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Autore: assasymphonie_    25/04/2014    3 recensioni
Estranei.
Nient’altro che estranei, ecco come probabilmente apparivano agli occhi curiosi che si posavano ogni giorno sulle loro figure distanti, destinate a scontrarsi e respingersi come poli identici di un magnete.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Castiel, Nathaniel
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Strangers don’t hide.


Estranei.
Nient’altro che estranei, ecco come probabilmente apparivano agli occhi curiosi che si posavano ogni giorno sulle loro figure distanti, destinate a scontrarsi e respingersi come poli identici di un magnete.
Tutti, inconsapevolmente o meno, si chiedevano come facessero due persone come loro a trovarsi incessantemente, o meglio inesorabilmente, a così stretto contatto giorno dopo giorno, anno dopo anno.
Poteva essere questione di ore, quando la Preside costringeva entrambi a riempire plichi disordinati di scartoffie burocratiche, seduti uno accanto all’altro, i gomiti tesi per non sfiorarsi, temendo una scossa che non arrivava mai. A volte la sostituiva un brivido caldo, che s’inerpicava su, sempre più su, lungo la schiena, le spalle, per poi annidarsi silenzioso e bollente all’altezza del petto.
A volte si trattava di minuti, durante i quali le mani ruvide di Castiel si stringevano rabbiosamente intorno al colletto immacolato dell’altro, in risposta ad una probabile osservazione schietta che riusciva sempre a trasformarsi in provocazione quando veniva pronunciata dalle labbra sottili di Nathaniel. Il rosso lo guardava senza vederlo davvero, riempiendosi le narici di quel profumo fresco di pulito prima di spingerlo via in malo modo, apostrofandolo con epiteti decisamente poco galanti.
Altre volte invece, erano giorni, settimane, in cui il silenzio e la distanza tra loro aumentavano a dismisura, tanto da apparire quasi tangibile, entrando loro stessi a far parte di quella sottile connessione, fatta di attimi e sensazioni. Non parlavano, non si guardavano, non nominavano l’uno il nome dell’altro, gravitavano in galassie lontane e solitarie, persi nel loro spasmodico bisogno di mostrare falsa indifferenza quando dentro di loro la frustrazione e malinconia li consumavano come fuoco nelle vene. Un veleno sconosciuto, capace di strappare via i fragili frammenti del loro mosaico irrisolto, lasciandoli svuotati, incompleti, sbagliati.
Settimane, giorni, ore, minuti, alla fine nulla di tutto questo importava più dei secondi riempiti di sguardi.
Sguardi incrociati per errore, durante una lezione troppo noiosa o un intervallo troppo lungo; sguardi di sfida, di disprezzo, di malizia e tristezza. Sguardi in cui l’orgoglio sfumava lentamente fino a sparire, sguardi di sincera preoccupazione durante una brutta caduta nel cortile, sguardi di comprensione, testimoni dell’ennesima sfuriata della Preside.
Sguardi, sguardi, sguardi, nient’altro che specchi di cristallo sottile.
Sguardi che da soli raccontavano quelle storie che le labbra avevano timore di narrare.

Era con quello stesso sguardo che Castiel stava scrutando la figura di Nathaniel davanti a lui, in quel pomeriggio tardo di una giornata autunnale. Relegati entrambi in un angolo degli spogliatoi del liceo, spossati da due ore di allenamento intensivo per le nazionali di basket di Novembre e rimasti i soli a non essere ancora schizzati fuori dal cortile, verso la libertà. Nathaniel aveva temporeggiato fino a quel momento, credendo di essere l’ultimo a dover ancora uscire, di essere protetto da quell’aria stantia e ferma, che odorava di sudore e acqua stagnante; ma a Castiel piaceva cogliere gli altri di sorpresa, soprattutto quando provava il bisogno fisico di un contatto da troppo tempo dimenticato. Talvolta, perso nei suoi deliri di onnipotenza, figurava se stesso come un predatore ed ogni predatore che si rispetti sa come avvicinarsi silenziosamente alla preda, impedendole di scappare prima che sia troppo tardi.
Così quando il biondo lo aveva notato, la trappola è già scattata, la figura del ragazzo gli bloccava ogni via di fuga e lui non era riuscito a fare nulla, la maglietta della divisa era già scivolata in terra con un fruscio sordo, rivelando al microcosmo di quel momento, il suo segreto.
Le iridi scure di Castiel fissavano i segni sulla schiena dell’altro come tratti d’inchiostro sbiadito su una pergamena consumata, con sorpresa e tacita perplessità. Nathaniel era scattato all’indietro, assumendo automaticamente una posizione di difesa, andandosi a schiantare contro le piastrelle fredde alle sue spalle, lo sguardo pieno di rabbia e vergogna; ma il compagno aveva seguito quel movimento in silenzio, guardando i muscoli delle spalle flettersi e tremare sotto l’epidermide martoriata, le labbra schiuse ma silenti, rese amare dal commento sarcastico che vi giaceva ora senza vita, troppo inappropriato per meritare un soffio di fiato.
Cosa vuoi, Castiel? aveva chiesto il biondo,  il respiro irregolare e la fronte leggermente imperlata di sudore, sopra gli occhi di ambra liquida illuminati di tristezza e sordo risentimento.
A quella domanda l’altro non aveva saputo rispondere, forse perché non sapeva cosa di dire, forse perché le cose da dire sarebbero state troppe. Si era sempre considerato un ragazzo materialista e come tale desiderava molte cose: una chitarra nuova, una nuova tinta di capelli, un collare per Damon, un’esenzione a vita dalla scuola, il diritto di pestare chiunque gli desse fastidio, dei genitori più presenti, un migliore amico meno sbadato, qualcuno che gli spiegasse la miriade di sensazioni che stava provando in quel momento, una risposta ad ognuna delle domande che gli affollavano la mente mentre fissava il petto esile del ragazzo davanti a lui alzarsi ed abbassarsi al ritmo sincopato del proprio battito. Per questo e forse per altri cento motivi, rimase in silenzio qualche minuto prima di mormorare, serio: « Cosa ti è successo? »
Nathaniel aveva riso, buttando la testa bionda all’indietro a contatto con la parete dietro di lui.
« Cos’è, ti aspetti davvero che io risponda? Qui? A te? Non sono cose che ti riguardano, faresti meglio a smetterla a fingere di preoccuparti per me. »
Aveva pronunciato quelle parole con un sorriso di scherno dipinto sulle labbra ma Castiel era fin troppo abituato a leggere il suo sguardo per non accorgersi del dolore che l’altro sembrava provare in quell’istante. E di nuovo aveva sentito l’invisibile legame tra di loro farsi più presente, stringendo entrambi in una morsa soffocante. Aveva mosso un passo in avanti, afferrando di scatto il polso che Nathaniel aveva tentato di avvicinare alla camicia abbandonata su una delle panche.
« Se c’è un motivo per cui dovresti rispondermi è proprio perché sono io a chiederlo, qui ed ora, dove siamo solo noi due e nessuna finzione di mezzo. »
Aveva avvertito il proprio cuore perdere un battito quando il biondo aveva alzato la testa, regalandogli uno sguardo pieno di niente e privo di tutto, anche di quella luce che aveva sempre ammirato e che rendeva il suo sorriso così speciale per tutti. Anche per lui. Soprattutto per lui.
La presa sul suo polso si era gradualmente allentata, finché Nathaniel non si era allontanato da lui con un movimento fluido, fronteggiandolo mentre restava a pochi centimetri dal suo viso.
« Tu non sai nulla di me, Castiel. »
Le parole erano rimaste sospese nel silenzio dell’ambiente, pesanti, gravi.
« Puoi fingere che non sia vero, che siano tutti come te, vogliosi di mostrarsi al mondo nella propria interezza. »
Aveva infilato una manica della camicia stropicciata, poi l’altra.
Silenzio. Suono.
« Perché anche se ti piace nasconderti dietro questa maschera scontrosa, ti racconti agli altri ogni giorno, più con i gesti che non le parole e non c’è nulla di te che non sia deducibile dalle tue azioni. »
Castiel aveva preso un respiro profondo, come per dire qualcosa, ma le dita di Nath sul suo petto, ferme e tiepide, lo avevano dissuaso.
« Ci conosciamo da anni ed anche se non siamo mai stati amici, ho imparato molto su di te. »
Silenzio. Suono.
« So che il caffè ti piace senza zucchero e le ragazze sfacciate. So che ami suonare ma ti vergogni a cantare, nonostante tu abbia tutte le capacità per farlo. So che tua madre ti porta un souvenir da tutti i posti che visita, so che a volte rimpiangi i tuoi capelli neri ma li consideri parte del tuo passato. So che ami i cani ma che porti di nascosto da mangiare ai gatti del parco tutte le volte che io non posso. »
Il tono della sua voce si era fatto più flebile via via che proseguiva, il pugno chiuso a contatto con la stoffa della maglietta dell’altro.
« So che sei un ragazzo gentile e che mia sorella è innamorata di te da quella volta in cui le riparasti la bambola che io le ruppi, so che vorrei dire di non aver fatto lo stesso solo qualche tempo dopo … »
Aveva di nuovo alzato lo sguardo sul viso sconvolto di Castiel, prima di allontanarsi da lui di qualche passo, per recuperare la borsa abbandonata in terra poco più in là.
« Ma tu, tu cosa sai di me? Mi conosci come il delegato rompiscatole che non ti permette di vivere tranquillo, l’antipatico perfettino con cui litighi ogni giorno per i motivi più futili. »
Le scarpe da ginnastica consumate avevano prodotto uno stridio penetrante, quando si era avvicinato alla porta, superando la figura del rosso ancora immobile.
« Allora permettimi di farlo. »
La voce bassa di Castiel era uscita a fatica, graffiandogli la gola secca. Nath si era girato verso di lui, incontrando il suo sguardo acceso dall’emozione.
« Permettimi di conoscerti per quello che sei. »
Permettimi di imparare ad amarti aveva pensato, troppo timido o troppo codardo per pronunciare quelle parole.
Ma entrambi sapevano benissimo che ormai le parole non servivano più, continuavano a fluttuare tra di loro come onde impazzite di un mare in tempesta benché non servissero più come mezzo di comprensione. Erano infatti ormai i loro cuori a parlare la stessa lingua, a suonare la stessa melodia.
E Nathaniel aveva capito ed aveva sorriso ancora, tristemente, dolorosamente.
« Non ne siamo capaci, Castiel. Potrei raccontarti ogni cosa di me e ancora ti sentirei lontano. Estraneo. »
Una ciocca bionda gli aveva velato lo sguardo, mentre abbassava leggermente la testa.
« Perché non è questo che siamo, in fondo, estranei? E come possono due estranei amarsi? »
Aveva lasciato cadere nuovamente la borsa sul pavimento sporco, avvicinandosi talmente rapidamente al suo viso, che Castiel aveva fatto in tempo solo ad avvertire il calore delle sue labbra sulle proprie prima di guardarlo prendere le distanze per l’ennesima volta.
« L’odio è una maschera che s’indossa con più facilità. »
Era con quelle parole che Nathaniel se n’era andato, lasciando l’altro solo, immerso in un silenzio che sapeva di disperazione e sgomento per un amore morto ancora prima di nascere.
Per un legame talmente tortuoso da risultare irraggiungibile.
Per il senso di perdita che lo consumava dentro.
Per la consapevolezza di appartenere ad un carosello infernale senza fine.
E per la certezza, di non poterne scendere mai più.

note dell'autrice;
Dedicata con tutta l'anima alla mia amata monobearera da tempo che volevo scriverle qualcosa ma non ho mai avuto l'ispirazione o il tempo per farlo, fino a questo momento. Scritta in questo fandom un po' assurdo per motivi che sappiamo noi~
Della fic che dire, non scrivevo da quelli che sembrano secoli e si vede. Paratassi, questa sconosciuta, non riuscivo a mettere un punto neanche minacciandomi da sola, il pezzo finale è davvero un concorso alle brutture più cliché di questo mondo, non mi convince per nulla, troppo orrendamente pseudo/finto-romantico, ma vabbè, c'est la vie quindi buona la prima e niente, spero di non avervi procurato troppi incubi.
  
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