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Autore: Vic 394    11/04/2014    6 recensioni
I ricordi che ho di mia madre sono vaghi e sfocati. A volte cerco di riportarli a me, nelle notti in cui il sonno non arriva e sento il bisogno di rivivere i momenti felici. Ma sono memorie flebili come un sussurro. Lontane come un sogno, che più cerco di afferrarlo e più diventa sfuggente, sprofondando nell’oscurità. [...] Una delle cose che mi è stata marchiata a fuoco nel cervello, in modo quasi crudele, è il giorno in cui se n’è andata. Quel maledetto giorno, in cui l’ho persa per sempre.
Genere: Fantasy, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Hiccup Horrendous Haddock III, Valka
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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I ricordi che ho di mia madre sono vaghi e sfocati. A volte cerco di riportarli a me, nelle notti in cui il sonno non arriva e sento il bisogno di rivivere i momenti felici. Ma sono memorie flebili come un sussurro. Lontane come un sogno, che più cerco di afferrarlo e più diventa sfuggente, sprofondando nell’oscurità.

Una volta Sdentato ha dato un colpo di coda alla mia scrivania, facendo rovesciare un’ampolla di inchiostro sul libro che stavo leggendo. Mi sono girato solo qualche secondo per rimproverarlo, ma una volta tornato al libro ho notato che la pozza di liquido scuro aveva reso le parole indecifrabili.
Mi sento così quando cerco di ricordare la mamma: la mia mente è come un tomo la cui storia inizia dalla mia nascita, raccontando la mia vita. Man mano che cresco però una macchia d’inchiostro si espande sugli episodi dei miei primi anni, rendendoli illeggibili mentre li sostituisco inconsciamente con nuove esperienze senza essere in grado di evitarlo.
E la mia impotenza di fronte a questo fatto mi fa sentire piccolo.

Certo, alcune immagini sono più vivide di altre; come quella del suo sorriso, che mi scalda il cuore come una coperta in inverno. Oppure ricordo che quando avevo qualche incubo lei si infilava nel mio letto, abbracciandomi in modo da farmi accoccolare contro di sé e cantando una ninnananna di cui non mi è rimasta in testa neanche la melodia.
Una delle cose che mi è stata marchiata a fuoco nel cervello, in modo quasi crudele, è il giorno in cui se n’è andata. Quel maledetto giorno, in cui l’ho persa per sempre.

Come ogni mattina era venuta a svegliarmi, chiamandomi dolcemente mentre mi passava una mano fra i capelli scompigliati. Io però non volevo alzarmi, raggomitolato al calduccio come ero, e mi nascosi sotto le coperte. Lei non si arrabbiò, non lo faceva mai. Scostò la coperta e si stese accanto a me, tenendomi stretto e accordandomi altri cinque minuti di sonno.
Quando scendemmo per la colazione trovammo papà che versava nelle nostre scodelle il latte di yak, il viso assonnato ma dall’espressione serena.
Mangiammo tutti e tre insieme, ma nessuno sapeva che sarebbe stata l’ultima volta. La mamma aveva un sorriso triste, come se avesse saputo… No, so bene che questo dettaglio è una distorsione della mia memoria, è impossibile che chiunque di noi potesse immaginare come sarebbe andata.
La mattina la passammo tranquillamente, io indaffarato con qualche giocattolo e i miei genitori abbracciati che mi seguivano con lo sguardo ovunque mi spostassi.
Poi lei prese una borsa e uscì, dando un bacio a papà e abbracciandomi forte. Non ricordo la sua voce, ma le ultime parole che mi ha rivolto sì.
“Ti voglio bene, bambino mio” mi aveva sussurrato, come faceva ogni giorno. Vorrei solo che non fosse stato l’ultimo.
E invece quella sera non tornò. Né quella dopo, né la seguente e così via.

Dopo averla cercata in lungo e in largo, senza risultati, mio padre si chiuse in se stesso, diventando l’uomo burbero che conosco, colui che difficilmente si abbandona ai momenti sentimentali. La sua espressione dura scoraggiò qualsiasi mia domanda e la mamma divenne quasi un tabù.
Siamo andati avanti da soli, io e lui, aiutandoci a vicenda pur mantenendo le distanze uno dall’altro. Solo adesso stiamo cominciando a conoscerci davvero, dopo tanto tempo.
Col passare degli anni ho dimenticato il volto di mia madre, la voce, il comportamento. Ero troppo piccolo quando se ne andò, non sono riuscito a conservare quasi nulla. Lei è un’ombra, una sagoma, un sorriso di sfuggita che però mi fa stare bene.

Mi prende un po’ di tristezza al pensiero che non fosse stata lì a difendermi dalle angherie dei bulli più grandi o a festeggiare i miei successi, come la vittoria contro Morte Rossa. Anche se forse sarei una persona diversa, se lei mi avesse seguito nel mio cammino. E mi chiedo chi sarei potuto diventare, avendola al mio fianco.
Ci sono volte in cui tiro giù dalla testata del letto il drago di peluche che mi aveva regalato, lo guardo senza vederlo davvero e mi lascio investire da questi dubbi, perdendomi in congetture e ipotesi sulla vita che avrei potuto condurre. Ma tendo a mantenere i piedi per terra.
Non mi permetto di lasciarmi trascinare nel passato dalla malinconia, ma mi concedo il pensiero che lei sia sempre con me, a proteggermi silenziosamente dall’alto.

Perché mia madre è morta. E questa è una cosa che non può cambiare.
Ed è questa consapevolezza che mi sbatte violentemente contro la realtà, ricordandomi cosa ha scatenato questo flusso di pensieri.
Perché davanti a me, in questa grotta semibuia e piena di draghi, c’è una donna con i miei stessi occhi, i capelli scuri e la stessa espressione che ho quando sono in ansia per qualcosa, che ha appena dichiarato di essere lei.

Di essere Valka.

Di essere la mia mamma.

Mi sento paralizzato. Una parte di me vorrebbe correre ad abbracciarla, assicurandosi che non si tratti della mia immaginazione e lasciandosi andare a un pianto di sollievo. Un’altra parte vorrebbe urlarle contro di starmi lontana, di non permettersi di parlarmi a meno che non abbia una spiegazione logica per avermi abbandonato come ha fatto, lasciandomi in balìa della solitudine per tutti questi anni.
Un ultimo lato di me non intende credere a questa donna che ho davanti e che per caso mi si mostra solo ora, dichiarando di essere una persona morta da tempo.
Sono spaccato in una lotta contro me stesso che sembra durare ore, giorni interi, anche se so che si tratta di poche frazioni di secondo.
Nel dubbio, incapace di fare altro, indietreggio di un passo, trasalendo.
 
-Should I know you?-
-No, you were only a babe. But a mother never forgets.-




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Angolo Vic
Nota: "overwhelmed" significa "travolto". E ora a voi l'angolo.
Premetto che questa storia mi gira in testa dal lontano 19 Dicembre 2013, quando ho visto il trailer inglese per la prima volta (e per questo la citazione alla fine è proprio in inglese, mi ci sono affezionata). Ci ho messo molto tempo a svilupparla, non sapendo come mettere su carta i miei pensieri sempre più confusi e vorticanti.
Ammetto che tutte le reazioni che ha Hiccup le ho provate io: all'inizio non potevo crederci, poi mi sono arrabbiata da morire (spero davvero che quella donna abbia un'alibi inaffondabile), ma vedendo il nuovo trailer che è uscito un paio di giorni fa ho capito che qualunque cosa sia successa non è stata sua intenzione lasciare la sua famiglia. No, dico, avete visto le reazioni di Stoick? Me crepa male.
Vi chiedo solo di avere pietà, visto che questa è la prima storia in cui Hiccup parla in prima persona. Ma dovevo provarci, anche se so di dover migliorare molto, continuando a esercitarmi.
Vorrei dedicarla a Chiara, che mi ha dato dei consigli anche se non sapeva di che stessi parlando, CodaViola i cui scleri porterò nella tomba col sorriso, Sowk che sembra svanita nel nulla e infine a u t u m n, con cui di recente ho iniziato a fare due chiacchiere.
Che altro, spero vi piaccia e ci sentiamo presto!

Vic
   
 
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