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Autore: Nitrogen    09/04/2014    1 recensioni
Dieci numeri per dieci nomi, trenta plot per trenta brevi aneddoti sulle loro vite. E il risultato è un groviglio di situazione più o meno complesse che potrebbero capitare a chiunque.
Perché a volte non basta essere attraenti, intelligenti o avere un bel carattere per non ritrovarsi nei guai, a volte capita e basta.
[Partecipante alla challenge indetta da Kukiness "Chi, Con chi, Che cosa facevano".]
Genere: Commedia, Demenziale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Plot 3: 10 ha una malattia imbarazzante.
9 lo aiuterà o se ne approfitterà?

Ordine personaggi: Naiser (1), Imogen (2), Pride (3), Marianne (4), Zelo (5), Terrian (6), Seth (7), Rezwana (8), Hana (9), Akira (10).


 

Quando a nessuno importa se
sei un genio e non ti piace uscire.

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Doveva essere uno dei giorni più belli della mia vita.
Per una volta mi ero deciso a lasciar perdere i miei studi universitari e le mie ricerche su cose ─che, per inciso, sono troppo complesse da spiegare ai vostri QI inferiori al 120─ e avevo accontentato il desiderio della mia coinquilina andando con lei ad una festa.
Non ero quel tipo di persona che amava perdere tempo in quel modo anche se di inviti ne arrivavano a bizzeffe, non mi interessavo molto a queste interazioni sociali con sconosciuti, dunque per quei pochi che mi conoscevano era una vera e propria novità, una di quelle cose che per molti sarebbe stato chiamato “miracolo”.
Seth mi trascinò con lei nell’automobile -presa in prestito da Zelo- una volta vestitomi “come si deve”, che per lei non equivale al mio solito completo giacca e cravatta, ma a una canotta e un giubbino di pelle, troppi accessori e un pantalone così largo da cadermi continuamente fin sotto il sedere. Per me era imbarazzante andare in giro in quelle condizioni, ma lei era così felice di vedermi ridotto in quello stato pietoso che non osai controbattere la sua decisione sui miei indumenti.
Dopo aver sopportato la parlantina incessabile di Seth per venti minuti, giungemmo alla casa in cui si teneva questa “fantasmagorica megalattica stratosferica festa”, così come l’aveva chiamata lei; e tanto perché voi lo sappiate, quella che lei si ostinava a definire “casa” altro non era che una schifosa topaia al terzo piano di un appartamento malridotto.
La musica era forte, il fumo di sigarette e l’odore veramente forte di alcool invadevano le narici rendendo la salubrità dell’aria quasi assente e, con il mix di qualche stupefacente la lucidità dei presenti tra quelle mura non poteva che essere troppo bassa.
Ma alla fine era pur sempre una festa, non li biasimavo di certo: da quanto mi raccontavano i miei coetanei, con l’assenza di uno di questi tre elementi si poteva arrivare anche allo sfascio totale della serata, e di questo ne avrebbe risentito la reputazione di chi aveva organizzato quel bordello e altre cose che non ricordo. Onestamente la reputo una stronzata, ma ognuno deve rispettare le convinzioni altrui e dunque io mi limito solo a dire che dovrebbero impiegare il loro tempo facendo qualcosa di produttivo anziché bere come se non ci fosse un domani.
Però mi tocca ammetterlo, quella sera anche io ho dato il peggio di me: dopo aver assunto qualche psicofarmaco non identificato senza che me ne rendessi conto e aver ingerito una quantità leggermente eccessiva di alcool, ho iniziato a ballare come un idiota sul tavolo della topaia senza maglia, e per poco anche senza pantaloni; non ero un bello spettacolo, ma per fortuna nessuno lì dentro sembrava essere più lucido di me.
Vorrei potervi dare una descrizione più dettagliata della mia esperienza, ma ho un vuoto di tre ore e mezza circa che non mi fa ricordare altro se non questo e quel che accadde dopo l’essermi messo in ridicolo davanti a degli ubriaconi.
Una ragazza dai capelli biondo cenere si avvicinò lentamente, ancheggiando a ritmo d musica come se non le costasse alcuna fatica. Era bella, veramente bella, o almeno questo mi diceva in quel momento la testa: il miscuglio di alcool e droga mi aveva messo temporaneamente k.o. sia fisicamente che mentalmente; mi sentivo come se fossi andato senza riserve in cortocircuito. Eppure bastò un sorriso fatto da quel viso da angelo al me abbandonato senza forze sul divano per farmi alzare e portarla -quasi strattonandola- in una stanza per gli ospiti usata in precedenza da qualcun altro.
Credetemi, di solito non sono tanto avventato e irrispettoso, anzi, di queste cose nemmeno me ne interesso poiché la mia vita ruota solo intorno agli studi continui che faccio; ma lei mi aveva chiesto implicitamente di farla contenta... Chi si sarebbe tirato indietro a un simile invito?
Ci chiudemmo in quella camera alla svelta, guardandoci un po’ spaesati: sul suo volto leggevo divertimento e imbarazzo, un mix che mi fece avvampare per quanto sembrasse carina ai miei occhi. Non sapevo nemmeno il suo nome.
«Scusami… Come ti chiami?»
«Hana.», disse togliendomi la canotta, «E tu sei Akira, il coinquilino di Seth. Piacere.»
Sorpreso dalle sue parole, spalancai leggermente la bocca: «Tu e lei vi conoscete?»
«Io direi che potremmo anche parlarne dopo.»
Sorrise ancora, facendomi dimenticare quel che fino a un attimo prima avevo chiesto. Volevo spogliarla, dovevo toglierle quella maglia troppo corta e quel pantalone stretto che la rendevano incredibilmente sexy.
E con un rapido gesto svolsi la prima parte di quell’azione, bloccandomi però per quel che vidi in quell’istante: il mio incubo peggiore, la cosa che più temevo al mondo era lì, davanti ai miei occhi, e mi stava facendo urlare come una ragazzina sconvolta perché ha appena scoperto che i bambini non arrivano grazie a una fantomatica cicogna.
Mi staccai di colpo, caddi a terra e per poco sventai un infarto.
Hana era diventata una statua di marmo con gli occhi spalancati e i pantaloni abbandonati malamente all’altezza delle ginocchia. Sapevo cosa stesse pensando perché non era la prima volta che qualcuno assisteva a una mia reazione tanto insolita: non ne capiva il motivo, e io non la biasimavo di certo.
Come vi ho già detto, lei non aveva nulla che non andasse; evitate di immaginare cose che possano essere etichettate come orripilanti o di cattivo gusto e concentratevi invece su cose banali e stupide, che avrete visto così tante volte in vita vostra da non farci nemmeno più caso.
Non ci siete ancora arrivati?
Non preoccupatevi, se non gliel’avessi detto io, nemmeno Hana avrebbe capito nulla.
«Akira! Cosa… Che succede?»
«…Se te lo spiegassi nemmeno ci crederesti.»
Mi scrutò con il tipico sguardo di chi continuava a non comprendere cosa stesse accadendo, confusa e intenta a osservarsi intorno nel vano tentativo di dare un senso alle mie urla. Niente fuori posto, nulla che potesse essere la causa di una simile reazione, questo è quel che pensava.
«Allora?», chiese ancora facendo un passo verso di me, «Non vuoi dirmelo?»
«NON AVVICINARTI! STAI FERMA DOVE SEI!»
«Ma perc-»
«ANDATE VIA TU E QUEL CAZZO DI BOTTONE!»
Indietreggiai ancora, portando la schiena a toccare la parete alle mie spalle. Mi domandai se fosse più imbarazzante reagire in questo modo per un bottone o farsi conciare in quel modo ridicolo da Seth.
«Akira, mi stai prendendo in giro? Se non vuoi fare nulla non…»
«La mia ti sembra la faccia di uno stupido coglione che si inventerebbe una scusa tanto idiota per non fare sesso con una bella ragazza come te? Ho un quoziente intellettivo di 143, mi sarei almeno sforzato di dirne una migliore!»
Mentre parlavo, non riuscivo a distogliere lo sguardo da quel dannato bottone: mi stava rovinando una delle serate migliori della mia intera esistenza, stava mandando a monte tutti gli sforzi di Seth per rendermi piacente e i miei di sembrare un coglione qualunque ad una festa di alcolizzati adolescenti intenti ad inalare qualunque cosa venisse spacciata per droga, anche la farina o il gesso come è accaduto ad alcuni degli invitati.
Lei, dal canto suo e come tante altre ragazze prima d’ora, fece una smorfia disgustata al sottoscritto: intelligente, attraente e simpatico com’ero, l’ultima cosa che si sarebbe mai aspettata da me era proprio che io avessi una paura simile.
«Che fobia di merda.», sentenziò poco dopo facendomi sentire un idiota, «Cristo, che fobia di merda!»
«Tu non puoi capire come sia orrendo vedere bottoni pronti a saltarti addosso ovunque! Te n’è mai finito uno in un occhio? Hai mai rischiato di ingoiarne uno? Eh? SAI COSA VUOL DIRE DOVER VIVERE TUTTI I GIORNI A CONTATTO CON DEI BOTTONI ASSASSINI?!»
Hana ignorò le mie lagne e, sbuffando, alzò i pantaloni e rimise la maglia, privandomi di vedere quell’orribile bottone ma anche il suo bel fisico che avrei tanto voluto ammirare ancora un po’. Mi ero giocato la mia occasione e dovevo solo rassegnarmi: lei non l’avrei rivista mai più, e Seth mi avrebbe ucciso dopo aver saputo di questa reazione.
Seduto su quel pavimento, afflitto e ancora attaccato al muro, Hana mi guardò per l’ultima volta con disprezzo e velocemente si fece verso la porta intenta ad uscire.
«La prossima volta mi ricorderò della tua fobia di merda. Chiederò il tuo numero a Seth. Buonanotte, fifone.»
E sorridendo, uscì dalla stanza lasciandomi solo.

 


 

──Note dell'autore──
Non aggiornavo da un pezzo, ma a voi non interessa, dunque non mi scuserò. Onestamente, penso questo stralcio di vita di Akira non sia allo stesso livello dei precedenti, però la fobia dei bottoni era carina e non mi andava di buttare il mio lavoro nel cestino. Ah, curiosità: l'idea di questa vùfobia (che non so se copra effettivamente il plot) mi è venuta in mente osservando la mania di una mia amica per i bottoni; lei li ama.


「Nitrogen」

   
 
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