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Autore: Cruel Heart    22/04/2014    4 recensioni
C'è sempre un modo per raccontare le storie tristi.
C'è chi vuole addolcirla, come se si trattasse di una tazzina da caffè un po' amara, o c'è chi vuole renderla ancora più tragica di quanto lo sia già.
Sarebbe bello narrare di due adolescenti che si sono innamorati improvvisamente, magari al liceo.
Ma non è la verità, o, per lo meno, non lo è di questa storia.
I piccoli segreti sono ovunque.
Sto parlando di segreti non del tutto svelati, di argomenti tenuti nascosti e di scheletri troppo grandi per essere rinchiusi in un armadio.
E se tutto quello in cui lui credeva, si rivelasse una mera finzione?
E se tutto quello che lei riteneva impossibile, fosse la dura realtà?

Ecco: questa è la verità che voglio raccontarvi.
Genere: Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Little secrets - Missing Moments'
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Salve a tutti.

Non so se qualcuno si ricordi ancora di me, ma sono tornata.

Non aggiorno da tre mesi e me ne dispiaccio molto.

Potrei dirvi che il mio abissale ritardo fosse dovuto ai troppi impegni o alla mia mancanza di tempo, ma non è così.

La verità è che semplicemente non avevo più voglia di scrivere e tutto il mio entusiasmo dei primi mesi era andato via via spegnendosi.

Vi chiedo ancora scusa.

Adesso passiamo alla storia.

Ogni personaggio avrà un "piccolo" segreto che dovrà mantenere per un certo periodo e che poi sarà costretto a rivelare.

In ogni capitolo, verso la fine, metterò una o più strofe di una canzone che “riassumeranno” le sensazioni descritte nel capitolo.

Aggiornerò due volte al mese, sempre di Domenica sera.

So quanto il Lunedì possa essere traumatico, per cui proverò ad alleggerirlo un po’ con la mia storia.

Bene, ringrazio tutti coloro che continueranno a leggere.

 

Cruel Heart.

 

***

 

Simon and Garfunkel - The Sound of Silence

 

 

***

 

 

 

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Grey Towers Castle, Pennsylvania, 20 Ottobre 1990

 

 

Un fulmine si diramò altissimo nel cielo, seguito quasi simultaneamente da un potente tuono che interruppe, seppur per brevi istanti, il pianto disperato del bambino.

Agitava sempre di più i suoi capelli, nel tentativo di divincolarsi, mentre calde lacrime salate infiammavano ancora di più il suo volto.

 

«Papà... Basta, basta!»

 

«Zitto! Avrei già dovuto ucciderti quando quella puttana di tua madre ti ha partorito!»

 

Il piccolo continuava a piangere da ore, esattamente da quando il padre era rincasato.

Adesso il duca, dopo la sua solita passeggiata pomeridiana, si dilettava in quello che per lui era il suo modo di scaricare tutta la rabbia che gli attanagliava il cuore: picchiare quella disgrazia che gli era capitata.

 

Il figlio si difendeva come meglio poteva.

Cercava di mettere le mani in avanti, a protezione del viso − la zona dove veniva più colpito −, ma non serviva a niente, anzi.

Questo atteggiamento non faceva altro che irritare di più il duca, in collera con se stesso e con il mondo intero.

E così, oltre agli schiaffi, incominciarono ad arrivare anche calci allo stomaco.

Il bambino boccheggiava, tossiva e si contorceva per il dolore.

 

Nel frattempo, soltanto il temporale interrompeva la quiete che avvolgeva il castello dall'esterno.

L'atmosfera era quasi surreale: il piccolo gridava forte, e le urla del padre erano ancora più forti delle sue, ma nessuno poteva anche soltanto immaginare ciò che accadeva in quella stanza da sette anni, ormai.

 

Il suono del silenzio era opprimente.

Soltanto grazie ad esso, il padre poteva sfogare la sua ira su quella piccola creatura senza colpa.

Soltanto grazie ad esso, la pelle del bambino si faceva sempre più violacea, segno tangibile dei lividi che aumentavano.

E, soltanto grazie ad esso, le sue possibilità di essere salvato venivano soffocate.

 

Ma poi, il silenzio fu squarciato.

Il campanello della porta del castello suonò, e sia il duca che il bambino si ritrovavano a trattenere il fiato.

Chi mai potrebbe essere?, si domandò l'uomo.

A quell'ora della sera tutti erano rintanati nelle loro case, e le visite al castello dei Taubenfeld erano molto più che rare.

Il duca trafisse ancora con uno sguardo il bambino sul letto.

Il suo petto era scosso da singhiozzi, e tutto il corpo gli tremava, sia per il freddo, che per la paura.

 

In un attimo, la mente del piccolo, ideò un piano, un'ancora di salvezza.

Se proprio doveva subire tutta la rabbia del padre, tanto valeva patirla per provare a farsi salvare dallo sconosciuto alla porta.

Si tirò su con le braccia e, con uno scatto che solo i bambini sapevano avere, saltò dal letto e cercò di correre, per quel che gli riusciva, verso la porta, gridando sempre più forte:«Aiuto! Aiuto!»

 

Sentiva crescere sempre di più il fuoco nella sua piccola gamba sinistra, ma non gli importava. Se questo era il prezzo per la libertà, lo avrebbe pagato volentieri.

Si alzò sulle punte, afferrò la maniglia − posizionata troppo in alto per lui − e, con tutta la forza che aveva, tirò verso il basso, proprio mentre i passi infuriati del duca lo inseguivano per il corridoio.

La porta cigolò e si aprì, rivelando una figura che il piccolo mai si sarebbe aspettato di vedere.

Un bambino.

Era alto più o meno come lui, ma aveva dei vestiti più logori e un'aria stanca.

Quelli che una volta erano occhi vispi e pieni di curiosità, adesso erano semplicemente vuoti e privi di speranza.

«Come ti...» chiami, fece per dire, ma la voce del padre lo interruppe.

 

«Aspetta!» tuonò, afferrandolo per una spalla e tirandolo più indietro. Poi, si rivolse al piccolo sconosciuto. «Chi sei?» gli chiese.

 

«Un piccolo orfano, duca Taubenfeld.» rispose.

 

L'uomo socchiuse gli occhi, sospettoso. «Come fai a sapere chi sono? Non credo di averti mai visto in giro nei quartieri altolocati della zona.» lo schernì, con un sorriso di disprezzo.

 

Il piccolo, incredibilmente per l'età che aveva, gli restituì il sorriso. «Oh, ma lei è molto conosciuto, anche nei quartieri non altolocati come il suo. Lo è sia per i suoi meriti...» Si girò lentamente verso il figlioletto del duca, facendogli un cenno appena percettibile. «... Che per i suoi demeriti.» Appena finì di pronunciare queste parole, gli occhi del bambino saettarono di nuovo verso l'alto, verso quelli del duca.

 

Dal canto suo, l'uomo era completamente stordito, come se uno dei tanti schiaffi che aveva rifilato al figlio, lo avesse ricevuto lui.

 «Quanti anni hai?» gli domandò, sempre più diffidente.

 

«Sette, signore.»

Come poteva un bambino di appena sette anni mettere in difficoltà un uomo che aveva sulle spalle quarant'anni in più?

 

«E cosa vuoi da me?»

 

«Un tetto sotto cui poter dormire e un po' di cibo. In cambio, mi renderò utile in casa e non sarò di peso a nessuno. Ospitalità, duca. Non chiedo altro.»

 

È un'intelligenza sopraffina, pensò l'uomo.

Anzi, era molto di più. Era un'intelligenza che raramente si trovava nella persona che avevi di fronte. Figuriamoci, poi, se questa intelligenza apparteneva ad un bambino di sette anni.

 

Improvvisamente, un'idea invase completamente la mente del duca.

Era un'idea geniale, di quelle che avevi solo una volta nella vita, e che te la cambiava radicalmente.

«Bene, accetto la tua richiesta. Ma sappi che verrai trattato esattamente come un membro della servitù, e non dovrai aspettarti privilegi solo per la tua giovane età.»

 

«Certo. Grazie, signor Taubenfeld.» disse il bambino, senza mai spostare gli occhi da quelli dell'uomo. Era incredibile vedere quanta sicurezza emanavano.

 

Fece entrare il bambino nella sua casa.

 

«Io sono Evan.» si presentò il bambino.

 

«Kevin.» rispose l'altro.

 

«Su, su, non perdiamo tempo. Sali di sopra ed entra nella prima stanza a sinistra. Mio figlio ti porterà subito dei vestiti nuovi.»

 

L'ospite obbedì, ma c'era qualcuno che non era d'accordo.

«Ma papà... Non possiamo tenerlo qui... » provò a obiettare con voce esile il figlioletto. Aveva già avuto prove piuttosto sufficienti della rabbia del padre e non voleva suscitargliene di nuova.

 

Il padre sorrise, ma non di un sorriso allegro o gioioso. No, non era niente di tutto questo. Il suo era un sorriso inquietante, di quelli che spopolano negli incubi di ogni bambino. «Sì invece, possiamo. Ora va' e prepara ciò che ti ho chiesto. Mi raccomando, consideralo il nostro piccolo segreto

 

 

***

 

And, in the naked light I saw,

ten thousand people, maybe more.

People talking without speaking,

people hearing without listening,

people writing songs that voices never share.

No one dare, disturb the sound of silence.

 

"Fools", said I, "you do not know,

silence like a cancer grows.

Hear my words that I might teach you,

take my arms that I might reach you."

But my words, like silent raindrops, fell.

And echoed the will of silence.

 

E, nella luce nuda, vidi diecimila persone, forse più..

Gente che comunicava senza parlare,

gente che sentiva senza ascoltare,

gente che scriveva canzoni che nessuna voce avrebbe mai cantato.

Nessuno osava disturbare il suono del silenzio. 

 

"Stupidi", dissi io, "non sapete che il silenzio si espande come un cancro.

Ascoltate le mie parole così che io possa insegnarvi,

prendete le mie braccia così che io possa raggiungervi."

Ma le mie parole caddero, come gocce di pioggia silenti.

Ed echeggiarono nel prorompere del silenzio.

 

~ Simon and Garfunkel - The Sound of Silence

 

 

P.S. Ho visto il video di HK. Mi è sembrato la quint’essenza del trash, ma dalla canzone non ci si poteva aspettare niente di diverso. Aspetto con ansia GYWYL.

A voi cosa ve ne è parso?


   
 
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