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Autore: AyakoSoul    19/04/2014    3 recensioni
Lui è l'ultimo Figlio dell'Ombra.
Lei è una Figlia della Luce.
Un potere che li separa, insieme ad una guerra.
E' possibile combattere per un amore irrealizzabile?
[Attenzione: l'immagine è stata presa da Internet e non è stata fatta da me, ma l'ho usata come illustrazione per rappresentare i due protagonisti]
Genere: Drammatico, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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Real Pain In Darkness
 

Fantasy Love Wallpaper




Corse a perdifiato, cercando di non curarsi del ponte dietro di lui che
crollava e scompariva nel fiume sottostante che scorreva impetuoso, facendo sì che non ne rimanesse nemmeno il benché minimo ricordo.
Guardò davanti a sé gli uomini armati dalle armature bianche che rilucevano al sole.
Puntavano contro di esso le spade, vedendolo come un nemico.
Una volta lo vedevano come un nobile da rispettare. Era cambiato tutto...
Non ebbe scelta: estrasse dal fodero il suo spadone nero, forgiato da suo padre anni prima. Aveva concentrato tutto il Male del mondo in essa, in modo che anche il sole alla sua vista sembrasse meno luminoso.
Ormai per quel popolo era un essere malvagio, freddo, che non si faceva scrupoli a uccidere la gente per fini personali.
Un assassino, quello che davvero era, quello che la sua natura gli aveva imposto.
Una creatura del male, un essere spregevole per tutte le creature che beneficiavano della luce del sole.
Scattò in avanti ed affondò la lama nel petto del primo nemico, perforandogli l'armatura, godendo della vista del sangue che scendeva fluido dal metallo.
Non diede il tempo agli altri di reagire, roteò il piede di lato e con un tondo squarciò in due anche il compagno.
Un'arma davvero prodigiosa, capace di perforare anche l'acciaio.
Mentre combatteva contò i nemici che gli andavano incontro: una quindicina, ma aumentavano, venendo dal palazzo.
Tagliò di netto la testa dell'uomo che si avventava contro di lui con la spada alzata e trapassò da parte a parte quello dietro di lui dopo essersi voltato di scatto.
Fece un macello, uccidendo chiunque osasse puntargli contro la propria arma.
Lui gioiva alla vista di tutto quel sangue versato, la sua voglia di uccidere cresceva man mano che avanzava verso il grande palazzo centrale.
Da fuori sembrava imponente, costruito in Vetro Bianco, un materiale vitreo e resistentissimo che emanava bagliori candidi alla luce e tratteneva un energia incredibile. Attorno ad esso c'erano cinque torri dalle guglie irte.
Osservò le finestre cangianti e vide oltre di essa la magra ed esile figura di una ragazza che lo guardava malinconico.
A quella vista la sua determinazione crebbe, continuò a fare a pezzi le guardie finché non giunse davanti all'enorme portone d'ingresso.
“Sto venendo per te” pensò e poggiò una mano sopra la maniglia.
Dovevano aver sigillato tutto a dovere, quindi lui chiuse gli occhi e si concentrò sul proprio palmo.
Il materiale con cui era costruito si sfaldò e tutto divenne polvere.
Entrò deciso e percorse il corridoio, costellato ancora di guerrieri e cecchini appostati con i loro archi dietro e sopra le colonne.
Non ne risparmiò nemmeno uno, subito riprese la sua corsa, ormai la zona era deserta.
Arrivata nel salone centrale, si guardò intorno finché non scorse il grande camino attaccato alla parete.
Era abbastanza grande da poterci far entrare due persone, quindi lui ci si infilò dentro, trovando però un ospite indesiderato.
Era buio, ma grazie alla luce emanata dai lampadari sopra il salone riuscì a delineare i contorni di un ragazzo sui dodici anni che reggeva in mano una padella. Tremava, gli occhi lucidi e le guance rigate dalle lacrime, e quando lo vide sussultò.
Doveva essere un giovane divenuto cameriere del Palazzo Reale dopo non aver rimediato altro e, avendo saputo della comparsa del nemico, si era nascosto lì.
Aggrottò la fronte: prese in considerazione l'idea di ucciderlo per farlo tacere, tanto aveva una padella da utilizzare come arma ma non aveva il coraggio di alzarla.
Gli afferrò il polso facendolo sobbalzare.
Avvicinò le labbra al suo orecchio e con voce sibillina e minacciosa gli diede un unico avvertimento.
«Ti lascerò andare via da vivo, ma spostati immediatamente. Non hai assolutamente idea di quali siano i miei poteri e stai pure certo che quando decido di graziare qualcuno quello può fidarsi di me. Ma non dovrai dire nulla a nessuno di ciò che hai visto. Chiaro?»
Il cameriere capì quale fosse la situazione in cui si trovava ed annuì frettolosamente.
Lo scostò bruscamente e lo invitò ad andarsene da quel posto, rivolgendogli contro la spada nera impregnata di sangue nemico.
Quello scappò intimorito con passo svelto.
Allora il ragazzo tastò la parete coperta dalla fuliggine finché non trovò una mattonella staccata.
La tolse e premette il bottone al suo interno, reggendosi saldamente alla reticella.
Uno scatto sonoro, poi si sentì sballottato mentre i mattoni grigiastri con cui era stato costruito tremolarono e lasciarono cadere polvere lucida sui capelli corvini del ragazzo che con uno sforzo sovrumano tentava di reggersi per non sbattere la testa.
Finito lo scossone, seppe che il camino si era abbassato e girato completamente fino a connettersi alla sua camera.
Lei gli aveva insegnato quel trucchetto utile per quelle volte che si ritrovavano la notte e rendevano le loro vite più gioiose, stando insieme per amarsi l'un l'altro.
Ripassò lo schema mentale che si era fatto degli alloggi: poco più in là avrebbe dovuto esserci il Salone Cerimoniale, di solito usato in onore delle grandi celebrazioni o anche festività più comuni.
Se lo ricordava bene: uno stanzone enorme dalla volta a punta ornato di stucchi rilucenti d'oro, un tappeto raffinato a decorare il pavimento ed un immenso altare di cristallo decorato con fregi ed iscrizioni dove erano posti due troni imponenti, quelli appartenenti al re e alla regina, e alcuni più piccoli, dove vi sedevano gli eredi che secondo la tradizione dovevano essere almeno tre.
Si ricordava ancora la prima volta che l'aveva vista, a dieci anni ad un ricevimento, bella e gentile, seria benché fosse anche un anno più piccola di lui.
Erano passati otto anni, erano cambiate molte cose. Nemici e amici avevano iniziato a non distinguersi più e loro non si erano più potuti vedere, da quattro anni prima.
Corse ancora finché non si trovò davanti ad un immenso portone in Vetro Bianco.
Non ci pensò due volte, prese la spada ed iniziò a colpirlo ripetutamente, procurando graffi e squarci alla superficie liscia.
Non riusciva a romperlo: era un materiale davvero resistente, riusciva ad assorbire l'energia degli attacchi.
Infuriato, gli diede alcuni calci finché, con un ultimo affondo, riuscì ad infrangere il centro e, tirando su la lama, lo polverizzò infondendovi la propria magia dentro.
Ansimò, provato da quegli avvenimenti e da tutte le notti che aveva passato a pianificare quell'attacco.
Guardò il suo riflesso nello specchio laterale della stanza: col tempo era diventato un ragazzo alto e muscoloso, i capelli corvini e lunghi fino a metà collo e la carnagione pallida che risaltava gli occhi rosso cupo.
Figli dell'Ombra, una dinastia dai poteri oscuri portata avanti fin troppo a lungo, votando i primogeniti alla Magia Oscura.
Lui ne era stato l'ultimo esponente prima che tutti i libri antichi fossero bruciati: si erano scatenate guerre crudeli con lo scopo di eliminare quell'errore della natura che non poteva più stare con gli Umani e i Figli della Luce, dinastie benigne che da sempre regnavano per costruire la pace e votati all'arte di quella stupida beneficenza verso il prossimo che tutti veneravano.
Fandonie create per tenere buono il popolo, mentre fuori dai territori la gente moriva.
Smise di pensare e si volse direttamente alla ragazza a pochi metri da lui.
Si voltò: era magra e pallida, i profondi occhi color giallo-oro si intonavano perfettamente coi capelli lunghi e lisci color del grano e la bocca sottile e rosea. Le mani perfettamente curate erano accostate una sopra l'altra all'altezza dello sterno, segno di nervosismo.
Avanzò di qualche passo, l'armatura nera scricchiolò, provata dai combattimenti.
«Sapevo che eri qui» disse sorridendole mesto.
Quella parve sciogliersi un po', gli occhi sembrarono tranquillizzarsi, mantenendo però un'ombra di inquietudine e preoccupazione nascoste.
Lui le porse una mano, senza un motivo, forse invitandola a scappare con lui da quella decimazione senza senso e senza fine.
Esitò, allungò la mano per stringergli la sua, ma la ritrasse.
I suoi occhi divennero lucidi e parve mettersi a piangere.
Il ragazzo sospirò.
«Erha, ti prego, non farmi questo. Io non voglio lasciarti, non voglio saperti morta dopo un attentato o un attacco preventivo da parte di mio padre. Se io facessi finta di morire tutto tornerebbe alla normalità, ma so che ti sei stancata degli incontri nascosti e pericolosi di ogni sera! Odio farti aspettare ogni notte ed odio attendere!- prese un bel respiro- Lo so che per te non sarebbe facile. Ma non lo sarebbe nemmeno per me e potremmo condividere di nuovo il nostro dolore! Ti prego...»
Disperato, le andò incontro, guardandola in quegli occhi affranti, quelle iridi pure di cui era tanto innamorato.
La abbracciò stringendola a sé, lasciando che si sciogliesse, che versasse lacrime che non versava da quattro anni.
Si staccò piano e appoggiò le proprie labbra alle sue, lasciando che quel bacio eclissasse ogni tensione, creando spazio per loro due, facendo sì che quella fragile creatura si sentisse al sicuro con lui ed esprimesse tutto quello che a parole non si poteva dire.
Lasciò che quel contatto creasse in lui l'illusione che poteva esserci un futuro per il loro amore, che non avrebbero più dovuto nascondersi e lottare per loro stessi.
Chiuse gli occhi, sperando che il tempo si fermasse in quel momento, lasciando sospeso quel bacio, facendo sì che le sue braccia stringessero delicatamente e per sempre le spalle esili di quella ragazza.
«Olner, io...» provò a dire tra i singhiozzi la ragazza infrangendo quel momento mentre il ragazzo le lisciava i capelli con la mano protetta dal guanto dell'armatura.
Essa ci rifletté un attimo: quel che aveva pensato era vero, per loro non c'era nessuno futuro.
Così si sciolse dal suo caloroso abbraccio e da una tasca segreta nascosta sotto la gonna estrasse una effimera e normale spada corta, che risplendeva sotto la luce creata dal Vetro Bianco e dai cristalli.
Fuori dal palazzo il sole stava già scomparendo oltre l'orizzonte e la stanza si riempì di effetti di luce che ricoprivano la stanza di bagliori arancioni e dorati.
Due ultime e consistenti lacrime uscirono dagli occhi spenti della ragazza ed esse rappresentarono tutto il dolore che si era portata dietro per anni, tra restrizioni e un amore impossibile, quello stesso dolore che per tempo le aveva lacerato il cuore dandole l'impressione di essere definitivamente morta dentro.
Si sforzò comunque di sorridere, pensando che peggio di un sorriso triste non ci fosse altro che il non poter sorridere, convinta di non voler lasciare la persona che amava con la tristezza dipinta in volto.
«Sei venuto qui per me...» iniziò, cercando di non riprendere a singhiozzare «Ma lo sai pure tu che per noi non c'è un destino insieme» Erha si preparò al dolore fisico che si sarebbe ammontato a quello morale.
Erano due creature completamente diverse: una Figlia della Luce e l'ultimo Figlio dell'Ombra.
Un tempo avrebbe voluto rappresentare la possibilità di poter vivere anche con delle ombre che macchiavano la luce o con la possibilità di rischiarare il buio.
Ma tutto ciò era impossibile.
Lui aveva fatto di tutto, aveva ucciso per arrivare fino a lei.
Lei lo apprezzava, ma la furia omicida e bramosa di sangue che aveva intravisto da dietro la finestra marcava ancora di più il confine tra loro due.
Non riusciva più a sopportare il dolore e nemmeno vederlo soffrire.
Voleva farla finita. Per sempre.
Puntò la lama al suo petto e, prima che Olner la potesse fermare mentre le andava incontro col braccio teso, affondò la lama fino all'elsa e si trafisse lo sterno, toccando lateralmente anche il cuore.
Il sangue imbrattò il pavimento e le pareti, il cristallo dell'Altare ora non splendeva più, coperto dagli schizzi, mentre la notte calava.
Provò un dolore indicibile, non respirava più, le vorticava la testa, gli occhi appannati.
Si accasciò al suolo priva di forze, una grande macchia cremisi si allargò intorno a lei.
La morte, forse la giusta punizione.
Chiuse gli occhi, senza piangere. Nell'arco della sua vita aveva consumato tutte le lacrime, non gliene restava nemmeno una.
Chiuse gli occhi sforzandosi di sorridere, per lui che gli aveva regalato momenti indimenticabili.
“Scusami...” pensò, ma non ebbe la forza di dirlo.
Esalò il suo ultimo respiro, lasciando il dolore fuori dal suo spirito.


Olner si inginocchiò accanto al suo cadavere con ancora il sorriso che le curvava le labbra, le guance bianche come la neve ora erano macchiate di rosso come una parte dei vestiti e dei morbidi capelli.
Non disse una parola, pensando che se avesse spezzato quel religioso silenzio forse sarebbe finito il mondo.
“Che poi, non sarebbe un peccato” pensò secco, rimuginando su ricordi di guerra, dolore e distruzione.
Ora la persona che aveva amato più di ogni altra cosa non c'era più, si era uccisa con le sue stesse mani, schiacciata da un peso che non le apparteneva.


Ed era tutta colpa sua.


Due lacrime iniziarono a solcargli il volto, la prima volta che piangeva per qualcuno.
Non era mai riuscito a piangere per nulla ed ora tutto il dolore che aveva soppresso per quella fatata creatura eruttava come un vulcano.
Singhiozzò, prendendo una sua fredda mano e portandosela al viso, sperando che la lusingasse sapere che era la prima per cui piangesse.
“Smettila, non c'è più nulla da fare”.


Le guardie arrivarono nella stanza e con loro i nobili residenti a palazzo, il re e la regina.
Sui loro volti era dipinta un'espressione muta di stupore, diniego, disperazione.
Dentro la sala, in piedi, c'era il Figlio dell'Ombra, che aveva creato tanto scompiglio in un solo giorno.
Teneva la sua terribile spada nera in pugno e un'altra lama più piccola nell'altro, un'espressione spenta sul volto con una guancia rigata da una goccia di sangue.
Ma quello che scandalizzò di più fu la vista della Principessa ai suoi piedi, pallida, sembrava non respirare più.


Nessuno fece caso alla sua espressione serafica, però.


Il ragazzo iniziò a ridere piano.
«Sì, è colpa mia. E' tutta colpa mia. Lei è morta per mano mia. Dichiarate guerra a mio padre, al mio popolo, uccidetevi e scannatevi come cani in un'arena. Sì, voi che non avevate colto il vero stato d'animo di una creatura che nascondeva la sua sofferenza dietro un dolce sorriso. Era bella, vero? Ma nessuno se la meritava, me compreso. Ma forse ora è il caso di raggiungerla, potrebbe sentirsi sola.»


Non diede il tempo a nessuno di fiatare, alzò la spada e se la conficcò vicino al cuore, muovendo l'elsa in modo che creasse un cerchio intorno all'organo.
Provava un dolore indicibile, enorme, sentiva ogni fibra del suo corpo tesa, sbocchi di sangue gli uscivano dalla bocca, ma ancora non era abbastanza.
Non era niente di paragonabile al dolore che aveva oppresso per anni l'animo di lei.
Estrasse la lama impregnata di sangue scuro dalla carne e si accasciò al suolo. Con un ultimo e immane sforzo scavò con la mano nel cerchio di carne che aveva creato e ne estrasse il proprio cuore, nero come la pece, impregnato di odio e di anni di restrizioni e sofferenze, di Magia arcana e distruttiva.


Morì anche lui col sorriso triste dipinto sul volto, accanto alla sua amata, stringendole la mano.


“Il mio cuore appartiene a te...”


...per loro non avrebbe mai potuto esserci un lieto fine.



............................................
Angolo essenzialmente dell'autrice:


Bene, forse si capisce dalla storia che sono disperata felice :D
Mi girava in testa da un po' di tempo quest'idea, dove l'oscurità non incarna in sé il "male" ma lo è perché imposto da altri. La storia d'amore senza lieto fine è venuta dopo.

 

 

  
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