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Autore: evelyn80    31/03/2014    7 recensioni
Dopo aver espresso il desiderio di poter salvare Boromir dalla sua triste fine, Marian si ritrova catapultata nella Terra di Mezzo grazie ad un gioiello magico che la sua famiglia si tramanda di generazione in generazione. Si unirà così alla Compagnia dell'Anello per poter portare a termine la sua missione. Scoprirà presto, però, che salvare Boromir non è l'unica prova che la attende.
Ispirata in parte al libro ed in parte al film, la mia prima fan fiction sul Signore Degli Anelli.
Genere: Avventura, Comico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Boromir, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La mia Terra di Mezzo'
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Un gioiello molto speciale

 

La mia fantastica avventura ebbe principio in una uggiosa mattinata di inizio autunno.
Ero in auto e stavo andando a fare spese. Procedevo lentamente, perché la pioggia scrosciava furibonda e non vedevo quasi ad un palmo dal naso. Ben presto mi ritrovai a giocherellare, involontariamente, con il ciondolo a forma di stella che avevo al collo, riflettendo ad alta voce. Avevo da poco ripreso – per l’ennesima volta – la lettura del "Signore degli Anelli" e quella mattina, mentre facevo colazione, ero arrivata al capitolo riguardante la morte di Boromir.
"Povero cristo… Non si meritava di morire" dissi tra me e me, con lo sguardo fisso sull’asfalto che mi scorreva davanti. "Non è giusto che, di tutta la Compagnia dell’Anello, sia finito male solo lui! In fondo, ha solo cercato di fare il bene del suo popolo! Aveva il cuore puro e l’anello ha fatto breccia dentro di lui fin troppo facilmente. Eh…" sospirai, sempre tormentando il mio ciondolo. "Boromir, farei qualsiasi cosa pur di poterti far rimanere in vita, e farti tornare sano e salvo a Minas Tirith!"
In quell’istante, la stella che avevo al collo cominciò a brillare, splendendo di una luce calda e scintillante, mentre una voce limpida e profonda di donna risuonò nella mia mente.
"E così sarà!" disse, quasi assordandomi.
Per un attimo, il mio campo visivo fu completamente offuscato da un forte bagliore. D’istinto pigiai con forza il pedale del freno, ma l’asfalto scivoloso mi tradì e la mia auto cominciò a sbandare inesorabilmente verso il guardrail. Chiusi gli occhi, rimanendo in attesa dell’inevitabile botto, che però non ci fu. In compenso, tutto sembrò cambiare intorno a me.
Per prima cosa, non ero più comodamente seduta sul sedile sfondato della mia vecchia macchina, ma piuttosto a cavalcioni di qualcosa di caldo e vivo. Sentivo l’aria fresca sul viso ed udivo il rumore di un fiume che scorreva poco distante. Aprii lentamente gli occhi e mi ritrovai in groppa ad un cavallo color grigio argento, fermo in mezzo ad una strada lastricata di pietre, fiancheggiata da alberi secolari, che scendeva verso il corso d’acqua.
Sbattei le palpebre più volte, arrivando perfino a strofinarmi con forza gli occhi, visto che la visione non cambiava, ma niente da fare! Continuavo a rimanere in sella ad un cavallo, su un sentiero in mezzo al bosco.
A quel punto osservai i miei vestiti e, con stupore, mi accorsi che i jeans avevano lasciato il posto ad un paio di pantaloni di pelle scamosciata marrone e che, al posto di camicetta e cardigan, indossavo uno stretto corpetto con sopra una casacca, anch’essi in pelle come i pantaloni. Completava il tutto un lungo mantello di lana con cappuccio, color verde scuro, stretto al collo da una fibbia argentata. Invece delle mie solite scarpe da ginnastica, avevo ai piedi un paio di stivaletti di cuoio morbido che mi arrivavano a metà polpaccio.
Sempre più incredula mi guardai intorno. A quanto pareva ero circondata esclusivamente da alberi, mentre la strada su cui mi trovavo proseguiva oltre il guado, risalendo l’altra sponda del fiume per poi curvare verso sinistra. Il cielo era limpido e azzurro, con solo qualche nuvoletta bianca sparsa qua e la.
"Non ho idea di dove sono, ma almeno non piove" commentai ad alta voce, per poi aggiungere subito dopo, "ma che fine ha fatto la mia macchina?"
In quel mentre, il cavallo cui ero in groppa voltò la testa verso di me e nitrì debolmente. Lo guardai attentamente e, mentre lo facevo, i miei occhi si sgranarono: quella bestia era esattamente dello stesso colore della mia auto!
"Fre-Freccia? Freccia d’Argento?" mormorai, pronunciando il nomignolo con cui di solito la chiamavo affettuosamente. Per tutta risposta il cavallo mosse la testa in segno affermativo.
"Oh porca miseria! Mi vorresti dire che tu sei… sei la mia macchina?!" esclamai, alzando un poco il tono di voce. L’animale affermò nuovamente.
"E capisci quello che dico?!" gridai, ormai quasi in preda ad una crisi isterica. Per la terza volta il cavallo fece di sì con la testa.
"Oddio, sto per sentirmi male…” sussurrai, posandomi una mano sulla fronte, come a temere la fuga del mio cervello confuso. “Allora, ricapitoliamo il discorso: sono in sella ad un cavallo che capisce la mia lingua e sostiene di essere la mia auto. Mi trovo in una strada nel bosco che non so né da dove arrivi né dove porti e, soprattutto, sono sola come un cane! E ora che faccio?" mi chiesi, sgomenta.
Freccia d’Argento indicò con la testa il fiume e la strada dall’altra parte.
"Tu dici che dobbiamo andare avanti?" le chiesi, dubbiosa, e lei fece di nuovo di sì. "Ah bè, andiamo avanti allora…" conclusi, ormai completamente smarrita, tremando leggermente per la paura. Senza aver bisogno di spronarla, la mia giumenta si avviò lentamente lungo il sentiero.
La distanza che mi separava dal fiume era minima ed, a cavallo, la superai in pochi passi. L’acqua al guado era bassa, arrivava a mala pena ai garretti di Freccia, che in un attimo risalì sull’altra sponda. Ma, non appena fatta la svolta verso sinistra, fummo costrette a fermarci di nuovo perché un cavaliere, alto e con lunghi capelli biondi che gli spiovevano sulle spalle, ci intimò l’alt.
"Chi sei? E cosa fai su questa strada?" mi chiese, con voce profonda, scrutandomi con i suoi occhi penetranti.
"Buongiorno… Mi chiamo Marian e… credo di essermi persa…" risposi, titubante. A prima vista non mi parve ostile ma, ovviamente, non sapevo se potevo fidarmi oppure no.
Il cavaliere mi squadrò attentamente, dalla testa ai piedi, ed io ne approfittai per studiarlo a mia volta. Il suo viso era  talmente pallido ed etereo da apparire quasi luminoso. Aveva mani lunghe ed affusolate, nelle quali stringeva un lungo arco. Sulle spalle portava una faretra, piena di frecce dalle piume bianche. Indossava abiti color grigio verde, che sembravano quasi cambiare colore ad ogni movimento. Le orecchie che spuntavano dai capelli color dell’oro erano indubbiamente a punta.
"Il mio nome è Glorfindel" disse, non appena ebbe finito di scrutarmi, "e sono una delle guardie a sorveglianza della strada di accesso ad Imladris. Sento che il tuo cuore è puro e che non stai mentendo, e che la tua casa è molto distante da qui, anche se non so da dove provieni e come hai fatto ad arrivare da noi. Seguimi! Ti porterò al cospetto di Sire Elrond Mezzelfo, e forse lui potrà aiutarti a ritrovare la strada di casa!" e, senza aspettare oltre, fece voltare il suo cavallo, tornando nella direzione da dove era venuto, senza nemmeno accertarsi del fatto che lo stessi veramente seguendo.
Rimasi per un attimo inchiodata, incapace di fare qualsiasi movimento mentre Freccia, senza bisogno di alcun ordine da parte mia, si rimetteva in marcia dietro al cavallo di Glorfindel. Ciò mi fece ritrovare la favella.
"Aspetta… aspetta un attimo!” mormorai. “Glorfindel?… Imladris?… Elrond?… Mi vuoi dire che… che tu sei veramente un Elfo?! E che io mi trovo veramente a Gran Burrone?!"
Il mio accompagnatore si voltò a guardarmi, lievemente stupito.
"Sì, è così! Hai appena oltrepassato il guado del Bruinen – che voi Uomini chiamate Rombirivo – e questa strada conduce all’Ultima Casa Accogliente!"
"Ma… ma non è possibile! Questi posti non esistono! O meglio, esistono solo dentro ad un libro!" esclamai, incapace di contenermi. Glorfindel mi fissò con il suo sguardo glaciale mentre mi rispondeva, lapidario.
"Forse anche la terra da cui tu provieni esiste solo in un libro. Quello che posso assicurarti è che tutto ciò che vedi esiste, ed è reale” e, con quelle parole, tornò a guardare davanti a sé, senza degnarmi di ulteriori sguardi o spiegazioni. Continuai a cavalcare al suo fianco, troppo stupita ed intenta a guardarmi intorno per parlare o fare altre domande: Imladris… Gran Burrone! Ma, allora, quella voce che avevo sentito appena prima di sbandare… Aveva esaudito il mio desiderio? Mi trovavo nella Terra di Mezzo per avere l’opportunità che avevo chiesto, quella di salvare Boromir? Era un’assurdità, ma tutto sembrava combaciare alla perfezione: Glorfindel rispondeva perfettamente alla descrizione che Tolkien ne aveva fatto nel suo libro e, non appena arrivammo in vista della casa di Elrond, mi resi conto che corrispondeva esattamente a quella ricostruita nel film, con le sue terrazze e le sue cascate. Una strana gioia mi pervase ed, all’istante, smisi di avere paura.
Una volta giunti nel vasto cortile dell’Ultima Casa Accogliente molti altri Elfi ci vennero incontro: alcuni cantavano dolci melodie, altri invece si limitarono a fissarmi con curiosità. Dopo pochi istanti un Elfo alto, con lunghi capelli neri ed un sottile cerchietto d’argento sulla fronte, vestito di sontuosi abiti, uscì dalla porta principale. Capii immediatamente di chi si trattava: Elrond.
Glorfindel scese da cavallo ed io lo imitai, rischiando di finire con il sedere per terra quando il piede mi rimase incastrato nella staffa. Il Mezzelfo sembrò non avvedersene: scambiò alcune parole in alto elfico con la sua guardia che, evidentemente, lo informò sulle circostanze in cui mi aveva trovato, poiché mi disse, con voce profonda ma gentile:
"Benvenuta ad Imladris, Dama Marian. Glorfindel mi ha riferito che vi siete smarrita al guado. Riposatevi un poco, rifocillatevi, e poi parleremo."
Fece un cenno in direzione di un gruppo di fanciulle elfiche che danzavano in un angolo e quelle vennero verso di me. Ridendo e cantando, mi sospinsero verso una delle tante camere che si affacciavano sulle cascate. Mi fecero spogliare ed in quattro e quattr’otto approntarono un bel bagno caldo. All’inizio mi vergognai da morire, poiché io avevo ben poco della loro leggiadra bellezza, ma presto mi resi conto che nelle loro risa non c’era alcuna malizia, ma solo una gioia infinita. Con un lungo sospiro mi godetti il bagno profumato, entrando subito nello spirito di Gran Burrone. Ripensai alle prime parole di Elrond: "Dama Marian". Nessuno mi aveva mai chiamato così prima di allora, ed era una sensazione molto piacevole.
Dopo quelle che mi parvero ore le fanciulle ritornarono, portando asciugamani ed abiti freschi di bucato. Dopo essermi asciugata mi fecero indossare un lungo vestito color del cielo che – strano a dirsi, visto che non ero proprio longilinea – mi calzava a pennello. Poi, sempre ridendo, cantando e danzando, mi accompagnarono al cospetto di Elrond Mezzelfo.
Questi era seduto in quella che riconobbi essere, dalle descrizioni accurate del Professor Tolkien, la "Stanza del Fuoco": un'enorme sala, dal soffitto sorretto da eleganti colonne tornite, illuminata soltanto dal grosso focolare. Accanto a lui sedeva una fanciulla che non poteva essere altri che sua figlia, Arwen Undòmiel.
Non appena misi piede nella sala il mio ciondolo prese a brillare nuovamente, diventando persino più caldo. Il gioiello al collo dell’Elfa – la "Stella del Vespro" – fece altrettanto, come se i due monili si fossero in qualche modo riconosciuti.
Non riuscii a trattenere un grido di sorpresa, ed anche Arwen si lasciò sfuggire un’esclamazione di meraviglia, portandosi le mani al collo. Elrond balzò in piedi dallo stupore, guardando prima la figlia e poi me. Mi venne incontro quasi di corsa, fissando la mia collana.
"Ma ciò è impossibile…" mormorò, con la sua voce grave, non appena riuscì a distinguere qualcosa nel bagliore che la mia stella continuava ad emanare. "Questo gioiello… Dove l’avete preso?"
Arrossii involontariamente, come sempre mi succedeva quando qualcuno mi faceva una domanda accusatoria a bruciapelo, anche se io ero innocente.
"Bè... veramente… io ce l’ho sempre avuto…” balbettai. “Era di mia mamma, e di mia nonna prima di lei, e così via… E’ un gioiello di famiglia!"
L’Elfo continuò a fissare il ciondolo, mormorando nella sua lingua. Poi mi prese per mano e mi fece avvicinare alla sua poltrona. Arwen continuava a fissarmi, meravigliata. Non appena si fu accomodato di nuovo, il sovrano di Gran Burrone riprese a parlare nella lingua corrente.
"Il monile che porti al collo è noto agli Elfi come la "Stella di Fëanor", simbolo della sua casa” mi spiegò. “Egli fu il creatore dei Silmarilli, i gioielli più splendidi di tutta Valinor.”
Annuii: ne avevo letto nel Silmarillion, quella che consideravo l’opera somma di Tolkien. Dopo una brevissima pausa, l’Elfo riprese.
“Si narra nelle leggende che Fëanor creò, con l’ultimo dei Silmaril, un gioiello a forma di stella, che donò a sua moglie. La collana si è tramandata per molti secoli da padre in figlio, fino a quando se ne sono perse le tracce.”
Si interruppe di nuovo, fissando intensamente la mia collana, che continuava ancora a brillare di luce propria. Trasse un lungo sospiro e riattaccò.
“Questo succedeva millenni fa, e fino ad oggi gli Elfi hanno creduto che si trattasse solo di una leggenda. A quanto pare non è così… Quello che portate al collo, mia cara, è l’ultimo dei Silmaril, il gioiello più potente di tutta la Terra di Mezzo!" concluse, appoggiandosi allo schienale del suo scranno.
Ascoltai le parole di Elrond con crescente stupore. Quando ebbe finito non potei trattenermi dal domandare:
"Come fate ad essere sicuro che questo sia proprio il ciondolo che pensate? L’avete detto voi stesso che nessuno l’ha mai visto."
"Solo in presenza della "Stella di Fëanor" la "Stella del Vespro" avrebbe potuto reagire in questo modo!" mi rispose l’Elfo, indicando il ciondolo al collo della figlia. "Il vostro gioiello emana un potere molto forte ed il monile di mia figlia lo ha riconosciuto."
Abbassai gli occhi e strinsi la stella nella mano destra, smorzandone un poco la luce: prima mi ero ritrovata a Gran Burrone, ed ora venivo a conoscenza che la mia famiglia possedeva, da sempre, un preziosissimo manufatto elfico. Cominciai a sospettare di essere veramente andata a sbattere contro il guardrail, con la macchina, e di aver perso i sensi.
"Dev’essere un sogno… Sì, è così, solo un sogno…” mormorai tra me e me, con gli occhi rivolti a terra. “Tra poco mi sveglierò e mi ritroverò in un letto d’ospedale con un bel bernoccolo in testa!"
Ma il ciondolo continuava a brillare ed a bruciare nella mia mano tanto che, alla fine, fui costretta a lasciarlo andare. Ero ancora immersa nei miei pensieri quando Elrond ricominciò a parlare.
"I nostri sono tempi oscuri, e la ricomparsa della "Stella di Fëanor" è di sicuro motivo di speranza. L’Unico è di nuovo in viaggio, anche se Mithrandir non è ancora arrivato" disse tra sé e sé, riflettendo ad alta voce, per poi alzare di nuovo lo sguardo su di me.
"Voi, Dama Marian, venite da molto lontano, e non credo che questa sia una casualità. Sono certo che voi siate stata mandata qui per un motivo ben preciso, anche se forse non ne siete a conoscenza. Mithrandir, il Grigio Pellegrino, saprà di sicuro illuminarci su di voi, non appena giungerà ad Imladris!"
Tornai con la mente al desiderio che avevo espresso e, pur se ancora sconvolta ed incredula, mi sentii rispondere:
"Credo anch’io, Sire Elrond, di non essere giunta qui per caso. Ho espresso un desiderio che, a quanto pare, è stato esaudito, ed ora ho una missione da compiere. Una missione che riguarda anche l’Unico Anello!"
Elrond mi fissò intensamente.
"Voi siete a conoscenza dell’Unico?" mi chiese, inarcando le sottili sopracciglia nere.
"Sì, ed anche di molte altre cose che però, al momento, non posso rivelare. Se, come dite, il gioiello che porto è veramente la "Stella di Fëanor" e se, con essa, potrò essere d’aiuto, sappiate che non mi tirerò indietro."
Mentre parlavo, non potei fare a meno di stupirmi di me stessa: forse era l’atmosfera magica di cui quel luogo era saturo, ma ero veramente convinta di ciò che stavo dicendo. Avrei dovuto morire di paura, ed invece il mio cuore era pieno di pace.
"Sono lieto di sentirvelo dire" mi rispose Elrond, lo sguardo serio, come se per lui fosse una cosa perfettamente normale il fatto che una donna sconosciuta, piombata come un fulmine a ciel sereno ad Imladris, fosse a conoscenza dell’Anello di Sauron.
"Comunque la mia missione rimane al primo posto nei miei pensieri!" ribadii.
"Posso chiedervi di cosa si tratta?"
"Purtroppo temo di non potervi rispondere.” Se gli avessi parlato di Boromir e di quello che gli sarebbe successo, lo avrei sicuramente sconvolto. Senza contare il fatto che avrei dovuto dare troppe spiegazioni al riguardo. Per un istante me lo immaginai a scappare via dalla Stanza del Fuoco, tenendo la lunga veste sollevata da terra come una dama del settecento, lanciando grida isteriche. Trattenni a stento una risatina, prima di riprendere a parlare. Mi era improvvisamente balzata in testa una cosa fondamentale.
“Devo però chiedervi un grande favore: per quello che mi attende, avrò bisogno di conoscere l’arte della scherma, di cui purtroppo sono completamente all’oscuro. Da dove provengo, le spade non sono più utilizzate come armi."
"Avrete la migliore insegnante che posso concedervi: mia figlia!" concluse Elrond indicando, con un gesto del braccio, Arwen che, fino a quel momento, era rimasta seduta in silenzio a fissarmi con curiosità ed interesse. A quel punto ella si alzò e, con mia grande sorpresa, mi prese le mani tra le sue.
"Sarò lieta di insegnarvi ad usare la spada, Dama Marian, ed anche l’arco, se lo desiderate! Grande gioia ha portato nel mio cuore la vista della "Stella di Fëanor"!" mi disse, seria.
"Vi ringrazio, Dama Arwen, ma credo che la spada sarà più che sufficiente! Però, vi prego, chiamatemi solo Marian, e datemi del tu. Mi sento in imbarazzo con tutti questi salamelecchi" aggiunsi. All’inizio era stato piacevole, ma stavo cominciando a stufarmi di tutte quelle smancerie elfiche.
Lei rise. "Ed allora tu chiamami solo Arwen, e smetti di usare il voi!"
Risposi al suo sorriso ed Elrond mi invitò a sedere con loro, in attesa della cena.
Era il trenta di settembre, e quello fu il mio arrivo a Gran Burrone.



Spazio autrice:
Salve a tutti! Dopo aver letto e riletto innumerevoli volte la mia prima storia, ho deciso finalmente di metterla in revisione. Credo (e spero) di essere migliorata con la pratica, e quindi penso che questa storia, che è comunque la mia preferita, si meriti un restyling.
Voglio innanzi tutto ringraziare chi ha letto, commentato e messo tra le seguite, ricordate e preferite la vecchia versione della storia. Se vorrete rileggerla e farmi sapere se la trovate migliorata mi farete un enorme piacere!
Spero, inoltre, di avere anche nuovi lettori, e di conoscere nuovi pareri ed opinioni sulla mia prima long fic sul Signore degli Anelli, rivista e corretta!
Ho spostato tutte le vecchie recensioni sul primo capitolo, perché non volevo di certo cancellarle. Mentre andrò avanti a ripostare la storia le rimetterò ognuna al proprio posto. L'immagine di copertina rappresenta, ovviamente, la Stella di Fëanor.
Bacioni!
Evelyn
  
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