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Autore: Yoan Seiyryu    09/04/2014    0 recensioni
[ Mad Wolf (Ruby Jefferson) + accenni Outlaw Queen ]
Nella Foresta Incantata Regina desidera distruggere Snow White annullando quelle amicizie che rendono la figliastra forte ed audace. Decide di servirsi di Jefferson per compiere un gesto estremo nei confronti di una giovane ragazza dal Cappuccio Rosso che vive al villaggio di Nottingham. Jefferson, per offrire un futuro migliore a sua figlia Grace, accetta il patto con Regina ed è intenzionato ad eseguire gli ordini.
A Storybrooke Jefferson ricorda perfettamente il suo passato e tenta con ogni mezzo di far riemergere la memoria perduta di Ruby con cui è stato legato prima del sortilegio, ma affronteranno entrambi diverse problematiche prima di conoscersi davvero secondo la propria natura.
**
"E' ironico che sia tu a parlare di mentire, del passato, di conoscersi per ciò che si è [...] quando sei tu il vero mostro fra noi due"
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Jefferson/Cappellaio Matto, Paige/Grace, Ruby/Cappuccetto Rosso, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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XI 
 

Monster 




 
Storybrooke, durante il sortilegio

Recarsi al Granny’s fu un errore, dopo ciò che era accaduto da Locksley. Domande, domande, soltanto domande! Questo aveva fatto per tutto il tempo Emma Swan e non vi era cosa che detestasse di più come le domande, soprattutto in momenti in cui la sua testa era tempestata da dubbi, sensi di colpa. Ruby tentò di convincerlo a rimanere, ma Jefferson non ne volle sapere. Emma e Graham non sarebbero riusciti a cavare fuori dai guai Locksley, visto che anche loro avevano cercato di metterlo dietro le sbarre da parecchio tempo. Era stato colto con le mani nel sacco, non poteva che rimanere lì ad attendere una qualche grazie, ma con Regina di mezzo sarebbe stato impossibile. Lasciò il Granny’s nonostante l’insistenza di Ruby, a cui ovviamente rispose in malo modo per togliersela di torno.
Era trascorsa una settimana da quell’episodio che non riusciva a scrollarsi di dosso, le parole di Locksley gli risuonavano nella testa, accusandolo per ciò che aveva fatto. Aveva aumentato la dose dei farmaci, sperando di cavarne qualcosa, ma più trascorreva il tempo più credeva di impazzire. Forse avevano ragione tutti a definirlo pazzo. Si era stancato di vivere in due realtà divergenti, di avere ricordi doppi che non gli permettevano di vivere una vita normale. Regina lo aveva ingannato e lui era caduto in errore ancora una volta, ma questa volta avrebbe agito di testa sua, senza dar retta a nessuno. La soluzione al problema se la sarebbe cercata da solo.
Quella sera Ruby era passata alla centrale per accertarsi delle condizioni di Locksley, che non sembrava affatto preoccupato per la sua situazione, semplicemente era adirato per ciò che era accaduto. Non affermava la sua innocenza, anzi insisteva nel raccontare dettagliatamente ogni malefatta che gli venisse in mente e la sua condizione non poteva che aggravarsi. Cercò di convincerlo a tornare in sé, ma non le diede ascolto. Nessuno lo faceva mai, in fondo non era proprio una grande verità.
“Ruby, hai visto Emma al Granny’s stamattina?” le domandò Graham mentre la accompagnava alla porta.
“No, non mi sembra. E’ successo qualcosa?” rimase in attesa sulla soglia, tirando fuori i paraorecchi per sistemarli sulla testa, il freddo e l’umidità di quella sera erano particolarmente forti.
Graham si umettò le labbra prima di appoggiare le mani sui fianchi.
“Nulla di particolare, sarebbe dovuta tornare qui nel primo pomeriggio ma non l’ha fatto. Non risponde nemmeno alle chiamate, sarà meglio che vada a cercarla” disse sistemandosi la giacca di pelle sulle spalle.
“In tal caso potrei darti una mano, sono portata per trovare le persone che si sono perse. Se dovessi incontrarla ti avvertirò subito” così facendo si salutarono e Ruby montò in macchina, sistemando lo specchietto da cui pendeva il lupo rosso.
Osservò per un attimo il suo riflesso all’interno di esso e poi si avviò verso l’uscita del centro di Storybrooke, il suo istinto le indicava una strada che sapeva esattamente dove portarla. In realtà aveva idea di recarsi nel bosco, se solo la nebbia non fosse salita man mano che proseguiva sul percorso. I fari illuminavano la strada ma non abbastanza da permetterle uno sguardo più lungo, così fu costretta a frenare all’improvviso quando per poco non investì una persona. Uscì immediatamente dall’automobile, richiudendo la portiera e si precipitò di lato dove era caduto qualcuno che non si aspettava affatto di rivedere.
“Jefferson! Va tutto bene?” domandò preoccupata mentre lo aiutava a rialzarsi.
“Hai quasi tentato di uccidermi, direi che va alla grande” borbottò mentre si rimetteva in piedi ma aveva preso una storta e fu costretto ad appoggiarsi al cruscotto dell’automobile. Ironia della sorte?
“Perdonami, ti riaccompagno a casa e per una volta non fare storie” lo rimproverò preventivamente, conoscendo bene i suoi modi di fare, dunque lo aiutò ad avvicinarsi allo sportello della macchina per aprirlo ed aiutarlo a farlo entrare. Lui non obiettò, sembrò anzi essere piuttosto calmo.
“Dì la verità, mi hai investito appositamente” sogghignò, come se all’improvviso si fosse trasformato in un’altra persona.
L’ultima volta che l’aveva lasciato non era affatto sereno, né aveva sorriso, anzi era turbato e scontroso. Non si capacitava di quel cambiamento d’umore così repentino.
“Non lo farei mai, se devo venire a trovarti lo faccio senza aver bisogno di escamotage” disse prima di sistemarsi sul sedile del guidatore e mettere in moto l’automobile.
“Allora se non eri qui per vendicarti di me, per quale motivo sei venuta in questa parte della città?” le domandò prima di stendere la gamba in avanti, cercando di non muoverla troppo.
Ruby non desiderava svelare la verità, almeno non subito, il suo istinto migliorava di giorno in giorno, come se una nuova consapevolezza avesse iniziato a farsi strada in lei.
“Sto cercando un cane. Si è perso e vorrei riportarlo indietro” disse prima di seguire le indicazioni di Jefferson e raggiungere la sua per niente umile dimora. Si limitò ad osservarla prima dall’interno della macchina, per poi scendere e aiutare lui a fare lo stesso.
“E come si chiama?” le domandò ancora prima di appoggiarsi alla sua spalla per poi percorrere le scale di ingresso e arrivare alla soglia, lì tirò fuori le chiavi dalla tasca e fece scattare la serratura.
“Chi?”
“Il cane” come se non avesse intuito la bugia nello stesso momento in cui l’aveva detta.
Ruby si morse appena le labbra e rispose:  “Spot, si chiama Spot”.
Una volta raggiunto il salone la fece accomodare sul divano, giusto per non sembrare scortese, ormai aveva preso la sua decisione. Avrebbe smesso di sentirsi così fuori dal mondo e avrebbe condotto il mondo nel proprio, per poter aprire gli occhi a chi gli stava accanto. Ormai non vi era nulla che desiderasse più della dimenticanza e l’avrebbe raggiunta ad ogni costo, non si poteva più tornare indietro.
“Posso darti una carta della città, sono un amante della cartografia” sorrise mentre arrancava verso il pianoforte al centro del salone e vi stendeva al di sopra una mappa di Storybrooke. Ruby si alzò per poterlo raggiungere.
“Non avevo idea che ti cimentassi in questo genere in passioni” disse particolarmente stupita, mentre si toglieva il paraorecchi per lasciarlo appoggiato attorno al collo.
“Sono molte le cose che non sai di me, Ruby” sussurrò “o forse che non ricordi” anche se da quel punto di vista forse avrebbe fatto meglio a non dire nulla. Non poteva andare fiero di quello che avevano affrontato insieme a lei. Prima che potesse dire altro, le disse di attendere ancora un po’, le avrebbe preparato una tazza di tè. Dopo averla lasciata sola per diverso tempo arrivò in salone con un vassoio d’argento su cui era posata una teiera ed una tazza bianca di seconda mano, visto che quelle più pregiate le aveva mandate in pezzi. Ruby si accomodò, per una volta Jefferson si mostrava gentile e per nulla incline ad adirarsi con lei.
“Continui a rinfacciarmi di non ricordare qualcosa, ma non credo di aver dimenticato nulla di così importante” si strinse nelle spalle mentre assaporava il tè fumante nella tazza che strinse tra le mani.
“Presto te ne ricorderai” disse lui mentre appoggiava un gomito sul pianoforte, in attesa.
Dopo qualche istante Ruby si sentì avvampare, sgranò gli occhi e avvertì un dolore lancinante alla testa. Il calore corporeo si fece spropositato finché non avvertì il freddo gelarle le membra. Alzò appena il viso per incontrare il sorriso soddisfatto di Jefferson.
“Sogni d’oro” fu l’ultima cosa che udì prima di lasciar cadere la tazza sul tappeto e scivolare sul divano priva di sensi.
Jefferson la lasciò per potersi recare in un’altra stanza ed affilare le forbici che sarebbero state utili per cucire un cappello che quella volta avrebbe funzionato. Ruby non si risvegliò che dopo poche ore, avvertì un profumo nell’aria che conosceva molto bene: quello di Emma. Quando riaprì gli occhi si ritrovò sul divano dove era svenuta, Jefferson l’aveva fatta addormentare. Deglutì a vuoto, mentre tutti gli avvertimenti che le avevano date filtrarono tutti nella sua testa. Si trovava nella casa di un folle e sarebbe dovuta andare via in fretta. Ma prima doveva controllare una cosa. Leggermente stordita si rimise in piedi, tenendosi la fronte con una mano, cercando di riequilibrarsi. Come si era potuta fidare in quel modo? Arrancò verso il corridoio e si fermò davanti alla prima stanza con la porta semi-chiusa, al suo interno intravide la figura di Jefferson in penombra che affilava le forbici. Sgranò gli occhi con orrore e si affrettò a superare il corridoio per seguire quell’odore che si faceva sempre più insistente, tant’è che riuscì a raggiungere l’ultima stanza al cui interno non trovò altri che Emma. Aveva le mani e i piedi legati ad una sedia e aveva la bocca bendata perché non chiamasse aiuto. Quando si accorse della presenza di Ruby iniziò a mugugnare qualcosa di incomprensibile, la ragazza accorse immediatamente verso di lei per poterle scoprire le labbra, di modo che parlasse.
“Ruby, che ci fai qui?” domandò con preoccupazione “aiutami a slegare le corde, dobbiamo andare via prima che se ne accorga!” esclamò a bassa voce.
Ruby non poté che eseguire gli ordini e scivolò in basso per sciogliere i nodi con un coltello che aveva trovato sul tavolo che era pieno di cilindri di diversa manifattura.
“Ero venuta a cercarti ma non avevo idea che ti avessero rapita. Cosa è accaduto?”
“Una lunga storia, sarà meglio sbrigarci o non avremo scampo. Jefferson crede che io sia in grado di aiutarlo a creare un cappello magico che lo riporterà nel suo mondo. Pensa di essere il Cappellaio matto!” le rivelò mentre iniziava a liberare le caviglie da quella morsa.
Ruby rimase così sconvolta da quell’affermazione che rasentava la follia che si fermò per un istante, poteva essere vero quello che stava accadendo o si trattava solo di un sogno?
“Disturbo? Alla fine hai trovato Spot” la voce di lui si insinuò nelle orecchie delle due che si voltarono immediatamente a vedere la figura di Jefferson farsi ostinatamente vicina, finché non afferrò Ruby per trascinarla sul tavolo, facendo ricadere a terra i cappelli. Emma gridò il suo nome nel timore che avesse battuto la testa, ma non era andata così.
“Tu sei pazzo!” gridò Ruby mentre cercava di sfuggire alla forza che lui impresse nel costringerla a non muoversi da lì.
“No, Ruby, io non sono pazzo. Vivo due realtà divergenti, la mia maledizione è convivere con un passato che nessuno degli abitanti di Storybrooke ricorda e non ho idea del motivo per cui il sortilegio su di me non abbia avuto effetto” le spiegò prima di scaraventarla giù dal tavolo.
Nel momento in cui lei era distesa per terra, tornò ad imbavagliare Emma perché la smettesse di intromettersi in quella conversazione.
“Il sortilegio? Henry parla delle favole e di quel libro che tiene sempre, me lo ha detto Paige. Non ci crederai anche tu?” lo canzonò Ruby mentre si rialzava in piedi a fatica.
Si ritrovarono entrambi alle estremità opposte del tavolo, fu in quel momento che Jefferson cercò di riprenderla, questa volta con l’intenzione di legarla. Ma appena si avvicinò Ruby gli sferrò una ginocchiata nello stomaco che Jefferson incassò appena, al contempo la afferrò per un braccio torcendolo dietro la schiena, così la gettò di nuovo a terra facendola cadere accanto ad un telescopio che per l’urto finì per cadere a terra. Emma continuava a muoversi per cercare di fermare quella follia, ma le era impossibile.
A quel punto Jefferson tirò fuori la pistola che aveva sottratto all’aiutante dello sceriffo e la puntò contro Ruby, avvicinandosi lentamente perché non gli giocasse qualche brutto scherzo.
Le afferrò alcune ciocche di capelli per poterle sollevare il mento e guardarla meglio.
Gli occhi di lei si fecero più cupi e scuri, il viso si contrasse in un’espressione inferocita mentre tornava a mettersi in piedi. Jefferson si chinò per poter recuperare uno dei cilindri e posizionarselo sulla testa, lasciando intravedere la linea rossa che gli circondava il collo.
“Sì, mi hanno tagliato la testa” la concentrazione però fu presa totalmente dalla reazione di lei che non abbassava affatto la guardia.
“Ecco, la tua vera natura sta tornando alla luce, bastava solo scuoterti un pochino” sogghignò continuando a tenere la pistola puntata verso di lei “ho bisogno che Emma concluda un lavoro piuttosto importante, se entrambe riuscirete a collaborare, vi lascerò andare via senza interferire più sulle vostre vite”.
Ruby osservava la pistola carica che si vide puntare all’altezza della testa, ma la mano di Jefferson non era sicura, anzi tentennava nonostante la voce fosse sicura di ciò che stava dicendo.
“Non ho alcuna intenzione di scendere a patti” disse Ruby prima di afferrare il telescopio che le giaceva accanto ai piedi per poi colpirlo alla testa con tutta la forza che aveva.
Jefferson schivò il colpo per poco, tanto che finì per perdere i sensi, barcollando fino a ricadere sul pavimento. Quando Ruby si rese conto di ciò che aveva fatto portò le mani alle labbra e per poco non le uscirono le lacrime dagli occhi. Era stata davvero lei a fare tutto quello? Il brontolio di Emma la riportarono alla realtà e prima di recuperare la pistola accorse verso di lei per poterla sciogliere da quei nodi. Quando Emma fu in grado di muoversi a proprio piacimento, percorse la stanza fino a raggiungere la finestra, lì dove il corpo di Jefferson era stato abbandonato, svenuto a causa del colpo. Lo ammanettò e chiese a Ruby di aiutarla a trascinarlo fuori di casa, avrebbero chiamato Graham per poterlo condurre in centrale.





 
**


 
Foresta Incantata

Grace perdonò suo padre, dando retta ai consigli di Red. Detestava essere arrabbiata con lui, ma ogni tanto voleva fargli capire quanto desiderasse solo che le rimanesse accanto. Red voleva rimanere da sola con Jefferson, aveva bisogno di parlargli di una questione fondamentale e Grace, con gli occhi illuminati dalla speranza, uscì immediatamente di casa per potersi recare dai vicini e trascorrere un po’ lì il tempo.
Quando rimasero da soli, Jefferson incrociò le braccia al petto, sostando davanti alla porta, non aveva la minima idea di che cosa lei volesse dirgli.
“Dimmi che non sono qui per un tuo capriccio” bruciò tutte le tappe del discorso che si era preparata. Le labbra tremavano ma la voce era ferma.
Jefferson inarcò un sopracciglio, ancora non aveva capito a cosa si stesse riferendo.
“Sono cresciuto per queste cose, non credi?” le domandò retoricamente.
Red compì qualche passo in avanti per poi arrestarsi vicina abbastanza da riuscire a scrutare in fondo ai suoi occhi.
“Oggi stesso andrò via, sono rimasta troppo a lungo ed è arrivato il momento di farmi da parte” era vero, la ferita alla gamba non le procurava più alcun dolore. La verità è che non sarebbe voluta andare via così presto ma le parole di Grace le avevano fatto tornare mille dubbi che desiderava sciogliere.
“Parti domani, dà almeno il tempo a mia figlia di abituarsi all’idea di non rivederti più” rispose Jefferson smuovendo appena le labbra, era calmo e la sua espressione non mostrava alcuna preoccupazione.
Red si strinse nelle spalle, dunque ora doveva sentirsi in colpa per essersi affezionata a Grace e per lasciarla in fretta.
Rimandare sarebbe stato sciocco e avrebbe deteriorato la situazione, non poteva più trattenersi dal confidargli la sua reale paura.
“Jefferson” prese un lungo sospiro prima di voltarsi per dargli le spalle, non riusciva a sostenere il suo sguardo forte “devi dirmi la verità. Tu sei mai sceso a patti con Regina?”.
Lui aggrottò le sopracciglia, non aveva ancora idea di quanto potesse spingersi oltre ma la situazione iniziava a farsi delicata. Si scostò dalla porta e fece qualche passo avanti perché il volto si illuminasse della luce che entrava dalla finestra.
“Che ti viene in mente?” finse di ridacchiare di fronte a quell’idea.
Red avvertì le lacrime agli occhi e si voltò di nuovo, lacerandolo con lo sguardo.
“Non mi sarei mai dovuta fidare di te, in fondo cosa mi aspettavo? Io non so nulla del tuo passato, di ciò che sei stato e probabilmente per tutto questo tempo non hai fatto altro che mentirmi” sentì sciogliere la voce che iniziò a tremare mentre gli spiegava ciò che Grace le aveva raccontato.
Jefferson sembrò improvvisamente stanco  o semplicemente spazientito, perché trasse un respiro profondo e socchiuse le palpebre per qualche istante.
“E’ ironico il fatto che sia tu a parlare di mentire, del passato, di conoscersi per ciò che si è…” gettò via la maschera che aveva tenuto fino a quel momento e si fece pericolosamente avanti, a piccoli passi, fino ad arrivare da lei per aggirarla. Appoggiò le mani al suo collo per sfiorarlo con le dita, fino a scostarle i capelli in avanti e scoprirle un orecchio così da sussurrare: “quando sei tu il vero mostro tra noi due”.
Red sgranò gli occhi, oltre a sentirsi avvampare per quella vicinanza così estrema, voltò la testa dalla sua parte ascoltando il suo respiro che batteva sul collo.
“Oh, non fare così Red. So benissimo chi sei e che cosa hai fatto, non c’è dubbio che tu abbia preferito nascondere a me e a Grace la tua natura. E’ comprensibile, non ti avremmo guardata con gli stessi occhi” la rimproverò come se ora fosse lei ad essere colpevole di qualcosa che non aveva fatto.
Red non si fece intimorire dalle sue parole, la natura che possedeva era difficile da accettare ma in un modo o nell’altro era riuscita a convivere con ambo le parti di sé. Aveva scelto di non dire nulla in proposito per il semplice fatto che una volta raggiunto Charming, non avrebbe più fatto ritorno da loro e voleva che si ricordassero di lei in modo positivo.
“Tu non sai nulla di me, Jefferson” sibilò a denti stretti, chinando da una parte per poter seguire i movimenti di lui “dimmi la verità, mi hai ingannata per tutto questo tempo”.
“La tua  è un’affermazione, non una domanda” continuava a sussurrarle così da procurarle brividi lungo tutta la schiena.
Red era esausta, non riusciva più a controllare i propri istinti e fu allora che si voltò per afferrarlo alla gola e stringere la presa, fino a farlo scivolare a terra per sedersi sul suo ventre di modo che evitasse di sfuggirle.
“Smettila di divagare. Voglio la verità” lo minacciò continuando a stringergli la gola, finché non allentò lievemente la presa.
“Allora sei davvero feroce come mi hanno detto” sussurrò lui avvertendo il peso del suo corpo gravare sul proprio “vuoi la verità? E va bene: Regina desiderava tenerti lontana da Charming e Snow White, così da togliere loro un valente alleato. Io dovevo solo trattenerti qui per evitare che li raggiungessi”.
Le lacrime di Red scivolarono lungo le guance fino a ricadere sul viso di Jefferson che non si era lasciato impietosire nemmeno per un istante. Cosa avrebbe dovuto fare?
“Quindi era tutto falso, ogni cosa…” non ebbe il tempo di sfogare la sua rabbia che Jefferson approfittò di quel momento di debolezza per ribaltare la situazione, la scostò di lato e questa volta fu lui a ritrovarsi sopra in posizione di vantaggio.
“No, non tutto era una bugia” sussurrò mentre le stringeva i polsi con forza e cercava disperatamente i suoi occhi “la situazione mi è sfuggita di mano, per il semplice fatto che ho iniziato a provare qualcosa per te. Qualcosa che tutt’ora mi spaventa, perché io non posso permettermi di amare qualcuno che non sia Grace. Io devo proteggerla, devo darle il futuro che si merita e nessuno si intrometterà sulla mia strada” le spiegò come se fosse ovvio.
Red corrugò la fronte, non riusciva a credere a quelle parole, temeva che potesse trattarsi di un nuovo inganno.
“Io non voglio fare del male a Grace, non potrei mai…” non riusciva a capire che cosa lei avesse a che fare con il bene di sua figlia.
“Lo so, ma Regina mi ha garantito che  se farò come dice darà a Grace il futuro che io non posso costruirle” la voce era rotta dall’umiliazione.
Red cercò di liberarsi dalla sua stretta ma lui insistette nel bloccarla per non farla scappare.
“Grace vuole solo averti accanto, Jefferson! Non ha bisogno di altro che del tuo affetto, non confondere i suoi desideri con i tuoi!” questa volta si fermò, senza agitarsi, per poterlo guardare negli occhi e cercare di farlo ragionare.
Lui non pronunciò alcuna risposta, come se si fosse soffermato a riflettere su quell’ipotesi. Cosa stava facendo? Era questo ciò che voleva diventare agli occhi di Grace, un uomo che si abbassava ad atti disonesti per raggiungere un obiettivo che forse a lei nemmeno interessava?
Allentò lentamente la presa sui polsi di lei fino a lasciarli liberi, poi si scostò per mettersi a sedere e coprirsi il volto con una mano, così da nascondere lo sguardo. Red che fu libera iniziò a rialzarsi cercando di capire se fosse improvvisamente rinsavito.
“Possiamo ricominciare da capo, come se niente fosse accaduto. Se la persona che ho conosciuto in questi giorni esiste davvero, allora è davvero possibile rimediare” cercò di dire con voce titubante.
Snow White non l’aveva abbandonata nemmeno dopo aver visto che cosa fosse stata in grado di fare, poiché aveva visto del buono in lei. Giudicare lui per i suoi errori sarebbe stato sciocco.
“Vattene” quelle parole uscirono dalle labbra di Jefferson come un ruggito.
Red non sapeva cosa fare, nonostante avesse scoperto la verità, una parte di sé desiderava rimanere per curare quelle ferite che si erano create. Non si mosse e rimase ferma.
“Va’ via!” le urlò contro quando si rese conto che non accennava a fare alcun passo, quindi si sollevò in piedi e le indicò la porta “non puoi rimanere qui, saresti un pericolo per Grace e non posso permetterlo. Non farti più vedere!”.
Un pericolo. Era diventata questo? In fondo non poteva mettere in dubbio le sue parole, lei aveva davvero in sé la natura di un mostro, se fosse capitato qualcosa di spiacevole non si sarebbe mai perdonata. Si avviò verso la porta in fretta, afferrando il mantello rosso che era rimasto attaccato all’appendiabiti e lo indossò velocemente.
“Jefferson…”
“VATTENE!” questa volta le urla furono strazianti per entrambi e non ci fu più nulla da aggiungere.
Red finì di sciogliere le lacrime che aveva negli occhi, aprì la porta e fuggì via, correndo lontana da quella casa, dai ricordi che si era costruita.
Jefferson rimase all’interno, l’ultima immagine di lei che vide fu il mantello rosso che si immerse nel bosco per poi sparire. Ricadde su una sedia con tutto il peso, portando una mano alla fronte. L’aveva lasciata andare, perché non poteva davvero permettere a Regina di catturarla e rinchiuderla in una torre.
Fino all’ultimo non si era fatto salire alcun rimorso, alcun senso di colpa, ma quando quel momento si avvicinò non riuscì a portare a termine la sua missione. Perché Grace non avesse una pessima opinione di lui, perché Red potesse tornare ad essere libera. Maledisse se stesso e ciò che era diventato, il giorno dopo avrebbe dovuto affrontare Regina e cercare di rimediare a ciò che aveva fatto.
Red non si voltò indietro nemmeno un momento, aveva paura di poter rivedere i suoi occhi. Non voleva andare via, non poteva allontanarsi dall’unico posto in cui si era sentita a casa. Non avrebbe più rivisto Grace, Jefferson sarebbe rimasto solo un pallido ricordo. Si era lasciata ingannare e si era accomodata così bene che aveva fatto diventare loro quella famiglia che desiderava accanto. Corse a perdifiato, nonostante alcuni dolori improvvisi alla gamba di cui non si capacitò. Cadde un paio di volte e poi si rialzò, riprese la corsa fin quando non fu libera di voltarsi indietro e accorgersi di non avere più un poto dove tornare. 








NdA: 

Ed ecco l'undicesimo capitolo! 
Ormai ci stiamo avviando verso un certo qual punto. Quale? Beh, in fondo il sortilegio verrà spezzato... ma non dirò nulla in proposito per non spoilerare.
Come avete letto nella prima parte ho modificato alcune cose avvenute nella prima serie: E' Ruby ad investire Jefferson e ad essere drogata, in più Emma riesce a catturare Jefferson. 
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, grazie e alla prossima! 
   
 
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