Disclaimers :
Nota
dell’autore:
E
così, sempre tra gli alti e bassi di un’ispirazione ballerina, non ho
desistito:
l’ho rivisto, in parte riscritto e terminato e, alla fine, a distanza
di anni
dall’idea iniziale, eccovi l’ultimo capitolo della trilogia “SCRITTO NEL DESTINO”.
Spero
che vi piaccia comunque.
Nel
pubblicare questo primo capitolo, colgo l'occasione di augurare a tutti
voi Buona Pasqua!
Alexandra
Capitolo I
Prologo
Tramonto
Alla luce della lampada la penna scorreva rapida sul foglio, nonostante la mano che l’impugnava dimostrasse, ormai da tempo, i segni dell’età. Una parola dopo l’altra i pensieri si trasferivano dalla mente alla pagina bianca attraverso una calligrafia ancora ferma e sempre elegante.
Soddisfatto
di sé, l’uomo sorrise: il suo cuore
ogni tanto faceva i capricci, ma la mente funzionava ancora e si
sentiva lucido
come a vent’anni. O forse era più giusto dire come vent’anni prima.
Nella
stanza il camino acceso riscaldava
l’ambiente e lo illuminava di una luce dorata; benché fosse estate il
temporale
del pomeriggio aveva rinfrescato l’aria e il tepore del fuoco mitigava
l’umidità della notte.
L’uomo
controllò l’orologio: segnava l’una e un
quarto eppure non aveva ancora sonno. Si era messo a scrivere appena
dopo la
mezzanotte, e oramai aveva intenzione di terminare prima di raggiungere
sua
moglie a letto; purtroppo da alcune settimane le cose da annotare erano
troppe,
ma quando aveva la mente affollata di pensieri difficilmente riusciva
ad
addormentarsi. Era sempre stato così, fin da ragazzo: doveva scrivere
tutto
quanto e solo allora riusciva a prendere sonno. Per fortuna alla sua
età gli
bastavano poche ore di riposo.
Era
preoccupato per la situazione politica
creatasi dopo l’attentato del 28 giugno e sentiva nell’aria odore di
guai
grossi; conosceva troppo bene le pedine sulla scacchiera per non
immaginare i
giochi che si sarebbero fatti.
Forse
ancora nessuno aveva compreso appieno che
quel lutto, pianto come una tragedia familiare, in realtà si profilava
piuttosto come un disastro spaventoso; ma lui aveva pochi dubbi su come
si
sarebbe evoluta la faccenda, era solo questione di tempo, e forse
neanche
tanto.
Avrebbe
dato metà del suo patrimonio per avere
vent’anni in meno e poter partecipare alle trattative diplomatiche
poiché,
forse, un suo intervento avrebbe potuto scongiurare ciò che ormai
temeva come
imminente; mentre avrebbe dato la restante metà per evitare che i suoi
figli e
i suoi nipoti vi assistessero.
I
suoi ragazzi…
Era
orgoglioso di ognuno di loro, senza
distinzione. Adorava le sue bambine, le aveva adorate fin dal primo
sguardo. E
amava molto i due maschi, anche se da anni evitava di dirglielo, si
limitava a
farglielo capire. E poi c’erano i nipoti... quattro ragazzi e cinque
ragazze
che erano la gioia della sua vecchiaia e che avrebbero continuato la
sua
discendenza.
L’ormai
familiare sfarfallio al cuore gli
impose di posare la penna, appoggiarsi allo schienale della sedia e
respirare
profondamente. Certe preoccupazioni, alla sua età, avrebbe dovuto
risparmiarsele, il medico gliel’aveva raccomandato più di una volta. Ma
per non
preoccuparsi avrebbe dovuto ignorare ciò che accadeva nel mondo e non
era nel
suo carattere, non lo era mai stato.
Era
sempre stato un uomo molto attivo e ben
calato nella realtà del suo tempo, non avrebbe smesso proprio ora di
esserlo.
L’età avanzava inesorabile e il corpo non era più robusto e potente
come quando
aveva trent’anni, ma lo spirito e la mente se li sentiva ancora quelli
di
allora pertanto, nonostante la tragicità degli eventi e ciò che temeva,
la
situazione di quel momento, precaria, instabile e potenzialmente
pericolosa,
era al tempo stesso stimolante per un uomo che aveva fatto della
diplomazia e
della strategia politica due tra le ragioni principali della propria
vita.
Tuttavia,
in quel preciso istante, l’età si
stava facendo sentire e, nonostante i respiri profondi, il suo cuore
non
accennava a tranquillizzarsi. Decise di mettersi più comodo: si alzò,
si
diresse con passo incerto verso la poltrona davanti al camino e si
sedette. Si
rese subito conto che quel breve tragitto lo aveva affaticato molto più
del
solito, allora allungò le braccia e respirò di nuovo a fondo, per
riprendersi.
Sentì
la lingua calda di King, il suo adorato
setter irlandese, che gli lambiva la mano sinistra, quasi ad
infondergli forza
e tranquillità. Sollevò la mano e grattò la testa all’animale, che lo
seguiva
come un’ombra da ormai otto anni; il cane uggiolò beato e si accoccolò
a terra,
il muso come sempre appoggiato sui suoi piedi.
L’uomo
abbandonò il capo sullo schienale e
rimase per qualche attimo in contemplazione del cielo stellato che si
vedeva
attraverso i lucernai al soffitto. Il temporale aveva soffiato via le
nuvole
che avevano reso buia fin dal mattino la giornata appena trascorsa.
Si
sentiva esausto.
Lasciò
vagare i pensieri, come spesso faceva
quando si sedeva sulla poltrona del suo studio. Adorava quella stanza
ampia e
luminosa, il suo rifugio di solitudine e tranquillità, soprattutto
quando i
bambini erano piccoli. Eppure era stato proprio lui a volere l’ampia
vetrata
verso il giardino, per poterli osservare giocare o correre felici tra
le
braccia della loro madre.
Lei
era sempre bella come il giorno in cui lo
aveva fatto innamorare… avrebbe tanto voluto raggiungerla e stendersi
accanto a
lei, come faceva da ormai più di cinquant’anni, ma
si rese conto di non riuscire più ad alzarsi.
Era
come se l’energia che ancora attraversava
il suo vecchio corpo all’improvviso lo avesse abbandonato e che, in
pochi
minuti, tutti gli ottantacinque anni che avrebbe compiuto di lì a
quattro
giorni gli fossero caduti sulle spalle.
Anche
i pensieri cominciavano a sfuggirgli...
attraversavano la sua mente senza un nesso logico...
Si
guardò attorno, quasi a ricercare sicurezza
negli oggetti che lo circondavano, nei suoi libri, nelle sue carte...
ma tutto
gli appariva sfocato, come in un sogno.
Percepì
il proprio respiro più affannato del
solito e all’improvviso comprese d’essere giunto alla fine del suo
percorso.
Non avrebbe assistito al precipitare degli eventi.
Sentì
gli occhi inumidirsi di lacrime, ma non
piangeva per se stesso… aveva avuto una vita piena e bellissima e non
aveva
rimpianti.
Le
lacrime erano per lei, per sua moglie.
Un
mese prima aveva avuto un leggero attacco di
cuore e lei si era spaventata moltissimo; era riuscito a
tranquillizzarla solo
promettendole che non l’avrebbe mai lasciata.
Aveva
promesso sapendo di non mentire, perché
per nulla al mondo avrebbe desiderato abbandonarla; tuttavia, sapendo
di non
poter essere certo di mantenere la parola data, non appena si era
ripreso tanto
da riuscire ad alzarsi dal letto, le aveva scritto alcune lettere, che
in quel
momento si trovavano chiuse nel cassetto della scrivania: l’ultima
l’aveva
terminata proprio quella sera, poco prima di iniziare a scrivere il suo
diario.
Lettere in cui l’amava a parole come, per oltre cinquant’anni, l’aveva
sempre
amata con tutto se stesso.
Eppure
sapeva che quelle parole non sarebbero
bastate ad attenuare il suo dolore. Nonostante le lettere, lei avrebbe
sofferto… e lui avrebbe dato qualunque cosa per evitarle ogni
sofferenza… dal
giorno in cui l’aveva conosciuta aveva fatto il possibile perché non
soffrisse
e per renderla felice.
Una
morsa più violenta delle altre gli strinse
il petto e lo fece rimanere per qualche istante senza fiato.
Chiuse
gli occhi e alla mente apparvero i volti
sorridenti dei suoi figli. Gli sarebbero mancati molto…
Poi
apparve quello di lei, incantevole come la
prima volta che l’aveva veduta: conoscerla e innamorarsi d lei era
stata la
stessa cosa. Come in un gioco d’illusione, l’immagine di allora si
sovrappose
alla bellezza del suo viso ormai accarezzato dagli anni.
Avrebbe
voluto toccarla… stringersi a lei e
addormentarsi per sempre tra le sue braccia… Tentò di alzarsi, per
raggiungerla
a letto, ma non riuscì neppure a muoversi. Gli sfuggì un debole gemito
e una
lacrima gli scivolò lungo la guancia.
Nello
stesso istante il suo cuore cessò di
battere ed egli, esalando il suo ultimo respiro, reclinò il capo, il
nome della
donna amata ancora tra le labbra.
Con
la sensibilità tipica degli animali, King
percepì immediatamente la morte del padrone e si alzò da terra,
guaendo, mentre
riprendeva a leccargli la mano ormai priva di vita.
Di
lì a poche ore dalla vetrata alle sue spalle
il cielo si sarebbe schiarito, portando con sé l’alba del 14 luglio.
Quattordici
giorni dopo l’Austria avrebbe
dichiarato guerra alla Serbia.