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Autore: Cygnus_X1    09/04/2014    5 recensioni
Pensieri venuti a casaccio dalla mia mente malata dopo aver letto un articolo sull'omologazione che mi aveva fatto incazzare. Uno sfogo, insomma.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Collage of broken words and stories full of tears'
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“Ma cosa cazzo sto facendo?”
Era davanti allo specchio, vestita con un paio di leggins e una maglia larga con il simbolo dell’infinito stampato enorme sopra, una di quelle magliette che andavano tanto di moda quell’anno. Si fissava con occhi sconvolti e un po’ terrorizzati. Fissava i capelli piastrati e le meches bionde. Fissava il semplice trucco che aveva sul viso, una sottile linea di eyeliner nero, identico a quello di tante, troppe altre ragazze.
Buttò gli occhi di nuovo su quel vestito abbandonato in un angolo. Si morse un labbro, indecisa. Ma poi imprecò contro la sua maledetta insicurezza e lo indossò. Quasi con una strana fretta buttò all’aria il comodino per recuperare, nascosta proprio sul fondo da tante cose inutili, la sua vecchia trousse di ombretti. Pescò il più scuro che riuscì a trovare e cominciò a aggiungere colore a quel look che improvvisamente le appariva falso.
Si fissò di nuovo allo specchio. Era completamente diversa. Il nero trucco pesante la faceva apparire più pallida, gli occhi sembravano più grandi e dorati.
E quel vestito. Nero. Corsetto aderente e minigonna a balze. Le spuntò un sorriso enorme sul viso.
Lei era sempre stata diversa.
A lei non era mai importato niente dei pareri della gente, era di quelle ragazze che facevano tutto quello che passava loro per la mente, incuranti delle opinioni di chiunque.
Poi doveva essere successo qualcosa.
Non ricordava esattamente il momento in cui aveva cominciato a sentirsi fuori posto. Lentamente era cambiata, seguendo quello che la sua triste solitudine la spingeva a fare. Quando era diversa era sola. La gente le parlava alle spalle, la chiamava depressa, sfigata. Lei non ce la faceva più, voleva solo qualcuno che la capisse, qualcuno diverso come lei.
Ma quel qualcuno non era mai venuto.
E così si era dovuta adattare.
Si era costretta a cambiare, fino a diventare una specie di bambolina sorridente e senza cervello uguale a troppe altre bamboline sorridenti e senza cervello.
E il cambiamento era stato così graduale che non se n’era accorta.
Finché, affondando nell’armadio per cercare una maglia che non trovava da nessuna parte, non aveva ritrovato quel vestito. Quel vestito le aveva ricordato chi realmente era.
Scoppiò a piangere, stretta nel suo abito da goth, con l’ombretto nero che colava disegnando scie sul suo viso.
Sua madre la sentì piangere dalla stanza accanto e accorse, preoccupata. Le andò vicino.
«Che succede, perché piangi? C’è qualcosa che non va?»
Lei sollevò gli occhi pieni di lacrime e sorrise.
«Non c’è niente che non va. Mi sono appena ritrovata.»
   
 
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