo di essere io quello con le manie di grandezza.» uno scrollare
incredulo di spalle da sotto la felpa larga e gibbosa, usata per confondersi
tra la folla «Il massimo che ho fatto è
stato dare il mio indirizzo di casa ad un pazzo terrorista che voleva farmi
fuori.»
E finalmente, Tony Stark si volta e
sorride, un guizzo a metà tra il sollievo e la presa in giro a sghignazzare
dietro le lenti scure, a torcere irridente l’angolo sinistro della bocca. Steve
risponde a quel suo sorriso con un altro un po’ più tiepido, un po’ più stanco,
un po’ più esausto.
Il figlio di Howard, le dita strette
ad una copia smangiata di Vogue,
tende l’indice per indicare un grosso volume appoggiato sul comodino accanto al
letto.
«Ti ho portato un dizionario, invece
dei soliti fiori.» spiega, mentre appoggia la rivista sulle ginocchia ora
accavallate «Così potrai dare un’occhiata alle definizioni di Buon Senso e Compromesso e rinfrescarti la memoria.»
Il Capitano reclina la nuca sul
cuscino e attorciglia la bocca in uno sbuffo tra la risata e un verso contrito,
dolorante alla fitta che le costole gli hanno dato singultando e singhiozzando
contro il petto, spezzandogli il respiro.
«Però ti devo ringraziare: ora la
Hill lavora per me, alle Risorse Umane.» Stark schiocca la lingua contro il
palato, socchiude le palpebre e annuisce, appagato, sul volto lo stesso
compiacimento di un gatto che avesse appena trasformato le tende nel nuovo
capolavoro di Fontana «Deve ammettere che mi dà una certa soddisfazione.»
Steve tace e non smette di sorridere,
in attesa che il figlio di Howard continui con l’arringa: sa che Stark non è
venuto solo per quello, sa che c’è altro, c’è molto dietro lo scherzo e la facezia. Quindi il Capitano attende e
la musica sfuma come sfuma il divertimento nello sguardo ora più serio, più
scuro, più cupo del compagno di squadra, nella piega più amara della bocca,
nella contrazione livida della mascella.
«Vedova Nera mi ha detto del Soldato
d’Inverno.» ed eccolo, il vero motivo, la ragione dell’incognito, dei vestiti
anonimi, del cappuccio alzato «Vuoi andare a cercarlo, dico bene?»
«Sì.»
Non è qualcosa che ha deciso nel
dormiveglia dell’ospedale, un’idea tentacolare strisciata liquida nella mente e
nella coscienza intorpidite a causa dei medicinali, o di qualsiasi altro
intruglio abbiano usato per farlo stare buono. Steve sapeva che sarebbe andato
a cercarlo nel momento esatto in cui ha visto l’oblio gelare lo sguardo di
Bucky, nell’istante preciso in cui quegli occhi incolori lo hanno trafitto più
di una pallottola, straziato il cuore più di un pugno o di una lama conficcata
nel costato.
È un cercare che va oltre il mero ambito geografico. Cercherà –Troverà- Bucky non solo dove si è
nascosto, non soltanto come Soldato d’Inverno: cercherà, troverà, Bucky nel Soldato
d’Inverno, si immergerà nella sua anima e nei suoi ricordi, gli tenderà la
mano, gli afferrerà il polso, lo trascinerà a galla, lo terrà al sicuro fino a
quando ogni incubo si sarà dissipato, ogni grido azzittito, ogni ferita
risanata.
Non esistono repliche di sorta, Steve
non ammetterà altra via, non accetterà un secondo consiglio.
«E’ pericoloso.»
«Lo so.» e il Capitano non chiede a
Stark se si stia riferendo all’amico o all’impresa –Non gli importa, non gli
interessa «Darei la vita, per lui. L’ho promesso.»
«L’hai quasi fatto» replica Tony, il tono reso tagliente da una
preoccupazione che, Steve lo sa, non ammetterà mai, neppure a se stesso. «Ma
non sei tipo da lasciare le cose a metà. E’ questo che temo.»
Steve non può fare a meno di
chiedersi quand’è che si sono scambiati i ruoli e lui è diventato il bambino
capriccioso e il magnate l’adulto responsabile. Non ha il tempo di domandarlo,
tuttavia, Stark s’è già alzato con un gran stridere e protestare della seggiola
in plastica, ha calcato il cappello sulla fronte, spinto gli occhiali sul naso
e sistemato il cappuccio sulla sommità della testa e alla base del collo.
Potrebbe dirgli di non andare, è
vero, di rimanere ancora, ma deve conservare, trattenere ogni briciolo di
energia che crocchiola e borbotta nel sangue fangoso –Bucky lo aspetta.
«Sai, Natasha mi ha chiesto se quello
che mi ha dato fosse il primo bacio dal Quarantacinque» lo mette al corrente, prima
che scompaia, e la sonnolenza lenta s’alza e s’incunea ad appesantirgli le
palpebre, il petto, il respiro «Le ho ricordato che ho novantacinque anni e non
sono morto.»
Al di sotto delle ciglia tremanti, il
Capitano intravede Tony bloccarsi sulla soglia e girarsi verso di lui, una
risata a disegnargli e incidergli due profonde fossette ai lati del naso e
della bocca.
«Parigi, giusto?»
Steve gli regala un breve sospiro
ilare.
«Felice che tu non l’abbia
dimenticato, Stark.».
Note
Finali
MogliaH mi ha chiesto una fan fiction
su The Winter Soldier e chi sono io
per dirle di no?