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Autore: Akrois    17/04/2014    2 recensioni
[S. Fitzgerald; Il grande Gatsby]
E Nick preparava i pancake alle cinque del mattino di giovedì, con Jay che dormicchiava sul divano, accompagnato da un po’ di musica jazz, un bicchiere di whiskey e dalla sensazione di aver perso il controllo della propria vita.
E che Jay Gatsby prima o poi lo avrebbe ucciso. Ma la cosa non gli dispiaceva particolarmente.
[Deliberatamente ispirata alle "string theory". Jay e Nick s'incontrano in svariate realtà. Slash in alcune, amici in altre, in una delle realtà sono degli adorabili cagnolini fuffolosi. Se questo non v'invoglia a leggere questa storia, non so cos'altro dirvi. Magari potrei offrirvi del cioccolato.]
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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(N)ever.
 
 
 
Nick guarda il viso serafico di Jay sotto la luce della luna e sono loro due, mille fiori e una bara.
___
 
Le foglie scricchiolarono sotto le sue scarpe mentre camminava nel parco, osservando giovani donne vestite di bianco e azzurro che spingevano lentamente carrozzine cigolanti, ogni loro movimento accompagnato dalla voce roca e allegra dell’occupante della carrozzina.
- Nick!- esclamò una di loro – Nick, caro, da quanto tempo!- parlava troppo forte e ascoltarla per più di dieci minuti gli faceva venire mal di testa – Cerchi il signor Gatsby, tesoro? – la guardò sistemare la lunga sciarpa color rame attorno al collo del paziente (si chiamava Elmer e sorrideva sempre quando l’infermiera gli sistemava la sciarpa) – Certo che cerchi il signor Gatsby, che domande. Non sei mica venuto fin qui per fare quattro chiacchiere con me. Nessuno viene mai a fare due chiacchiere con me. - disse l’infermiera sospirando.
- Io ci chiacchiero con te, Hope. - protestò Elmer, l’infermiera rise.
- E di questo ve ne sono grata - disse sorridendo – ah, se solo vi avessi incontrato quarant’anni fa, signor Germann - Elmer ridacchiò e Nick sorrise – nostalgia a parte, il signor Gatsby è laggiù, vicino alla fontana.
- Che cosa sta facendo?- domandò cercando di scorgere la familiare silhouette dietro la coltre di alberi e foglie – Guarda i piccioni come al solito?
- No, oggi guarda le foglie. E ne sembra semplicemente mesmerizzato. – Hope rise e spinse la sedia del signor Germann verso il parco. Nick si diresse verso la fontana.
Jay era seduto su una panchina di granito grigio, con le lunghe gambe stese in avanti e il bastone con l’impugnatura d’argento tra le mani. I suoi occhi erano persi nella danza delle foglie.
Si sfilò il cappello, avvicinandosi lentamente con le scarpe che affondavano nel soffice tappeto color delle fiamme – Ti aspettavo per giovedì, vecchio mio - disse l’uomo, con una voce calda e fragile come una foglia cadente – cosa ti ha fatto cambiare idea?
- Volevo venire prima che iniziasse a fare freddo- disse Nick sedendosi sulla panchina – così potevamo andare a fare un giro con la macchina. Teniamo la capotte abbassata e compriamo una bottiglia di qualcosa di buono, che ne dici Jay?
Jay ridacchiò scuotendo la testa – Non credo di poter andare da nessuna parte, vecchio mio. I dottori mi vogliono qui.
- Come mai? Fino alla settimana scorsa potevi uscire.
- Mi hanno cambiato le medicine - Jay guardava le foglie e i suoi occhi brillavano – dicono che mi restano tre mesi, vecchio mio.
Le foglie cadevano. Nick si guardò le scarpe per un lungo momento – Tre mesi?
- Forse cinque.
- È davvero poco tempo.
- Hai ragione, vecchio mio.
- Cosa farai in questi tre mesi?
- Forse cinque.
- Cosa farai in questi tre forse cinque mesi?
- Aspetterò che tu venga a trovarmi, vecchio mio.
Jay Gatsby in quel momento non era altro che un pupazzo di foglie color fiamma con un cuore che batteva troppo forte e un cancro che lo mangiava vivo.
Nick lo abbracciò.
___
 
La stanza era piena di fumo e risate e puzza di sudore. Jay se ne stava steso sul letto con la testa affondata nel cuscino, fumando lentamente.
Dalle sue labbra rosee uscivano lenti rivoli di fumo. Nick stava seduto a terra, una delle gambe di Jay poggiata contro la sua spalla e la testa rovesciata sul materasso. Daisy rideva sull’altro letto e Jordan beveva e rideva e altre persone entravano e uscivano dalla stanza di tanto in tanto, ma a nessuno importava.
- Jay- biascicò tirando il bordo dei pantaloni dell’altro – Jay, passamela, muoviti.
- Ancora un tiro- mugolò Jay, cercando di divincolarsi dalla presa dell’altro – non fare l’egoista, vecchio mio.
- Qui l’unico egoista sei tu J., ti ricordo che metà di quell’erba l’ho pagata io; quindi mi spettano metà dei tiri. – grugnì tirandolo giù dal letto senza troppe cerimonie. Jay rise allegramente, scivolando giù dal copri piumino blu come se non avesse ossa.
Nick lo guardò sedersi con la grazia di un gatto accanto a lui – Mi hai quasi fatto bruciare le lenzuola, vecchio mio.
- Che me ne frega- bofonchiò allungando la mano – dammi quella canna, J.!
- Solo un momento, vecchio mio- disse Jay poggiandogli una mano sulla nuca – solo un momento.
Nick lo guardò aspirare lentamente e poi chinarsi verso di lui, poggiando le labbra sulle sue e riempiendo la sua gola e i suoi polmoni di fumo caldo e profumato. Rimase immobile a fissarlo, col fumo che gli usciva dalla bocca e gli occhi pieni di stupore. Jay si limitò a sorridere.
Jordan gli tirò un cuscino e Daisy rise più forte.
___
 
Daisy se ne andava via. Tutti lo sapevano, ma nessuno voleva accettarlo.
Specialmente Jay.
Aveva passato i giorni precedenti accanto a Daisy, supplicandola di non andare via, guardandola con quei suoi grandi occhi azzurri che la pregavano di restare.
Ma Daisy sapeva di non poter restare. Quando si avvicinava a Jay il suo sguardo era già nella sua nuova casa, quella grande villa con i maggiordomi in livrea e le tende bianche e questo, oh, questo spezzava il cuore del caro Jay.
La macchina di Tom sfrecciò sul vialetto, sollevando nuvole di polvere giallastra alte come palazzi.
Daisy guardò Jay un’ultima volta e poi salì in macchina.
Jay ci provò. Corse a perdifiato dietro la macchina, ululò, guaì, incespicò e cadde.
Nel pulviscolo i suoi occhi non trovavano più la macchina e il suo naso non sentiva più l’odore di Daisy.
Nick s’accucciò accanto a lui e strofinò il naso sotto il suo orecchio. Jay lo guardò con occhi lucidi. Nick annuì.
Lentamente, i due cani si avviarono verso la villa di Tom Buchanan.
___
 
Alcool e musica e Gatsby e risate e di nuovo Gatsby e lenzuola e Gatsby e Nick e whiskey e jazz e Gatsby e telefoni che squillando e
E Nick preparava i pancake alle cinque del mattino di giovedì, con Jay che dormicchiava sul divano, accompagnato da un po’ di musica jazz, un bicchiere di whiskey e dalla sensazione di aver perso il controllo della propria vita.
E che Jay Gatsby prima o poi lo avrebbe ucciso. Ma la cosa non gli dispiaceva particolarmente.
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- Jay!- sbatté il pugno contro la porta – Jay, cazzo, esci immediatamente da quel dannato cesso, devo pisciare, cazzo!
- Solo un minuto!
- Hai detto che ti serviva un minuto almeno venti minuti fa! Esci subito o ti piscio sullo zaino, quant’è vero iddio!
La porta si spalancò. Jay uscì in tutta la bellezza che Dio o chi per lui concedeva alle ragazze quindicenni appena sveglie.
Quindi sembrava uno zombie.
- Non mi sono truccata.
- E chi se ne frega.- grugnì Nick sgomitando per entrare nel bagno – Vai a scuola così. Almeno quello stronzo di Fay ti noterà.
- Noterà quanto faccio schifo.
- Meglio. - sbottò chiudendo la porta, mentre Jay correva verso la sua stanza gridandogli che era il cugino più merdoso del mondo.
___
 
Jay Gatsby era bello come il sole e stronzo come un esattore delle tasse che si presenta a casa tua la mattina di Natale e si porta via l’albero e tutti i regali sotto gli occhi dei tuoi figli seienni.
- Cos’è questo.
- Caffè.
- Grazie, vecchio mio- Gatsby si voltò verso di lui con un sorriso da accecare le masse - mi chiedevo solamente che merda di caffè è questo.
- Caffè americano, macchiato con latte di mandorla, con due spruzzate di sciroppo alla nocciola senza zucchero e una spolverata di cannella.
- Manca la stevia.
Nick gli sventolò il pacchetto sotto il naso – La stevia la metti sempre da solo Jay.
Gatsby rise – Sei l’assistente migliore che abbia mai visto Nick. Runway sarà un posto migliore finché ci sei tu.
Nick lo guardò sorseggiare il suo intruglio disgustoso che sembrava quasi caffè e sorrise.
___
 
 Stava mangiando una pizza. Lo stronzo stava mangiando una pizza.
Sul cornicione del quarantasettesimo piano.
Lo stronzo.
- Vuoi della pizza?- domandò guardandolo con certi occhi azzurri da far scioglier e il granito.
- Hai allertato i pompieri, i preti, i poliziotti e tutte le aspiranti infemierine amorevoli di New York.
- Uhm?
- Perché mangi pizza seduto su un cornicione?
- Perché non dovrei?
Il ragionamento gli sembrò accettabile. Nick si sedette sul cornicione e mangiò la pizza.
__
 
Sul pozzo gravava una maledizione.
Si diceva che chiunque fosse così stupido da guardarci dentro finiva per morire quello stesso giorno.
Ovviamente le leggende sono una puttanata e le maledizioni lo sono anche di più.
Quindi Nick Carraway un giorno afferrò il pesante coperchio di ferro e lo alzò. Poi guardò dentro il pozzo.
Ovviamente, Nick Carraway sapeva che Jay Gatsby era morto nel 1984 e non poteva essere lì in quel momento. Soprattutto, era estremamente improbabile che fosse dentro il pozzo.
 Ma Nick Carraway aveva anche settant’anni, il cuore debole e la vista corta.
Quindi si buttò subito ad abbracciare il suo più caro amico.
___
 
Nick teneva in mano dei fiori, una scatola di cioccolatini e il suo cuore.
Jay lasciò cadere a terra fiori e cioccolatini, ma si strinse forte al cuore di Nick.
Nick se ne fregò dei fiori e dei cioccolatini.
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Nick guarda il viso serafico di Jay sotto la luce della luna e sono loro due, mille fiori e un “ti amo” sussurrato a fior di labbra.
 
 
 
 
 
A.Corner__
Ho riesumato questa storia, l’ho finita e l’ho pubblicata. Sono una donna felice.

 
   
 
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