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Autore: Beatrix Bonnie    22/04/2014    4 recensioni
«Che mi dite del video?» [...]
Colin lanciò uno sguardo all'amica: solo dopo aver ricevuto un cenno di assenso si decise a svuotare il sacco: «Ci avevamo registrato i nostri segreti, qualche settimana fa. Segreti inconfessabili, quel tipo di segreti che devono rimanere tra amici. Avevamo intenzione di fare una capsula del tempo, da dissotterrare fra venti anni.»
«Un bottino molto ghiotto» commentò Christopher.

Maryon e Colin sono nei guai, guai grossi. La banda dei loro eterni rivali, la DDD, ha rubato il video dove avevano registrato i loro segreti e minaccia di farlo vedere a tutta la scuola, a meno che i due amici non riescano a risolvere gli indizi di una bizzarra caccia al tesoro. Saranno costretti a chiedere aiuto a Christopher, il loro nuovo compagno di classe saputello... in un'estenuante corsa contro il tempo attraverso tutta Dublino, tra rompicapo assurdi e strani sospetti, riuscirà quest'avventura a trasformare la rivalità in amicizia?
La storia era iscritta al Circolo degli Eclettici, che si è classificato primo al "Circoli e Salotti contest"; inoltre, nella sottoclassifica del Salotto dei Drammaturghi, la storia si è posizionata prima.
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ciclo di Faerie'
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CAPITOLO 1
Il nuovo compagno di classe




Maryon




Il primo giorno di scuola era sicuramente il più brutto di tutto l’anno. Anche se Maryon aveva solo dieci anni, da brava studentessa, aveva imparato ad odiare e temere insieme il giorno in cui tutto ricomincia. Dopotutto, non era più una bambina: stava per iniziare il quinto e penultimo anno della primary school alla “Central Infs” di Dublino. Va bene, era una scuola pubblica, non di quelle private da fighettini, ma la scuola pubblica sapeva di vita e di strada. Lungo la sua carriera, Maryon aveva visto di tutto: aveva visto mocci al naso così lunghi da arrivare al mento, aveva assistito a rapine organizzate di dolcetti dalla mensa e sapeva indicare il migliore spacciatore di caramelle gommose del cortile scolastico.
E tutto questo perché lei era una vera dura. Una di quelle toste, che non si fanno mettere i piedi in testa anche se sono le migliori della classe. Buona parte della sua fama era data dal suo arrivo a scuola: ogni giorno si faceva portare fin davanti all'entrata in moto dal babbo. Una moto vera, col casco e tutto quanto. Questa era una cosa davvero ganza.
Poi, non guastava il fatto che avesse un caratterino niente male: estroversa, caparbia e irascibile; gli altri bambini avevano imparato in fretta che era meglio non frapporsi fra Maryon e il suo obiettivo, se non volevano finire nei guai.
Niente o nessuno avrebbe mai osato rubarle il suo primato.
O così credeva.
Quella mattina di settembre, piena di buoni propositi per l’anno in arrivo, Maryon varcò la temibile soglia e si ritrovò all’interno dell’edificio scolastico. Conosceva perfettamente il percorso fino all'aula di matematica, così vi si diresse, guardando con sufficienza i bambini più piccoli. Entrata in classe, cercò con lo sguardo un ragazzino con i capelli color paglia, che le sorrise allegro quando si accorse che lo stava osservando. Lei gli corse incontro e gli gettò le braccia al collo, gridando: «Ciao, Colin!»
Quello rispose con uno sbadiglio, ancora troppo assonnato per la levataccia di quella mattina a cui non era più abituato. «Ciao, Maryon» mormorò poco dopo, con la voce impastata. «Come hai passato l’estate?»
«Bene, grazie! Io e il babbo ci siamo divertiti un mondo. E tu?»
«Sì, sì. Bene» rispose con un sorrisetto sbrigativo. Maryon sospettava che l'amico avrebbe apprezzato di più una vacanza all'avventura come la sua, piuttosto che sopportarsi i tre fratelli durante la classica, noiosa e ripetitiva settimana in campagna dai nonni.
«Dai, troviamoci un posto!» propose Maryon dirigendosi a spintoni verso due banchi in terza fila.
«Ehi, mi ci stavo sedendo io!» protestò un loro compagno, quando vide Maryon che si gettava sulla sedia per rubargli il posto.
«Smamma, George!» replicò Maryon, in tono secco.
«Non c'è mica scritto sopra il tuo nome» si lagnò George, piantandosi davanti al banco con un'aria che voleva essere minacciosa.
Maryon fece un passo verso di lui e incrociò le braccia al petto, in una posa da vera dura. «No, ma fra poco ci sarà spiaccicato sopra il tuo muso» latrò, usando il suo miglior tono da gangster.
E, in effetti, c'era da giurare che avrebbe potuto farlo, a giudicare dal suo sguardo.
Impressionante, per una bambina di dieci anni alta poco più di un metro e venti.
Il George in questione mugugnò qualcosa, ma si allontanò rassegnato, ben consapevole che non era proprio il caso di mettersi contro una come Maryon.
«Sei una vera teppista, Maryon» commentò Colin con un tono di rimprovero palesemente finto.
Maryon sogghignò. «Lo so» concesse, e avrebbe aggiunto altro se la sua attenzione non fosse stata richiamata verso la porta dell’aula, dove era appena comparso un bambino nuovo.
E questo cocco di papà chi sarebbe? si domandò Maryon, stupita.
Il ragazzino era tutto impettito in un completo nero, con camicia bianca e cravatta dai toni scuri. Al posto della solita cartella scolastica aveva una valigetta ventiquattrore di una qualche marca famosa. I capelli neri erano perfettamente pettinati con la riga sul fianco, come se non avessero mai avuto una piega diversa.
Il nuovo alunno gettò uno sguardo di sufficienza con i suoi glaciali occhi azzurri ai compagni, poi si sedette al primo banco, ignorando completamente gli altri.
Ogni domanda gli fu risparmiata dal fulmineo arrivo del maestro di matematica. «Buongiorno, bambini» disse, sorridendo alla classe.
«Buongiorno, maestro O’Connel» risposero in coro.
Lo sguardo dell’insegnante fu subito rapito dal suo nuovo alunno. «Oh, ma chi abbiamo qui? Un nuovo compagno! Perché non ti alzi e ti presenti alla classe?»
Il bambino gli riservò con uno sguardo di sufficienza, poi si alzò e si girò verso gli altri. «Mi chiamo Christopher Alfred McGregor. Sono stato costretto a venire a scuola anche se il mio quoziente intellettivo è di gran lunga superiore rispetto a quello di tutte le persone presenti in quest’aula. Ergo, vorrei sottolineare l’inutilità di questa messa in scena, ideata da mia madre allo scopo di farmi socializzare con i miei coetanei.»
E, con quelle parole, si risedette nel silenzio generale.
Il primo a riprendersi fu il maestro (probabilmente l’unico che aveva capito il discorso). «Molto bene Christopher, sono convinto che ti troverai benissimo!» disse con aria giovale, come se nulla fosse. Dopodiché, forse per nascondere un certo disagio causato dalle parole del ragazzino, riordinò le sue cose sulla cattedra e poi, come suo solito, fece l’appello. «Bene» mormorò infine, quando anche l'ultimo alunno ebbe risposto alla sua chiamata. «Per evitare che vi dimentichiate le cose che abbiamo fatto l’anno scorso, facciamo un bel ripasso. Maryon, vuoi venire alla lavagna?»
La bambina sorrise compiaciuta e si alzò dal banco: era sempre stata la più brava in matematica, come del resto in tutte le altre materie. Il maestro le dettò una semplice moltiplicazione che svolse con un ordine prefetto. Il sorriso sul volto di Maryon si allargò quando l’insegnante si complimentò con lei.
«Ora scrivi: trentadue diviso cinque.»
La bambina scrisse l’operazione alla lavagna e cominciò a risolverla, ma fu interrotta dalla voce del maestro. «Christopher, perché non stai seguendo?» L'insegnante non pareva per nulla contento che qualcuno si distraesse durante la sua lezione.
Maryon gettò un’occhiata sul banco del compagno e vide un libro con strane formule e grafici. Sorrise, convinta che quel cocchino si sarebbe preso una bella strigliata. E se la meritava tutta.
Christopher, per nulla intimorito, alzò leggermente i suoi occhi azzurri, cercando quelli del maestro. «Perché è veramente patetico» rispose in tono piatto.
«Come?» L’insegnante O'Connel strabuzzò gli occhi, stupito.
«È patetico fare queste cose elementari» ripeté il ragazzino, con aria visibilmente annoiata.
«Ah, sì? Allora perché non mi dici tu quanto fa trentadue diviso cinque?»
«Sei virgola quattro» rispose prontamente Christopher, senza la minima esitazione.
Il maestro rimase interdetto per un attimo, ma poi aggiunse: «E visto che sai fare le divisioni ti ritieni tanto bravo che puoi permetterti di non seguire la lezione?»
Christopher rivolse all’insegnate un sorriso che gli fece gelare il sangue nelle vene. Non aveva nulla di grazioso, quel bambino. Sembrava un perfido e assetato vampiro imprigionato nel corpo di un decenne. Francamente inquietante.
«Ascolti» sbottò Christopher, con aria scocciata. «So calcolare a mente le radici quadrate, i logaritmi e i cubi; conosco tutte le basi che possono essere utilizzate in matematica, ho studiato i teoremi di Pitagora, Talete ed Euclide; sono in grado di risolvere equazioni, disequazioni, sistemi e operazioni con seno, coseno e tangente. Credo di avere il diritto di considerare “patetiche” delle divisioni del genere.»
Calò il silenzio. Ancora una volta nessuno seppe cosa rispondere a quelle parole dette in modo così saccente. Inoltre, praticamente tutti i bambini non avevano la più pallida idea di cosa fossero quelle strane cose che il compagno nuovo aveva nominato.
Il maestro, dal canto suo, scocciato da tanta superbia che riteneva infondata, lo provocò: «Allora qual è la radice quadrata di seicentoquarantuno?»
«Venticinque virgola trecentodiciotto» rispose con sicurezza Christopher. «Approssimato al terzo decimale, ovviamente.»
Qualche rapido tocco sui tasti della calcolatrice e il numero 25,317977 apparve sul display luminoso.
«Come diavolo hai fatto?» sbottò incredulo il maestro.
Christopher sorrise nuovamente, anche più furbescamente di prima, se possibile. «Gliel’ho detto che il mio Q.I. è superiore a quello di tutte le persone presenti in quest’aula» rispose, con aria provocatoria. «E ora, se non le dispiace, gradirei tornare al mio studio di chimica industriale, sicuramente più interessante di questa ripetitiva conversazione.»
E quella era decisamente l'ultima parola per chiudere la questione.
Per tutto il resto dell'ora, il maestro non disse più nulla a Christopher ma continuò la lezione come se lui non esistesse.
L’unica che sembrava prestare attenzione al nuovo compagno era Maryon, infastidita dalla bravura dell’avversario e dal riferimento quasi casuale al suo esercizio come “patetico”. Il suo sguardo infuocato non si levò un attimo dalla figura china di Christopher, mentre il povero Colin, che in matematica era un vero disastro, non osava chiederle una mano per paura di cadere vittima della sua ira.

Christopher



Christopher Alfred McGregor era quello che si definisce un enfant prodige.
A essere sinceri, le sue straordinarie capacità non erano sempre state così manifeste. Quando, all'età di due anni e mezzo, il piccolo Christopher non aveva ancora spiccicato una sola parola, sua madre Angeline si era decisa a portarlo dal logopedista.
“Non parla” non era una definizione sufficiente per la condizione in cui versava il piccolo rampollo di famiglia: non solo Christopher non pronunciava alcun suono di senso compiuto, ma non emetteva nemmeno quei teneri balbettii che solitamente provocano sorrisi ilari e infantili sulle labbra di genitori e parenti. Non comunicava in nessun modo con il mondo esterno, nemmeno a gesti. Tutto ciò di cui aveva bisogno se lo faceva da solo o, se non era in grado, non lo faceva proprio. Si limitava a fissare gli adulti con quei suoi occhioni azzurri e nient'altro.
La logopedista cui Angeline si era rivolta, fresca di laurea e di giovanili aspettative sul suo lavoro, aveva svolto numerose sedute con il bambino, sfoderando tutte le tecniche migliori che le avevano insegnato all'università. Niente da fare. Christopher restava muto come un pesce.
E Angeline si sarebbe anche rassegnata all'idea di avere un figlio muto, senonché tutte le analisi mediche cui l'aveva sottoposto non avevano riscontrato alcuna anomalia nell'apparato fonico.
È un problema psicologico, si disse allora. Lo psicologo tentò a più riprese di far disegnare il bambino, ma il piccolo non faceva altro che prendere in mano la matita e fissarlo. Nulla pareva smuoverlo.
Fu così che Angeline suggellò con le lacrime di una madre l'accettazione del suo dolore: aveva un figlio ritardato. L'avrebbe amato come prima, e anche più di prima, ma l'amarezza non sarebbe mai scomparsa. Il bambino non avrebbe mai parlato, né letto un libro, né disegnato, né cantato. Non avrebbe potuto frequentare la scuola, o trovare un lavoro.
«Che ne sarà di te, bimbo mio, quando io non ci sarò più?» gli chiese una sera, con le lacrime agli occhi.
Ma Christopher, disteso nel suo lettino, col pigiama con gli orsetti disegnati sopra, si limitò a fissarla.
Fu durante un tranquillo pomeriggio di febbraio che la situazione cambiò radicalmente prospettiva. Angeline stava preparando la cena, quando si accorse che Christopher non era più in cucina. Chiese al marito, Alfred, se avesse visto il bambino. Lo chiamò, per quanto sapesse che lui non poteva risponderle, e lo cercò in tutta la casa.
Fu con un sospiro di sollievo che lo trovò nella sala della musica, seduto sulla poltrona preferita di Alfred. Con le braccia aperte e tese nello sforzo, teneva in mano il giornale economico, come se stesse leggendo, e tra le gambe paffute si vedeva spuntare una cravatta del padre. Il bimbo doveva averla indossata come una collana, dal momento che Alfred aveva il vizio di sfilarsela senza sciogliere il nodo.
«Oh, amore, sei qui» sussurrò Angeline, rincuorata.
«Il mercato di Londra si è chiuso ieri sera con una leggera perdita in tutti i settori.»
Una voce infantile.
Nulla di più delicato e soave era mai giunto alle orecchie di Angeline. La voce del suo bambino. Parlava!
La donna gli corse incontro e si gettò ai suoi piedi. «Christopher, tu parli!»
Il bimbo lasciò che la parte più alta del giornale si piegasse indietro, così da poter fissare la madre negli occhi. «Non parlo. Sto leggendo.»
E, per quanto al contrario, Angeline fu perfettamente in grado di leggere sulla prima riga dell'articolo le stesse identiche parole che suo figlio aveva appena pronunciato.
E svenne.
Da allora la vita del piccolo rampollo McGregor era stata un infinito succedersi di trionfi e traguardi raggiunti: aveva imparato a scrivere e far di conto all'età di quattro anni, a cinque aveva cominciato a suonare il pianoforte, a sei aveva iniziato a tradurre versioni in latino, a sette si era dedicato ai primi studi di fisica. Inutile dire che non c'era stato alcun bisogno di mandarlo a scuola: ufficialmente la sua istruzione veniva seguita da istruttori privati, in pratica si autogestiva in tutto. Il piccolo Christopher aveva deciso di voler prendere la laurea in fisica, per cui dedicò ogni energia allo studio di quella materia: il suo obiettivo era quello di laurearsi entro i dodici anni e conseguire il dottorato entro i quindici. Dopodiché avrebbe avuto davanti a sé una vita di successi. In questi suoi luminosi piani si intromise l'unica persona in grado di imporre delle decisioni nella sua vita: sua madre Angeline.
La madre gli comunicò il suo assurdo piano una sera di fine agosto: lo chiamò in salotto e gli fece segno di sedersi sul divano tra lei e il padre. Christopher la assecondò con una certa riluttanza, sicuro che la presenza di entrambi i genitori non significasse altro che guai. L'ultima volta che si era trovato in quella situazione era stato quando gli avevano comunicato la morte del nonno. Ma questa volta sua madre era tutta un sorriso: quindi non poteva essere morto nessuno, no?
«Christopher, caro» cominciò Angeline, con il suo tono più zuccheroso.
Il bambino la squadrò con viva preoccupazione.
«Io e tuo padre abbiamo pensato di iscriverti a scuola, quest'anno.»
L'annuncio fu seguito da un gelido silenzio. Christopher sentì sgretolarsi il suo mondo, ma decise di comportarsi come una persona seria: incrociò le gambe e unì la punta delle dita, pronto a discutere di quella decisione come un vero manager. Dopotutto, qualcuno doveva pur fare l'adulto. «Non credo che ce ne sia il benché minimo bisogno» fece ragionevolmente notare.
«Non è per la tua istruzione, sciocchino» lo spiazzò sua madre. «È perché così conosci un po' di tuoi coetanei e ti fai qualche amichetto.» Amichetto? Christopher rabbrividì. «Non voglio conoscere dei miei coetanei» borbottò il bambino, che si figurava già circondato da mostriciattoli urlanti, con il moccio al naso, la bava alla bocca, le ginocchia sbucciate e i capelli sporchi di fango. Fango. Rabbrividì di nuovo.
Angeline cercò di incoraggiarlo. «Oh, avanti, non stai mai con altri ragazzini della tua età.»
«Mi costringete a stare con Angelica, tutte le volte che ci vediamo» fece notare Christopher. «Credo sia una tortura più che sufficiente.»
«Orsacchiotto, te l'ho detto che devi essere gentile con lei» lo sgridò sua madre. «Soprattutto dopo quello che le è successo.»
«Essere gentile è un conto, assecondare le sue follie è un altro: è una punizione disumana» brontolò Christopher, sempre portato al vittimismo quando si trattava di considerare le sue sventure. «Quando avevamo sei anni, era convinta che io e lei ci saremmo dovuti sposare» annunciò drammatico. «Sposare, io? Non ne ho alcuna intenzione! Le dissi chiaro e tondo che nulla avrebbe mai ostacolato la mia carriera, tanto meno lei e le sue assurde pretese di matrimonio!»
«Oh santo cielo, Christopher!» scoppiò Angeline. «Ma ti senti? Sembra di sentir parlare un trentenne!»
«Non è colpa mia se sono un enfant prodige estremamente maturo» replicò Christopher, per nulla impressionato.
«Basta!» sbottò sua madre. «Tu hai bisogno di stare in mezzo ad altri bambini, per imparare a giocare con loro e a essere un bambino normale. Sono stufa di sentirti parlare di fisica quantistica.»
Era un ordine secco e diretto, su questo non c'era dubbio, ma Christopher era troppo disperato per rendersi conto che avrebbe fatto meglio a stare zitto e obbedire, invece di continuare a comportarsi come un adulto in miniatura. «Madre, io non sono un bambino normale, lo sai. Sto per laurearmi in fisica e ho solo dieci anni!»
«Appunto» rispose secca Angeline. «Hai solo dieci anni. E i bambini di quell'età vanno a scuola. Tu comincerai il tuo primo anno alla “Central Infs”.»
Christopher ricevette uno schiaffo in piena faccia. Uno schiaffo metaforico, s'intende, ma non fu affatto meno doloroso. «La “Central Infs”?» ripeté incredulo. «Ma è una scuola pubblica!»
«Ci lavora la sorella di una mia amica e dice che è un ottimo istituto» replicò inflessibile Angeline.
Christopher tremò. Scimpanzé, scimpanzé muniti di cartella e braghini al ginocchio, ecco quello che pensava dei bambini che frequentavano le scuole pubbliche. Niente divisa, niente ordine, niente controlli. Bullismo, delinquenza, droghe e nessuna possibilità di redenzione per quegli avanzi di galera travestiti da bambini.
Christopher avrebbe anche (forse, s'intende, col tempo) potuto accettare di andare a scuola, se solo si fosse trattato del “St Bartleby College per Giovani Gentiluomini” che aveva frequentato suo padre, un rispettabile istituto maschile, per rampolli di famiglie ricche e perbene.
Ma... una scuola pubblica? In mezzo a marmaglia demoniaca?
L'avrebbero fatto a pezzi.
Fu così che il genio Christopher lasciò posto al suo animo di bambino. «Ma, mamma!» piagnucolò. E c'era da dire che il tono lagnoso gli veniva particolarmente naturale. «Perché vuoi farmi questo torto? Non sono forse un bravo figlio?»
«Non fare il melodrammatico, Chris» tagliò corto Angeline, interrompendo sul nascere qualsiasi capriccio.
E come ogni bambino sulla faccia della terra sa, quando un genitore non cede, bisogna provare con l'altro. «Padre?» lo interpellò Christopher. «Come puoi permettere questo scempio?»
«Tua madre ha deciso» decretò Alfred. Poi, forse per un'occhiataccia da parte della moglie, aggiunse: «E io condivido le sue scelte.»
Christopher scattò in piedi, indignato. «Siete dei genitori terribili!» strillò. «Vi odio!» E scappò in camera sua.
Sua madre venne a bussare alla porta dopo una buona mezzora; cercò di entrare, ma lui aveva chiuso a chiave. «Chris, fammi entrare» gli ordinò con voce ferma.
«No.» Christopher, chino sull'enorme vocabolario di latino, non si alzò nemmeno dalla sedia della scrivania.
«Chris, fammi entrare o butto giù la porta.»
«Non puoi» replicò il bambino. «È di legno di mogano, spessa cinque centimetri, con cardini in ferro battuto particolarmente resistenti. La tua sola forza corporea non è in grado di abbatterla.»
Probabilmente la donna si mangiò le dita per evitare di cacciare un urlo di disperazione. Non era colpa sua se lui era un genio. «Allora vieni fuori tu» tentò dopo un attimo.
«No.» Le sue dita infantili scorrevano veloci lungo le righe del testo latino che stava leggendo, pronte a individuare e sottolineare tutti i verbi. «Non uscirò mai più di qui» aggiunse infine, testardo. «Mai più.»
Fu di parola. Almeno per quello che poteva essere un bambino di dieci anni. Se ne restò chiuso in camera per una settimana, uscendo solo per i bisogni strettamente necessari, quando non c'era nessuno in casa. Passò le giornate a tradurre gli Annales di Tacito, senza interruzione: tenere occupata la mente in un compito particolarmente impegnativo era l'unica cosa che lo salvasse dal terribile pensiero della scuola pubblica che lo attendeva.
Alla fine comparve in cucina dopo un'intera settimana di reclusione.
Era il primo giorno di scuola.
Indossava un completo nero di Armani e una cravatta dai toni scuri. In mano, una ventiquattrore di pelle che lo faceva assomigliare a un manager in miniatura.
La faccia non avrebbe stonato ad un funerale.
«Sono pronto al mio martirio.»





Ecco a voi un nuovo racconto del ciclo di Faerie!
Questo, a dire la verità, è il primo che scrissi dedicato a questi personaggi ma, dal momento che risaliva ormai a ben 8 anni fa e versava in uno stato pietoso (potrete non crederci, ma a 16 anni scrivevo da schifo XD), necessitava di una pesante revisione. Così, ho deciso di inserire i racconti di Faerie in ordine cronologico e non di scrittura: dopo la storia di sir Gregory, quella del padre di Maryon e la one-shot su Maryon e Chris a 6 anni, benvenuti nel cuore della serie! Maryon, Chris, Colin e compagnia bella sono i primissimi personaggi originali di cui abbia mai scritto, per questo motivo ci sono molto affezionata. In questo primo capitolo ve li ho un po' presentati... spero di avervi incuriositi ad andare avanti con la storia. =)
In linea di massima, aggiornerò ogni 3/4 giorni.
Alla prossima,
Beatrix B.

N.B. la storia sta partecipando al Circoli e Salotti contest. Ringrazio la giudice per avermi dato l'occasione di rimettere mano a questa vecchia storia.

   
 
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