Eric
era sdraiato su uno dei letti della sua stanza
d’albergo, con la testa poggiata sul cuscino. Aveva gli occhi
chiusi e stava
cercando di prendere sonno, ma l’impresa risultava piuttosto
difficile, visto il
rumore martellante che proveniva dalla camera accanto.
Quello che doveva essere un letto stava infatti sbattendo ripetutamente
contro
la parete dietro di lui: Peter London si stava evidentemente dando da
fare.
La situazione era inequivocabile, dato che i colpetti erano conditi dai
gridolini femminili che arrivavano atuttiti alle orecchie del
batterista. E no,
non era la voce di una ragazza, era proprio la voce di Peter.
Eric riteneva che London avrebbe anche potuto accertarsi dello spessore
della parete fra le due stanze prima di intraprendere una tanto
infuocata performance,
soprattutto se era convinto di portare avanti quella farsa della sua
presunta
eterosessualità. Non mi piacciono gli
uomini, continuava a ripetere quando Eric era nei paraggi,
come se lui non
avesse molteplici prove che assicuravano il contrario.
Il batterista sorrise al pensiero di quanto Peter fosse ingenuo nel
credere che
lui se la fosse bevuta per tutti quegli anni e che non lo avesse mai
sentito
mentre faceva sesso, o l’amore, o qualsiasi altra cosa con
Martin.
Eric sapeva, vedeva, sentiva. Ma fare finta di niente lo divertiva, era
diventato quasi interessante ascoltare le scuse che Peter ogni volta si
sentiva
in dovere di inventare per giustificare rumori molesti, stanze chiuse a
chiave,
tubetti di lubrificante…
Chissà cosa si sarebbe inventato il mattino seguente per
spiegare quella
confusione.
Erano quasi le tre del mattino quando, per la prima volta da quando si
era
sdraiato su quel materasso, Eric sentì distintamente anche
la voce del partner
di London, che parlò chiaramente dopo quasi un’ora
di sospiri e sussurri. Il
batterista si rese improvvisamente conto che la cosa peggiore non era
che Peter
stesse scopando con Martin nella stanza accanto. Perché
quella non era la voce
di Martin.
Era la voce di Simon.
Eric spalancò gli occhi. Nel giro di un istante
tutto si incastrò alla
perfezione: l’assenza della cronologia dei messaggi di Simon
sul telefono di
Peter, che era sempre stato troppo pigro per cancellare le
conversazioni; le
battute allusive da parte di entrambi; e, soprattutto, i risvegli
occasionali
in hotel accanto ad un chitarrista annegato nell’alcol e
psicologicamente
distrutto.
Fino a qualche mese prima, lui e Simon avevano sempre condiviso una
delle due
stanze, lasciando spazio a Martin e Peter di fare i propri porci comodi
nell’altra, nonostante loro cercassero di mascherare la cosa
come meglio gli
riusciva.
Ma ora Peter se la faceva con Simon. Anche
con Simon.
L’illuminazione colse Eric come un fulmine a ciel sereno.
Evidentemente
Martin lo sapeva ed era per questo che stava così male,
perché Martin
era uno a cui i sentimenti interessavano molto più del
rapporto fisico. Questo
Eric lo sapeva anche se non glielo aveva mai detto nessuno, lo vedeva
nei suoi
occhi ogni volta che lo scorgeva intento ad osservare Peter con sguardo
perso.
E Peter stava clamorosamente tradendo la sua fiducia.
Mentre il suo cervello riordinava le informazioni che aveva appena
immagazzinato, Eric sentì i passi di Martin che percorrevano
il corridoio verso
le loro stanze. Si mise in ascolto, intuendo già come
sarebbe andata a finire.
I passi superarono porta della sua camera e si fermarono davanti a
quella
seguente.
Il chtiarrista bussò ed Eric lo sentì.
Gli altri due invece non lo sentirono, troppo coinvolti
dall’estasi del piacere
che proprio in quel momento doveva aver raggiunto Peter, facendolo
gridare come
una ragazzina.
Allora anche Martin capì, e non fece nemmeno un altro
tentativo di entrare
nella stanza.
Tornò indietro ed abbassò la maniglia della
camera da cui Eric stava ascoltando
silenziosamente il susseguirsi degli eventi. Il batterista accese la
lampada
che stava sul suo comodino ed osservò in silenzio
l’espressione distrutta di
Martin, mentre i gemiti dell’orgasmo di Peter, seppure
attutiti dalla parete,
sembravano assordanti alle orecchie di entrambi.
Il chitarrista richiuse la porta dietro di sé, tolse il
gilet di pelle e si
sdraiò sull’altro letto. Ad Eric parve che i suoi
occhi fossero lucidi.
La performance dei loro compagni di band era culminata giusto in tempo
per dare
ancora una volta la prova a Martin di quanto fosse stato stupido ad
innamorarsi
di uno come London. Ne ebbe l’ennesima dimostrazione quando
Simon rese
partecipi anche lui ed Eric del fatto che “Dio
Peter, sei proprio una troietta con i fiocchi”,
ricevendo in risposta una
risatina maliziosa da parte dell’interessato.
E allora Martin cominciò a piangere silenziosamente, ma
abbastanza forte perché
Eric potesse accorgersene, alzarsi ed andarsi a sedere accanto a lui.
“Non ti merita” mormorò il batterista,
spostandogli i capelli dal viso. Martin
non si oppose a quel contatto e lasciò che l’amico
gli asciugasse le lacrime.
Sapeva che non c’era bisogno di ulteriori spiegazioni, la
situazione era già
abbastanza chiara.
Il resto della nottata passò silenziosa, dopo che anche
Simon e Peter ebbero
deciso di dare un taglio ai loro giochetti, e Martin si
addormentò fra le
braccia di Eric, che rimase sveglio a chiedersi quando i suoi compagni
di band
avrebbero smesso di farsi del male.