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Autore: imperfectjosie    03/04/2014    3 recensioni
"Speravo che fossi andato in riabilitazione."
"Quella costa, sai che non posso permettermela, comunque sono ancora vivo. Non ti sento dal funerale di mamma, perché hai chiamato?"
"Non stare sulla difensiva con me, Willy."
Lo conosceva bene. Stranamente non lo avrebbe mai detto. Si ritrovò a ghignare compiaciuto.
"Scusami."
"Non fa niente, caro. Ti chiamo per darti una notizia importante, non ti servono dei soldi per rimettere in piedi la tua vita."
"Disse la donna che vive a Bel Air." la rimbeccò, sarcastico. Vivian sospirò.

|Willy/Ashley|
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: OOC | Avvertimenti: Incest
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Fandom: Willy, il principe di Bel Air
Pairing: Willy/Ashley
Rating: Arancione
Warning: Incest
Note: Willy è stato cacciato fuori di casa dallo zio Phil, silenziosamente preoccupato del fatto che tra lui ed Ashley potesse nascere qualcosa. Ora è a Philadelphia, sommerso dai cristalli di metanfetamine e il degrado più totale. Una Ashley intraprendente e testarda, un Willy ironico e malconcio e poi, tanto sentimento.


 

Il Principe straziato.



Willy non aveva mai avuto aspettative importanti per la sua vita. Buttato tra le strade di Philadelphia, circondato da droga e degrado, non aveva mai pensato che la sua esistenza potesse cambiare così drasticamente, non se lo sarebbe di certo mai aspettato. Viveva alla giornata, sicuro che quella roba bianca in vena lo avrebbe distrutto prima o poi, proprio come fece con Jazz. Aveva tentato di dimenticare quella sera, quando spaccò lo stipite della porta d'ingresso di quel maledetto appartamento ai margini della già isolata periferia. Non lo aveva sentito per tutto il giorno, e iniziava ad accusare segni di una più che evidente crisi d'astinenza, così si era sentito obbligato a prendere due autobus, solo per alleviare i brividi. Ma Jazz non andò mai ad aprire. Riverso su un fianco, con la testa quasi incollata al pavimento dal vomito, le labbra ormai blu e la pelle fredda come il ghiaccio. Per Willy era stato un colpo troppo forte. Si era intascato comunque la roba, lasciando per correttezza i soldi sul piccolo tavolino di legno distrutto, dove poco lontano giaceva il corpo del suo migliore amico. E poi pianse. Semplicemente sì ricordò di quando il fratello acquisito lo aveva rassicurato sul fatto che avrebbe potuto tranquillamente smettere in ogni momento. Ma non sarebbe mai successo, e questo Willy lo sapeva. C'era dentro anche lui, e capiva perfettamente che sarebbe rimasto solo un delirio momentaneo. Nessuno smette. Tossico una volta, tossico per sempre.
In quel posto dimenticato da Dio, dove per sopravvivere non bastava avere una famiglia, i ragazzi della sua età si trascinavano per strada come zombie, tra alcool ed eroina. E la roba costava, troppo per le loro misere tasche, così, anche quando nella borsetta di mamma non c'erano più spiccioli, si ricorreva ai ripari. E la meth inizio a circolare come pane. Più economica, decisamente più facile da reperire, ma devastante almeno il doppio. Una dose bastava per giorni, e l'euforia durava ore. Si ricordò di quando, insieme a Jazz, passarono ore sulla panchina del parco abbandonato, dietro casa, in preda alle allucinazioni. Paranoia, paura. Rigetto per qualsiasi forma di sanità mentale. Ma Willy ne aveva bisogno. Ormai aveva 26 anni ed erano finite le giornate nella lussuosa casa degli zii, dove bastava un chiamo a Goeffry per sistemare ogni cosa. I suoi sedici anni vennero salvati da sua madre. Ma dopo qualche anno, zio Phil decise di sbarazzarsi di lui. Troppo rumore, troppi problemi, i suoi figli dovevano stare tranquilli, dovevano crescere, laurearsi, mettere su famiglia, tutte cose che l'uomo sapeva non sarebbero potute toccare a Willy. Così corse ai ripari, e lo rispedì da Viola. Zia Vivian non era d'accordo, ma non faceva differenza, era lui il vero padrone di casa. Ogni tanto gli mancavano pure i suoi cugini. Si chiedeva se Carlton fosse finalmente riuscito nell'abbordaggio di qualche ragazza, gli aveva insegnato tutti i trucchi del mestiere. Hilary magari aveva già una bambina, che avrebbe certamente viziato come sua madre fece con lei anni prima. E Ashley. La piccola Ash. Lei era stata la prima a credere in lui e ad accettarlo come membro stabile di quella famiglia così diversa. Così lontana. Si disse che ormai non aveva importanza.
Viola era mancata l'anno scorso, ma lui non si presentò al funerale. Non andò ne a quello di Jazz, ne a quello di sua madre e onestamente poco gli fregava di ciò che avevano da spettegolare gli altri. Così viveva nella stessa casa della sua infanzia. Un po' più malandata, più distrutta, ma rispecchiava perfettamente il suo stato d'animo. Il letto non possedeva neppure una coperta e i cristalli di meth sul comodino, sembravano assorbire la poca luce fioca che le minuscole finestre regalavano all'interno. Steso sul letto, con un braccio a coprire gli occhi, Willy aveva paura. Di certo l'overdose sarebbe stata una certezza del suo futuro, se non si fosse disintossicato, ma apparentemente l'unico vero rumore fastidioso nel suo cervello, era il telefono che squillava nel cucinino. Si alzò controvoglia, urtando la cassapanca che sua madre usava per l'enorme set da cucito.
<< Pronto? >>
<< Willy? >>
La voce non sembrava sconosciuta, ma comunque rimase sulla difensiva, era una questione d'abitudine. In un quartiere dove chiunque appena ti giri te lo mette nel culo, era difficile dare fiducia.
<< Sì, è il mio nome. Chi parla? >>
<< Sono zia Vivian, come stai tesoro? >>
Non aveva nulla contro sua zia, aveva lottato per mesi, portando suo marito quasi al divorzio, e solo per lui. Ma risentire la voce della sua adolescenza, lo mandò nel panico.
<< Zia V. Ciao. >>
<< Ciao Willy. Come stai? Lavori? Hai ripreso a studiare? >>
Sorrise all'ingenuità di quelle domande.
<< Sai perfettamente quello che faccio, zia. Perchè hai chiamato? >>
Silenzio. Forse piangeva? Magari si malediva per non aver continuato ad insistere con zio Phil quel giorno di tanti anni fa? Willy non lo avrebbe mai saputo.
<< Speravo che fossi andato in riabilitazione. >>
<< Quella costa, sai che non posso permettermela, comunque sono ancora vivo. Non ti sento dal funerale di mamma, perché hai chiamato? >>
<< Non stare sulla difensiva con me, Willy. >>
Lo conosceva bene. Stranamente non lo avrebbe mai detto. Si ritrovò a ghignare compiaciuto.
<< Scusami. >>
<< Non fa niente, caro. Ti chiamo per darti una notizia importante, non ti servono dei soldi per rimettere in piedi la tua vita >>
<< Disse la donna che vive a Bel Air. >> la rimbeccò, sarcastico. Vivian sospirò.
<< Ascoltami. Ashley è diventata una dottoressa affermata e per arrivarci ha dovuto fare anni di infermeria. Mi ha detto esplicitamente che vuole aiutarti. Ha 20 anni ora, tuo zio non può dire niente in proposito. Ed è decisa a farcela. Sarà da te domani in mattinata e ci resterà finché non sarà necessario. >>
A Willy mancò il battito per qualche secondo. Davvero quei due pazzi avevano deciso di spedire la loro figlia minore nel quartiere più malfamato conosciuto?
<< Non voglio che venga qui, hai idea di dove abito? E sopratutto non voglio che mi veda in questo stato. >>
<< Metanfetamine, Willy? Sul serio? Sei diventato stupido o cosa? >>
Gli occhi gli scattarono a destra e a sinistra. Arrivò perfino a girarsi, convinto che fuori dal balcone diroccato ci fosse un paparazzo pagato apposta dalla famiglia Banks.
<< Come fai a-? >>
<< Come faccio non è affar tuo. Dopo il trattamento ti voglio qui, e non accetto repliche. >>
<< Ma zio Phil non- >> azzardò, sorpreso.
<< Tuo zio è affar mio. Non lascerò mio nipote da solo a Philadelphia in modo che possa suicidarsi e riempire così un'altra tomba. Non ti pare che ne abbiamo avute già abbastanza? >>
Sembrava furiosa, ma l'alone di malinconia e colpa che la avvolgeva riusciva quasi a oltrepassare le distanze.
<< Non mandare qui Ash zia, non farlo >> tentò di nuovo.
<< Non hai capito? Non sono io a mandarla, è lei a venire >>
<< Ma io- >>
Il rumore della linea caduta lo fece sospirare rassegnato, osservò la cornetta per qualche secondo, sbattendola poi violentemente contro il gancio dell'apparecchio.
<< Maledizione! >>
Si morse le labbra, guardandosi intorno. La casa era decisamente da pulire.

Dopo la serata al telefono con sua zia, sul comodino non c'era più rimasto neppure un minuscolo cristallo di roba e le siringhe erano finite. Aveva passato la serata piegato sul water, ma poco importava. La paura che sua cugina potesse vedere come viveva in realtà, come gli anni del “fresh prince” erano passati e cosa era capitato in seguito, lo invogliò a duplicare la dose giornaliera.
Si asciugò la bocca, guardandosi allo specchio. La piccola sveglia su calorifero in disuso segnava le 9 del mattino. Zia Vivian non gli aveva detto a che ora sarebbe arrivata Ashley, ma decise che non avrebbe dovuto aspettare ancora molto.
Come un fulime annunciato, la porta dell'entrata prese a scricchiolare sotto le nocche di una mano. E Willy sapeva. Non era un rappresentante, non era di sicuro Jazz, non poteva essere nessun altro, se non lei. Ebbe un magone che durò per tutto il tragitto, fino all'ingresso e dopo minuti di riluttanza, in piedi, di fronte al legno marcio del portoncino, una voce lo fece trasalire.
<< Willy? Sono io. Non vorrei sembrare ansiosa, ma c'è un tizio che mi guarda come fossi una coscia di pollo succulenta e inizio seriamente a preoccuparmi >>
La voce angosciata lo fece ridere. Abbassò la maniglia, rivelando il volto scavato alla sua ex compagna di giochi e balletti folli.
Il volto illuminato di vita della mora, si trasformò in qualcosa che assomigliava alla più sfrenata compassione. E paura. Era paura di perderlo, ma questo Willy non poteva vederlo.
<< Willy >> fu solo quello che riuscì a dire la giovane.
Con un umorismo che credeva di aver perso, le fece un inchino, allargando il braccio ad indicare il buco che ormai chiamava casa e facendole quanto più spazio possibile per entrare.
Rimasero in silenzio per un po'.
<< Ciao Ash >> abbozzò un sorriso non troppo convinto. Ringraziò mentalmente il cielo per aver consumato tutta la roba la notte prima, così che lei non avrebbe potuto vederla. La ragazza di tutta risposta gli si avvicinò, quasi a sfiorarlo con il petto, posandogli una mano sulla faccia. Istintivamente si ritrovò a spostare il volto nella direzione opposta.
<< Cosa ti sei fatto? Perchè? Willy... >>
<< So come mi chiamo, Ash, lo hai già ripetuto due volte. Sto bene, sono solo stanco >>
Non rispose, ma si rese conto del muro di vergogna e diffidenza del cugino.
<< Stai bene? >> chiese retorica, facendogli il verso. Prese poi a girargli intorno, osservandolo attentamente. Gli sollevò le braccia, gli spostò il collo e guardò i segni di disidratazione agli angoli della bocca e le pupille dilatate. Lo sguardo perso nel vuoto.
<< Hai in corpo due dosi e mi dici che stai bene? >>
Sembrava arrabbiata, si domandò se sul serio tenesse così tanto a lui. Lo abbracciò di slancio.
<< Ash, sono vivo. >>
All'ultima parola, la giovane scoppiò a piangere. Non sapeva cosa fare per consolarla, ma l'idea di essere stato proprio lui a farle questo, gli diede disgusto.
<< Io ti aiuterò. Sono qui Willy, non me ne andrò finché non verrai con me e non sarai pulito. >>
Non aspettò una risposta. Si staccò da lui, liberandosi del cappotto, poi prese a guardarsi intorno. Avrebbe voluto fare una smorfia schifata, ma decise di reprimerla per non metterlo a disagio. Dal canto suo, Willy osservava la figura della cugina, che di spalle si spostava da una piccola stanzetta all'altra. Sorrise e un po' si spaventò dell'impulso che lo colse. Era bella, davvero bella. E profumava di vaniglia nera. A parte qualche puttana a pagamento ogni tanto, non aveva una relazione sana da tempo ormai. Sprecava tutte le energie che la giornata gli regalava e i soldi guadagnati dai più miseri lavoretti, solo per farsi.
<< Ti ho portato qualcosa da mangiare >>
La sua voce spezzò il filo perverso dei suoi pensieri.
<< Non ho davvero fame, ma grazie >>
Con un'autorità che mai le aveva visto in passato, si avvicinò al suo viso, sfoderando uno sguardo che quasi metteva paura.
<< Non ti ho chiesto se hai fame, ti ho detto di mangiare. >>
<< Heil Hitler! >> fu l'esclamazione ironica del ragazzo, seguita dal tipico saluto associato.
<< Coglione! >>
<< No scusa, tu vieni qui e mi imponi di ingozzarmi e dovrei persino stare zitto? >> domandò ironico.
<< E' esattamente così che andranno le cose d'ora in poi >> fece lei, di rimando.
Iniziava a non sopportarla più. Che ne era stato della dolce Ash?
<< D'ora in poi >> cominciò, segnandosi ogni punto con le dita << Niente più droga, niente più cibo sprecato, niente più puttane. Niente di niente. Sono qui per questo. Io non ti permetterò di ucciderti, Willy, sono stata chiara? >>
<< Buuu, ma se mi levi anche le puttane, io come faccio a divertirmi? >> domandò con sguardo allusivo. Il ghigno malizioso non sembrava sortire nessun effetto sulla piccola Banks, che continuava a fissarlo ostinata.
<< Sono disposta anche a questo. >>
Per una frazione di secondo, credette di aver sentito male. Doveva per forza aver capito male! Sul serio, insomma... dai, davvero si stava offrendo per-?
<< Non credo di aver capito >> ribattè, allucinato.
<< Hai capito benissimo, invece. Se proprio non riesci a sfogare i tuoi istinti sessuali in altri modi, puoi usare me. >>
<< Ash >> rispose, come se la vedesse per la prima volta. << Ma che dici? Non ti farei mai una cosa simile >> concluse, ancora confuso. E imbarazzato.
Willy Smith non si imbarazzava facilmente, sopratutto di fronte ad una chiara allusione sessuale, ma in quel momento si sentiva come se stesse andando a fuoco. Ashley invece sembrava calmissima, continuava a guardarlo con sfida.
<< Ash, ma che ti è successo? >> ripetè, come se non esistesse altra parola.
<< Non hai sentito? Non permetterò che tu ti uccida, sono qui per questo. Usami se vuoi, Willy. Da piccola avevo una gran cotta per te, perciò la cosa non mi sconvolgerebbe più di tanto >>
<< Tu avevi- tu... COSA? >> Domandò, sempre più allucinato.
Se ne stava in piedi davanti al nulla - lei se ne era già andata da quella stanza da un pezzo, raggiungendo il minuscolo bagno - con l'indice sollevato ad indicare l'aria.
 

Svariati giorni senza meth dopo, la crisi d'astinenza minacciava di ucciderlo. Continuava a girarsi nel letto, in preda a spasmi incontrollati. Lei gli inumidiva la fronte con acqua tiepida, osservandolo con le lacrime agli occhi. Il secchio per vomitare accanto al materasso.
<< Ne ho bisogno Ash, dammela >> ripeteva, come fosse una questione di vita o di morte. E nei fatti lo era per davvero.
<< Io invece ho bisogno di te, Willy. Come la mettiamo? >> rispondeva lei, abbozzando un sorriso di tenero affetto. Lui la guardava. Sudato fradicio e con la mascella contratta. Le braccia strette a tenersi spasmodicamente il petto.
<< Nessuno ha bisogno di me >> era la sua risposta amareggiata. Di tutta risposta la vide togliersi gli stivaletti in pelle e allungarsi accanto a lui, facendogli posare la nuca sul suo petto.
<< Willy. Lo senti? >>
Era impercettibile, ma riusciva comunque a vederlo. Un piccolo cenno d'assenso con la testa.
<< Batte come il tuo. E spesso batte per te. >>
Gli accarezzava i capelli a spazzola, fregandosene altamente del sudore che andava ad impregnarle vestiti costosi e mani. Nel vano tentativo di calmarlo, prese poi a sussurrargli una leggera ninna nanna. Non sembrava sarebbe stato possibile all'inzio, ma sentì i muscoli del suo corpo rilassarsi. Il fatto che non facesse uso di roba da tempo immemore, come invece aveva fatto Jazz prima di lui, aiutò la sua causa. Accanto al calore del corpo di lei e al suo profumo, si lasciò andare ad un sonno che per quella notte segnò un passo avanti nella riabilitazione. Il suo corpo respingeva la droga, con la stessa forza che utilizzava il suo muscolo cardiaco per avvicinarsi di più alla piccola Banks.

La mattina dopo Ashley era ancora lì accanto a lui. Sveglia.
<< Willy? >>
Anche lui aveva gli occhi spalancati da un pezzo, si voltò a guardarla.
<< Ti ricordi quando ti chiesi di parlarmi di sesso? >> domandò, sorridendo malinconica al ricordo di una piccola ragazzina impacciata, di fronte al cugino imbarazzato che la guardava incredulo.
<< Sì, Ash, mi ricordo >> rispose, sorridendo a sua volta. Si concesse il lusso di chiudere gli occhi per un momento.
<< A momenti ti cadeva il cappello >> fu il commento divertito di lei. E lui rise. Rise di cuore. Si fermò solo quando lei ebbe l'audacia di rubargli un bacio. E sarebbe stato ricambiato in ogni caso. Nessuno li avrebbe giudicati in quel posto che cadeva a pezzi per problemi ben più gravi. Si fermò solo quando lei inizio a sollevargli la maglietta. Le bloccò i polsi.
<< Ash, aspetta >>
<< Non voglio aspettare >> rispose, senza smettere di baciarlo.
<< Non posso farti questo, non possiamo >>
Smise di baciarlo e lo guardò attentamente. Sapeva sarebbe successo prima o poi. Nel suo essere ribelle, aveva sempre avuto una sua morale. Ed era incrollabile. Ma in quel momento voleva solo averlo e basta, non le importava di ciò che sarebbe successo dopo.
<< Willy, non devi più spiegarmi niente. Non ti devi preoccupare per me, sono cresciuta, sono consenziente, so quello che voglio >>
Sembrava valutare bene le sue parole, ma allo stesso tempo non ne era del tutto convinto.
<< Sono un tossico, Ash. Te ne rendi conto? >>
<< Lo eri, Willy. >>
Ci teneva a precisarlo. Non sapeva nemmeno per quale motivo, ma era certa che quell'aggettivo non si era mai legato veramente a lui. Lo conosceva bene, come nessun altro aveva avuto il piacere di fare.
<< Questo non cambia le cose. Non ce l'hai un ragazzo da cui tornare? >>
<< Ho un ragazzo da riportare a casa. Non mi importa di nient'altro >>
Si affrettò a rispondere a quella domanda, ed era più sicura che mai. Ferma nelle sue scelte di vita, Willy la invidiava. Non aveva avuto la forza di fare nulla di buono per se stesso, figuriamoci per gli altri.
<< Ash >>
Ci provava, ma lei era già intenta a liberarlo dei pantaloncini per ascoltarlo.
<< Ash, fermati >>
<< No, Willy. Non lo farò. E se hai la decenza di chiudere il becco, mi piacerebbe farti stare bene. Vuoi aiutarmi a farlo? >> domandò, dall'alto del cavallo dei suoi pantaloni.
Rispose sollevandola per baciarla, trafficando con i vestiti e riuscendo a liberarsene poco dopo.
Lei stava sopra e si prendeva cura di lui, lo massaggiava, lo accarezzava, nei momenti di piacere si sporgeva per baciarlo, lasciando che il suo seno cozzasse contro il suo petto ad ogni ritmo sincronizzato dei loro corpi. Era eccitante e sbagliato allo stesso tempo. La disperazione di fare qualsiasi cosa per riavere accanto la persona che aveva conosciuto un tempo, persa tra i vecchi oggetti impolverati di quella stanza. Una radio rotta, lasciata all'ingresso, dimenticata per chissà quanto tempo, numeri di Playboy che spuntavano dal cassetto, una riga di cappelli con i colori più improponibili nell'armadio... qualsiasi cosa la dentro le ricordava di lui. Fecero l'amore e per la prima volta dopo chissà quanto, Willy si sentì bene. Dimenticata la droga, l'overdose di Jazz e la sua paura per il futuro di fare la stessa fine, sua madre, la malattia che se l'era presa, suo zio che lo aveva sbattuto fuori di casa... qualsiasi cosa dissolta nel nulla.


Nel mese successivo, Willy fece progressi enormi. I crampi erano del tutto scomparsi, così come la voglia di chiudersi in bagno per buttare via la sua vita. Il suo unico problema lo aveva in casa. Lei non se ne era andata affatto e per quanto pure sua zia gli aveva ordinato di tornare a Bel Air, si ritrovò a litigare con la cugina per la faccenda.
<< Non tornerò indietro, Ash. Tuo padre era stato abbastanza chiaro, mi sembra >>
Se ne fregava se indispettita piantava i piedi per terra, le cose stavano così. Non sarebbe riuscito a vivere sereno sotto lo stesso tetto di un uomo che lo aveva buttato fuori di casa con astio.
<< Io di qui non me ne vado, senza di te. >>
<< Ash >>
<< No, Willy. Ho detto di no. Vuoi stare qui? Bene, compra un letto matrimoniale, perché di qui non mi schiodo. >>
Si passò le mani sulla faccia, disperato. Non poteva sbatterla fuori, non in quel quartiere.
<< Per favore, cerca di ragionare >> continuò allungando le braccia nella sua direzione.
Avrebbe di certo lasciato quel posto in altre circostanze, voleva andarsene, voleva levarsi dalla tentazione di ricadere di nuovo nel tunnel del degrado, e lo avrebbe fatto, se le cose in casa Banks fossero diverse. Ashley le aveva riferito che Hilary si era sposata da mesi ormai e che viveva per conto suo in un quartiere altrettanto ricco di Hollywood. A quanto sembrava la grande della famiglia si era trovata un uomo con i soldi, la maggiore aspirazione della sua vita, e il sogno di suo padre. Carlton continuava ad essere il solito. Sempre pronto a far vedere che lui dava il meglio in tutto, ma nel frattempo veniva continuamente licenziato da qualsiasi datore di lavoro per la sua scarsa capacità di sintassi. E, non si sa come, l'idea di tornare a stravolgere le vite di zii e cugini, a Willy dava una strana sensazione di disagio.
<< Vieni con me. Almeno provaci, fermati da noi per qualche giorno. >> lo supplicò la giovane.
Alla fine si vide costretto ad accettare. Sospirò rassegnato, mentre lei si apprestava a dargli un sonoro bacio sulla bocca.
<< Non fare così >> la intimò, di tutta risposta.
<< Non fare che? >>
L'allusione al gesto lo mandò quasi in bestia. Sembrava si divertisse ad annullare ogni sua capacità di controllo.
<< Ash quello che è successo è stato uno sbaglio, non dovrà ripetersi >>
Lo sguardo furioso di lei non sembrava intimidirlo. Voleva mettere le cose in chiaro prima che il tutto degenerasse e si spingessero troppo oltre.
Pur di farsi seguire a Beverly Hills, Ashley acconsentì alla richiesta. Si disse che ci sarebbe stato tutto il tempo per fargli cambiare idea. Così, la sera stessa, saltata la cena, si misero in viaggio.


Willy continuava a guardare fuori dal finestrino, osservando la sua vecchia vita scivolare via. Man mano che se la lasciava alle spalle, sentiva sulla pelle la voglia di cambiare.
<< Andrà tutto bene, vedrai >> 
Le rispose con un sorriso di circostanza. Non sapeva realmente quanto le cose potessero andare bene, e di certo non ci sperava. Picchiettava la mano sul dorso del vetro, si sentiva tremendamente agitato. A notte inoltrata si ritrovarono di fronte alla stessa casa che in cuor suo non aveva mai dimenticato. Malgrado le differenze sociali e comportamentali, i momenti in quel posto lo avevano segnato parecchio. Era stato bene. Cominciava quasi a vedere suo zio come un padre, vista la totale mancanza di quello biologico, che più volte lo aveva rifiutato.
<< SIAMO A CASA! >> si annunciò Ashley, una volta posati i bagagli all'ingresso.
Goeffry si apprestò a raggiungere la provenienza di quella voce, notando il ragazzo di qualche chilo più magro e sciupato.
<< Signorino William >> si disse, quasi a se stesso. Osservando come la vita lo aveva segnato.
<< Ciao pinguino! >> lo salutò con un mezzo sorriso, alzando una mano.
Vivian scese le scale e alla vista del nipote, non riuscì proprio a trattenere le lacrime. Corse per gli ultimi due scalini, quasi inciampando, andando a stringere quel corpo così martoriato dalla droga.
<< Willy! Oddio. Goeffry, prepara subito un bagno caldo e un piatto di lasagne! >>
Alla sincera preoccupazione della zia, si ritrovò a sorriderle all'orecchio.
<< Dov'è papà? >>
La voce di Ashley li costrinse a voltarsi. Sua madre stava quasi per rispondere, ma un tono deciso smorzò il discorso sul nascere.
<< Sono qui, tesoro >>
La figura imponente del capofamiglia si stagliò in mezzo all'ingresso, Willy lo osservò, indeciso sul come comportarsi. Non si erano più parlati, non si erano neppure più visti dall'ultima spiacevole lite che costrinse il ragazzo ad andare via di casa. Sembrava un po' invecchiato.
<< Ciao zucchino! >> lo salutò, ridendo di malizia.
L'omone si concesse un breve sorriso divertito, che si premunì di mascherare abbassando la testa.
<< Non ti allargare, figliolo. Vieni qui >>
Un po' riluttante, si avvicinò a quella figura così maestosa ma allo stesso tempo paterna e sincera. Stimava suo zio, nonostante tutto.
<< Cosa hai combinato? Come ti sei ridotto, Willy? >> fu tutto ciò che ebbe da dire, una volta visto il fisico provato del nipote.
Nessuno riusciva a far abbassare la cresta al Principe, nessuno, tranne lui. Provava vergogna, tanta vergogna. E paura. Si sentiva nudo e vulnerabile sotto gli occhi di un giudice che doveva decidere se mandarlo al patibolo.
<< Zio io- >> ma non riuscì a dire altro. La porta di casa si spalancò.
Carlton e Hilary fecero il loro ingresso, battibeccando sulla nuova moda in voga. La più grande spiegava al fratello quanto fosse stupido a credere che un ignobile foulard bastasse per farlo rimorchiare.
<< Scatoletta! >> si liberò di un peso enorme e allargò un sorriso che lasciò Ashley senza fiato.
Non si era mai posta il problema. Lui era troppo grande, lui era suo cugino. Ma dopo tutto quello che c'era stato, sentiva in lei che quel sentimento acerbo, provato per la prima volta a 13 anni, non si era spento e adesso era maturo.
Il viso di Carlton si illuminò.
<< WILLY! >>
<< Oh mio Dio, Willy! >> lo seguì dubito dopo Hilary.
Corsero ad abbracciare un cugino che credevano di aver perduto. Si strinsero forte al suo corpo, quasi soffocandolo.
<< Siamo tutti contenti che Willy sia tornato, ma ora cerchiamo di mantenere la calma per un momento. >>
Ma il vocione del padrone di casa sembrava lontano anni luce. Tutti intorno al nipote, lo guardavano con un misto di preoccupazione e gioia infinita. Tutti. Tranne Ashley. In lei il padre notò qualcosa di vagamente diverso, qualcosa che lo preoccupò.
<< Ashley? >>
<< Sì papà? >>
<< Vieni qui un momento per cortesia? >> la chiamò, rafforzando la richiesta con un movimento secco dell'indice.
<< Che succede? >>
<< Ashley, non ti sei innamorata di tuo cugino, vero? >>
<< PAPÀ! >> quasi urlò, imbarazzata.
<< Non ci posso credere >> iniziò con voce incredula. << Sei impazzita? E' tuo cugino! >>
<< Papà, io lo amo. >> era costretta ad ammetterlo. Più con se stessa.
Negli anni Vivian comprese molto bene l'astio che Phil provava verso suo nipote. La paura che un giorno potesse portargli via la sua piccola bambina e la consapevolezza che essere cugini non lo avrebbe fermato. Di fatto, per lo Stato non sarebbe mai risultato incesto. Questo lo sapevano bene tutti. Ma nessuno si era mai azzardato ad aprir bocca. Almeno finché l'uomo non notò il feeling che era nato tra i due quando ancora sua figlia era minorenne. E da lì accampò una scusa qualsiasi per cacciare Willy fuori di casa. Per evitare che si creasse qualcosa più grande di lui.
<< Io non so cosa dirti. Lo hai visto bene? Sai da dove viene. Sai quello che ha fatto e quello che potrebbe rifare. Guardarlo, tesoro... fa paura >>
Su richiesta del padre, si volse ad osservare il viso finalmente luminoso e felice del ragazzo. Willy sembrava in pace. Con se stesso, per la prima volta dopo tanto tempo. E con le persone che gli stavano intorno.
<< Lo so, è bellissimo >> fu il commento trasognato della figlia.
L'uomo la guardò disgustato per qualche secondo, accennando una smorfia rassegnata.
<< Io non capisco davvero cosa ci trovi, con quelle orecchie potrebbe prendere il volo! >> commentò, indicandolo con un'alzata del braccio, senza staccarle gli occhi di dosso. Ma così facendo riuscì solo a guadagnarsi una gomitata nel fianco.
<< Io voglio solo che tu stia bene, Ashley. Non voglio che soffri. E anche ammesso che ora sia pulito e tutto quanto, conosci bene Willy. Lui è... insomma lui va da un letto all'altro, sai com'è fatto! >>
<< Cambierà. >> sentenziò convinta. Un nuovo sospiro rassegnato riempì lo spazio tra padre e figlia.
 

Dopo cena, la stanza di Willy venne rimessa a nuovo. Tutti quanti lavorarono sodo per metterlo a proprio agio, con l'intenzione di non farlo partire. Erano una famiglia. Lui non doveva stare da solo. Il suo posto era lì. Volevano solo che lo capisse.
<< Posso? >>
<< Certo, è casa tua >> fu la risposta divertita.
Ashley entrò nella stanza, osservando la figura che occupava il letto.
<< Questa è anche casa tua, Willy >>
<< Non ne voglio parlare, Ash. Adesso sono qui, no? Non ti basta? >> domandò retorico.
<< Tu non mi basti. Non mi basti mai >> rispose quasi immediatamente, a voce bassa.
Si vergognava, ma le cose stavano così e lei non poteva cambiare i suoi sentimenti a comando.
<< Ash, non iniziare. Sono appena arrivato, ci manca che tuo padre scopra che... >>
<< Lo sa già >> lo interruppe, guardandolo fisso negli occhi.
<< Oh perfetto >> incominciò, allargando le braccia con fare teatrale << sono un uomo morto! >>
L'ironia faceva parte del suo DNA. Per lui era tutto un gioco. Un grande parco divertimenti fatto di umorismo, sarcasmo e battute pungenti. Ad Ashley piaceva da morire.
<< Non ha detto niente. Non è arrabbiato, Willy. Vuole solo che io sia felice >>
<< Tu non potrai mai essere felice con me, Ash. Ficcatelo bene in testa >> rafforzò il concetto, portandosi un indice alla tempia.
<< Lasciami almeno provare >>
Audace, avanzò nella stanza, andando a sedersi sul letto accanto a lui.
La guardava, era incredibile quanto fosse cresciuta. Era eccitante e si maledisse per aver ricominciato con certi pensieri scabrosi.
<< Ash >>
Ma lei si era già sporta per baciarlo. Per un attimo il muro crollò e si ritrovò a ricambiare quel bacio. La prese per le spalle, stringendo più del dovuto.
<< Willy è-- ODDIO! >>
La voce di Hilary spezzò il silenzio di quel momento. Si staccarono velocemente, entrambi con gli occhi preoccupati e una muta implorazione.
<< Ma che diavolo? >>
<< Hilary, posso spiegarti >>
Ashley si alzò dal letto, raggiungendo la sorella che sembrava aver appena assistito ad uno spettacolo sul genere horror-splatter. Ma non servirono affatto delle parole per comprendere ciò che una donna ormai fatta e finita aveva già sperimentato sulla propria pelle.
<< Ti sei innamorata di lui >> constatò, guardandola dritta negli occhi.
Nessuno nella stanza emise un solo fiato.
<< Ashley, davvero? Di tuo cugino? Papà ti ammazza. >>
<< Papà lo sa. >>
<< E sei ancora viva? >> chiese ironica, piazzandosi le mani sui fianchi. Ricordava tanto sua nonna, ma nessuno se ne curò più del dovuto.
<< Senti, so che è un bel ragazzo, non sono mica cieca, diamine >> continuò, indicandolo imperterrita.
Davvero, la situazione sarebbe quasi risultata comica. Willy tentò di prendere parola, divertito come non mai, più per l'ammissione della maggiore, che per altro
<< Io sono qui, eh! >> provò ad annunciarsi, sollevando il braccio in aria con un gran sorriso.
<< Ma è Willy! Insomma... WILLY! >> niente, Hilary non sembrava neppure vederlo.
Si arrese, mordendosi le guance e facendo vagare gli occhi sul soffitto.
<< So benissimo chi è! >> rimbeccò la minore, sul piede di guerra.
Perchè nessuno riusciva a capirla?
<< Hilary, ti prego. Solo tu e papà lo avete scoperto. Riuscirai a tenere il becco chiuso per una volta nella tua vita? >> chiese, implorandola persino con le mani giunte.
Battendo il piede per terra, la maggiore parve pensarci su.
<< Va bene! Ero venuta a dire al Casanova laggiù che lo spuntino di mamma è pronto >>
<< Ma io non ho fame >> rispose questo, allucinato.
<< Mamma aveva detto che lo avresti detto >> cominciò lei, divertita. << E poi ha anche detto che se non porti il tuo bel sederino nero al piano di sotto e non ripulisci il piatto, sarebbe venuta lei a prenderti per le orecchie. E ha aggiunto che di spazio lì ce ne sarebbe stato parecchio >> concluse, agitando il dito allusivo verso queste ultime. Ashley rise.
<< Bentornato a casa Willy! >>
<< Improvvisamente mi è tornato l'appetito! >> commentò sarcastico e un po' spaventato, sollevandosi dal letto.
Hilary lasciò la stanza poco dopo, soddisfatta del risultato. La minore stava per seguirla, quando si sentì agguantare da dietro e spingere contro il muro.
<< Non giocare con me cioccolatino. Non mi sono mai sentito così prima d'ora, chiaro? Non so che mi succede, non so che mi hai fatto >> iniziò, stringendole un polso.
Le faceva male, era ovvio, ma lei mantenne lo sguardo fiero. Lo sfidava.
<< Ma non sento di volermene più andare di qui. Perciò stanotte ti aspetto nella mia stanza. >> finì.
Willy non era bravo nelle dichiarazioni d'amore. Quelle autentiche, si intende. Ma lei lo conosceva così bene, da capire dove volesse andare a parare.
<< Anche io mi sono innamorata di te, Willy. >>
<< Che? >> chiese sconvolto. << Io non ho detto che- Aspetta un secondo, io non ho- Ash no davvero, volevo solo dire- >>
Era adorabile. Impacciato, tenero e per la prima volta libero da ogni muro. Era tornato. Cercando le parole, dopo un po' si arrese, guardandola negli occhi.
<< Hai vinto. >>
<< Mi piace vincere. Starai qui, allora? >>
Le regalò un sorriso, valeva più di qualsiasi altra risposta positiva. Ad Ashley bastò. Il suo viso si illuminò e senza pensarci, lo abbracciò di slancio, incastrando la testa tra il petto e l'ascella.
<< Ash, devo farmi una doccia! >> le disse, consigliandole di abbandonare quella posizione.
<< A me piace il tuo odore, Willy. Fammi stare così ancora per un po'. Mi sei mancato, non voglio più una vita senza di te >>
Parlava contro il tessuto della T-shirt, ma il messaggio arrivò forte e chiaro. A Willy scaldò il cuore. Sorrise, stringendosela addosso ancora di più.



END.

 
 
  
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