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Autore: Alexandra e Mac    20/04/2014    10 recensioni
Il Passato e il Futuro si mescolano in questo racconto che conclude la trilogia iniziata con Giochi del Destino. Per tutti coloro che hanno amato i personaggi storici da noi inventati.
Genere: Romantico, Sentimentale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Harmon 'Harm' Rabb, Sarah 'Mac' MacKenzie
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Scritto nel Destino'
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Disclaimers :

Il marchio JAG e tutti i suoi personaggi appartengono alla BELLISARIO PRODUCTION. In questo racconto sono stati usati senza alcuno scopo di lucro.
Qualunque riferimento a fatti o persone, che non siano avvenimenti o personaggi storici, e’ del tutto casuale.
I contenuti del racconto sono tutelati ai sensi della legge 633/1941 (legge sul diritto d’autore). Tutti i diritti riservati.

Nota dell’autore:

Pubblico questo racconto (perché più di “racconto” che di fanfic si tratta) in questa sezione, benché sia incentrato su personaggi che con Jag hanno ben poco a che fare, solo per il fatto che, assieme ad Harm e Mac, questi personaggi sono stati i protagonisti dei due capitoli precedenti di questa trilogia.

Lo pubblico, inoltre, sotto il nick   Alexandra e Mac  nonostante lo abbia scritto da sola perché trattasi, appunto, del capitolo conclusivo della serie “SCRITTO NEL DESTINO e anche perché l’idea di questo racconto, che avrebbe dovuto concludere il nostro viaggio nella Storia, io e Mac l’avevamo avuta  assieme.Pu rtroppo, poco dopo aver buttato giù a grandi linee la trama di questa storia, la Vita ci ha allontanate: impegni e interessi diversi hanno modificato le nostre priorità e abbiamo smesso di scrivere insieme.

Io stessa, per molto tempo, ho smesso di scrivere: JAG era terminato e con esso l’ispirazione. Questa storia appena abbozzata, tuttavia,  restava lì, nella mia testa. Per passatempo, dopo un anno circa che giaceva abbandonata, mi venne voglia di riprenderla in mano e tentare di farla rivivere. Tra alti e bassi di un’ispirazione che andava e veniva senza neppure un filo logico, un bel giorno mi sono resa conto che avevo scritto parecchio e che quindi questo racconto meritava di avere una conclusione e di essere pubblicato. Ne ho parlato con Mac la quale, benché dispiaciuta di aver abbandonato la nostra idea, non ha avuto obiezioni in merito.
E così, sempre tra gli alti e bassi di un’ispirazione ballerina, non ho desistito: l’ho rivisto, in parte riscritto e terminato e, alla fine, a distanza di anni dall’idea iniziale, eccovi l’ultimo capitolo della trilogia “SCRITTO NEL DESTINO”.

Certamente questo racconto è diverso da quello che sarebbe stato se io e Mac lo avessimo scritto assieme. Ciò non è stato possibile, quindi quello che leggerete è la “mia idea” di quell’idea comune iniziale.
Spero che vi piaccia comunque.

 

Nel pubblicare questo primo capitolo, colgo l'occasione di augurare a tutti voi Buona Pasqua!

Alexandra

 

Capitolo I


Prologo

Tramonto



Alla luce della lampada la penna scorreva rapida sul foglio, nonostante la mano che l’impugnava dimostrasse, ormai da tempo, i segni dell’età. Una parola dopo l’altra i pensieri si trasferivano dalla mente alla pagina bianca attraverso una calligrafia ancora ferma e sempre elegante.

Soddisfatto di sé, l’uomo sorrise: il suo cuore ogni tanto faceva i capricci, ma la mente funzionava ancora e si sentiva lucido come a vent’anni. O forse era più giusto dire come vent’anni prima.

Nella stanza il camino acceso riscaldava l’ambiente e lo illuminava di una luce dorata; benché fosse estate il temporale del pomeriggio aveva rinfrescato l’aria e il tepore del fuoco mitigava l’umidità della notte.

L’uomo controllò l’orologio: segnava l’una e un quarto eppure non aveva ancora sonno. Si era messo a scrivere appena dopo la mezzanotte, e oramai aveva intenzione di terminare prima di raggiungere sua moglie a letto; purtroppo da alcune settimane le cose da annotare erano troppe, ma quando aveva la mente affollata di pensieri difficilmente riusciva ad addormentarsi. Era sempre stato così, fin da ragazzo: doveva scrivere tutto quanto e solo allora riusciva a prendere sonno. Per fortuna alla sua età gli bastavano poche ore di riposo.

Era preoccupato per la situazione politica creatasi dopo l’attentato del 28 giugno e sentiva nell’aria odore di guai grossi; conosceva troppo bene le pedine sulla scacchiera per non immaginare i giochi che si sarebbero fatti.

Forse ancora nessuno aveva compreso appieno che quel lutto, pianto come una tragedia familiare, in realtà si profilava piuttosto come un disastro spaventoso; ma lui aveva pochi dubbi su come si sarebbe evoluta la faccenda, era solo questione di tempo, e forse neanche tanto.

Avrebbe dato metà del suo patrimonio per avere vent’anni in meno e poter partecipare alle trattative diplomatiche poiché, forse, un suo intervento avrebbe potuto scongiurare ciò che ormai temeva come imminente; mentre avrebbe dato la restante metà per evitare che i suoi figli e i suoi nipoti vi assistessero.

I suoi ragazzi…

Era orgoglioso di ognuno di loro, senza distinzione. Adorava le sue bambine, le aveva adorate fin dal primo sguardo. E amava molto i due maschi, anche se da anni evitava di dirglielo, si limitava a farglielo capire. E poi c’erano i nipoti... quattro ragazzi e cinque ragazze che erano la gioia della sua vecchiaia e che avrebbero continuato la sua discendenza.

L’ormai familiare sfarfallio al cuore gli impose di posare la penna, appoggiarsi allo schienale della sedia e respirare profondamente. Certe preoccupazioni, alla sua età, avrebbe dovuto risparmiarsele, il medico gliel’aveva raccomandato più di una volta. Ma per non preoccuparsi avrebbe dovuto ignorare ciò che accadeva nel mondo e non era nel suo carattere, non lo era mai stato.

Era sempre stato un uomo molto attivo e ben calato nella realtà del suo tempo, non avrebbe smesso proprio ora di esserlo. L’età avanzava inesorabile e il corpo non era più robusto e potente come quando aveva trent’anni, ma lo spirito e la mente se li sentiva ancora quelli di allora pertanto, nonostante la tragicità degli eventi e ciò che temeva, la situazione di quel momento, precaria, instabile e potenzialmente pericolosa, era al tempo stesso stimolante per un uomo che aveva fatto della diplomazia e della strategia politica due tra le ragioni principali della propria vita.

Tuttavia, in quel preciso istante, l’età si stava facendo sentire e, nonostante i respiri profondi, il suo cuore non accennava a tranquillizzarsi. Decise di mettersi più comodo: si alzò, si diresse con passo incerto verso la poltrona davanti al camino e si sedette. Si rese subito conto che quel breve tragitto lo aveva affaticato molto più del solito, allora allungò le braccia e respirò di nuovo a fondo, per riprendersi. 

Sentì la lingua calda di King, il suo adorato setter irlandese, che gli lambiva la mano sinistra, quasi ad infondergli forza e tranquillità. Sollevò la mano e grattò la testa all’animale, che lo seguiva come un’ombra da ormai otto anni; il cane uggiolò beato e si accoccolò a terra, il muso come sempre appoggiato sui suoi piedi.

L’uomo abbandonò il capo sullo schienale e rimase per qualche attimo in contemplazione del cielo stellato che si vedeva attraverso i lucernai al soffitto. Il temporale aveva soffiato via le nuvole che avevano reso buia fin dal mattino la giornata appena trascorsa.

Si sentiva esausto.

Lasciò vagare i pensieri, come spesso faceva quando si sedeva sulla poltrona del suo studio. Adorava quella stanza ampia e luminosa, il suo rifugio di solitudine e tranquillità, soprattutto quando i bambini erano piccoli. Eppure era stato proprio lui a volere l’ampia vetrata verso il giardino, per poterli osservare giocare o correre felici tra le braccia della loro madre.

Lei era sempre bella come il giorno in cui lo aveva fatto innamorare… avrebbe tanto voluto raggiungerla e stendersi accanto a lei, come faceva da ormai più di cinquant’anni, ma  si rese conto di non riuscire più ad alzarsi.

Era come se l’energia che ancora attraversava il suo vecchio corpo all’improvviso lo avesse abbandonato e che, in pochi minuti, tutti gli ottantacinque anni che avrebbe compiuto di lì a quattro giorni gli fossero caduti sulle spalle.

Anche i pensieri cominciavano a sfuggirgli... attraversavano la sua mente senza un nesso logico...

Si guardò attorno, quasi a ricercare sicurezza negli oggetti che lo circondavano, nei suoi libri, nelle sue carte... ma tutto gli appariva sfocato, come in un sogno.

Percepì il proprio respiro più affannato del solito e all’improvviso comprese d’essere giunto alla fine del suo percorso. Non avrebbe assistito al precipitare degli eventi.

Sentì gli occhi inumidirsi di lacrime, ma non piangeva per se stesso… aveva avuto una vita piena e bellissima e non aveva rimpianti.

Le lacrime erano per lei, per sua moglie.

Un mese prima aveva avuto un leggero attacco di cuore e lei si era spaventata moltissimo; era riuscito a tranquillizzarla solo promettendole che non l’avrebbe mai lasciata.

Aveva promesso sapendo di non mentire, perché per nulla al mondo avrebbe desiderato abbandonarla; tuttavia, sapendo di non poter essere certo di mantenere la parola data, non appena si era ripreso tanto da riuscire ad alzarsi dal letto, le aveva scritto alcune lettere, che in quel momento si trovavano chiuse nel cassetto della scrivania: l’ultima l’aveva terminata proprio quella sera, poco prima di iniziare a scrivere il suo diario. Lettere in cui l’amava a parole come, per oltre cinquant’anni, l’aveva sempre amata con tutto se stesso.

Eppure sapeva che quelle parole non sarebbero bastate ad attenuare il suo dolore. Nonostante le lettere, lei avrebbe sofferto… e lui avrebbe dato qualunque cosa per evitarle ogni sofferenza… dal giorno in cui l’aveva conosciuta aveva fatto il possibile perché non soffrisse e per renderla felice.

Una morsa più violenta delle altre gli strinse il petto e lo fece rimanere per qualche istante senza fiato.

Chiuse gli occhi e alla mente apparvero i volti sorridenti dei suoi figli. Gli sarebbero mancati molto…

Poi apparve quello di lei, incantevole come la prima volta che l’aveva veduta: conoscerla e innamorarsi d lei era stata la stessa cosa. Come in un gioco d’illusione, l’immagine di allora si sovrappose alla bellezza del suo viso ormai accarezzato dagli anni.

Avrebbe voluto toccarla… stringersi a lei e addormentarsi per sempre tra le sue braccia… Tentò di alzarsi, per raggiungerla a letto, ma non riuscì neppure a muoversi. Gli sfuggì un debole gemito e una lacrima gli scivolò lungo la guancia.

Nello stesso istante il suo cuore cessò di battere ed egli, esalando il suo ultimo respiro, reclinò il capo, il nome della donna amata ancora tra le labbra.

Con la sensibilità tipica degli animali, King percepì immediatamente la morte del padrone e si alzò da terra, guaendo, mentre riprendeva a leccargli la mano ormai priva di vita.

Di lì a poche ore dalla vetrata alle sue spalle il cielo si sarebbe schiarito, portando con sé l’alba del 14 luglio.

Quattordici giorni dopo l’Austria avrebbe dichiarato guerra alla Serbia.

 

 

  
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