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Autore: Maki_chan    03/04/2014    3 recensioni
Kojiro mosse un braccio per portarlo sotto la testa; Genzo trovava che ci fosse qualcosa di estremamente erotico in quel guizzare di muscoli, visibilissimo sotto la pelle abbronzata. Stanco, la testa posata sul petto di Kojiro, cullato dal respiro regolare e dal battito forte, si lasciò andare ai ricordi che il profumo di erba dall'esterno gli suscitava. L'altro lo lasciò semplicemente fare, senza dir niente.
Genere: Erotico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Genzo Wakabayashi/Benji, Kojiro Hyuga/Mark
Note: Lime, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Violator - Track #06 - Enjoy the Silence

All I ever wanted
All I ever needed
Is here in my arms
[Depeche Mode - Enjoy the Silence]



C’era un’atmosfera morbida e confortevole, in quella notte di luna piena. Il silenzio, pieno di rumori provenienti dal bosco vicino alla ryokan, invadeva la stanza passando attraverso le finestre aperte. Dei grilli cantavano lontano, mentre il vento muoveva le cime degli alberi. Restarono ad osservare lo spettacolo della luna piena che sorgeva in silenzio. Silenzio. Il silenzio caratterizzava la loro relazione fin dagli inizi, una costante; frasi non pronunciate, parole non dette. Sguardi che accarezzavano e parlavano senza bisogno di altro. Suggerivano, urlavano. Le parole le usavano per coloro che stavano, per dirla come loro, “al di fuori”, per prendersi in giro l'un l'altro, litigare, stuzzicarsi seguendo un copione ben preciso, scritto quando ancora non sapevano assolutamente niente l'uno dell'altro. Quando ciò che conoscevano l'uno dell'altro erano solo facciate.

Kojiro mosse un braccio per portarlo sotto la testa; Genzo trovava che ci fosse qualcosa di estremamente erotico in quel guizzare di muscoli, visibilissimo sotto la pelle abbronzata.
Stanco, dopo l’amore, la testa posata sul petto di Kojiro, cullato dal respiro regolare e dal battito forte, si lasciò andare ai ricordi che il profumo di erba dall’esterno gli suscitava. L’altro lo lasciò semplicemente fare, senza dir niente.

Quando aveva avuto undici anni, in lui non aveva visto altro che uno sbruffone borioso malvestito: quell'apparire all'improvviso nel loro campo, quel maledetto gol a tradimento, quando non poteva - e men che meno voleva - rivelare che la caviglia gli faceva un male del diavolo, l'imporre violento la propria persona, tutto questo glielo aveva reso a dir poco odioso.
"Esisto, che tu lo voglia o no. Ci sono e non potrai ignorarmi" urlava ogni fibra di Hyuga, ogni sua espressione, ogni suo gesto.
Non era l'unico a detestarlo per questo: quasi tutti vedevano solo quel lato poco ortodosso che mostrava al mondo; si fermavano in superficie e non sapevano niente di niente di lui, se non che giocava per vincere. Il rispetto come giocatore gli veniva concesso solo dopo aver militato nella stessa squadra, perché giocarci contro significava essere ripassati in un tritacarne, mentre giocarci insieme significava vedere la tecnica dietro la forza bruta, avere dalla propria una potenza pressoché inarrestabile e un desiderio di rivalsa che facevano scintille e portavano gol. Ma se si escludeva questo, nessuno - a parte pochi eletti - sapeva niente di lui, dei suoi sogni, della famiglia o, più semplicemente, di come fosse fuori da un campo da calcio; così, nei pensieri dei compagni della Nazionale restava un ragazzino, se non proprio violento, di sicuro antipatico. Reticente e di poche parole, si scopriva solo con Wakashimazu e Sawada, e solo perché lo conoscevano da anni.

Genzo aveva visto, sul campo, un suo coetaneo che si dannava anima e corpo per raggiungere un risultato, anche a costo di sfiancarsi; qualcuno che non perdeva mai le speranze e che, anzi, sfruttava il loro vacillare per trovare nuova rabbia, nuova energia. Per crollare solo una volta giunti alla meta, come nella partita contro la Furano di Matsuyama. Forza contro strategia. Uno contro undici, supportato solo alla fine da una squadra che dipendeva troppo da lui. Un'altra cosa che lo colpì prepotentemente fu la scoperta che i muscoli di Kojiro non fossero il risultato di una cieca ricerca di forza bruta, ma di un lavoro che gli portava via buona parte del suo tempo e che lo escludeva dal mondo dei suoi compagni di classe. La fantasia era rimasta colpita da quel ragazzino sbruffone e silenzioso, lontano anni luce dal suo mondo dorato.
Ciò nonostante, una volta partiti per la Germania, accantonare quella figura fu estremamente facile. Lo fu un po' meno anni dopo, sia perché avevano quindici anni, sia perché Hyuga aveva perso parte della sua antipatia - diventando quasi civile, miracolo! -, e aveva messo su un fisico da far paura. La sua pelle aveva sempre quella sorta di perenne abbronzatura, i capelli lasciati crescere troppo e le mani dalle dita lunghe che avevano il vizio di sconvolgerseli ancora di più, i succitati muscoli guizzanti subito sotto la pelle, quasi non ci fosse un'oncia di carne extra su quelle ossa. E stava diventando sempre più alto e slanciato. Genzo, negli spogliatoi, si accorse di non riuscire a staccargli gli occhi di dosso, se non con estrema fatica e solo sotto la minaccia che il Segreto venisse alla luce, svelato dal proprio corpo, dai propri sguardi famelici su quell'ampia schiena. Provava il desiderio di baciarlo, morderlo e toccarlo. Vederlo nudo o quasi lo faceva scappare sotto la doccia - gelida, ovviamente - per minimizzare i danni.

Va detto che il fastidio che Genzo provava da bambino nei confronti di Hyuga era ricambiato al cento per cento: per Kojiro era solo un'odiosa, odiosissima creatura. Uno che si credeva superiore solo per i suoi soldi e perché aveva a sua disposizione un allenatore personale, battendo tutti solo per questo stupido motivo. Scoprire che gli aveva fatto gol solo perché infortunato gli faceva rodere il fegato. Idiota! Lui non doveva lavorare per mantenere la famiglia, anzi! E, cosa peggiore, in Germania aveva avuto la possibilità di migliorare ancora di più, d'assaggiare e far suo un gioco di livello mondiale.
Andava da sé, quindi, che per lui rapportarsi a Genzo fosse solo una fonte di perenne frustrazione, un vedere tutte le possibilità che gli altri avevano e che a lui erano sempre state negate, per un motivo o per un altro.
Invidia bruciante e rabbia gelida per gli sguardi che si ritrovava addosso e che, per la maggior parte del tempo, gridavano di far caso a come fosse un rozzo straccione bifolco. Chissà che brutta fine avrebbe fatto uno così. E non sapevano niente di lui, non erano neanche interessati.
L'unica cosa che lo rincuorava era che, se l'avevano scelto per la Toho e per la Nazionale, era sicuramente bravo e chissà! forse avrebbe avuto un futuro nel calcio, futuro che non sembrava più uno stupido sogno nato per uscire da un presente senza scampo. La frustrazione veniva un po' lenita da questi pensieri, mentre – per la prima volta da che si ricordava – dormiva solo con un'altra persona nella stanza. Chissà com'è felice, la mamma, ora che sono qui e ho la borsa di studio per la Toho... La mano ad accarezzare la foto di famiglia messa sotto il cuscino.Poi tornare a casa e trovarsi regolarmente secondi. Avere la vittoria sulla punta delle dita e vedersela sfuggire, sentirsi perseguitati da qualche divinità bastarda, crescere e continuare a sentirsi frustrato e pateticamente diverso. Continuare a nascondersi allontanando gli altri, mostrando solo il lato peggiore di sé e tenendosi stretti solo quelli con cui era amico da una vita. Nascondersi, sì, ma soprattutto evitare di guardare gli altri nello spogliatoio, dato che le reazioni del suo corpo erano nette e precise. A tredici, quattordici anni si sentiva regolarmente beffato dalla vita e si chiedeva se alla sfiga ci sarebbe mai stata fine.

La risposta gli arrivò a quindici anni: se la fortuna lo evitava come la peste, la sfortuna gli voleva tanto, tantissimo bene; non si spiegava altrimenti l'essersi ritrovato come compagno di squadra gay proprio Wakabayashi. Ed essersene accorti solo a causa del sentirsi osservato e aver intercettato, in uno specchio, uno sguardo decisamente puntato sulla propria schiena. Se non più giù. Un brivido lungo la spina dorsale. Doveva anche essere più alto e più forte?! Pochi centimetri in più, ma svariati chili di puri muscoli li dividevano, rendendo Hyuga quasi delicato al confronto.
Eppure quegli sguardi d'apprezzamento lo facevano sentire stranamente bene, accettato, accarezzato e desiderato come non gli era mai successo prima. Si scoprì a guardare l'altro, più alto, più grosso e muscoloso di lui; si scoprì intento a pianificare la seduzione - o la cosa più simile ad essa che conosceva - del portiere. Lo farò soffrire, lo stronzo. Ma, come al solito, non aveva fatto i conti con il fato.

Nel momento in cui i movimenti di Kojiro si fecero più scoperti, diabolicamente e sottilmente erotici, quasi stesse mettendo in mostra i propri muscoli e la propria energia, Genzo ebbe dei fortissimi dubbi sulla sessualità del buzzurro, e si chiese se per caso non fosse anche lui dell'altra sponda. Cercava il contatto visivo e lo scherno, il punzecchiarsi costante. Negli spogliatoi se lo vide evidenziare, con un semplice gesto che non sapeva neppure cogliere o definire, la struttura più leggera delle spalle, del collo; l'asciugamano che pareva sempre pericolosamente sul punto di scivolare via. Genzo si ritrovò ad osservarlo con interesse sempre maggiore, sia negli spogliatoi, sia in campo, dove sembrava sprigionare forza pura, canalizzata solo in parte. Un gioco quasi violento e sempre sul limite mai superato del peggiore dei falli. Si trovò a pensare che c'erano, in quello stronzetto, mai esplorate ed infinite possibilità di crescita, talento sprecato ed energia da vendere che poteva – doveva! – essere usata meglio. Lo vedeva quasi volare sul campo, rapido come una scheggia e con il pallone sempre attaccato ai piedi. Le gambe lunghe e muscolose, come schivava gli avversari troppo grossi rispetto a lui, il modo di caricare uno dei suoi micidiali tiri. Perdeva sempre il filo dei suoi pensieri nel guardarlo, riconcentrandosi solo quando doveva tuffarsi per parare una delle sue cannonate.

Kojiro sghignazzava alle spalle del portiere, sentendone lo sguardo sempre più spesso, ora anche sul campo, anche nelle partite; vederlo attratto dal proprio corpo gli dava una sensazione di potere ed euforia, quasi d'appagamento. E Genzo si diede dell'idiota, quando vide il sorriso di scherno riflesso sullo specchio: lo vide, e seppe d'essere precipitato a piè pari nella trappola; vide che erano rimasti soli e vide le sue labbra piegarsi in un sorriso di auto compiacimento da gatto che gioca col topo. Fregato! Beccato! Messo in trappola da... da... da Hyuga! Che stronzo! E come sono stato idiota!
Sentì il rossore che dal collo gli saliva fino alle guance e sperò che l'altro non dicesse niente, accontentandosi di quella vittoria. “Siamo in imbarazzo, Wakabayashi? Presi con le mani nel sacco, eh? Devi forse dirmi qualcosa?” il ghigno di scherno che lo contraddistingueva bello stampato in faccia. Ed in quel momento, anche se non ne era cosciente, Genzo capì perfettamente come si sentiva Kojiro quando lo sfottevano per come si vestiva o per tutte le cose che non aveva. Un nodo allo stomaco che si traduceva in una rabbia cieca e accecante, fuoco liquido nelle vene. Quello sguardo, quel sorriso, quel tono furono come un pugno nello stomaco.
Senza neppure esserne consapevole, si alzò dalla panca su cui era seduto e in un niente fu sull'altro, schiacciandolo al muro.

Kojiro lo vide perdere la pazienza, lo vide alzarsi e non si mosse di un millimetro, pur sapendo che gli si stava precipitando addosso; si sentì schiacciare contro il muro e sentì le mani stringersi sui polsi, strappandogli un sospiro di dolore e un guizzo di vittoria nello sguardo. Seppe anche con chiarezza quale sarebbe stata la mossa successiva, sentendo il respiro rabbioso dell'altro, vedendone gli occhi scuri fissi nei suoi e l'espressione di furore: le labbra socchiuse si tesero in un sorriso, mentre chiudeva i millimetri che ancora c'erano fra di loro. La seconda cosa che seppe, fu che uno dei polsi veniva lasciato andare e che una mano forte lo afferrava per i capelli e lo costringeva a tenere la testa all'indietro, strappandogli un gemito di dolore e fastidio, subito soffocato dalla bocca del compagno che, quasi con violenza, si impadronì della sua. Si scoprì eccitato come mai prima di allora, il cuore a mille, il sangue che gli rimbombava nelle orecchie e l'eccitazione dell'altro premuta contro la sua, i corpi divisi solo dai boxer, la mano libera a spaziare sulla schiena del portiere. Non avrebbe mai immaginato che il suo primo bacio potesse essere così intenso, la situazione così totalizzante. Poco dopo, però, la stretta di Genzo si fece troppo forte, troppo violenta, il dolore superava decisamente il piacere: gli sembrava quasi che migliaia di aghi gli si conficcassero nella nuca, che il polso gli stesse per andare in frantumi. Cercò di allontanarlo da sé, di fargli capire che non andava bene, ma non servì a nulla; in preda a qualcosa di pericolosamente vicino al panico, gli artigliò la schiena.

Genzo sentì delle unghie aguzze graffiargli il dorso e il dolore gli schiarì la mente da quello strano mix di rabbia ed eccitazione che la annebbiava. Si accorse di star stringendo troppo il polso di Hyuga e che gli stava quasi strappando i capelli; si staccò spaventato e sentì uscire dalle labbra di questi un gemito di dolore e frustrazione. Lo vide scivolare lungo il muro fino a sedersi, massaggiandosi il polso dolorante. “Ancora un po' e lo rompevi – il tono stizzito – ma sei scemo?!”
Per un istante gli mancarono le parole, non sapeva cosa dire. “Scusa. Non so cosa mi è preso. Non volevo farti male. Non volevo neppure ba-” “ZITTO! Non dirlo neppure per scherzo!” il fastidio e la rabbia trasparivano da quella semplice frase. Rimasero a guardarsi silenziosi. “Ti resterà il segno sul polso.” “Se vuoi ti do un pugno per giustificare. Oppure potrei dire la verità – un sorriso ferino si dipinse sul viso di Kojiro – 'Wakabayashi mi ha preso, sbattuto contro un muro e mi ha fatto capire quanto gli piacciono gli uomini'. Che ne dici?”
“Che non lo faresti mai. Parlo dell'ultima parte. Sarai anche uno stronzo, ma non credo che riveleresti qualcosa.” gli risposte Genzo, voltandogli le spalle. Gli occhi di Kojiro si spalancarono alla vista della schiena dell'altro. “Wakabayashi? Hai sangue sulla schiena.”
“COSA?!” un urlo e il ragazzo si controllò in uno specchio “Oh, merda...”
Una decina di minuti dopo, un Mikami preoccupato di non vederli ritornare si affacciò alla porta degli spogliatoi, trovandoli con delle espressioni imbarazzatissime e seduti su una panca, Hyuga con il polso fasciato intento a passare del disinfettante sulla schiena di Genzo. La spiegazione che questi diede fu quanto meno ridicola e confusa, sicuramente una menzogna colossale. L'allenatore preferì non indagare ulteriormente, visto che comunque i due non si stavano più scannando e parevano aver riposto le armi. Si era perso tutto, tranne la solita maschera di scuse sbilenche e silenzi.

I due giorni successivi furono un intreccio di assenza di bagarre e di sfuggire di sguardi, al punto che se in una stanza c'era l'uno, l'altro magicamente spariva. La squadra si spaventò, tanto erano abituati al continuo battibeccare fra i due. Per non parlare poi dei gemiti che sfuggivano al portiere quando gli si dava una pacca sulle spalle, e della fasciatura sul polso del capo cannoniere. Ma il peggio, il peggio era avere il sospetto, il dubbio insinuante che quei due arrossissero, se capitava che i loro sguardi si incrociassero. Di sicuro apparivano delle espressioni imbarazzate e colpevoli. No, non era decisamente una situazione di ordinaria amministrazione.

Kojiro era prossimo all'esplosione: quei baci avevano risvegliato definitivamente i suoi ormoni; se distoglieva lo sguardo e lo evitava, era solo e soltanto per non afferrarlo e sbatterselo lì seduta stante, e fare così il coming-out più spettacolare e clamoroso della storia. Se solo fossero stati di nuovo soli...
Anche Genzo era imbarazzato, soprattutto perché non aveva mai avuto idea di quanto gli piacesse quello che, nella sua mente, continuava a chiamare straccione borioso. Peggio ancora! I suoi sogni stavano diventando ogni giorno più espliciti e spinti, al punto che negli spogliatoi doveva farsi violenza per non prendere Hyuga e scoparselo in una delle docce. Però, non sarebbe una cattiva idea...

Una settimana dopo i graffi sulla schiena quasi non si vedevano più mentre il livido sul polso aveva quasi smesso di fare male. Pareva quasi che le cose fossero tornate normali. Gli altri, però, non si sentivano così tranquilli e temevano che la tempesta sarebbe scoppiata a breve. Avevano ragione, ma si sbagliavano sul genere di tempesta che si sarebbe abbattuta. Genzo, infatti, era stufo di aspettare e decise che questa volta l'iniziativa sarebbe stata sua; non sapeva bene come fare, ma voleva riavvicinarsi a Kojiro, baciarlo di nuovo e, chissà, magari fare anche qualcos'altro, come toccarlo per bene e sentire se il sapore della pelle corrispondeva al suo profumo e magari non usare violenza, cosicché, se mai le cose fossero andate bene e ci fosse stata una prossima volta, l'altro non si sarebbe rifiutato. Lo raggiunse dunque nel parco in cui si allenava di solito, rimanendo fermo ad osservare quelle gambe muscolose e lo scatto per tirare, i muscoli tesi, il respiro e il sudore che scivolava lungo la tempia. Stanco, Kojiro si sedette a terra, poi si voltò verso Genzo; lo vide accanto a un albero, la mano sul tronco e lo sguardo fisso su di lui. Lo vide avvicinarsi e sederglisi accanto.
Era tutto... strano: non sapevano cosa dire o fare, restavano immobili a guardarsi, poi Hyuga decise di mandare a fanculo ogni remora o imbarazzo e seguire l'istinto, e l'istinto gli diceva di mettergli le mani addosso, e non per fargli del male. O non solo del male, ecco...
Tese il braccio verso il portiere e, messagli una mano sulla nuca, lo attirò a sé. Dio, fallo restare!
Sentì una mano scivolargli fra i capelli e le labbra sulle sue.
E dopo poco si sentirono come due perfetti idioti, a starsene così appiccicati senza fare niente, visto com'era stato il bacio negli spogliatoi. Ed una mano scivolò lungo una schiena, mentre un'altra si avventurava sul collo dell'altro. E poi decisero che, forse, era meglio riprovare come la prima volta: le labbra si socchiusero, si avventurarono, baciarono e diedero lievi morsi e lasciarono le mani libere di muoversi e spaziare. Quando si separarono erano accaldati e con gli occhi brillanti, si sentivano quasi come ubriachi, col sangue che pulsava come un tamburo nelle loro vene. E poi i loro ormoni da quindicenni presero il controllo, e divennero un groviglio di braccia e gambe, e dita che toccavano, sentivano, graffiavano e labbra che baciavano ovunque. Kojiro si trovò disteso con l'erba che gli pungeva la schiena nuda, Genzo su di lui e paia di mani infilate nei pantaloni di entrambi per toccare quanta più pelle possibile, per tenere i bacini attaccati. Gli baciava il viso, il collo come se non ci fosse un domani, lievi morsi sulla clavicola e gemiti soffocati di piacere e passione. Il portiere sussultò appena quando una mano non troppo timida si avventurò oltre e lo accarezzò come solo lui stesso in privato aveva fatto, poi il pensiero di dove erano lo fece entrare in panico e la fermò. Kojiro, che aveva smesso da un pezzo di pensare e lasciava che fossero l'istinto e il desiderio a muoverlo, si ritrovò bloccato e riportato con uno scossone alla realtà circostante, gli occhi di Genzo fissi nei suoi.
"Forse è meglio non... approfondire in un parco pubblico, Hyuga." Questi, realizzando dove aveva la mano, si sentì il viso in fiamme e la ritrasse di scatto.
"Oh cazzo, fammi rivestire..." disse, volgendogli le spalle di corsa e cercando la maglietta, finita chissà come appallottolata lì accanto, l'eccitazione completamente svanita. E poi sentì una mano infilarsi nei capelli.
"Erba."
"Oh."
E stare in silenzio, senza sapere di preciso che fare, con un vento leggero che scuoteva le foglie.
Genzo si arrovellava di nuovo per sapere cosa dire o cosa fare, dato che si trovava catapultato in una situazione nuovissima. Si schiarì la gola e fece per dire qualcosa, ma vedere Kojiro che distoglieva lo sguardo dal cielo e lo puntava su di lui lo bloccò.
"C'è qualcosa da dire?"
Wakabayashi si sentì preso in contropiede, e rispose solo dopo qualche secondo.
"No, forse no."

Non era una storia d'amore.
Era una storia fatta di alchimie irresistibili, di momenti rubati negli spogliatoi, mentre continuavano a punzecchiarsi in ogni occasione. Una storia senza né capo, né coda, destinata a interrompersi o a continuare all'infinito, chissà.
E se il campionato a Parigi finì con loro che si bloccavano nel parco pubblico, quello successivo vide realizzarsi i loro peggiori timori: venire scoperti.
Hyuga se l'era sempre sentito di non essere particolarmente fortunato, ma Wakabayashi era certo che la buona sorte lo baciasse e l'adorasse.
Ma forse si era stufata di favorirlo negli spogliatoi, nei corridoi vuoti e un po' dove capitava.
Era andato tutto benissimo.
Avevano vinto la partita ed erano tornati euforici.
Dal primo all'ultimo.
E nell'ascensore dell'albergo Genzo si era lasciato trascinare dall'euforia di cui sopra, bloccando Kojiro contro la parete, baciandolo come aspettava da ore di fare, tenendogli quei polsi che non capiva perché, ma gli piacevano da impazzire, bloccando tutte le sue proteste, anche se erano legittimissime.
Ma l'attaccante lo sapeva. Anzi, per l'esattezza, Sapeva.
Se lo sentiva sotto la pelle, nel sangue, in parallelo all'intossicazione che gli causava il portiere. Lui era la tigre, e non solo per il carattere che si ritrovava e per la delicatezza nello sterminare l'avversario, ma anche perché era una belva. Non sapeva concepire una vita senza l'istinto, e questi gli diceva di stare attento e che non era il caso di fare quello che stavano facendo in ascensore. Non era il caso di lasciarsi bloccare alla parete in quella posizione così vulnerabile.
"Genzo, non qui, non è il caso!" e nella sua voce si percepiva fastidio misto a piacere.
"Ma dai, è così alternativo!" la voce roca ed elettrizzante, con un pizzico di ironia.
"Alternativo un cazzo, lo fanno tutti!" e il fastidio che si faceva più forte, soprattutto per il succitato pizzico d'ironia.
"Oh, e dai... solo un bacio..."
"Genzo, non vale baciarmi così... e... mmhhh... – le parole soffocate da un bacio – lasciami le mani."
"Scordatelo!"
"Genzo entra qualcuno, ne sono cer-" Come sempre, l'istinto di Kojiro ne sapeva una più della sicurezza di Genzo.
Quel giorno fu uno dei più importanti della loro vita, marcando l'inizio di quella che poteva a ben vedere essere definita una vera e propria relazione.
Perché, se Hyuga dovette ingoiare il più amaro dei bocconi, venendo trovato spiaccicato e vulnerabile contro una parete, Wakabayashi disse la più abominevole delle cose: per pararsi le spalle davanti a tutti affermò che era solo in astinenza da donne e aveva preso il primo che ci stava. Kojiro si sentì invadere da una furia cieca, un velo rosso davanti agli occhi e il desiderio di farlo a pezzi a mani nude, motivo per cui lo sollevò di peso, gli mollò un cazzotto nello stomaco e una ginocchiata epica nei testicoli[i].
Una volta ripresosi dal dolore atroce e lancinante, il portiere si rese conto che forse aveva esagerato con le parole, e che non avrebbe mai dovuto paragonare l'amante a una donna o a una scelta di ripiego. Non era corretto, non lo era, così quando riuscì a camminare in grazia di Dio - e quando ritenne che la tigre aveva avuto abbastanza tempo per rilassarsi - si recò nella sua stanza, cercando d'ammansirlo prima con calma e scuse varie ed eventuali, poi perdendo a poco a poco la tranquillità.
Perché si rese conto che Kojiro voleva dire qualcosa, per lui. Non era solo qualcuno con cui appartarsi, al quale aveva dato il suo primo bacio o con cui aveva fatto l'amore la prima volta[ii]. Era una droga della quale non sapeva e non voleva fare a meno. Quando l'altro, preso per sfinimento, lo fece entrare in camera per non perdere ulteriormente la faccia davanti alla squadra, Genzo rimase senza parole perché vide il ghiaccio in quegli occhi di solito così ardenti. Kojiro gli intimò gelidamente di smetterla di dire stronzate e tutto quello che gli uscì di bocca fu uno "Scusami..." sussurrato. Gli volse le spalle e fece per andarsene, poi cambiò idea, come se corresse il rischio di perdere tutto, si girò nuovamente e fissò lo sguardo sull'ampia schiena, la prima cosa che l'aveva attirato. Lo vide guardare fuori, la posa tesa e nervosa. Con un sospiro lo abbracciò, sussurrandogli nuovamente le sue scuse e a poco a poco lo sentì rilassarsi fra le sue braccia. Ed in quel momento le alchimie cambiarono e diventò qualcosa di diverso, qualcosa di simile all'amore, qualcosa come un riconoscimento del bisogno di stare insieme. Hyuga non si voltò, gli sfiorò solo le braccia mentre percepiva che Genzo iniziava a risentire della vicinanza del suo corpo, così appoggiò la testa sulla spalla, sussurrandogli all'orecchio che avrebbe scontato ogni parola, ogni gesto. Avrebbe scontato gli sfottò che avrebbero ricevuto dal resto della squadra e la tortura che avrebbe subito per mano di Mikami e Gamo.
Subito dopo aver finito, morse il lobo dell'orecchio, facendo gemere lievemente Genzo, e si voltò.
Allontanò l'amante e lo spinse sul letto.
"Spogliati."
Il portiere lo guardava dal basso, intimorito dalla luce feroce che vedeva risplendere negli suoi occhi. Un sorriso ferino piegava le labbra, quasi di scherno, mentre si toglieva la maglia con un gesto fluido e si sedeva accanto a lui.
"Stavolta tocca a me guidare il gioco, e vediamo se tu sarai calmo, sicuro e rilassato..."


# Fine #

 


 

 


[i] Lo stesso episodio viene raccontato in Violator Track #04 Halo

[ii] Violator Track #03 Personal Jesus.

  
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