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Autore: crazy_k    01/04/2014    2 recensioni
Vorrei dire tante cose.
Vorrei che tu sapessi quello che ricordo di te, Charlee. Vorrei poterti raccontare ciò che mi è rimasto di noi due insieme, ciò che mi hai insegnato e tutto il bene e tutto il male che mi hai dato.
Vorrei ringraziarti.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Lettera ad un Amore Perduto









Cara Charlee,


Penso spesso a noi.
Ancora adesso, in primavera, alzo lo sguardo e mi perdo un attimo a fissare il cielo, contando quante scie d‘aereo lo attraversano.
Il cielo è sempre dello stesso colore, più scuro o più chiaro non importa. Il cielo non cambia e nemmeno le stagioni. Gli anni sono tutti uguali; un eterno scorrere di tempo, un susseguirsi di mattonelle lungo il sentiero dell’esistenza. Siamo noi che invecchiamo.
Nasciamo, cresciamo e poi ce ne andiamo, senza un perché e senza nemmeno un volere. Non siamo noi a deciderlo, ci limitiamo a subirlo.
Sono vecchia Charlee e a volte ho paura di morire. Non voglio pensare di potermene andare e lasciare che il mio ricordo svanisca dal mondo. Vorrei essere un ricordo che non svanisce. Vorrei essere uno di quei ricordi che permangono fra le piaghe della memoria, come te. 
Non voglio andarmene e lasciar andar via il tuo ricordo insieme al mio.

Vorrei dirti tante cose. Vorrei sapessi quello che ricordo di te, Charlee. Vorrei poterti raccontare ciò che mi è rimasto di noi due insieme, ciò che mi hai insegnato, e tutto il bene, e tutto il male che mi hai dato.
Vorrei ringraziarti, Charlee.

Fosti il mio primo amore e mi salvasti dal baratro di depressione nel quale mi trovavo.
Da timida ed insicura adolescente qual’ero ti osservavo da lontano. Guardandoti di sfuggita, arrossivo quando incontravo i tuoi occhi. Distoglievo lo sguardo per poi tornare a fissarti pochi secondi dopo, spaventata e bramosa di quel contatto.
Ti vedevo così lontana da me eppure così simile, così bella e così triste. Sembravi tanto fragile eppure non ti spezzavi mai. Eri rinchiusa dentro i muri della tua stessa mente così com’ero io. Mi sentivo calamitata verso te con ogni parte del mio corpo.

Eravamo come farfalle le prime volte. Sfioravamo il tempo assieme, timide ci cercavamo e ci allontanavamo, danzavamo sbattendo incerte le ali e ad ogni ballo eravamo più vicine. Ed era tutto talmente dolce, percorrere l’una accanto all’altra lo stesso volo, e doloroso, non riuscire mai a incontrarci. Mai… Fino a un certo punto.

Quando me lo dissi io già lo sapevo.

- Sono stata stuprata.
- ... Davvero?


Quella è stata la prima volta, il momento.
Non sono stata capace di dire nulla di più... Confortante? Empatico? Umano? Ma a conti fatti, cosa c'è di più umano di ciò che ho detto? L’incredulità, lo stupore, il prendere le distanze da qualcosa che non si è sicuri di saper gestire, non ci identificano come uomini? Animali sociali, secondo Aristotele… O semplicemente egoisti. 
Tuttavia, non si trattava di niente del genere. Non per me. Ero solo molto sorpresa: sorpresa dal fatto che un'altra persona, l'ennesima, me lo stesse confidando. Sorpresa e tanto felice perché finalmente ti eri aperta con me e tutto d‘un tratto ti ho sentita talmente vicina che mi è parso di esser diventata ognuna un‘ala della stessa farfalla.

Cosa ci vedessero in me le ragazze della città per sentirsi così a loro agio nel mettere a nudo una parte così intima del loro passato non l’ho mai capito. Forse era perché venivo dal entroterra, perché ero figlia di allevatori, una sempliciotta che badava alle pecore e non partecipava alle feste dov‘era richiesto l‘abito lungo. Forse perché parlavo poco, o perché avevo l’aria della ragazza timida e riservata. Forse perché ero il tipo di persona che preferiva starsene in disparte, quel tipo di persona che potrebbe conoscere il segreto dell’eterna giovinezza e potrebbe voler raccontarlo a qualcuno… Ma non avrebbe nessuno a cui dirlo.
Non lo facevo per sembrare alternativa, non volevo sembrare interessante. La pura e semplice verità era che non me ne importava, così come non importava a te. Avevo questo atteggiamento apatico nei confronti della vita che spaventava i miei genitori e probabilmente, mi piaceva circondarmi di persone con gravi complessi interiori per provare su di me il loro riflesso.

- ... Anche tu?

Mi ricordo il tuo sguardo spiazzato. Non sarà stata la reazione che ti aspettavi.
Ti ho delusa? Avrei dovuto correre ad abbracciarti e lasciarti piangere sulla mia spalla?
Non avresti pianto e non ti saresti lasciata avvicinare. Lo sapevamo entrambe e rimanemmo sedute l'una accanto all'altra, fissando l‘orizzonte arido. Sette metri di steccato in legno sul quale eravamo appollaiate correvano a separarci e, davvero, quella volta mi sembrarono meno di sette centimetri.
Era stata una mia idea. Avevo pensato che se fossimo rimaste fisicamente lontane sarebbe stato più facile fare quel gioco... Perchè per noi di questo si trattava: un gioco. Cos’altro potevano fare insieme la figlia del direttore di una famosa catena alberghiera di lusso e la ragazza dell'entroterra che vendeva la lana del allevamento di famiglia se non giocare? 
La verità era che per quanto appartenenti a due stili di vita diversi, eravamo simili. Rifiutavamo la realtà delle cose che ci accadevano intorno. Giocando, creavamo una sorta di mondo parallelo, entrando in una sorta di limbo all’interno del quale tutto era bianco, tutto era come volevamo noi ed eravamo noi a decidere come colorare le pareti del nostro posto speciale, senza dover rendere conto a niente e nessuno.
Volevamo che fosse così. Doveva esserlo perché era così che noi lo pretendevamo. Ci piaceva avere quel nostro luogo isolato dove rintanarci e non dover rendere conto alla realtà perché pure in un grande continente come l‘Australia puoi sentirti claustrofobico.
Questo è quello che volevamo. Insieme. Noi.
Quello che volevo io era dimenticarmi della solitudine.
Rimanere sola era troppo triste per me, troppo spaventoso. Volevo disperatamente avere qualcuno che mi camminasse affianco e magari mi tenesse per mano.
I primi tempi dopo che mi lasciasti pensai di aver fatto l’errore madornale di scambiare questa paura per bisogno d’amore.
Charlee ricordi quando mi dissi: non siamo altro che due amiche a cui piace baciarsi. Mi tolsi il fiato dal male.
Mi rinfacciasti di non aver fatto altro che alzare gli occhi, decidere che in fin dei conti non eri brutta, nemmeno stupida, che avrebbe potuto essere la tua mano a prendere la mia e i tuoi piedi a copiare i miei passi. Non è mai stato così.
Quello che volevi tu era più un bisogno che una volontà.
Avevi bisogno di riconquistare la fiducia negli uomini, bisogno di qualcuno che ti stesse accanto e di cui non avessi paura. Volevi una donna che ti proteggesse e crescesse insieme a te, una confidente, un‘amica, un‘amante forse, in seguito.
Questo sicuramente fummo l’una per l’altra; un appiglio, rocce in mezzo alla tempesta di due menti spezzate, due corpi violati e due cuori di adolescenti che avevano già vissuto emozioni adulte.
Questo fummo e molto altro.

Non ricordo quando smise di essere un gioco per me, Charlee, né quando il gioco iniziò. Ricordo però quando mutò. Sottilmente, divenne un gioco diverso, nuovo, più intimo e segreto.
Charlee, io giocavo con sguardi languidi e parole sussurrate, con sfioramenti casuali e respiri spezzati, con brividi repressi e voglie sopite che mi lasciavano in bocca un sapore dolceamaro, umido tra le gambe e nel cuore la paura di vederti scappare via, lontana dalla distesa di terra rossa dietro la fattoria dove ti nascondevi venendomi a trovare.
Divenne il grottesco gioco alla seduzione di due bambine che maturavano i propri sentimenti sotto i tramonti dell'emisfero australe.

Credo fosse amore il nostro, Charlee. Ma era un amore che si nutriva di rabbia, paura e dolore. Era questo che ci teneva unite.
Avrei voluto essere forte, per te.
Credevo in te. Credevo in noi. Credevo di avere la possibilità di essere amata come desideravo, di poter colmare quell'immenso vuoto che avevo nel petto, di tornare a sentire sulla pelle il caldo e il freddo e nel cuore qualcosa che non fosse un sentimento muto. E avrei voluto che anche tu lo credessi.
Mi avvicinai a te con reticenza e timore e un disperato desiderio di condivisione. Tu mi osservasti, mi parlasti, mi conoscesti, mi volesti, mi raccolsi e presi al tuo fianco. Ti apristi e mi aprii e fummo rose selvatiche all’inizio che a vicenda si recisero le spine, lasciando due scheletri d’anima che si vollero bene.

Questo è quello che mi è rimasto di te, Charlee; la primavera dei miei amori. Rimangono i ricordi della solitudine spazzata via dalla nostra amicizia, della paura soffocata dai nostri baci, della fiducia ritrovata nelle prime, timide carezze sulla pelle nuda, della rabbia scivolata via insieme alle lacrime, del dolore di una depressione, una violenza, rimpiazzato da quello più malinconico del tuo abbandono.
Rimane il nostro inizio e la nostra fine, tutto ciò che stava nel mezzo non è stato altro se non l’evolversi di uno e il preludio dell’altra.

Adesso come allora, come sempre è stato da quando preferisti gli uomini a me, con sempre rinnovato vigore, a distanza di anni, mi manchi. Mi manchi tu e quello che avevamo e che ancora non so definire.
E’ dunque senza rimpianti né vergogna, da donna che per tutta la sua vita ha amato le donne, da vecchia signora che ancora guarda il cielo e pensa a quando si faceva a gara con te nel contare quelle code bianche d’aereo che lo attraversavano che scrivo in questa lettera: ti ho amata.
Ti amo.
Morirò amandoti.

Per sempre tua,
Alicia.









The End



















Ave popolo di EFP!

Vi lascio questa perla della letteratura italiana! … Seh, magari!
Vi lascio l’ultimo parto delle mia mente malata. Fatemi sapere cosa ne pensate tenendo sempre a mente che le recensioni sono il pane quotidiano per uno scrittore e NON creano dipendenza!
Vi ringrazio tutti per aver letto!

A presto!
   
 
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