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Autore: Nanek    27/04/2014    9 recensioni
“Inventati qualsiasi cosa, ma non chiamarmi Elizabeth, chiamami Beth, quello che ti pare” e lui le aveva sorriso.
Aveva sorriso, ma non l’ha mai chiamata Beth perché “Mi sa tanto da santarellina” facendole inarcare il sopracciglio “Mi stai dando della pervertita?” aveva risposto lei, facendolo ridere “Può essere” aveva osato tanto, per poi presentarsi a lei.
“E come fai a chiamarmi, allora?” aveva chiesto Elizabeth, mentre lui si portava la mano sotto il mento, come se stesse pensando intensamente a una risposta sensata “Dirò… Hey! Così tu ti volti e non ho bisogno di chiamarti per nome” lei era scoppiata a ridere davanti a tale stupidaggine, ma si adattò, senza aggiungere altro.
Il suo vero soprannome, tuttavia, non tardò ad arrivare, lui stesso odiava richiamare la sua attenzione con quel “Hey” che suonava idiota e senza senso: l’illuminazione arrivò in tempo e “Posso chiamarti Iris?” le chiese un giorno, dal nulla, sentendo alla radio quella canzone dei Goo Goo Dolls, canzone che lui stesso aveva cantato pensando a lei.
“Iris può andare, nessuno mi chiama così” aveva risposto, mentre lui le sorrideva, cosciente di essere l’unico al mondo per lei.
Genere: Malinconico, Slice of life, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Iris

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Il tempo di mettere il piede fuori dalla macchina e la vede.
L’ha già riconosciuta, quel giubbotto bianco lo avrebbe visto a chilometri di distanza, quel puntino lontano, su quella collina, dalla quale si può ammirare un lato di Los Angeles che nessuno conosce, nessuno tranne loro due, coloro che hanno scoperto quel piccolo angolo di paradiso, lontano dal trambusto del traffico, lontano dalle spiagge affollate, lontano dal mondo che li opprime.
Lui si tocca nervosamente il ciuffo di capelli davanti la fronte, capelli fin troppo lunghi, sa già che lei glielo farà notare, a lei non sfugge neanche un dettaglio, a lei non sfugge nulla su di lui: lui sa bene a cosa sta andando incontro.
Cammina piano, come a non voler arrivare da lei, se potesse scapperebbe, se potesse comincerebbe a correre via: chi è lei per costringerlo ad avanzare? Chi è lei per farlo camminare ancora fino a lì? Lei non è nessuno, lei non fa più parte della sua vita… eppure lui sta avanzando, lentamente, ma lo sta facendo, deve farlo, lo sente dentro.
Sospira mentre cammina, sospira e cerca di stare calmo, cerca di non farsi sopraffare dall’ansia di quel messaggio ricevuto da lei il giorno precedente, un messaggio freddo, un messaggio che racchiude tutta la tensione di quell’incontro.
 
“7pm, solito posto. Non ti chiedo di venire, devi esserci.”
 
Troppi punti, una sola virgola, nessuna firma, nessuna faccina: niente che gli ricordi il suo modo di scrivere un messaggio, lei che adora tutte quelle emoticon idiote, lei che ama firmarsi come “Tua Iris”, lei che infonde il suo calore anche solo con un messaggio, tappezzato di virgole che non servono, tappezzato di “xx” che lui ha sempre cercato di nascondere… messaggi che lui, dopo questo incontro, non riceverà più.
 
«Sei in ritardo, Kellin» la voce di lei lo richiama non appena lui è dietro le sue spalle, si sente avvampare, un sorriso lo tradisce, lei non si volta, resta con gli occhi proiettati in avanti, immobile.
«Chi è in orario ha una vita vuota, senza cose da fare» risponde lui, la sua frase celebre per giustificare i suoi ritardi.
Si siede accanto a lei, lei che non ha neanche risposto alla sua provocazione, lei che, solitamente, rispondeva a tono, lo fulminava con lo sguardo, ma non oggi.
Il silenzio cala tra di loro, un silenzio che Kellin non ha mai provato, non sapeva che volesse dire il silenzio tombale tra loro due, un silenzio che hanno sempre spezzato con le loro risate, con le loro voci, con i loro baci segreti che nessuno conosce, con quei respiri che si mescolano tra loro, quelle parole sussurrate che il mondo non ha mai sentito.
Ma niente di tutto questo si ripeterà, non oggi.
«Sei così silenziosa, Iris» si volta a guardarla, ammirando ogni singola cosa di lei.
 
Il suo viso serio, i capelli lisci e lunghi, diversi dall’ultima volta che li ha visti e toccati, non più castani con le punte bionde, non più mossi e lasciati crescere fino ad avere troppe doppie punte, i suoi capelli sono tagliati nei minimi dettagli, sono curati, sono biondi e profumano di buono, un profumo diverso da quello che le appartiene, non sono come lui se li ricordava.
I suoi occhi azzurri non sono più felici nell’averlo lì vicino a lei, i suoi occhi sono ricoperti da un ombretto chiaro, delineati da una matita più scura, i suoi occhi non sono quelli che lui ha conosciuto; le lentiggini quasi non si vedono più a causa del fondotinta, quelle lentiggini che lui ha sempre amato toccare, quelle lentiggini che le davano quell’aria così dolce, e quelle labbra: dove sono le sue labbra? Perché quel rossetto acceso le avvolge, distruggendo ogni singolo ricordo? Perché il viso della sua Iris non è più quello di troppi mesi fa?
Per non parlare dei suoi vestiti.
Dove sono sparite le canottiere dai colori spenti che lui le comprava? Dove sono finite le canottiere di tutte le band che lui voleva farle conoscere ad ogni costo? Perché sono state sostituite da questa camicia che costa sicuramente più di tutti i vestiti che lui indossa? Una camicia che sa solo di “Alta borghesia”, che sa solo di soldi e non di ricordi, una camicia comprata sicuramente da suo padre, colui che entrambi hanno sempre odiato, colui che ha sempre cercato di avvicinare la figlia verso qualcosa di più lussuoso, allontanandola da un misero cantante ricoperto di tatuaggi e di poco buon senso: eppure non è servito suo padre per dividerli così tanto.
La sua Iris sembra davvero così distante, nonostante sieda proprio affianco a lui.
 
«Elizabeth, non Iris» lo corregge lei, lasciandolo ad un mix di emozioni: ridacchia appena ma allo stesso tempo si sente abbandonato, perché lei ha sempre odiato il suo nome di battesimo perché, quando si sono conosciuti, la prima cosa che lei gli ha detto è stata “Inventati qualsiasi cosa, ma non chiamarmi Elizabeth, chiamami Beth, quello che ti pare” e lui le aveva sorriso.
 
Aveva sorriso, ma non l’ha mai chiamata Beth perché “Mi sa tanto da santarellina” facendole inarcare il sopracciglio “Mi stai dando della pervertita?” aveva risposto lei, facendolo ridere “Può essere” aveva osato tanto, per poi presentarsi a lei.
“E come fai a chiamarmi, allora?” aveva chiesto Elizabeth, mentre lui si portava la mano sotto il mento, come se stesse pensando intensamente a una risposta sensata “Dirò… Hey! Così tu ti volti e non ho bisogno di chiamarti per nome” lei era scoppiata a ridere davanti a tale stupidaggine, ma si adattò, senza aggiungere altro.
Il suo vero soprannome, tuttavia, non tardò ad arrivare, lui stesso odiava richiamare la sua attenzione con quel “Hey” che suonava idiota e senza senso: l’illuminazione arrivò in tempo e “Posso chiamarti Iris?” le chiese un giorno, dal nulla, sentendo alla radio quella canzone dei Goo Goo Dolls, canzone che lui stesso aveva cantato pensando a lei.
“Iris può andare, nessuno mi chiama così” aveva risposto, mentre lui le sorrideva, cosciente di essere l’unico al mondo per lei.
 
Eppure, su questa collina, lei ha appena rifiutato quel soprannome.
«Non ti è mai piaciuto il tuo nome» la rimprovera lui, lei scrolla le spalle «Neanche a te è mai piaciuta la tua ragazza, eppure, ci hai fatto una figlia insieme, o sbaglio?» colpito e affondato, lui non può più ribattere.
Non ribatte e non può permettersi di farlo: cosa potrebbe dire? Che è successo per sbaglio? Che quella figlia l’avrebbe tanto voluta con lei? Che l’amore che prova per lei non è paragonabile a nulla?
No, non può mentire, non può davvero farlo giunti a questo livello: quella figlia la voleva, con tutto se stesso, ama sua figlia più di ogni cosa al mondo.
Però sì, lo ammette, avrebbe tanto voluto che fosse figlia sua, della sua Iris, la ragazza che il mondo non ha mai conosciuto e che mai conoscerà: la loro storia non la conosce neanche sua madre, la loro storia è sempre stata un emerito casino, troppo diversi per stare insieme davvero, troppi problemi per poter affrontare il mondo che li circonda, troppo codardo per lasciare Katelynne: lei era davvero l’unica scelta, lei era adatta alla situazione, le vuole bene davvero, lei gli ha dato la figlia più bella al mondo, lei è… quello di cui ha bisogno.
Ha così bisogno di lei, che ha avuto una storia con un’altra fino alla scoperta della sua gravidanza.
«Mi dispiace, davvero» butta fuori, sentendo una risatina da parte di lei, una risatina isterica che dà inizio a un pianto, un pianto che lei non vuole lasciare andare, non ora, non davanti a lui.
«E di cosa, Kellin?» lo interroga sarcasticamente, puntando i suoi occhi su quelli di lui, occhi dove sono riflessi i loro ricordi: il ricordo della loro storia, la storia di una ragazza, figlia di un milionario, che si è innamorata di un cantante, un cantante fidanzato che non ha mai voluto lasciare la sua ragazza per lei, un ragazzo impegnato che non esiterà a dirle addio, in questo istante, perché sua figlia ha bisogno di lui, lei lo sa, lei conosce Kellin.
«Sarai sempre la mia Iris» bisbiglia lui, avvicinandosi a lei, cercando di lasciarle un ultimo bacio, un bacio che lei non vuole, lo scansa, e le labbra di lui cadono sulla sua guancia, per poi alzarsi, andandosene definitivamente.
 
È ormai buio, le tenebre nascondono la sua immagine che si allontana da quel posto, la notte lo protegge da occhi indiscreti, occhi che non capirebbero il motivo della sua presenza in quel posto.
E nella sua testa, la sua Iris riprende vita, ancora una volta, facendo nascere una strana sensazione all’altezza del petto.
And I'd give up forever to touch you 
'Cause I know that you feel me somehow 
You're the closest to heaven that I'll ever be 
And I don't want to go home right now 
And all I can taste is this moment 
And all I can breathe is your life 
'Cause sooner or later it's over 
I just don't want to miss you tonight

 
Perché Kellin sa bene che la sua Iris lo sentirà sempre su di lei, lo sentirà sfiorarle le guance quando quelle note passeranno alla radio, lo sentirà sulle sue labbra quando i ricordi torneranno nei momenti più inaspettati, Kellin vivrà per sempre nella sua vita, nonostante la loro storia, nonostante tutto quello che hanno passato, era destinato a finire.
 
And you can't fight the tears that ain't coming 
Or the moment of truth in your lies 
When everything feels like the movies 
Yeah you bleed just to know you're alive
 
Kellin guarda un’ultima volta quella collina, cerca di scorgere ancora la sua figura, senza risultato, eppure, nell’aria, lui sente le lacrime che le solcano le guance, lacrime calde che lui ha sempre tentato di asciugare, lacrime che lei non può più trattenere, lacrime che lui non può più fermare, perché lui ha fatto la sua scelta, lui ha scelto sua figlia ancora più di dieci mesi fa, quando Katelynne gli ha annunciato la sua gravidanza, quando lui ha troncato la sua relazione con la sua Iris, non cercandola più, non facendosi trovare, non rispondendo alle sue chiamate, abbandonandola senza troppi sensi di colpa, senza il coraggio per affrontarla davvero: ancora una volta è stata lei ad essere la più forte tra loro, è stata lei a volerlo vedere un’ultima volta, sapendo bene a cosa stesse andando incontro.
And I don't want the world to see me 
'Cause I don't think that they'd understand 
When everything's made to be broken 
I just want you to know who I am 

 
E Kellin non vuole davvero essere visto in quel posto, Kellin ringrazia la notte e le tenebre, perché nessuno saprà mai del suo incontro con la sua Iris ed è meglio così: perché nessuno capirebbe la loro storia, nessuno capirebbe tutto quello che hanno passato insieme.
Loro, d’altronde, sono solo due persone che appartengono a mondi troppo diversi per poter stare insieme, sono due persone che mai nessuno metterebbe insieme, Kellin troppo tatuato, Iris troppo raffinata.
Eppure nessuno sarebbe capace di cogliere quanta perfezione c’era tra di loro, nessuno sarebbe in grado di capire cosa scorreva tra di loro e, forse, è meglio così.
Iris è il segreto più nascosto che lui ha, Iris resterà sempre indelebile nei suoi ricordi.
Lei rimarrà sempre e solo la sua Iris.
 
 


Note di Nanek
Ciao a tutti!
È la prima volta che metto qualcosa in questa sezione e, ad essere sincera, la cosa mi rende giusto un po’ nervosa! ^^
Gli Sleeping With Sirens li conosco da davvero pochissimo tempo, saranno appena tre settimane, e li ho “conosciuti” solo tramite i 5Seconds of Summer: bene questa cosa non interessa a nessuno, il nervoso mi fa parlare a vanvera.
Bene, questa OS molto deprimente su Kellin è nata ascoltando la sua cover, quel ragazzo è un angelo, tipo che ho i brividi ogni volta che sento la sua voce… caro lui <3 e mi dispiace per averlo messo in questa OS triste… ma questo è quello che il mio cervellino ha sfornato: è pure un casino sta storiella, fatta di ricordi e poi ritorno al presente, sì un casino, complimenti a me.
Spero che vi piaccia, spero di trovare qualche commentino da parte vostra =) sempre se vi va =)
Grazie sin d’ora per aver letto =)
Nanek

 
  
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